PICCOLO STUDIO SULL’ISLAM. (3) I testi e le interpretazioni.

Nella prima puntata del nostro studio, abbiamo presentato il cuore del messaggio coranico. Nella seconda puntata, abbiamo presentato il resto del contenuto coranico. In questa terza, analizziamo la genesi dei testi (Corano, biografie di Muhammad, sunna) che costituiscono il fondamento dell’islam.

IL CORANO.

downloadxn7Corano, Qur’an, significa “recitazione”. Il termine compare nel testo e come titolo della Rivelazione ed è dunque una affidabile auto-definizione. Occorre subito dire che il Corano, secondo la tradizione che poi analizzeremo, venne composto in forma scritta, circa venti anni dopo la morte del Profeta. Durante tutta la vita e predicazione di Muhammad  e per due decenni dopo la sua morte, il Corano era una collezione di frammenti memorizzati da più persone, in alcuni casi appuntati -pare- su i più vari supporti. Questo giacimento disperso di frasi e versi, venne raccolto ed assemblato dal terzo dei primi quattro califfi, poco dopo il 650, venti anni dalla morte di Muhammad. Compilata la versione canonica, la tradizione afferma che ne vennero fatte quattro copie inviate ai quattro principali centri dell’Islam, con l’ordine di distruggere ogni altra versione precedente. Alcuni storici occidentali ipotizzano che la versione definitiva, si stabilizzò addirittura nel X° secolo ma tale ipotesi appare fragile e piuttosto ideolocizzata. Come detto, il Corano si compone di 114 sure (capitoli) e più di 6000 versetti rivelati nel corso di ventidue anni. Le sure sono ordinate secondo l’ordine di dimensione decrescente, tranne la prima, l’Aprente che è breve. La tradizione non spiega la ragione di questo strano criterio. Le sure sono definite meccane o medinesi a seconda del periodo in cui vennero rivelate ma in alcune meccane sono interpolati versi medinesi e viceversa. Chi e come abbia sovrainteso a questo criterio di composizione non è dato sapere anche se la tradizione afferma che fu lo stesso Muhammad (poco credibile), via via che gli si rivelavano i versetti. E’ comunque assai improbabile che sure come le primissime fossero memorizzate interamente da una stessa, singola, persona[1] e quindi, probabilmente, non esistevano come unitarie nella tradizione orale .  cop6kMolte sure sono anticipate da lettere maiuscole puntate il cui significato non è conosciuto. I versi e le stesse sure, mostrano stili di composizione assai diversi. Quelle meccane sono in genere più centrate sul nucleo centrale della predicazione (fede incondizionata nel Dio unico, preghiera-obolo, giorno del Giudizio), sono più brevi, poetiche ed emotive mentre quelle medinesi affrontano i primi problemi pratici della nuova comunità (guerra, riti e pratiche di fede, leggi etc.) sono più lunghe e normative.  Ogni sura si apre con “Nel nome di Dio, Clemente e Misericordioso”, tranne la IX (medinese). Per lungo tempo, non si è convenuta una unica modalità di lettura  (cadenza, musicalità, accenti e pause), poi se ne sono privilegiate 14, poi 10, poi 7 e dall’edizione egiziana del 1924, una specifica[2] che attualmente è la canonica.

Né Dio, né Muhammad hanno mai sentito il bisogno di dar forma scritta al messaggio. Pare che i primi due califfi rashidun (i ben guidati), Abu Bakr (632-4) e ‘Umar (634-44) misero assieme collezioni scritte del testo ma non le divulgarono perché, secondo loro, non era questa la volontà di Muhammad. Il testo nasce per esser pronunciato, introiettato, ripetuto. L’apertura “Recita:…” o “Dì:….” ricorre in più di 300 casi. Così “a memoria”, il Corano vive ancora oggi nella preghiera.  Il testo si definisce “chiaro e scevro di dubbi” (II,2; XLIII, 2-3; XLI, 2-3; XII, 1-2)) e continuamente invita a recitarne il contenuto. E’ il testo stesso a giustificare il fatto di esser stato rivelato a pezzi e non tutto in una volta, anche per memorizzare l’esatto ritmo di recitazione, ritenuto molto importante. Infine, alcuni temi come la Gente del Libro (ebrei, cristiani, sabei, zoroastriani), Giudizio Universale e Resurrezione, inceduli-miscredenti-ipocriti, inferno-paradiso, personaggi imagesv5come Abramo-Faraone-Gesù-Maria e soprattutto Mosè (presente in più di 35 sure), preghiera-elemosina, vizi-virtù, sono tutti ripetuti più e più volte nel testo completo. I versetti più contrastati (le basi della shari’a), tutti medinesi, compaiono una volta sola o poco più.

Vi è poi una sorta di clausola ermeneutica (III, 7) in cui è Dio stesso a dire del testo che esso contiene versetti distinti ed altri meno distinti (indistinti, oscuri, ambigui). Coloro nei cui cuori c’è obliquità, si accaniscono su i versetti indistinti, oscuri, per metter zizzania (fitna) e fare dell’interpretazione mentre “l’interpretazione la conosce solo Iddio”. Così (III, 78) Dio tuona contro coloro che “contorcono con la lingua il testo” per far credere cose che il testo non dice affatto. Infine, si ripete di continuo che il senso del messaggio (credere-preghiera ed obolo-timore del giorno del Giudizio) è sempre lo stesso, lo stesso di tutte le altre precedenti rivelazioni e del resto se “totalmente dediti” nell’ atteggiamento, anche gli altri monoteisti andranno in paradiso. Anche seguendo diverse pratiche di fede e soprattutto diverse norme giuridiche. Dio ha scelto l’ultimo dei profeti, non per innovare, ma per ribadire, in semplicità e chiarezza, cose già note.

Da tutto ciò si potrebbe trarre la radicale conclusione che il Corano intero fosse una operazione di trasferimento orale di un messaggio semplice che va semplicemente ripetuto ed altrettanto semplicemente seguito senza indugio nelle sue parti fondamentali. La sua comprensione è inequivoca e non c’è spazio per l’ermeneutica. Di esso di deve privilegiare la “sostanza” e la forma quanto a convinzione e consapevolezza. Se Dio e Muhammad non hanno inteso fornire indicazioni giuridiche più precise che non quelle necessarie ai tempi e nessun tipo di indicazione politica, vuol dire che questa parte, dovrebbe andare alla libera interpretazione umana. Non è neanche detto che la comunità dei credenti debba intendersi unica sul piano politico (il testo stesso ricorda che Dio ha creato apposta gli uomini divisi come la Torre di Babele, dell’Antico Testamento racconta). Il contratto di fede è: credi, prega, fai l’elemosina, comportati da totalmente dedito e il giorno del Giudizio sarai salvato, altrimenti, dannato. Filosofia, teologia, sufismo, misticismo, rigidità giurisprudenziale, concetto di tradizione, sunna, biografia di Muhammad, scuole giuridiche, fondamentalismi e laicismi, moderna ermeneutica e decostruzione sarebbero tutte cose umane che risponderanno, il giorno del Giudizio, della loro presunzione di attinenza a quella Verità di Dio che è espressa in maniera semplice, continuata e ripetuta, senza contraddizioni. m4c0I-OOxYC5BY8UhKa1s3QIl “cuore” di un messaggio universalistico, rivolto a tutti come è logico pensare fosse negli intenti del Dio che parla alla sua Creatura, una “sostanza” poi ampiamente ma chissà quanto pertinentemente manipolata dalla storia araba. Storia di generali ambiziosi, califfi, sultani, emiri, ulama, generali, re ed èlite etniche di vario tipo. Storia di massacri, nepotismo, delitti, trame, poteri in lotta tra loro anche attraverso la manipolazione interpretativa del testo divino.

Abbiamo precedentemente suggerito, per il Corano, una comprensione olistica. Per “comprensione olistica[3] noi intendiamo appunto il fatto che la semplice lettura del Corano dà una percezione chiara e distinta del messaggio principale. Certo vi sono parti oscure, contraddizioni, scarti improvvisi, salti di stile e di contenuto ma l’aver fatto diventare un discorso un testo e l’aver fatto diventare il testo un libro che contiene tutto ciò che c’è da sapere sul rapporto tra uomo e mondo in chiave islamica, ha probabilmente distorto la sua iniziale intenzione. La sua natura orale, la fruizione complessiva come flusso, la ripetizione de temi fondamentali, ha forma assai diversa dal rapporto scritto, specie se ravvicinato a questo o quel versetto. Ciò che in esso è passibile di interpretazione e ciò che non vi è contenuto esplicitamente e da esso va in qualche modo dedotto, ha creato un secondo segmento del sistema. Un segmento però “umano, troppo umano”, costruito da élite che volevano giustificarsi e fondarsi come conseguenti lo schema di Dio, giustificazione che intanto riceveva il crisma del successo militare, dell’espansione territoriale, dell’aumentata ricchezza materiale. Questo segmento secondo ha oltretutto retroagito sul primo poiché è in questo contesto che il Corano diventa un canone, ad esso si affiancano le biografie del Profeta e ad essi si affianca la tradizione, la sunna (i fatti che hanno visto presente Muhammad, i suoi detti, i fatti ed i detti dei suoi primi Compagni, dei seguaci, dei seguaci di seguaci), un pacchetto che sarà oggetto di una ulteriore codifica interpretativa che terminerà definitivamente a tre secoli circa dalla morte di Muhammad.

LA BIOGRAFIA DI MUHAMMAD

cop5n0L’esercizio biografico relativo alla vita di Muhammad, ha visto l’impegno di non meno di una cinquantina di autori, solo tra i musulmani più noti. La più accreditata, è databile a 120 – 130 anni dal periodo medinese / morte del Profeta e venne successivamente riveduta e sistemata definitivamente da uno storico che visse a due secoli dai fatti. Si hanno tracce di questa linea di narrazione anche nell’opera del più grande annalista musulmano (Tabari) che visse a tre secoli dai fatti. Le questioni relative alla vita di Muhammad non sono tanto importanti in sé, quanto per il fatto che rivelerebbero la cronologia della comunità dei credenti. Su questa cronologia si è poi cercato di far corrispondere versetti e sure del Corano di modo da creare catene di cause – effetto, tali da porre in relazione ordini di Dio – azioni di Muhammad o fatti di vita, individuali o collettivi – commenti di Dio. Questo non solo per rafforzare il senso formativo del discorso di Dio ma anche per rinvenire per deduzione la stessa cronologia dei versetti e delle sure che come si sa, il Corano pone in sequenza secondo il bizzarro criterio dell’ordine dimensionale decrescente[4].

La cosa più evidente delle biografia del Profeta, è la costruzione per la quale per quaranta anni Egli visse in preparazione della seconda decisiva parte della sua vita. Nel senso che i ragguagli biografici su questi primi quattro decenni sono assai scarsi. Scarsi, in particolare, per quel periodo forse decisivo che andò dall’affidamento del giovane orfano alle cure dello zio (ca 578), al matrimonio con la prima moglie,  Khadija (ca 595), ai primi anni del felice matrimonio fino all’inizio della Rivelazione (610) e Sua divulgazione (613). Già con lo zio, Muhammad sappiamo che compì viaggi commerciali in Siria ma nei quindici in cui si trovò a capo dell’intera e voluminosa impresa commerciale della ricca moglie, non si può non immaginare che tali contatti cosmopoliti, crebbero di dimensione ed intensità. Da i venticinque ai quaranta anni, si aveva senz’altro il periodo più formativo per un giovane con ampie ed importanti responsabilità di commercio internazionale, molte possibilità di incontro, di confronto, di dibattito teologico e politico. Forse in Yemen, sicuramente in Siria ed Abissinia, probabilmente in Iraq. copv7La Siria del VII secolo era un ricchissimo crogiuolo di idee ellenistiche, gnostiche, cristiane, ebraiche, mistiche ed eretiche. Nulla di tutto ciò è riportato nelle biografie che, tra l’altro, dovettero -ex post- sistematicamente svilire le facoltà intellettive e conoscitive di colui che doveva poi risultare, assai poco credibilmente,  analfabeta o quantomeno illetterato.  Prima dell’inizio della rivelazione e soprattutto della sua pubblica divulgazione (613), sappiamo che a Mecca, egli godeva di altissima considerazione pubblica  e non per il suo senso degli affari (che comunque pare non fosse trascurabile). Forse Muhammad aveva una forte anima intellettuale (l’unica in grado di contemplare assieme il suo genio spirituale e quello politico), una cultura magari non necessariamente sistematizzata, che gli donò quell’equilibrio super partes e quelle “ampie vedute” che i suoi concittadini, gli riconobbero con stima, prima che si manifestasse come distruttore dell’ordine tribale. Pare che nella sua vita, Muhammad, fu spesso chiamato a far da mediatore, a Mecca ma poi anche a Medina. Si ricordi che nell’Antica Grecia, gli antichi legislatori, Solone, Licurgo, erano individui dotati di alta cultura individuale, fuori dai giochi settari e clanici, chiamati all’arbitrato proprio perché stimati e privi di conflitti d’interesse. Oltre ad essere tramite della Rivelazione, Muhammad sembra esser stato anche questo: il creatore e legislatore degli arabi.

A questo punto è necessaria una precisazione. Chi scrive, aderisce all’ipotesi formulata dallo storico francese M. Rodinson. Rodinson ipotizza che Muhammad fu effettivamente preda di visioni, esperienze non razionali, turbolenze mistiche. Ciò nel senso che non s’ipotizza un Muhammad freddamente e scientemente inventore del suo dio e del suo lungo discorso. I credenti possono anche sostenere che tali visioni, esperienze non razionali ed attacchi mistici fossero reali sedute di contatto col divino. E’ ininfluente ai nostri fini, definire l’una o l’altra ipotesi. Quello che però si ipotizza è che Muhammad non fosse “materia totalmente inerte”, probabilmente inconsciamente o chissà, forse in alcuni casi (soprattutto nel periodo medinese) coscientemente, ciò che era nella mente e nell’esperienza dell’uomo Muhammad, si impastò con l’imput spirituale[5]. Le sue stesse copvm0biografie ricordano di episodi in cui i suoi compagni gli chiedevano se quanto da lui detto o stabilito o fatto fosse dettato di Dio o sua personale interpretazione, è probabile che ai tempi, le due cose fossero impastate tra loro. Sarebbe altresì congruo sul piano logico che Dio avesse scelto  un uomo intelligente, colto, impegnato e già motivato a cambiare l’informe materia di un popolo primitivo e barbaro, un uomo in grado di tradurre in prassi concreta l’appello alla fede, al suo esercizio, al timor di Dio.    Si fa un torto alla per quanto imperscrutabile logica di Dio, pensare che il Dio ispirato delle potenti visioni contrattuali, escatologiche, etico-morali, soprattutto del periodo meccano, che parlava a Muhammad perché questo parlasse al mondo del suo tempo perché questo trasmettesse il messaggio all’intera umanità di ogni tempo,  si sia dedicato in una certa parte del periodo medinese ad entrare nei particolari della poligamia, delle divisioni ereditarie, delle normative giuridiche sostanziale elementarità quale quella della prima comunità dei musulmani ed oltretutto, essendo onnisciente, senza tener conto che tali norme sarebbero poi valse per migliaia e decina di migliaia di anni a venire. Dio sa che la freccia del tempo accresce la complessità, come sosteneva tra gli altri il filosofo gesuita Teilhard de Chardin ed è molto poco probabile che pensasse che ciò che si andava a stabilire nel contingente, dovesse poi avere valenza eterna.

SUNNA.

31Ep80hvxrL._BO1,204,203,200_La sunna è una raccolta di fatti e detti (hadith) del Profeta (e non solo arrivando in altri casi ad includere i primi compagni, i seguaci di questi ed addirittura i seguaci dei seguaci) che costituisce, assieme al Corano, la base della shari’a ovvero la fonte della legge dell’islam. Ne sono esistite e tutt’ora ne esistono, diverse versioni, di cui almeno sei sono considerate le più attendibili[6]. Due in particolare spiccano per affidabilità e considerazione, entrambe raccolte intorno al IX° secolo. A più di due secoli dai fatti. L’affidabilità è data dal lavoro di ricerca del compilatore / selezionatore, ovvero, dalla ricostruzione e verifica di attendibilità della catena di trasmissione (A riferisce che B ha riferito che C etc.) che vale, tanto più è completa, tanto più è composta da personaggi noti ed affidabili, tanto più giunge a prime testimonianze contemporanee la vita di Muhammad.  Complessivamente, queste raccolte costituiscono la “tradizione” che rappresenta il corpus culturale dottrinario dei sunniti. Sunniti e sciiti hanno raccolte diverse.  Vi è anche chi rigetta integralmente la tradizione di queste raccolte e separa nettamente senso e significato del Corano da una parte e biografie e raccolte di hadith dall’altra[7]. Certo è palese il baratro logico che c’è tra la credenza totalmente dedita a quella che si ritiene parola di Dio e tutta la vasta collezione di opinioni umane che vi si è appiccicata come estensione.

L’ISLAM UNO E MOLTEPLICE.

La base spirituale definitiva di tutta la vita come concepita dall’Islam è eterna e si rivela                                 nella varietà e nel cambiamento. Una società basta su una tale concezione della realtà deve riconciliare, nella sua esistenza, le categorie della permanenza e del cambiamento.

Muhammad Iqbal (1877-1938)

L’intera materia (scelta, compilazione ed interpretazione dei testi) è stata ovviamente oggetto della più intensa dialettica ermeneutica spinta sia dalla indomita pluralità dei punti di vista degli esperti, dei teorici, dei teologi, dei giurisperiti, sia dalle occasioni storiche che hanno proposto sempre nuovi problemi per i quali andava trovata una qualche base di riferimento in ciò che avrebbe pensato, detto e fatto Muhammad se fosse downloadb8lstato ancora in vita, il tutto mosso e condizionato da interessi politici e dalla differenziazione etnica in un islam sempre più vasto. Già il segmento dei primi quattro califfi mostra evidenti disordini interni al sistema: dalle varie guerre della ridda (rivolte delle tribù beduine e di quelle dell’Arabia orientale e meridionale riottose a subordinarsi ad un potere centrale di origine meccana),  alla prima di due delle guerre civili interne, passando per il fatto che tre di loro morti uccisi da nemici interni (erano “ben guidati” ma non secondo tutti, evidentemente) e l’inconcepibile scissione interna alla comunità tra coloro che poi saranno dominanti (sunniti) e le due fazioni minoritarie (sciiti e kharigiti). Da subito s’impone la decisione di costituire un vicario di Muhammad solo per la sua parte di capo civile e militare, non spirituale. Ma la guida spirituale non fu evitata per lasciare ad ogni individuo la libertà del rapporto con la Scrittura divina, fu evitata per lasciar spazio ad un intreccio di testi, comuni credenze, sentenze di esperti, consenso tra le élite che, costruite politicamente, resero l’interpretazione, tanto impersonale e fintamente oggettiva, quanto obbligata.

Qui si fonda il problema islamico. Alla parte universalistica del Corano venne appiccicata una extension socio-geo-storicamente determinata col risultato di aver travasato la credibilità ed intangibilità della prima sulla seconda ed aver sigillato questa con il tabù dell’intoccabilità riservato alla parola di Dio[8]. copn7dL’élite tribale meccana ed araba, diventa il vertice del sistema militare, politico e giuridico che avrà una espansione imperiale nella quale le nuove etnie diverranno subalterne e seconde a quella originaria dotata di chissà quale presunto crisma divino. La fondazione politica, militare e culturale del sistema, fondazione operata da uomini sempre meno onesti, umili, egalitari e spirituali, diventa una tradizione collegata e saldata con la Rivelazione e quindi dotata di un universalismo a-storico che è l’esatto contrario della sua reale natura.  La storia, per quanto di successo, di una sparuta élite araba di convertiti meccani dell’ultima ora dediti alla trama politica ed all’azione militare continuata (la dinastia Omayyade), si sovrappone e sequestra un nucleo universalistico rivelato da Dio in persona.

Quel Dio che cercava uomini e donne semplicemente ma totalmente dediti alla fede, alla preghiera, alla carità, al timore del Giudizio Finale[9].

(3)

IntroduzionePrima puntataSeconda puntata.

[1] Le sure 2,3,4,5, con cui si apre il Corano, sono tutte medinesi e da sole rappresentano circa il 20% di tutto il Corano.

[2] Abbiamo molto sintetizzato di quel processo che portò alla redazione base del testo. Esclusa la scuola cosiddetta revisionista occidentale, animata soprattutto (ma non solo) da anglo-sassoni ed israeliani, la quale sostiene che la stabilizzazione del testo fu molto tarda, intorno al X secolo addirittura, c’è ampia convergenza di tutti gli altri, nel ritenere il Corano base, venne prodotto ai tempi che indica la tradizione. Il problema semmai è capire quanti corani ci fossero prima e come si arrivò alla sintesi canonica. Nel 1971, a Sana’a in Yemen, una equipe di studio tedesca, ha trovato un gran numero di antiche pergamene radio-datate esattamente ai tempi della metà del VII secolo. Su queste pergamene sarebbe riportato il testo coranico versione uthmanica (‘Uthman fu appunto il terzo califfo che procedette alla compilazione del primo canone) ma esso sarebbe stato sovrascritto su un altro testo più antico (a questo punto precedente il 650) che ancora non si è ben capito se sia un Corano pre-codificato o un commentario o una guida alla sua lettura. Elementi che ampliano il possibile orizzonte ermeneutico del testo base sono: 1) la scelta di quali versi vennero confermati e quali no; 2) quali porre prima e quali dopo (rilevante per il noto problema dei versi abroganti ed abrogati ovvero le “contraddizioni” interne alla Scrittura); 3) chi scelse e perché il “non-ordine” della dimensione decrescente delle sure  (una tradizione parallela, sostiene che ‘Ali, da cui discenderà lo sciismo, fosse in possesso di un Corano cronologico); 4) quali sure o versetti erano stati realmente trasmessi e quali facevano parte di una sorta di “prima tradizione orale” circolante, non sempre o totalmente di origine “divina”; 5) cosa eventualmente contenessero i versetti perduti; 6) un intera area problematica è poi quella del come si rese per scritto l’arabo parlato stante che il secondo era ben più ricco e sfumato del primo ovvero come poi si trasmise testo ed interpretazione, stante che all’inizio l’arabo scritto era privo di punteggiatura e segni diacritici. L’intera questione però potrebbe esser rilevante fino ad un certo punto. Il Corano ha una struttura testuale centrale che vede ripetute le stesse cose più e più volte, in molto modi diversi ma mai contradditori. Queste cose non possono aver risentito di alcuna eventuale manipolazione poiché appunto, sono confermate di continuo, in molti modi e sono perfettamente coerenti tra loto. Semmai, i problemi potrebbero esserci per le questioni più discusse ovvero per quelle che compaiono anche una volta sola e risultano per forme e contenuti, apparentemente “fuori formato”. Ciò vale soprattutto per certe sure e versetti medinesi, per questioni di shari’a che è poi l’argomento che più interessò l’esegesi della seconda metà del VII secolo e tutto il tempo successivo, che è poi il cuore del problema dello strutturale conservatorismo islamico da cui deriva il fondamentalismo contemporaneo.

[3] E’ questa, ci sembra, la posizione di Fazlur Rahman, noto studioso di islam e filosofia indo-pakistano. In particolare, Rahman consiglia di separare il contenuto universale da quello particolare di modo da dar lunga vita ai temi coranici centrali e lasciare allo specifico dell’Hijaz del settimo secolo, le disposizioni specifiche relative a quel particolare contesto. Anche l’indo-sudafricano Farid Esack sostiene che tra i suoi sei paradigmi ermeneutici per la corretta interpretazione del Corano, c’è il tawid, il principio dell’unicità di Dio che deve riflettersi come unicità degli approcci interpretativi  filosofici, teologici, giuridici e politici senza che alcuno di essi prevalga su gli altri e senza che uno di essi venga approcciato nell’assenza degli altri.

[4] L’impressione che si ricava è che questo ordine, diciamo così “neutro”, sia infine prevalso per l’impossibilità di ricostruire l’esatta cronologia originaria ma anche per creare un palinsesto disordinato (“un caos senza speranza” secondo la appuntita definizione di una delle più autorevoli studiose del Corano contemporanee, Angelika Neuwirth) al fine di metterci dentro un po’ tutto ed il suo contrario.

[5] Si tenga conto che la forma orale della predicazione coranica, poteva ben sostenere frasi riferite come instillate da Dio ed interpretazioni, aggiunte, specificazioni date da Muhammad.  Nel senso che fu la successiva messa per iscritto a creare il problema facendo di tutto il discorso circolante, Parola di Dio. E’ possibile che presso i suoi contemporanei, nessuno facesse distinguo tra le due fonti dal momento che Muhammad aveva ben diritto al ruolo di messaggero ma anche di interpretante e di legislatore. Successivamente, si comprese il rischio di mantenere il Muhammad interpretante-legislatore (a quel punto sospettabile di essersi inventato il tutto) e lo si retrocesse a megafono privo d’intelletto (il suo presunto e poco credibile per un mercante internazionale di successo, analfabetismo) cosa che contrasta palesemente poi con la successiva scelta di seguire i suoi hadith.

[6] I primi due compilatori della sunna formata da versetti ritenuti attendibili, ne scelsero solo diecimila su una base circolante di circa trecentomila.

[7] La posizione “coranista” è sempre stata ritenuta ai margini del consentito, a volte anche oltre ovvero passibile di apostasia. Essa si basa su tre presupposti: 1) il Corano prevede al suo interno l’appropriato atteggiamento ermeneutico ed esclude esplicitamente che vi possa essere una interpretazione più autorizzata delle altre; 2) il Corano stabilisce con chiarezza la natura umana e quindi fallibile di Muhammad stesso per cui non si vede come suoi presunti detti o fatti possano venire equiparati alla parola di Dio: 3) la compilazione di queste raccolte è tarda, contrastata ed assai poco affidabile; anche se di base il discrimine principale è che una cosa è la parola di Dio, un’altra tutto ciò che non lo è.   Oggi è propria dei movimenti liberali e modernisti, riformisti e progressisti, influenzati da intellettuali e filosofi presente soprattutto presso i musulmani occidentali  che vivono in semi clandestinità intellettuale. La posizione filosofica dei mu’taziliti si avvicina a questa impostazione, era un teologo e poeta mu’tazilita Ibrahim an-Nazzam (775-845) il primo ad esporre questa posizione.  I riferimenti coranici su cui si basano sono: VI,38 – XVIII,54 – VI,114-115 – XLV, 2-6 – LVI, 77-81 – LXXVII, 50.

[8] Questa suddivisione in due strati del messaggio coranico è in pratica la strategia ermeneutica più diffusa tra coloro che hanno cercato di salvare la Scrittura dall’imbalsamazione conservatrice e dare all’islam, una strada aperta verso l’adattamento alla modernità. Oltre al già citato indo-pakistano Fazlur Rahman è questa la strategia dell’egiziano Nasr Hamid Abu Zayd. Zayd propone una separazione tra senso e significato. Il senso è l’universale ed è stabile, il significato non può che connettersi ai contesti, variabili questi, variabile il significato stesso. Zayd ha recentemente evoluto la sua riflessione, arrivando a definire il Corano “un discorso” (non diversamente da quanto abbiamo qui fatto noi stessi). Tale discorso di Dio, si relaziona alle diverse realtà che si presentarono a Muhammad ed all’umma durante la Rivelazione. Così impostato, il discorso mantiene una sua generalità ma anche le sue specificità che però tali vanno valutate. La strategia è quella di disarticolare la strategia dell’abrogato-abrogante, di quei “versetti della spada”, medinesi, che avrebbero sostituto i versetti della pace e della tolleranza, meccani. Il teologo egiziano è stato condannato per apostasia in Egitto, il suo matrimonio è stato sciolto per legge ed è dovuto emigrare in Olanda dove è morto nel 2010. La stessa strategia si trova nell’iraniano ‘Abdolkarim Soroush che separa il testo dalla conoscenza che ne deriva per uomini ambientati storicamente.

[9] Interessante a riguardo la posizione dell’algerino Muhammad Arkoun, il quale sostiene che dal punto di vista religioso, l’islam è protestante (rapporto diretto tra individuo e la Scrittura) ma politicamente è cattolico “nella misura in cui, dopo gli Omayyadi, lo stato (ossia il potere politico) ha confiscato questa libertà propria dell’Islam di costituirsi in sfera autonoma dallo spirituale”.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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