PICCOLO STUDIO SULL’ISLAM (2). L’etica comportamentale del Corano. Pratiche di fede, valori, leggi.

INTRO.

Nella prima puntata del nostro “piccolo studio sull’islam” abbiamo cominciato ad inquadrare il contenuto del contratto-relazione tra Dio ed ogni singolo credente, contenuto che è il condensato primo del testo coranico. Tale relazione vede da una parte Dio e dall’altra l’individuo umano, l’essere umano che  riconoscendo Dio ed attenendosi alle Sue disposizioni, vivrà una eternità di letizia e di benessere. Coloro che non lo riconosceranno apertamente o simulando tale riconoscimento solo da un punto di vista formale, coloro che infrangeranno le disposizioni contrattuali senza sincero pentimento, vivranno l’eternità di uno spavento ed un dolore senza fine.

IslamseAbbiamo accennato che il primo termine del contratto è il pieno abbandono ed immersione di fede a cui seguono alcuni precetti etico-comportamentali che saranno l’oggetto di questa seconda parte. Per norme per l’esercizio della fede, intendiamo il dovere inderogabile per ogni credente musulmano, di attenersi a cinque precise pratiche codificate detti i “cinque pilastri dell’islam”. Per valori etici, intendiamo norme etiche che si ricavano con chiarezza dal discorso di Dio e che costituiscono il regolamento assiologico sotteso al contratto coranico. Per principi giuridici intendiamo le norme giurisprudenziali (fiqh) della legge islamica (shari’a)[1] che tratteremo solo nella versione dominante che è quella sunnita (90% dell’islam).

PARTE PRIMA

LE NORME PER ESERCIZIO DELLA FEDE: ci riferiremo alle pratiche di fede, raccolte in quel pacchetto di disposizioni conosciuto come “cinque pilastri dell’islam”. Il musulmano ha cinque obblighi connessi alla pratica della sua fede.

Il primo è semplicemente pronunciare la frase di conversione all’islam con sincero ed autocosciente intento e davanti a due testimoni ovvero per i nati musulmani,  ripeterla con convinzione durante i propri pronunciamenti di fede. Come detto è la frase che ribadisce che si crede nel Dio è unico e che Muhammad è il suo profeta[2].  Oltre a ribadire il dogma centrale del sistema che è il monoteismo assoluto, la frase dispone a credere alla parola di Dio e quindi al Corano, per come venne trasmessa dallo stesso Muhammad. Durante la sua vita, un musulmano ripete la shahada centinaia di migliaia di volte. Essa ha una forte funzione identitaria, tant’è che è stampata su numerosi vessilli, da quello dell’Arabia Saudita a quello dell’Isis. Bruciare una bandiera dell’Isis ad esempio, come certi occidentali pretenderebbero in segno di ripudio da parte dei musulmani moderati, significherebbe compiere uno dei più grandi sacrilegi Shahada_by_erichilemexper la shahada che vi è contenuta.   Solo un gradino sotto, nel Corano, troviamo la preghiera (citata in più versetti di almeno cinquanta sure coraniche diverse) e l’elemosina, quasi sempre  citate in coppia.

Il secondo pilastro è dunque la preghiera, cinque volte al giorno, rivolti verso Mecca, con relative genuflessioni, da fare in compagnia o da soli, il venerdì a mezzogiorno comunque in Moschea dove c’è un enunciatore (imam) da seguire. Consta della frase di conversione detta anche testimonianza, della prima sura del Corano detta l’Aprente, di parti del Corano memorizzate (in arabo), se si ritiene si può aggiungere qualcosa di personale. Si ripete in più cicli. Si termina, se in pubblico, augurando pace al vicino di destra e di sinistra. Prima occorre lavarsi e predisporsi in purezza. I commentatori si sono sbizzarriti sul concetto di purezza ma per altri versi, potrebbe anche essere inteso come un semplice rito che sottolinea la specialità del momento in cui ci si rivolge a Dio. In un verso, si fa presente che non si deve pregare se non si è sobri ma in linea più generale, a me sembra che più e più volte s’insista su un concetto ben preciso e comprensibile: non si deve avere rapporto con il fatto religioso (che sia preghiera, lettura del Corano o professione di fede) se non in stato di profonda autocoscienza. Cioè se non si è ben concentrati, consapevoli e presenti a ciò che si sta dicendo e facendo. muslim-praying_rationalhub_130130-article1L’islam non è una fede formale. Quando si è in relazione al fatto religioso, bisogna esser musulmano, cioè “totalmente dedicato”, sincero, concentrato sull’atto e sul significato. Così, anche le sacre abluzioni, avranno pur avuto un significato dati i tempi e le circostanze di una vita che facile non era (lavoro all’aperto, viaggi a 40° gradi, guerra) ma più che altro, sembrano uno stacco, un prendersi cura di sé perché quel sé lo stiamo portando davanti a Dio. Si noti il fatto che si stacca, ci si raccoglie e si prega, cinque volte al giorno (taluni ritengono che il Corano ne prescriva solo tre[3]), tutti i santi giorni e cinque volte al giorno si ripete la professione di fede e la sura Aprente, più pezzi del Corano e l’invocazione che Allah è grande. Sono poco meno di 150.000 volte, durante una vita media.  Il processo di auto conferma del credo e dei suoi contenuti è continuo, un vero e proprio training autogeno[4]. Altresì, oltre al vincolo della Moschea, poiché è consigliata la preghiera assieme, tutto aiuta la formazione comunitaria, incluso il doppio augurio di pace ai vicini.

Il terzo pilastro che è comunque importante al pari della preghiera è l’elemosina. Questa verrà poi data a poveri, ai bisognosi, per riscattare i meno fortunati (schiavi e creditori), per i viandanti (doveri di ospitalità per una società accerchiata da seminomadi, nomadi e carovane di vario tipo) nonché per una non meglio spiegata “lotta sulla via di Dio” (IX, 60)[5]. E’ questo il cuore di quella tendenza semi-egalitaria e solidaristica che informa l’Islam dalle origini e fatto che contribuisce ulteriormente a far sentire il musulmano come appartenente ad un comunità con obblighi comunitari. Semi-egalitarismo perché altrove non si disdegna il fatto che Dio stesso ha posto gli uomini su differenti gradini della scala sociale (VI, 49) ma evidentemente si ritiene che tale scala debba essere del tipo corto o comunque far percolare dall’alto ciò che manca a livello di sussistenza, in basso. images zakatLa tassa che i musulmani impongono ai credenti delle altre religioni che vivono in terra islamica, compensa questa elemosina che il diversamente credente ovviamente non versa. Se si vive su quella terra, si hanno comunque obblighi comunitari anche se versati per altra via. Addirittura, alcuni opinano che nei primi tempi, nuove popolazioni conquistate, si convertirono perché l’obolo era inferiore alla tassa. Comunque è interessante questa precoce forma di welfare che da noi verrà lasciata al libero arbitrio fino a Otto von Bismarck, XIX° secolo. Ricordiamo che dopo la conversione o testimonianza di fede, l’obolo è un precetto vincolante, di importanza pari della preghiera.

Il digiuno nel mese di Ramadan, quarto pilastro, può darsi fosse un altro di quei esercizi spirituali di ricentraggio su se stessi fatto attraverso una minima privazione (il digiuno ed altre piccole privazioni intercorrono tra l’alba ed il tramonto) , privazione che forse aiuta anche ad immedesimarsi in chi di privazioni vive. Il Corano è diviso in trenta parti per esser letto o recitato a memoria completamente durante i trenta giorni di Ramadan. Non è escluso avesse effetti salutistici così come i tabù alimentari prescritti che sono poi molto simili a quelli ebraici e condivisi nell’intera zona.

Il pellegrinaggio, fece di Mecca il centro eterno del mondo islamico. Esso servì anche ad avvicinare genti di stessa fede ma di origini da quasi subito molto eterogenee (ricordiamoci l’incredibile estensione orizzontale dell’islam, dall’Atlantico all’India, oggi Pacifico), a rinforzare il senso di comunità e collettività, a dar evidenza della centralità della cultura araba nel sistema, a trarre impressione dalla frequentazione dei luoghi dell’origine del tutto. Pur essendo individuale, il pellegrinaggio così come la preghiera possibilmente in compagnia e quella del venerdì in Moschea, sono tutti riti di formazione comunitaria. Ma 21-ramadanil pellegrinaggio, aggiunge un forte sapore identitario e tradizionale poiché tutto iniziò quando Muhammad era a Mecca, quando la Ka’ba, la costruzione cubica solitamente coperta da un drappo nero ad un cui angolo è incastonata una pietra nera di probabile origine meteoritica, era il centro di un culto politeista, sebbene la tradizione dicesse che essa fu costruita da Abramo in persona, nel nome del più antico dei culti del Dio unico. Il pellegrinaggio a Mecca è una istituzione tarda del periodo medinese ed al di là del recupero di un tradizione meccana pre-islamica, fu un gran regalo che Muhammad fece alla città di commercianti che da allora, vive di turismo religioso.

Sono previsti emendamenti parziali per malati, viaggiatori, impossibilitati per tutte e cinque le disposizioni, l’importante è poi recuperare e fare ciò che va fatto (o anche compensare come rompere il digiuno ma far del corrispondente bene ai poveri) in perfetta presenza, disponibilità e coscienza. 0001883_islamic-ethics-and-character-buildingDio non si formalizza (è Clemente e Misericordioso) ma il credente sa che alla fine i conti debbono tornare in pari per il giorno del Giudizio. Il messaggio è sempre lo stesso: indicare, responsabilizzare, attendere la non formale, totale adeguazione.

VALORI ETICI: Il primo precetto, ci sembra l’onestà e la sincerità. L’intera relazione Dio – credente è impostata su un piano di perfetto realismo, si dice quel che si farà, si farà quel che si dice. Non è prevista nessuna riserva, nessuna autonomia interpretativa da parte del contraente il contratto. Tale norma si riflette anche sulle interrelazioni comunitarie. Il Corano, abbiamo detto, è un contratto ed al suo interno più volte si fa menzione della necessità di redigere contratti, patti, accordi, chiari, equi, scritti (non opinabili), davanti a testimoni. Muhammad stipulò parecchi contratti per normare le relazioni con altre tribù, incluso l’atto finale delle sfida con i meccani.  Il tutto, tende a creare relazioni prevedibili e quindi ordine. E’ questo anche ciò che risulta dalla preminenza del diritto islamico nella costruzione del sistema culturale, la nuova comunità, tribù unica che scioglieva le tribù precedenti frazionate in clan aveva una doppia impalcatura di coordinate comuni: la fede e le pratiche da una parte, le leggi di interrelazione dall’altra.

A ciò si consiglia di aggiungere l’umiltà e la pazienza. L’intera costruzione islamica pone un Uno assoluto che ha tutti i valori e tutti i poteri e sotto del quale c’è non proprio una perfetta orizzontalità comunitaria, quanto piuttosto la relatività di ogni distinzione. Poiché ognuno è un sottomesso umilmente a Dio che è l’Unico Potere, al di sotto ci si regoli quanto a pretese e soprattutto non si pensi di avere speciali diritti di gerarchia degli uni su gli altri. Questo principio è poi stato ampiamente contravvenuto nelle pratiche sociali e storiche successive.

Quest’ultima notazione ci porta al presunto valore egalitario della comunità islamica. L’islam religioso non è egalitario quanto piuttosto non-gerarchico. La comunità islamica è esattamente quella aristotelica, una moderata differenziazione orbitante non lontano da un “giusto mezzo” (ma se ne trova logica anche in Leggi di Platone), in cui la solidarietà tra musulmani, l’elemosina, l’opera in favore degli svantaggiati, la condivisione tra chi ha di più con chi ha di meno, redistribuisce continuamente le eccedenze verso le mancanze. E’ una società corta ma non piatta, la quale tuttavia è comunque piatta davanti all’immenso potere assoluto di Dio.

Più in generale, mentre le norme comportamentali dell’esercizio della fede valgono sul piano individuale e si riferiscono al rapporto tra individuo e fede, individuo e contratto, individuo e Dio, quelli che qui abbiamo chiamato -valori etici- ed i successivi -principi mezquita-masjid-al-nabawigiuridici-  si riferiscono ai rapporti inter-individuali e quelli tra individuo e comunità. C’è da considerare che il Corano, la formazione della comunità dei credenti convertiti al monoteismo assoluto, interveniva su una tradizione storica che era quella tribale. Il primo islam quindi, deve costruire una nuova società che prenda integralmente il posto di quella vecchia, motivo questo dell’intera travagliata storia della predicazione di Muhammad dal 610 al 632, da Mecca a Medina, dalle battaglie vinte a quelle perse contro i meccani, fino al trionfo finale, alla istituzione fattiva di un “nuovo ordine”. Dalla moderazione dei costumi alla generosità, dalla gentilezza alla sensibilità verso i bisognosi, animali, bambini, donne, schiavi, dalla tolleranza  alla condanna di tutto ciò che può provocare turbamento sociale (adulterio, furto, omicidio, fornicazione, sessualità non matrimoniale, calunnia, ubriachezza, usura, seminare zizzania e divisione -fitna-, avidità, vanità e superbia) alle leggi della reciprocità (legge del taglione), alla generale moderazione e primato del buonsenso, alla solidarietà, tutto punta a creare e proteggere la comunità quale bene sociale prioritario che si sostituisce alle leggi tribali, ai patriarchi, all’egoismo unilaterale, all’eccesso di ambizione individuale, al materialismo della ricchezza,  all’atto estremo magari ritenuto eroico o speciale. E’ altresì ben presente una decisa etica della natura. La vita dell’al di qua si ricorda sempre essere solo un breve passaggio e l’attaccamento ai beni materiali è sistematicamente censurato.  Va quindi da se che l’apostata, essendo colui che si pone fuori di una comunità tale definita dalla condivisione della credenza, è il nemico sociale numero uno proprio perché nega il fondamento stesso della comunità.

PARTE SECONDA

PRINCIPI GIURIDICI. Con i principi giuridici introduciamo delle norme che non sono esclusivamente comprese nel Corano. Esse sono tratte anche e soprattutto dalle pratiche della prima comunità e si trovano nelle raccolte dei detti e fatti del Profeta (sunna) di cui esistono diverse versioni. Alcune non si trovano neanche nella sunna e quindi risalgono alla tradizione in senso più generale, quindi a periodi successivi a quelli della prima comunità (seguaci dei primi compagni e seguaci dei seguaci). Countries_with_Sharia_ruleMa la fonte dei problemi da affrontare ha continuato a rampollare nella storia e così oltre a Corano, sunna e tradizione, alcuni hanno fatto ricorso al ragionamento analogico ovvero al trasferimento di logica da casi noti e prescritti chiaramente ad altri del tutto inediti in base all’esistenza del termine medio di analogia. Laddove ciò non bastasse, si è ipotizzato necessario almeno l’accordo generalizzato dei giurisperiti per gli argomenti più tecnici e della comunità per gli argomenti più legati alle pratiche di fede. La presenza di norme giuridiche propriamente coraniche è piuttosto esigua, il grosso proviene dalla sunna e dalla tradizione. Vi sono casi, inspiegabili sul piano logico (ma spiegabili sul piano pratico), in cui è ritenuto che la sunna potesse abrogare il Corano.

Va subito notato che i giurisperiti s’imposero come i principali interpreti del Corano, non i teologi, men che meno i filosofi, neanche i politici. Nell’islam,  il vero clero è quello degli esperti giuridici. Il Corano diceva già tutto quanto a teologia, non chiamava in causa la filosofia e taceva sulla politica, mentre su gli aspetti del comportamento e dell’organizzazione sociale, la parte medinese del Corano, quella riferita alla vita comunitaria che va dal 622 al 632, già esprimeva alcune norme innovative e fondamentali. E del resto quella comunità e le successive dei primi tempi non avevano certo bisogno di speculazione ma di prassi ordinate. Avvicinandosi però alla realtà concerta dei fatti, questa espressione è anche quella che ha creato le maggiori rigidità dell’islam che dal periodo dell’Egira (622) a oggi ha visto scorrere quasi millequattrocento anni di cambiamento del mondo[6]. copc67Questo potere ai giurisperiti, venne in parte dato dalla decisione iniziale dei primi quattro califfi (che furono anche i primi giurisperiti, funzione che poi si specializzò e radicò in una specifica casta, gli “ulama”) i quali introdussero il concetto di assenso concordato cumulato in tradizione.

L’assenso concordato è un meccanismo che potremmo definire “democratico”. La tribù è una federazione di clan e l’umma, la comunità musulmana, è una federazione di tribù. Fa parte della natura di questi sistemi prevedere che nessuno possa assumerne il comando come Uno se non per esplicita delega da parte di tutti i contraenti il sistema (in un certo senso per “contratto”), per lo più con mandato funzionale e teoricamente revocabile. Ne consegue che le decisioni rilevanti, quelle non di ordinaria amministrazione, debbano esser prese da una assemblea di capi. Così avvenne anche nelle democrazie barbariche germaniche e scandinave ed è da questi filone che discende, via Magna Charta, il concetto di parlamento che assumerà il potere politico inglese nel 1689[7]. Si tenga conto che democratico va inteso nel senso di non mono-elitario, il “popolo” non c’entra quasi nulla essendo l’assemblea decisionale fatta dai capi clan o capi tribù nei casi barbari, aristocratici, preti, militari ed industriali o finanziari nel caso moderno e contemporaneo. E’ la democrazia delle élite, la stessa che si avrà in Occidente fino al suffragio universale che modificò l’assetto anche se, in parte, più sul fronte formale che non su quello sostanziale. La stessa che oggi vorrebbe revocare la macchinosa democrazia popolare perché “vanno prese molte decisioni veloci”.

L’assenso concordato si stratifica nel tempo, si cumula e diventa tradizione. Questa seconda decisione (che non ha alcun aggancio a ciò che prescrive il Corano se non per una indiretta allusione dello stesso Muhammad) fu decisiva. Far della tradizione la norma, significava condannare il sistema all’automatica conservazione, ogni nuova domanda (e le domande si fecero sempre più nuove col passare dei tempi) doveva avere un riferimento in qualche antica risposta, la tradizione diventava il solvente dell’evoluzione, ogni slancio esterno veniva prontamente ricentrato all’interno. Sono molteplici le ragioni di questa decisiva decisione. Chi altrimenti avrebbe avuto il potere di dire o fare “il nuovo?”, chi avrebbe potuto calcolarne in anticipo gli effetti? dove avrebbe portato l’innovazione, quanto lontano, quanto fuori controllo? Il controllo era l’esigenza che ebbero i primi e tutti i successivi califfi, il controllo arabo di un sistema universalistico che di sua natura tende all’espansione, più che per prescrizione interna alla conversione, per mancanza di limiti oggettivi. Il  meccanismo dell’assenso concordato cumulato in tradizione, tollerò un minimo di espansione interpretativa fino all’inizio del X° secolo, poi lo stesso assenso concordato prescrisse a se stesso di terminare l’accumulazione, le porte dell’ijthiad (lo sforzo interpretativo qualificato, si noti che la radice del termine è la stessa di jihad ) vennero chiuse per sempre e sigillate. La tradizione si solidificò in un sistema rigido e minerale di norme eterne[8].

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Prima di chiudersi in se stessa, la tradizione giurisprudenziale produsse quattro scuole giuridiche (nel solo ambito sunnita, altre in quello sciita) che in ordine temporale furono: la scuola malikita e la scuola hanafita (oggi la prima è prevalente in Africa, la seconda in Siria, Giordania, parte dell’Egitto e dell’Iraq, Turchia, centro Asia, Afghanistan e Pakistan) che possono dirsi le più moderate, la scuola shafi-ita (oggi presente soprattutto in Indonesia, Kurdistan, Corno d’Africa, Yemen) che è quella che si spinse fino all’analogia e all’innovazione per assenso generalizzato ed a ultimo la scuola hanbalita che rifiuta tassativamente tutto ciò che non è Corano e Sunna, la più tradizionalista e conservatrice, presente quasi esclusivamente in Arabia Saudita. Dalla scuola hanbalita discendono tutti i fondamentalismi moderni[9] nel senso che questi si richiamano all’approccio più tradizionalista anche se gli studiosi teorici di questa scuola non sempre riconoscono la paternità di questa galassia politica. Il wahhabismo arabo-saudita è altresì parte di questa scuola, così come il salafismo.

Le norme si riferiscono a matrimonio, legge del taglione, pene da comminare (inclusa la pensa di morte), trattamento degli orfani, regole alimentari, di costume, di abbigliamento, di comportamento sociale e rapporto tra i sessi, sessualità, divieto tassativo d’usura, controllo ed amministrazione di affari pubblici (quindi con un decisivo riverbero politico), rapporti con le altre credenze, legge penale, successioni.

Non entreremo nel merito, si sappia comunque che “ai tempi”, molte di queste norme erano decisamente moderne, migliorative delle condizioni precedenti, relativamente eque e di buonsenso. Financo la poligamia che a noi può sembrare bizzarra, derivava dalla necessità di dare protezione sociale alle vedove stante che i mariti morivano con una certa facilità visto i costumi prima della razzia e delle faide, poi della guerra di conquista che sostituì la razzia inter-tribale. Occorre poi dividere ciò che dice il Corano da ciò che venne detto nella sunna e dalle interpretazioni successive. Il Corano, in linea di massima, ha un posizionamento sempre moderato. Rimane però anche il fatto che ciò che allora apparve equo e moderno, oggi risulti assai iniquo ed incomprensibilmente arretrato. Il ruolo sociale del maschio, ad esempio, era e rimane il baricentro dell’organizzazione sociale, famigliare, di coppia. I musulmani cioè non sono egalitari nel genere, per costituzione.

sunna-notes-volume-3-studies-in-hadith-doctrine-gibril-fouad-haddad-6Concludiamo con uno spot rivolto alla complicata faccenda del jihad. Il termine si traduce con “sforzo” e non con guerra. E’ jihad lo sforzo che ognuno deve compiere dentro se stesso per essere un buon musulmano e resistere a Satana, è jihad lo sforzo rivolto all’interno della comunità per rettificare deviazioni, misinterpretazioni, è jihad propagandare (pacificamente) il sistema islam fuori dei suoi confini, è jihad in ambito mistico la “grande lotta” contro le proprie fuorvianti passioni. Nelle sole quattro occorrenze del termine nelle sure meccane, jihad significa “lotta sulla via di Dio” ma da intendere come lotta di parola, di contrapposizione culturale e sociale. Esiste poi un chiaro riferimento al fatto che jihad è anche resistenza armata, guerra di difesa a cui sono tutti obbligati  a partecipare, laddove è l’esistenza della comunità stessa ad essere in pericolo di vita, occorrenza tra l’altro possibile ai tempi di Medina ma già ampiamente improbabile da lì in poi stante le dimensioni dell’islam storico che presto è diventato un impero federato. All’interno della sura VIII vi sono diversi riferimenti alla storica battaglia di Badr (624) la prima performance armata della comunità in lotta contro i meccani in cui Dio incita ad un risoluto scontro armato ma l’impressione è che ci si riferisca al caso specifico piuttosto che fornire un regola generale. In linea generale, il Corano è una scrittura ampia in cui le cose importanti, i pilastri concettuali del discorso di Dio sono ripetuti e ripetuti più volte. Questo unico caso (per altro bilanciato da altri in cui Dio invita ad evitare eccessi) non sembra di per sé voler porre la questione della lotta armata contro i miscredenti (che tra l’altro, a rigore, sarebbero i soli politeisti) come un fondamento. Quanto alla sura IX che è la più combattiva ad aspra dell’intero Corano, si distingue per i toni atipici ma anche per non avere in incpit la frase “Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso” (caso unico su 114 sure), quasi che ciò che vi è contenuto non abbia la stessa matrice divina del resto.

Esiste semmai un problema di prospettiva. La storia dell’islam già verso la fine del periodo medinese, lungo tutto il periodo dei quattro califfi, delle due guerre civili ed ancora con omayyadi e abbasidi ma poi di nuovo con moghul ed ottomani è anche storia di guerra esterna e guerriglia interna. La guerra (che non è il jihad) venne ad esser praticata sistematicamente quando la comunità giunse ad un prima massa critica, dopo aver incorporato i suoi nemici storici. A quel punto, si creò una sorta di effetto palla di neve per cui singole tribù, soprattutto beduine, presero a convergere nel nuovo sistema, convergenza che aumentava la forza d’urto della nuova entità che si spinse sempre più verso i propri limiti geografici per inglobare potenziali nemici anche perché  la razzia delle carovane, che era il principale sistema di approvvigionamento seguito dal riscatto per i prigionieri, non era più possibile all’interno e le risorse andavano cercate fuori del sistema. Islam_Map_06La guerra di rapina e saccheggio era un modo tipico della sussistenza degli arabi dei primi secoli, che gli arabi fossero musulmani non trasferisce le proprietà dall’ etnia geo-storica alla religione.

Così per le perduranti faide di successione ed i massacri in nome dell’ intolleranza spinta dall’ auto-attribuzione di valori massimi di purezza.  Per altro, le nuove conquiste non portarono ad alcuna forma d’imposizione religiosa e la convivenza pacifica con gli altri monoteismi è ampiamente accertata.   Vi sono casi come i Moghul in India che addirittura, per quieto vivere, riconoscono il sistema indù come un monoteismo (effettivamente alle radici del sistema, nel primo dei Veda, il Rg Veda, si può evincere qualcosa del genere ma per giungere da questo a definire l’induismo un monoteismo e gli indù, un “popolo del libro”, ci vuole molta ma molta buona volontà)  o la pacifica penetrazione in Indonesia così come, anche nei primi periodi, la ritenzione addirittura a ricevere conversioni all’islam da parte delle popolazioni conquistate militarmente poiché ritenute non molto sincere e pienamente consapevoli.

Insomma guerra non è jihad, l’islam non si afferma con la spada quanto a religione ma quanto a sistema politico-militare, jihad ha come target semmai i politeisti, le deviazioni, le tentazioni, la fallacia umana, volendo ci si può basare su alcuni versetti di una sura per interpretarla così come viene interpretata dai conservatori ma ciò è chiaramente una operazione forzata ed estranea ad una comprensione olistica del Corano, interpretazione che secondo noi è l’unica corretta, così come indica la stessa Scrittura e come argomenteremo in seguito.

(2.)

Introduzione.

Prima puntata.

[1] Come poi vedremo, la shari’a, la legge islamica, discende solo in parte dal Corano. Le norme per l’esercizio della fede sono prescritte nel Corano ma alcuni loro particolari sono stati precisati dopo.

[2] Mano a mano che ci inoltreremo nel complesso sistema islamico che, come tutti i sistemi storico-culturali, ha un genotipo relativamente semplice ed un fenotipo ben più complesso ed articolato, faremo delle semplificazioni e delle omissioni. Stiamo infatti seguendo il “concetto” e la “struttura” e non siamo alla ricerca dell’enciclopedismo descrittivo. Mettiamo questa nota qui perché già sulla shahada si dovrebbe segnalare che sebbene la stragrande maggioranza dei musulmani ritiene la frase composta come unica, altri, ritengono indispensabile e fondativa solo la sua prima parte, quella su Dio esistente ed unico. Ne conseguono due diversi atteggiamenti di diversa deferenza nei confronti del ruolo svolto da Muhammad con tutto ciò che consegue in termini di tradizione, sunna, biografia storica etc.

[3] In compenso, inizialmente, vi erano sedute di  preghiera, recitazione del Corano memorizzato e meditazione intensa e concentrata svolte da soli, nel silenzio della notte profonda.

[4] A tutto il dispositivo di apprendimento, memorizzazione, recitazione e rilettura continua del Corano, a quello delle preghiere anticipato dagli appelli del muezzin , ai riferimenti giuridici che intersecano la vita quotidiana, alle norme etico-comportamentali, si deve poi aggiungere l’invito a proferire una benedizione ogni qualvolta e per qualsiasi ed in qualsiasi contesto si citi Muhammad. Anche il dialogo quotidiano e l’interrelazione sociale, sono pieni di citazioni, frasi, richiami, sicché l’intera vita individuale del musulmano è tramata dal vocabolario e dalla prosa religiosa. Questa full immersion che si ritrova anche nel primo cristianesimo, che si ritrova nelle moderne tecniche di informazione e comunicazione di massa, nell’arredo sociale e culturale dei regimi dittatoriali e dei sistemi ideologici, nella programmazione neuro-linguistica e nelle tecniche della pubblicità si basa sul condizionamento portato dalla ripetizione.

[5] Sarebbe il jihad, che può essere così inteso anche come propagazione della fede. Il fatto che Arabia Saudita (wahhabita) e Qatar (salafita) finanzino tutte le nuove moschee costruite in Occidente, segue questo principio di riversare alcuni profitti (petroliferi) in “opere di diffusione della fede”. Vi sono poi altri intenti ovviamente ma il pubblico islamico, così legge questi fatti.

[6] Il calendario islamico ha nell’Egira, l’anno zero.

[7] Chi scrive, è solito segnalare sempre e con sottolineatura che l’origine della cosiddetta “democrazia occidentale” è questa, cioè la tradizione barbarica germano-scandinava poi diventata anglo-sassone, non quella ateniese.

[8] Tutto ciò vale per la tradizione dominante, quella sunnita, che ammonta al 90% dell’islam. La tradizione sciita è diversa in molti aspetti, soprattutto perché nel loro sistema, gli imam avevano il potere di modificare le decisioni precedenti e  di fare “interpretazioni” più ampie e coraggiose.

[9]  Da Al-Qaeda ad Abu Sayyaf, da Ansar al-Islam a Boko Haram, dai talebani afgani e pakistani allo Stato Islamico,  vedremo nella prossima puntata come queste posizioni non andrebbero definite “fondamentaliste” ma “conservatrici”. La posizione più tecnicamente fondamentalista (coranisti) è in realtà assai liberale attenendosi all’unico vero fondamento dell’impianto: il Corano. Un islam coranico, nettato di sunna, tradizione, shari’a e fiqh sarebbe un islam puramente universalistico.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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