ONTOLOGIA DELLA RELAZIONE (3)

[ In questa ricerca sull’ontologia delle relazioni, abbiamo affrontato qui un primo punto di ontologia generale secondo le coordinate dello spazio e del tempo, mentre qui abbiamo incontrato le prime manifestazioni del concetto di sistema e di emergenza ed un approccio alle relazioni  nella ontologia formale. Oggi ci occupiamo di ontologia sociale.]

9788858110652M. Ferraris ha proposto una ontologia degli oggetti sociali[1]. Si tratterebbe di quegli oggetti che “…dipendono da atti sociali, la cui iscrizione costituisce l’oggetto”. L’argomento, oltre a Ferraris, coinvolge a  vario titolo J.L. Austin, J. Derrida, J. Searle, A. Reinach, ed anche l’economista de Soto. E’ conosciuto anche come –Documentalità-. La faccenda prende avvio da un concetto di Searle espresso in “La costruzione della realtà sociale (Einaudi, 1995)[2], ossia: “X vale come Y in C”. Detto altrimenti,  le cose possono variare i loro significati a seconda dei contesti. Ad esempio,  un pezzo di carta colorata (x), diventa una banconota, cioè denaro, (y), nel contesto di un  sistema bancario statalizzato o definito da appositi trattati (c).

Searle[3] deduce che perché si formi “c” (ad esempio il sistema bancario europeo), ci vuole –intenzionalità collettiva– (o condivisa), si tratterebbe cioè di una convenzione sociale, dare alla carte colorata il valore di moneta. Ferraris obietta che questa “intenzionalità condivisa” è un concetto troppo aleatorio e che l’unico esempio che gli viene in mente a riguardo è l’“orinatoio di Duchamp”, ovvero un cesso (x) ritenuto un’opera d’arte (y), nel contesto (c) del – surrealismo? ambiente culturale-artistico d’avanguardia? . Introduce così, prelevandola dallo stentoreo “nulla esiste fuori del testo” di derridiana memoria, di cui comunque rifiuta la presunzione di assolutezza che porterebbe alla dittatura dell’ermenutica, una più limitata e precisa definizione: “nulla di sociale esiste al di fuori del testo”. Si tratta cioè di far coincidere atto sociale con la registrazione scritta dello stesso nel documento. Il parlamento esiste perché c’è una costituzione scritta, le tasse perché ci sono moduli scritti e registrati, monete perché ci sono trattati, matrimoni perché ci sono contratti firmati etc. .

downloadQuesta specifica di Oggetto = Atto Iscritto, precisa che tali sono gli atti iscritti su un documento, un file di computer “o anche semplicemente nella testa delle persone”. Ma c’è un bella differenza tra iscrizione scritta e mentale, quella mentale in cosa differisce dall’intenzionalità condivisa di Searle? E basta quella scritta o lo scritto deve essere conforme a pratiche e successive registrazioni, quali ad esempio quelle prescritte da un sistema giuridico a sua volta registrato in leggi scritte, deliberate da un organo deputato per convenzione sociale a legiferare, deputazione a sua volta stabilita per scritto ma rispettata solo per convenzione sociale unita ad una buona dose di forza di polizia? Mi pare si finisca al contratto sociale (che per altro non è scritto), non una grande novità ontologica. Mi sembra che Ferraris abbia scoperto l’istituzionalismo[4] ed insieme a lui, l’economista Hernando de Soto.

De Soto è quel “genio” economico che voleva registrare al catasto le favelas di modo che i nullatenenti diventassero proprietari e si dotassero così di un capitale, almeno potenziale, con possibilità di accedere alle fiches del gioco. Qui si vede la differenza tra documentalità e convenzione sociale. Le baracche  non registrate al catasto non esistono per -c- in quanto sistema capitalistico, ma esistono in -c- in quanto comunità dei poveri ai margini del gioco. Dire che -non esistono perché sono fuori di un testo- è rimarcare solo il confine di un contesto relativo e fatalmente, autodichiarare oggettivo quello che rimane un punto di vista soggettivo, sebbene corroborato da tribunali e forze di polizia. Il bello è che questa ontologia difesa da forze di polizia si iscrive alla tradizione “liberale”.

100000000000018F0000011FEEFCD8D7La convenzione sociale non esiste solo per l’orinatorio di Duchump, vi sono molte pratiche sociali esistenti, estese nel tempo, ritenute convenzione stabilita ed ordinante per i comportamenti individuali nonostante il fatto che non siano registrate o iscritte. Esistono guerre non dichiarate (o dichiarate “azioni di pace”), rivoluzioni scritte solo dopo dagli storici, baracche  non registrate al catasto ma registrate come proprietà private nelle convenzioni sociali dei gruppi che vi abitano, usi del linguaggio scorretto anche se di pratica comune, gruppi politici o amatoriali non codificati in statuti associativi, tifosi della Curva Sud, discussioni tra amici, leadership socialmente e convenzionalmente attribuite e revocate senza registrazioni, i pranzi di Natale, le feste di compleanno o il Carnevale. Queste, per altro, sono cose ben note ai sociologi, come nota lo stesso Searle citando il concetto di habitus di P. Bordieu.  Molte norme e fatti sociali  “sono” senza essere iscritte nei Libri delle Norme e delle Procedure[5]. Esistono in quanto tutti i singoli di un gruppo umano, pensano e si atteggiano “come se” esistessero e perciò danno loro esistenza. Sono i regolamenti invisibili dell’interrelazione sociale. Le religioni o le ideologie, le stesse immagini di mondo sono fatti sociali tipici di questo genere, il genere -idee creano fatti se credute vere da gruppi umani-. In effetti, sono i gruppi umani ad agire sincronicamente nella creazione dei fatti e lo fanno, se hanno un comune deposito di idee.

de_sotoNell’argomento di Searle e nella successiva precisazione documentale di Ferraris, si nota più l’esercizio della precisione definitoria caro alla tradizione analitica, che l’innovazione del concetto[6]. Ma gli esisti di questa precisione definitoria sono controversi, perché spesso a non essere precisi, ad essere vaghi (come nei soriti[7]) sono gli oggetti stessi e vincolare l’ontologia degli oggetti al fatto che possano esser precisamente definiti non è violenza minore che includere in catalogo gli spiriti ed i diavoli della tradizione scolastica. Forse occorrerebbe far pace con l’imprecisione e provare a precisarla accettandone i minori gradi e non i maggiori o rendendosi consapevoli di quali sono i prezzi che si pagano ad accettare i fantasmi o quelli di escludere l’amicizia.

Più in generale, questo sforzo di precisazione ontologica si manifesta nella Grande Guerra tra realisti ed idealisti. I primi si fondano su i solidi radicamenti della realtà fisica, la luce intensa che dissolve i fantasmi delle mente che si crede Mondo, i secondi sono talmente involuti nella loro mente da credere spesso che oltre a questa non esista altro, ma attraverso questa “vedono” cose che mettono gli altri in imbarazzo, come il “sociale”. Hanno torto e ragione entrambi poiché, a noi sembra, entrambi in imbarazzo sul concetto di relazione, quella relazione che lega l’Io al Mondo e viceversa, con una grande zona intermedia che non è, né tutta bianca, né tutta nera e i cui confini sono convenzionali, soggettivi ma poi oggettivi se socialmente stabiliti. Questa oggettiva indeterminazione dei qualcosa che scaturiscono da, e sono essi stessi, -relazione- , non sembrano esistere per  i primi, ma neanche per i secondi secondo i quali -in molti casi-, come ama ripetere il Ferraris:  “non esistono i fatti ma solo le interpretazioni”. Al di là degli specifici esiti delle ricognizioni Searle-Ferraris, si può comunque osservare lo sforzo che quella tradizione polarizzata nella materia, sta compiendo nel cercare di includere la zona dell’essere sociale nella sua ontologia, sperando che prima o poi, anche gli “amici delle Idee” conseguano che se ci sono interpretazioni, ci saranno pur dei fatti ai quali le interpretazioni, in modi anche “costituzionalmente” molto indeterminati, si riferiscono. Forse non manca tanto al momento in cui gli scavatori del tunnel da nord (Mondo), rompano l’ultimo diaframma assieme ad identico moto degli scavatori del tunnel da sud (l’Io). Si potrebbero così incontrare, darsi la mano, riconoscersi l’un l’altro e stabilire che quel momento magico, il senso dello scavare tunnel in quanto fine, è nel creare collegamenti,  è il mettere in relazione, poiché la “situazione principale” di Io e Mondo questo appunto è: relazione.

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9783110001556_p0_v1_s260x420L’ontologia del  sociale (definendo la società: complesso di complessi)[8]. ispira anche la proposta di G. Lukacs, sebbene da tutt’altra prospettiva . Riferendosi da una parte alla struttura dell’ontologia stratificata di N. Hartmann, dall’altra alla mancanza di una fondazione ontologica del marxismo, mancanza che a suo avviso fa diventare il pensiero di Marx (che egli distingue nettamente da quello di Engels ed epigoni e dalla nefasta influenza del determinismo, del riduzionismo e della necessità) preda di interpretazioni deviate e devianti, per l’ungherese va posta la dimensione “sociale”, dopo quella organica che si pone dopo quella inorganica. Come si vede, siamo nuovamente nella “grande scala dell’essere” di cui abbiamo parlato qui.

Questo porre il “sociale” come strato ontologico però va precisato. Alle volte sembra che  si debba porre il sociale nel senso dell’interrelato, se si pone dall’altra parte un irrelato, ma questa dimensione irrelata, individuale, semplice, non sembra esistere, né nella natura materiale, né in quella immateriale, tantomeno in quella umana, a nessun livello. Che l’ontologia dominante sia una sequenza di Uno, monadi, individui, singolari, è il problema, ma è un problema che purtroppo c’è ad ogni livello ed in ogni ambito ontologico. O accanto alla cosa in quanto essenza si pone a pari livello di significanza ontologica la relazione o non è ricavando uno specifico antropologico che si risolve il problema. In senso metafisico, nel senso di pensiero su tutto ciò che ha essere, la ri-fondazione ontologica deve essere radicale, nel senso di partire da radici generali, partire dal concetto che l’essere è relazione e queste relazioni tra cose che hanno essere danno vita a forme, complessioni, sistemi, classi, tra loro in interrelazioni. L’Essere complesso è l’idea che compete con l’Essere semplice, con l’ambizione di opporre una ontologia relazionale a quella essenzialista e da qui, derivare una diversa metafisica e filosofia generale. Il “sociale” allora, sarà l’altra faccia dell’ontologia dell’essere autocosciente (individuale e sociale) come di ogni altro strato si potrà avere la descrizione interna all’essere (le relazioni che lo costituiscono) ed esterna (le relazioni che lo definiscono).

cop2Gli strati di Luckas non hanno sequenza teleleologica, ma causale, di modo però che non si possa ridurre lo strato successivo al precedente. Questo per sbarrare la porta ad ogni semplificazione, come quella contro cui si batteva l’ungherese, la riduzione darwinista (il darwinismo sociale già presente sin dai tempi di H. Spencer) o come quella che si affaccerà nella seconda parte del secolo, la riduzione atomista (siamo atomi che danno vita a varie molecole di un organismo sociale)[9] o come quella che impera oggi, la riduzione informativa, per la quale siamo tutti enti che si scambiano “semplicemente” informazioni, pacchetti di 0 e 1. Tutto pur di dominare la complessità delle interrelazioni, di volta in volta, all’interno di schemi paleo-scientisti, logico-linguistici o peggio matematici.

Luckas arriva all’ontologia dell’essere sociale umano, seguendo un porsi dialettico, della peculiare dimensione del lavoro, “salto”[10] che stacca l’uomo dal dominio animale, per porlo in un ambito proprio dotato di specifica ontologia. Lavoro sociale che diventa così la cifra tanto dell’utero sociale, quanto produzione dell’embrione umano, una sorta di “lavoro dunque sono” che connota l’homo laborans. Tutto ciò, per arrivare pronti ed organizzati all’aggancio con tutto il successivo pensiero di Marx, che pone l’homo laborans come sua base antropologica.

 forme_precapitalisticheI marxisti hanno buone ragioni quando rimarcano il carattere sociale dell’umano, in contrapposizione ad un certo tipo di antropologia che secondo noi, non è borghese o capitalista ma specificatamente anglo-sassone. Gli anglo-sassoni hanno una lunga tradizione sociofobica come raccontammo qui. E’ perché sono sociofobici che hanno inventato il capitalismo, non il contrario, è l’antropologia che fonda la sociologia, non il contrario. Ma il prematuro distogliersi dalla filosofia di Marx, per dedicarsi alle urgenze della lotta politica che veniva chiamata a gran voce dal periodo rivoluzionario di metà XIX° secolo, porta il discorso a deragliare su una porzione particolare di spazio-tempo (l’Europa dell’800) e non accorgersi che questa fobia per il complesso, è genetica nella cultura occidentale ed è solo in funzione di questa, che si può spiegare il “successo” anglo-sassone e l’affermazione del loro modo aggressivo-utilitario di vedere il mondo.

Marx, non diversamente da altri pensatori, pone a definizione dell’uomo, una ontologia a posteriori: l’uomo è l’animale che lavora. Aristotele poneva l’animale politico. L’antopo-zoo è poi animato da animali computanti, animali linguistici, animali figli di dio, animali dediti al piacere, al dovere, speranzosi, che sono perché pensano, bipedi implumi, vuoti a perdere dell’inveramento dello Spirito Assoluto, parti meccaniche del Grande Orologio, parti organiche del Grande-Uno-Tutto, grovigli di volontà di potenza, lupi incazzosi sempre pronti a sbranarsi, anime smarrite gettate nel Mondo, corpi derealizzati, veicoli di geni egoisti, vittime biopolitiche e chi più ne ha più ne metta[11]. Ma se vogliamo trovare un’altra strada dobbiamo fermarci all’apriori, dobbiamo differenziare il genotipo antropologico, dal fenotipo che si attualizza in questo o quel modo. Più o meno, tutte le definizioni di uomo date, sono appropriate ma nessuna di loro è l’universale e nessuna di loro coglie la nuda essenza che non verrà intesa come condensazione del senso primo, ma solo come “condizione di possibilità” che poi si preciserà in varie relazioni. Bisogna sottodeterminare l’essenza poiché la sua piena determinazione si ha solo nella relazione.

onto1In particolare, è un torto palese al come siamo, dire che siamo solo individui e non parti sociali, tanto quanto è un torto palese dire che siamo solo parti sociali non dotate di individualità e notare in ciò un punto di contraddizione, quella “socievole-insocievolezza” posta da Kant. Di derivazione, l’uomo è un animale di tipo sociale e non individuale su questo non c’è alcun dubbio. Di proprietà l’uomo differisce per auto-coscienza o coscienza riflessiva, che è un dominio diverso da quello della coscienza di cui sono dotati molti animali (a seconda della definizione, si potrebbe dire “tutti” gli animali). Dall’unione della nostra socialità e autocosciente individualità viene fuori il nostro essere pensanti, parlanti, politici, lavoranti, riflessivi, agenti intenzionali, computanti, logico-emotivi, mistici, razional-irrazionali, empatici, egoisti, cooperativi etc. . In senso storico-culturale (dove l’apriori diventa a posteriori), i cinesi ed i mediterranei o latini[12], ma anche gli indiani e tutti gli abitanti a sud del 45° gradi di latitudine sono tendenzialmente più propensi all’aggregazione, quelli a nord di quel parallelo, lo sono molto meno e tendono maggiormente all’affermazione individuale. Ciò si può tentar di spiegare col fatto che le terre a nord del parallelo sono pari se non maggiori in estensione di quelle meridionali, ma la popolazione è storicamente minore per ragioni climatiche.  Purtroppo, le doppie coordinate spazio-temporali della geografia e della storia non sono largamente in uso (si veda qui per tornare all’insegnamento di F.Braudel).  Il testo (l’uomo a priori) è social-autocosciente, la sua attualizzazione (X vale come Y) dipende dal contesto (storico-geografico) in cui si pone (in C).

Sull’ontologia luccaciana occorrerà ritornare. L’idea di liberare il pensiero marxiano dal marxismo ed in particolare dal determinismo economicista e dal teleologismo hegeliano ci sembra nobile opera, ammesso che ciò sia possibile. Nel senso che non siamo sicuri che queste siano sempre e solo deviazioni sovrapposte ad un intento originale di tipo diverso. Purtroppo Marx è intrinsecamente una “opera aperta”, un lavoro in corso che l’autore non ha chiuso o rivisitato sistematicamente e il pur rigoroso richiamo testuale non può che pescare in una specie di -tutto ed il contrario di tutto-, che per altri versi ne è anche la ricchezza. Marx è la pacchia dell’interpretazione ma dove in genere questo succede (si veda l’ermeneutica biblica) è perché ci sono ampi margini di indeterminazione.

Dalla importante introduzione ai Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale  (Guerini e Associati, Milano, 1990) di Nicolas Tertulian, che trovate qui, preleviamo: “L’ontologia che egli preconizza è quella che concepisce l’essere come una interazione di complessi eterogenei, in perpetuo movimento e divenire, caratterizzata da una mescolanza di continuità e discontinuità, che incessantemente produce il nuovo e la cui caratteristica fondamentale è l’irreversibilità”, un quadro ontologico che in poche pennellate, apre un discorso sulla complessità antropo-sociale su cui torneremo.

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dallantropologia-filosofica-allontologia-soci-L-RJcpPkLa ricerca di una ontologia delle relazioni, ha qui incontrato due aree: quella delle relazioni umane che formano la realtà sociale e gli oggetti, le istituzioni sue proprie; quella di come la realtà sociale come trama di relazioni, influisce nella determinazione degli esseri umani. Questo mondo della vita umana si somma ai mondi dell’organico e dell’inorganico. I primi costitutivamente relazionali poiché si potrebbe dire che la “vita” è ciò che emerge proprio oltre un certo grado di complessità delle interrelazioni di oggetti descrivibili dalla fisica. I secondi (che poi sono in senso onto-cronologico, i primi), altrettanto ontologicamente fondati sulla relazioni, sebbene di un minor numero di componenti. Rimane da inventariare il mondo che crea la mente umana con i pensieri e le parole, ma è inevitabile anticipare che anche lì, sono le relazioni (tra termini, enunciati, pensieri negli individui e per convenzione tra individui) a determinare gli oggetti ipotetici. E del resto tutto ciò scaturisce da una mente in relazione (e funzione di mediazione) tra un corpo ed il Mondo, essa stessa costituita da interrelazioni tra neuroni (soli o interrelati a sistema-modulo) e dedita all’interrelazione con altri corpimenti.

La tesi per la quale le “cose” (eventi, pensieri, materie tri o quadridimensionali) sono determinate da interrelazioni e sono volte ad interrelazioni come loro senso di esistenza, ci sembra così sempre più consistente.

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[La ricerca sull’ontologia della relazione proviene da questa prima puntata, poi questa seconda e procede dopo la presente che è la terza, alla quarta –qui– ]

 

 

[1] M. Ferraris, Documentalità, Laterza, Roma-Bari, 2009. Anche in Storia dell’ontologia (a cura di M. Ferraris), Bompiani, Milano, 2008,  p.475-487

[2] Si noti che “costruzione della realtà sociale” non significa “costruzione sociale della realtà”, nel senso che la posizione di Searle è realista (cioè la “realtà” esiste a prescindere dalle nostre costruzioni intellettive)  e non costruttivista in senso forte.

copwe[3] J.R. Searle è un filosofo della mente americano. Tra i pochi a battersi contro le interpretazioni forti dei programmi di A.I. . Searle rimane attaccato al dato di autocoscienza ed intenzionalità della mente umana, che intende come fenomeno emergente del sostrato biologico indiviso (contrario al dualismo mente-corpo, come a quello natura-cultura). Dato questo sostrato e data la complessità delle interrelazioni elettrochimiche neurali, dalle quali emerge la mente intenzionale, non si può immaginare altrettanto per le costruzioni al silicio. Forse l’A.I. può simulare la gestione sintattica dei significati, non quella semantica, in breve: un computer non “capisce” quello che fa. Da cui il celebre esperimento mentale della “stanza cinese” che si trova facilmente su Internet.

[4] Dell’istituzionalismo esiste una nobile versione nel pensiero economico (scuola di tradizione nord americana) di cui T. Veblen, J.R. Commons e J.K. Galbraith sono tra i massimi rappresentanti. Gli istituzionalisti, in sostanza, pensano l’economia sia “embedded” alla società e non sia riducibile a gli astratti algoritmi della scuola marginalista.

[5] Una -ontologia generale-, dovrebbe sforzarsi di essere appunto, generale (a me non piace il termine “universale” ma il senso è più o meno quello). Le società della scrittura e quelle delle scrittura registrata, sono solo una parte sia del totale geografico, sia del totale storico.

[6] Nel suo libro, Searle, si sente che combatte contro i dogmi dell’individualismo metodologico che imperano nel suo paese e nel suo ambito culturale. Egli deve faticosamente farsi strada in una selva di concezioni riduzioniste, per affermare i fenomeni della intenzionalità collettiva, stando attento a chiudere subito la porta a possibili intrusioni idealiste e post-moderne. Non a caso, il libro è diviso in due parti: una quella propriamente dedicata alla Teoria dei fatti istituzionali, l’altra che deve ben ribadire la sua fede realista e quella nella verità come corrispondenza. Il libro quindi assume un interesse anche per la sociologia delle idee, ovvero: fino a dove si può trattare il “sociale” nell’ambito di una immagine di mondo ordinata da una inclinazione filosofico-analitica ovvero da una mentalità anglosassone?.

[7] Qual è il numero di capelli prima del quale uno è calvo e dopo il quale non lo è? Qual è l’entità di denaro prima della quale uno è povero o dopo la quale è ricco? A che punto della evoluzione di un feto si presenta l’individuo? Quando è che un uomo si può dire morto? Oggetti dai confini imprecisi ed imprecisabile, sono soriti.

nuova-storia-della-filosofia[8] Sull’incomprensibile silenzio che circonda le tarde opere ontologiche di Lukacs, i cui primi frammenti sono del 1967, mentre la pubblicazione postuma e completa dei due volumi della “Zur Ontologie des gesellschafttlichen Seins” è del 1984-1986, cioè alla vigilia del crollo del comunismo realizzato (ed. it. In 4 volumi “Ontologia dell’essere sociale” per Pgreco, Milano, 2012), si è interrogato a lungo e più volte Costanzo Preve.  Oltre a questo intervento (uno tra i tanti) si veda anche il suo importante “Una nuova storia alternativa della filosofia”, editrice petite plaisance, Pistoia, 2013, come recita il sottotitolo “Il cammino ontologico-sociale della filosofia”. Alla solitudine epistemica di Lukacs, corrisponde quella di Preve, poiché anche negli ambienti “critici” c’è un mainstream.

[9] L’abbinamento società = “atomi-molecole-organismi” è un tipico esempio di fallacia dell’analogia. Gli individui umani (ma anche quelli animali o vegetali) non sono atomi ma sistemi di atomi con livelli emergenti tra i quali, nel caso umano, l’autocoscienza intenzionale. I gruppi sociali non sono molecole poiché sono formate da individui autocoscienti intenzionali che si interrelano in vari modi e non certo seguendo le leggi del legame fisico-chimico. La società non è un organismo poiché è formata da individui, gruppi e loro interrelazioni istituzionali e non, ed inoltre, a differenza dell’organismo, non ha unità corporea e tantomeno autocoscienza intenzionale. Un discrimine più sfumato ma non meno esistente si dovrebbe porre nel trattare le osservazioni su i primati (spesso orribilmente turbati dal contesto extra-naturale in cui sono segregati) come indicative in forma “forte” dell’essenza degli umani.

[10] Su questa forma di emergenza saltazionista, Lukacs segue N. Hartmann il quale regola i passaggi nei suoi strati dell’essere, con l’apparizione di un novum dello strato superiore, rispetto l’inferiore. Ogni piano è condizionato dal sottostante ma determinato da condizioni proprie, nuove, discontinue e differenti rispetto le precedenti. Nei diversi strati, quando nel piano superiore si mantengono valide le stesse categorie in quello inferiore, si ha sopraformazione. Quando invece non tutte le categorie si possono trasferire ed anzi ne compaiono di nuove, si ha soprastruttura (esistono quindi categorie anch’esse stratificate). Mente auto-cosciente, ad esempio, è soprastrutturale rispetto al piano biologico cosciente, tanto quanto questo lo è di quello biologico ad esempio, vegetale. Questo taglia la strada al riduzionismo ed al meccanicismo, sempre sotto l’aristotelica egida dell’ “intero è più delle parti”.  A Lukacs, il “novum” proprietà specifica di ogni strato, serve anche a tagliare la strada al determinismo razionalista (staliniano) tanto quanto al teleologismo storico alla Hegel.

[11] Questo elenco, per altro tratto dai fondamenti visibili ed invisibili di altrettante posizioni antropo-filosofiche piuttosto celebri, assomiglia molto alla famosa tassonomia bizzarra di una misteriosa enciclopedia cinese, citata nel racconto  “L’idioma analitico di John Wilkins” in Altre Inquisizioni, di J.L.Borges. Qui un link per darci un occhio a pg.104. E’ la più bella sequenza di categorie si possa trovare e personalmente, mi fa sorridere ogni volta che la leggo (in particolare la categoria “innumerevoli”).

[12] Mediterranei è una definizione geografica, latini è una definizione linguistica. Sta il fatto che i mediterranei che parlavano lingue derivate dal latino (nello specifico, lo spagnoli ed il portoghese che a rigore non è parlato da mediterranei) sono migrati, come spesso accade, lungo i paralleli (dall’Europa al Sud America nella fattispecie) facendo diventare “latini” quei sud americani che certo mediterranei non sono. Da cui la necessità della doppia definizione.

 

 

 

 

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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