FRANS de WAAL. Fate i bonobo non la guerra!

Intorno alla lettura di F. de Waal, Il bonobo e l’ateo, Cortina editore, Milano, 2013.

IL-BONOBO-E-LATEO-300Nella prima modernità, la moralità è stata interpretata come un portato dell’evoluzione culturale, sovraimposta ad una natura, di per sé, non morale. L’essere non è morale e doveva esser corretto dal dover essere.  Questa impostazione (anglosassone) è ben esemplificata dalla dicotomia dottor Jekyll ed il suo alter, il signor. Hyde. Jekyll arriva a sintetizzare una droga che cancellerà la sovraimposizione culturale, liberando così Hyde: “La droga infatti, di per se stessa, non agiva in un senso piuttosto che nell’altro, non era divina né diabolica di per sé; scuoté le porte che incarceravano le mie inclinazioni...”.  Così la pensava in fondo anche Freud per come ci ha espresso il suo parere nel “Disagio della civiltà” e così la si pensava ancora prima stante due impostazioni: quella del progresso (dallo stato di natura allo stato di civiltà, ad esempio Hobbes e Locke), quella del regresso (dallo stato di innocenza a quello di corruzione, ad esempio Rousseau).  Questa linea presuppone un salto o una gabbia, il salto dalla nostra preistoria alla nostra attuale storia o una gabbia di regole morali con la quale tentiamo di carcerare l’indomito selvaggio animale che è in noi.

Paleoantropologia, biologia molecolare e psicologia comportamentale, sono state a lungo dominate da questa impostazione, una impostazione per lo più anglosassone così come lo è stata anche la comunità scientifica dominante queste discipline. Come più volte da noi sostenuto (qui, ad esempio), questa storia è per altro parzialmente “vera” proprio per gli anglosassoni stessi, i quali, in ragione della loro posizione di élite etnica dominante, l’hanno fatta coincidere con il concetto di uomo (occidentale) tout court. invasioni_barbariche_fig_vol1_008790_001La “verità” di questa impostazione, va riferita a quel lungo passaggio che portò clan tribali seminomadi del Nord Europa, poi definiti “barbari” dai romani, a diventare gli inglesi e il meno lungo passaggio che portò questi a diventare da una rissosa composizione di clan feudali in perenne lotta intestina ( a questo si riferiva il “tutti contro tutti” di Hobbes che è stato -anche- il primo antropologo degli anglosassoni), un popolo che prima si affermò in Europa (dalla fine del XVII° secolo) e poi colonizzò l’America del Nord che, alla fine, si affermerà sul mondo sostituendo i padri fondatori. Ma tale “verità” va intesa in senso psicologico  non in senso biologico. Ossia, stante per quei popoli lo shock del passaggio dallo stato di natura a quello di civiltà, si può comprendere che si sia voluto schematizzare una narrazione che però tale rimane. Ci sono senz’altro differenze tra pre-istoria e storia, si tratta solo di capire se tali differenze siano di grado o di natura.

Charles Darwin pensava fossero di grado mentre lo sviluppo della seconda metà del XX° secolo delle scienze dell’umano prima citate, l’hanno pensata come differenza di natura, da cui l’idea che già troviamo in Stevenson di “due nature”: “Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.”[1].

A partire dalla fine secolo, si è però venuta a formare una torsione interpretativa  interna proprio al canone anglosassone, non solo quello scientifico, in particolare a partire dalla cultura britannica. La natura umana fondamentale, narrata come egoista ed aggressiva, ha cominciato ad apparire anche altruista e cooperante. Credo ciò si sia manifestato in seguito alla crisi britannica degli anni ’70-’80, una crisi di passaggio poco evidenziata dalla storiografia (del resto è evento relativamente recente). Questa crisi aveva forse un sottostante psico-culturale più importante del ritenuto. Si trattò forse del cambiamento di stato e di relativa convinzione sul ruolo dei britannici nel mondo, non più centrale, non più al vertice. Si è trattato, forse, della definitiva acquisizione del senso di fine della storia di lunga durata che si estese da Elisabetta alla Thatcher, cioè dai prodromi del nuovo sistema di stare la mondo basato sulla produzione e scambio che chiamiamo capitalismo al definitivo dissolvimento dell’Impero. Liberati dal ruolo di potere assoluto sempre in vigile e guardinga postura affermativa, i britannici hanno scoperto altri lati dell’umano. Questa nuova posizione, posizione che non sostituisce ma affianca la precedente, fa da sponda ad una analoga scaturita in Nord America.  La maggior affluenza di studiose (psicologhe, antropologhe, sociologhe[2]) e di studiosi e scienziati originari di altre culture, ha senz’altro contribuito al crearsi di questa speciazione culturale[3].

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51mMY-vjCWL._SY344_BO1,204,203,200_Frans de Waal non è britannico ma olandese e, tra l’altro, del Sud ovvero di quella parte di Olanda che rimase per più tempo sotto il dominio spagnolo, cioè cattolico. De Waal è un famoso etologo e primatologo nonché eccellente divulgatore. Il suo posizionamento culturale, è principalmente legato ad una interpretazione minoritaria del canone della primatologia. Il canone è centrato esclusivamente sull’ipotesi che l’uomo e gli scimpanzé abbiano avuto un antenato comune che li rende parenti al più stretto grado e su una versione di questa ipotesi che si è sforzata di leggere negli scimpanzé, quei caratteri più “animali” di egoismo ed  aggressività che costituirebbero quel “fondo naturale” che è comune alla natura umana. In accordo alla visione “due nature”, gli scimpanzé sarebbero come saremmo noi senza la sovraimposizione culturale. Tale fondo, viene poi ritenuto il riflesso di un dettato genetico imposto dall’evoluzione in cui si cercano ossessivamente le corrispondenze che dovrebbero portare dal genotipo al fenotipo.

L’interpretazione di de Waal che comincia ad essere parte di un più vasto consenso pluridisciplinare, parte non dagli scimpanzé ma dai bonobo. I bonobo sono delle scimmie antropomorfe che differiscono per meno dell’1% del DNA dagli scimpanzé e che hanno con questi, caratteri comuni che entrambi non hanno con gli umani e con gli umani, caratteri comuni che entrambi non hanno con gli scimpanzé. La faccenda filogenetica quindi, i 03-bonobo-aka-pygmy-chimpanzee-670gradi di parentela tra i tre, sono ancora sotto indagine.  La cosa rilevante è che, di primo acchito, sembra che tanto gli scimpanzé siano di Marte, quanto i bonobo di Venere. Uniti in società matriarcali, i bonobo sembrano senz’altro dei pacifisti ma soprattutto, pare passino la propria vita a scambiarsi favori sessuali di ogni specie, in ogni momento, in ogni posizione, senza grandi differenze di genere o di anagrafe. L’antropomorfismo scientifico, ha proiettato sulle due famiglie, la dicotomia destra-sinistra, potere e controcultura, élite dominante ed hippie. “…noto per le sue relazioni omosessuali, la supremazia della femmina ed uno stile di vita pacifico” per de Waal, il bonobo sarebbe l’idolo della sinistra ma la definizione va intesa in senso di liberal nordamericano. In verità, pare che il sesso serva loro per redimere i conflitti che pur esistono, dove gli scimpanzé fanno un bagno di sangue, i bonobo fanno un’orgia. Del resto, svolgendo le pratiche sessuali in termini di secondi, il tutto assume un significato leggero, facile, disimpegnato, sebbene decisamente amichevole e divertente.

rizzolattiOggi, questa distinzione assai stilizzata del fondo naturale represso dalla gabbia culturale, è in via di revisione. C’è la torsione interna al canone anglosassone ma anche l’allargamento della comunità di ricerca dagli scandinavi ai tedeschi, dai giapponesi ai sud americani. Damasio nelle neuroscienze, Stephen Jay Gould e Niels Eldredge con molti altri nella paleontologia, Robert Trivers  con M. Tomasello e le ricerche del Max Plank Insitute e dell’ Istituto di Kyoto  e molti altri nella biologia e nella primatologia. Questa area ha trovato la sua fondazione “dura” per merito degli italiani, la famosa scoperta dei neuroni specchio di Rizzolati & co, base neurale dell’empatia.  Ma il movimento di idee è più vasto e sincronico a molte discipline perché quello che cambia non è il paradigma di una disciplina ma di una intera immagine di mondo fondata su un diverso presupposto antropologico. Ad esempio, Michael Sandel allievo di Charles Taylor ed interno alla linea comunitarista in filosofia politica che annovera, oltre a Taylor, anche Alasdair MacIntyre. Paradigma del Bene comune che ha centro in economia nell’ opera di Elinor Ostrom del 1990, poi insignita del Nobel nel ’09 e che si irraggia dal neo-istituzionalismo di Oliver Williamson (anch’egli Nobel nel ’09) a Raj Patel e Vandana Shiva e che dialoga sia con la corrente di ispirazione socialista e marxista che vede la coppia Hardt-Negri assieme a D. Harvey, A. Gorz e gli italiani Mattei, Rodotà, Revelli; sia con quella di ispirazione religiosa, tanto ebraica che cattolica. 3755220Naturalmente c’è poi la sfera sociologica (si pensi a Richard Sennett e Saskia Sassen) ed ecologica che condividono entrambe il paradigma dell’interrelazione individuale, così come più in generale, si può dire che l’intera cultura della complessità, graviti intorno a questo mondo (o il contrario che è lo stesso).

Come spesso accade nel nostro sistema pensate, la divisione disciplinare è responsabile delle più assurde cecità. Così come farebbe bene a gli economisti scambiare due chiacchiere con psicologi e sociologi prima di teorizzare un umano che è solo necessità di presupposto per i loro algortimi, a tutti avrebbe giovato scambiare due chiacchiere con gli antropologi, i quali mai si sono sognati si pensare l’umano razional-individualista-egoista come essenza reale.  De Waal segnala due milestones di questa conversione, un articolo dello  psicologo americano Jonathan Haidt sull’incesto (che non avrebbe origini culturali ma biologiche[4]) e il libro del biologo di Harvard, Martin  A. Nowak che sancisce gli umani come dei “super-cooperatori”. Anche la conversione del socio-biologo E.O.Wilson di cui parlammo qui, entra nel movimento.

Un effetto di questa torsione, si riflette in quella recente paleoantropologia che ha rovesciato i rigidi canoni dell’eccezionalismo sapiens, tanto cari alla cultura anglosassone. In realtà l’ibridazione coi Neanderthal, precedentemente esclusa in via di principio, è stata invece confermata, la convivenza pacifica tra noi e loro anche, si ipotizza anche una certa preferenza delle femmine sapiens per il più massiccio Neanderthal. Così per le origini di un minimo di pensiero astratto e per l’annosa questione della comparsa del linguaggio che fin a poco tempo fa era afflitta dal solito “recentismo”, la cura dei morti ed addirittura la musica ed il ballo.

Tornando alla primatologia ed a de Waal, stante comunque una diversa organizzazione sistemica di fondo, gli scimpanzé indagati meglio, mostrano atteggiamenti empatici e cooperativi ma anche i bonobo, nel loro piccolo, talvolta s’incazzano ed entrambi assieme a gli uomini, sembrano tornare alle originarie intuizioni di Darwin espresse nel Descent of Man e meglio ancora nei Taccuini filosofici: la moralità si è evoluta dagli istinti sociali animali e quindi ha la sua controparte genetica ed evolutiva. Non abbiamo due nature ma in natura, esistono forme che portano a diversi atteggiamenti tanto ostinatamente individualistici ed egoisti, quanto apertamente cooperativi ed altruistici. Noi tutti siamo un catalogo di possibilità che diventano in atto a seconda delle relazioni che abbiamo con la situazione, l’ambiente, la cultura e la società. La natura non potrebbe darci una fissità stante che il gioco è l’adattamento al cambiamento. Se, per usare categorie marxiane, non c’è nella struttura non può esserci nella sovrastruttura ma questa non è direttamente determinata da quell’altra bensì dalle forme e tipi di relazioni che s’instaurano tra le due. Questa principio di co-determinazione tra struttura e sovrastruttura (tra biologia e cultura) dovrebbe aiutare anche il paradigma marxiano che nella semplificata lettura “dall’economia-all’ideologia”, sconta un po’ del suo riduzionismo positivista[5]. Ciò vale anche per l’altra dicotomia tra genotipo e fenotipo e più in generale in molte dialettiche oppositive e non relazionali.

Le emozioni son dunque alla radice della moralità e questa è fondata sull’etica della reciprocità soprattutto tra conoscenti e non necessariamente solo tra consanguinei cioè parenti[6]. La linea parentale, è stata la Maginot dell’interprestazione individual-egoistica lungamente dominante. 2D792372C79BB0B89EAE6FFDD8E31_h316_w628_m5_cJUBboopcQuando, nella ricerca e nell’osservazione, sono emersi chiari segno di altruismo comportamentale e soprattutto empatia, decisamente diffusi tra i mammiferi (e quindi, forse, legati, alla cura della prole) ma di cui si sospetta la presenza anche negli uccelli e nei rettili, per assorbire la novità lasciando intatto il paradigma egoistico-genetico, si è ricostruito il tutto in base al fatto che salvare un parente, aiutarlo, favorirlo, è salvare, aiutare, favorire lo stesso nostro patrimonio genetico. Ci sarebbe da sorridere per la fantasia con la quale, anche nell’ambito della presunta neutralità teorica della scienza, si diverticola il ragionamento pur di non perdere il proprio fondamento. Purtroppo, così funzionano i nostri sistemi di pensiero, le nostre immagini di mondo, un purtroppo non riferito al fatto in sé (è in qualche modo utopico pensare ad una rimessa in discussione, ogni volta radicale, dei sistemi faticosamente costruiti e largamente condivisi) ma al fatto che non lo si tenga in debita considerazione. Al fatto che non si faccia un utilizzo meno dogmatico delle verità risultanti dagli approcci guidati da precisi e poco consapevoli sistemi di pensiero iperstrutturati e magari, storicamente stratificati[7].

Questa moralità aperta all’altro, istintiva, coabita con quella contraria, l’istinto sociale con quello individuale, quello altruista con quello egoista. La moralità culturale, quella stabilita nei sistemi religiosi o filosofici o sociali o istituzionale risulta allora un sistema della consapevolezza atto a favorire una parte e reprimere l’altra. La struttura è biologica, la sovrastruttura culturale e sia l’una che l’altra, prevedono comportamenti che poi noi, in terza istanza, in sede di giudizio, giudichiamo morali o immorali – amorali. La nostra natura individuale è violentata dalle culture iper-collettivistiche, la nostra natura sociale è violentata dalle culture individual-egoistiche quali quella oggi dominante ai tempi della decadenza del sistema centrato sul dogma dell’economia moderna. Intenderci individui-sociali pare la via dell’equilibrio che però fatica ad affermarsi

Abbiamo definito “torsione” la comparsa del nuovo punto di vista perché, appunto, non è nuovo. Il movimento allora è un tornare a pescare indietro, in una tradizione che, per quanto perdente, è esistita già. I caratteri individual-egoistici, inizialmente, convissero con quelli social-altruistici. Poi i primi presero il sopravvento su i secondi. I primi li troviamo in Hobbes, in Locke, in Mandeville. I secondi, per certi versi, nella filosofia morale scozzese, perfino in Smith che altrimenti si ricorda come il fondatore dello spirito del capitalismo. coverc5Ma Smith non fu affatto il fondatore dello spirito del capitalismo[8] ma dello spirito del mercato. Qualcuno, soprattutto a sinistra (ma simmetricamente anche a destra), tende a confondere le due cose, ma le due cose sebbene si sovrappongono non coincidono. Smith stesso riteneva l’Inquiry opera secondaria rispetto alla Teory, nella quale troviamo l’anticipazione di quel concetto di simpatia che oggi potremmo annettere alla famiglia che dall’empatia porta via neuroni specchio, alla socio-abilità umana[9]. Fu solo successivamente, ai primi del XIX° secolo, che con l’utilitarismo e neanche integralmente per colpa solo di questo, si trasformò l’essere umano nel freddo calcolatore razionale dell’utilità egoistica. Questa doppia anima anglosassone, esisteva non solo per via degli scozzesi (che la derivavano dalla doppia origine pre-anglosassone più lo strato vichingo) ma anche tra gli inglesi, si pensi a Gerrard Winstanley, il capo dei diggers (zappatori) antesignani del comunitarismo (1609-1676) o ai levellers (entrambi, movimenti attivi ai tempi della Guerra civile) o William Goodwin (1756-1836) da cui riparte la teorizzazione moderna dell’anarchismo o ancora prima, all’utopia di Thomas More.

La distorsione interpretativa degli orientati alla visione individual-egoistica, proviene anche da un aggancio tra paradigma utilitaristico-economicista, paradigma dell’individualismo metodologico nelle scienze sociali ed una certa interpretazione di Darwin e la biologia molecolare che, occupandosi di geni è per forza di cose maggiormente orientata ad osservare solo i portatori di geni, cioè gli individui.  Queste tre derivate dello stesso concetto (nei sistemi di pensiero collettivo, questa armonia è necessaria sebbene poco visibile e poco studiata) hanno omesso il fatto che l’imperativo cognitivo primario degli individui non è riprodursi (attività che mette in relazione gli individui, due a due) ma esserci, esistere il più a lungo (e sperabilmente al meglio) possibile.copcr5 La strategia naturale per molti animali, per molti mammiferi, per tutti i primati e per l’uomo che ne consegue è stata quella di unirsi ad un gruppo. Ci sono molti ottimi motivi per far ciò, il primo è che la selezione naturale ci vede peggio quando tratta gruppi, la seconda è che i gruppi sono spesso molto più efficienti nell’adattamento dei singoli. Darwin sosteneva con forza il paradigma individuale poiché pensava, giustamente, che l’innovazione dei caratteri compare individualmente ed egli era interessato come abbiamo detto qui, più all’aspetto del cambiamento delle specie e a quella che poi si chiamerà impropriamente evoluzione[10]. Ma l’altro aspetto di ciò a cui ci ha richiamato Darwin è l’adattamento. In senso adattativo, non v’è dubbio che la strategia del gruppo sia altrettanto se non di più adattativa di quella dell’individuo. Purtroppo, dei gruppi animali, si occupa al massimo l’etologia ed è chiaro che i biologi molecolari non s’intendano di un soggetto che non ha un proprio DNA indagabile ma questo è un problema della nostra forma di separazione dei saperi, non è un fatto della realtà. Quindi, più che rimanere sconcertati dall’altruismo, la simpatia, l’empatia, il comunitarismo ed il collettivismo, l’etica e la morale della relazione e dell’eguaglianza, il senso di giusto-ingiusto come presenze biologiche prima ancora che culturali, ci sarebbe da rimanere sconcertati del fatto che vi siano scienziati che rimangono sconcertati. Che immagine di mondo hanno costoro? Come è organizzato il loro sistema di pensiero? Quanto cariche di teoria e di ideologia sono le loro osservazioni?  La verità è che la scienza senza una relativa epistemologia, l’osservazione senza una adeguata teoria dell’osservazione dell’osservatore, tende al dogma ed alla metafisica non meno della religione e della filosofia. I sacerdoti in camice bianco tendono a soppiantare quelli in abiti nero ma la dogmatica è più o meno la stessa.

E’ chiaro che anche la lettura della genetica se non sceglie con realismo il contesto, sbaglierà la lettura del testo non meno di quanto si potrebbe equivocare il Cantico dei Cantici come un’ode alle orge. Se per molti animali, il gruppo è il contesto primario per adattarsi (e per l’individuo adattarsi ad un gruppo che poi si adatta da un ambiente) e sopravvivere, saranno le facoltà di socializzazione, di condivisione, di rispetto reciproco, la reciprocità, la gratitudine ed anche lo spirito di imitazione, emulazione, lo spirito gregario che favorisce l’ordine gerarchico, l’abbandonarsi un po’ troppo acriticamente al comune sentire, le facoltà premiate. L’altruismo che non è comprensibile a certi biologi comportamentali ed a certo economisti se non come un costo, è in realtà un investimento su un reddito differito, se molti animali, inclusi noi, fossero come descritto da copcnSkinner o Dawkins o Pinker o la scuola di Vienna e di Chicago in economia, ci saremmo già estinti da parecchio. Ed è infatti seguendo questo pacchetto ideologico che l’occidente rischia di tendere  all’estinzione. L’ostracismo, l’emarginazione e la cacciata dal gruppo sono la sanzione che condanna alla perdita del vantaggio di gruppo[11]. L’empatia e l’introiezione degli schemi sociali sono ciò che favorisce il coordinamento intra-individuale ed il funzionamento ordinato del gruppo. Tutto ciò ha traccia biologica essendo la nostra storia evolutiva, come mammiferi, come primati e come esseri umani. La nostra razionalità è schiava delle nostre passioni[12] ma la nostra morale lo è anche delle nostre emozioni primordiali, tanto da divenir “istinto”. Questo è l’istinto del tendere all’altro.

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De Waal è uno studioso simpatico e ottimo divulgatore. Il libro parla anche della questione religiosa che noi qui non trattiamo. E’ una piacevole lettura. La ricerca nell’ambito della relazione tra materiale ed ideale è una strada fondamentale per ridurre questa perdurante, dannosa ed inutile, dicotomia. 9788843037339De Waal insiste su una deduzione fondamentale, non potrebbero esistere sistemi morali culturali se non ci fosse una base comportamentale data dalla storia biologica. Non esiste quindi una natura biologica divaricata e divaricante la natura etica e morale ma una unica natura con cose che a seconda dei tempi e degli spazi ci sembrano più o meno morali. Questa determinazione è data dai sistemi culturali che sono in relazione ma non corrispondono perfettamente alla base biologica che per altro è un ampio ed anche contraddittorio catalogo di possibilità. Idea e materia, strutture e sovrastrutture, bio e kultur, individuo e società, altruismo ed egoismo, emotivo e razionale. La nuova era complessa, se è vero che segna una profonda discontinuità, meriterebbe una profonda revisione di come abbiamo significato queste parole e di come le abbiamo infilate nel meccanismo dicotomico – dialettico, di come le intendiamo logicamente sottoposte la principio di non contraddizione e di come le abbiamo messe a fondamento di sistemi di idee complessi, atti ad orientare il nostro comportamento nel mondo.

Nuovo il mondo, nuovo il comportamento richiesto per l’adattamento, nuovo il sistema di pensiero che deve guidare, nuovi i significati da attribuire alle parole che provengono dal nostro atteggiamento nei confronti della coppia verità – realtà.

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[1] Il personaggio di fantasia Hulk, continua la tradizione. In linea generale però, si può dire che la storia delle società umane, è un alternarsi di vari sistemi morali che sacrificano alcune tendenze naturali. Si tratta di vedere quante e quali ed a quali condizioni per dare un giudizio di maggiore o minore “ospitalità dell’umano”.

[2] Una vera e propria “bad girl” è l’antropologa e primatologa Sarah Blaffer Hrdy di cui, in italiano, avreste potuto trovare due titoli ma oggi son fuori catalogo.

[3] Questa conversione britannica è approdata di recente ad una curiosa ricerca di genetica delle popolazioni effettuata dagli inglesi su se stessi. Con grande stupore (ma chissà forse anche sollievo) gli inglesi hanno scoperto che, invero, le loro radici sassoni-danesi non sono poi così forti. Ne è venuta fuori una macedonia genetica con forti tradizioni celtiche, addirittura romane (cioè di vari popoli continentali) ed addirittura degli antichissimi indigeni britanni. Nel cinema, questa riscoperta di altri natali, ha preso la forma delle riletture del mito di Artù, fiero oppositore delle invasioni barbariche, sebbene alla fine sconfitto. Marx l’aveva azzeccata quando diceva che la cultura dominante è quella delle classi dominanti, gli anglo-sassoni erano pochi ma dominanti. Anche gli altri indoeuropei dovevano esser pochi ma evidentemente dominanti visto che più o meno in tutta Europa parliamo lingue derivate da quel ceppo.

[4] Già conosciuto come “effetto Westermarck”, si tratterebbe dell’origine biologica della naturale avversione all’incesto. Persone con le quali si è convissuto durante i primi sei anni di vita, diventerebbero reciprocamente, non sessualmente attraenti. In questa ottica, il complesso di Edipo sarebbe inesistente. La lunga storia del fascino dello straniero e dell’esogamia testimonia ulteriormente e pare, addirittura, che esista una preferenza olfattiva per partner con un patrimonio genetico piuttosto diverso. Altresì, la ripresa delle idee di Westermarck (1891) segnerebbe un ritorno alle convinzioni della catena Darwin – Hume – filosofia morale scozzese in alternativa alla schizofrenia biologia –  amorale vs cultura – morale, sulla quale, duole dirlo, deragliò anche Kant.

[5] A proposito di paradigmi e di sinistra, c’è del vero nell’icastica nota che il neuro scienziato M. Gazzaniga ha fatto al problema del cambio paradigmatico: “…le conoscenze umane fanno un passo in avanti ogni volta che si celebra un funerale”. S’intende che è la fisica scomparsa dei portatori un determinato sistema di pensiero centrato su un inviolabile paradigma a permettere la comparsa di qualche novità.

[6] Una breve digressione su quanto spesso reinventiamo il già noto. Nella Teoria dei giochi, Dilemma del prigioniero, ha fatto furore la strategia “inventata” da A. Rapoport (1980) detta tit for tat. Non c’è testo di biologia comportamentale che non citi (per altro rigorosamente in inglese) il tit for tat che poi sarebbe il pan per focaccia. Basato sul semplice principio della reciprocità, il meccanismo che potremmo anche definire specchio attivo (fare a gli altri quello che gli altri fanno a voi) è conosciuto nel diritto romano come Legge del taglione. E’ anche alla base della legge islamica e risale (tra le situazioni note) a gli Ebrei. Credo sia molto, come sempre, ma molto più antico, almeno quanto l’homo. Lo stesso Dilemma del prigioniero era caduto in uno sconcerto (il problema che aveva posto Axelrod a cui Rapaport diede sì brillante soluzione) quando gli si era posta la prospettiva delle reiterazione ovvero del peso delle conseguenze delle scelte di comportamento. Questo mise in ballo un concetto che il nostro modo di stare la mondo ha aggirato in tutti i modi -la reputazione-. Nella società individualistica ed anomica in cui viviamo, la reputazione non è più la storia reale della nostra persona,  è sintetica ovvero creata come si crea un abito fatto non della nostra stessa stoffa.

[7] Un dato interessante del come funzionano i sistemi di pensiero, si trova nella ricerca Pew Research (2009) sull’accettazione della Teoria dell’evoluzione, nelle varie comunità basate sul credo religioso. Con medie molto alte (80%) svettano buddisti ed indù, più incerta la situazione dei principali cristiani con i cattolici meglio dei protestanti (58%-51%), decisamente contrari i protestanti evangelici ed i mormoni (23%). Interessante il dato sui musulmani. Questi vanno da punte dell’80% in Kazakistan e Libano ai 27% di Afghanistan ed Iraq (ma ci sono grandi lacune nei dati come egiziani, algerini e sauditi). In effetti non c’è nulla nel Corano che possa suggerire qualcosa contro o a favore dell’evoluzione per cui c’è evidentemente una libertà interpretativa che altresì si modella sul tipo di più o meno forte conservatorismo religioso praticato nelle diverse comunità.

[8] Lo spirito del capitalismo venne fondato da più fatti, mani e voci ma Weber ne diede una lettura, per quanto parziale, abbastanza centrata.

[9] Il principio dell’utilitarismo: “la massima felicità del maggior numero di uomini” venne originariamente espresso dallo scozzese F. Hutchinson (Hutscheson) di cui Smith fu allievo. Ma l’accezione che ne dava Hutchinson differiva da quella dei successivi utilitaristi inglesi. Nel lungo titolo della sua Inquiry (sulle idee di virtù e bellezza, 1725) egli si richiama espressamente a Shaftesbury, contro Mandeville, contro cioè il principio dell’utilità individuale egoistica. Così, l’altro scozzese Hume, per il quale l’azione buona era quella che procurava felicità e soddisfazione alla società poiché l’uomo inclina naturalmente a promuovere la felicità dei suoi simili Egli chiamava questo “sentimento di umanità”, ciò che Smith chiamerà “simpatia”. Non è quindi certo dalla filosofia morale scozzese che deriva il successivo individualismo egoista degli inglesi. In Smith, con “Inquiry” s’intende la Ricchezza delle Nazioni (1775) e con Theory, s’intende la Teoria dei sentimenti morali (1759).

[10] La poco equilibrata lettura di Darwin di cui abbiamo già parlato qui, oggi si pensa, fu dovuta in primis dal ruolo pubblico e di ufficiale interprete, svolto da T. Huxley. De Waal ironizza dicendo che egli stesso avrebbe conbinato non pochi guai se fosse stato chiamato a far il difensore pubblico di Einstein e della Relatività.

[11] C’è anche chi, come l’antropologo americano C. Boehm, sospetta che gli uomini sociali abbiano selezionato “geni della socialità” come gli allevatori fanno con le caratteristiche animali. Mettendo al bando ed uccidendo psicopatici, imbroglioni, stupratori, teste calde, avrebbero estromesso dal flusso riproduttivo i geni maligni. Bisogna però credere ad una derivazione totalmente genetica di questi comportamenti cosa che la perdurante presenza di quei caratteri nelle nostre società,  essenza delle nostre élite predatorie e convintamente egoiste, non confermerebbe.

[12] De Waal cita una ricerca Danziger et al. 2011 (p.210) in cui un panel di giudici israeliani emetteva sentenze favorevoli nel 65% dei casi nel post-prandiale e del 0% prima di fare la pappa. Se avete contenziosi, spostate le udienze al pomeriggio!

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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7 risposte a FRANS de WAAL. Fate i bonobo non la guerra!

  1. Piergiuseppe ha detto:

    Ciao Pierluigi, come stai? Bell’articolo, complimenti. Visto che sei interessato all’argomento devi assolutamente leggere questo: http://press.princeton.edu/titles/9474.html

    Un abbraccio,

    Piergiuseppe.

  2. steppenwolf73 ha detto:

    Bell’articolo. Complimenti!

  3. Piergiuseppe ha detto:

    sì, a luglio mi trovi sicuramente.

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