STORIA E COMPRENSIONE DEL MONDO.

53057-laniakea-il-super-cluster-di-galassie-che-comprende-la-nostra-viIl Mondo[1] si è presentato di recente alla nostra attenzione. Nel passato, molte forme di riflessione hanno avuto il Mondo ad oggetto ma, in una prospettiva più ampia, si sono poi rivelate proiezioni di un locale ad universale, una forma induttiva scarsamente fondata. Il “cosmo” dei Greci, il paese del centro 中国 (Zhōngguó) che è sotto il “Cielo” (天, Tiān) per i cinesi, erano proiezioni di questo tipo, proiezioni il cui proiettore era precisamente posizionato sulla superficie di questo “mondo” che poi si è rivelato una sfera. Va de sé che la pretesa di essere centro di qualcosa, stando sulla superficie di una sfera, sia infondata. Eppure, di nuovo, l’autocomprensione che gli europei hanno sviluppato a partire dal 1492, è proprio una complessa e ben infondata convinzione proprio del loro ruolo “speciale”. Questa convinzione si è poi trasferita al sistema occidentale o atlantico (Europa + Nord America) ed avvolgendo il Mondo con una rete di mercati, colonie, istituzioni locali e mondiali sempre nelle loro ben salde mani, gli europei prima e gli occidentali poi, hanno tentato di convincere il Mondo che loro ne fossero il centro. Di questo sistema di pensiero è parte fondante la narrazione storica perché in tutti i sistemi ideologici, l’interpretazione del mondo è ben più importante del mondo in quanto tale.

Accade però che, negli ultimi anni, prima si è scoperta ed appresa empiricamente la vastità e varietà della sfera, processo nato proprio dal periodo della Grandi navigazioni partito alla fine del XV° secolo, poi si sono sperimentate varie forme di interrelazioni con altri presunti centri e la pluralità dissolve con la sua stessa presenza percepita la pretesa di singolarità. Infine, percezioni (esperienze concrete) confortate da dati, hanno reso esplicito che i centri sono tanti, sono interdipendenti, sono relativi e il centro occidentale, tra l’altro, non è quanti-qualitativamente poi così massivo e soprattutto è oggi in una parabola di contrazione relativa all’espansione degli altri centri. In sede storica, ci si è posti allora il problema di come trasformare i paradigmi dello sguardo specifico (lo sguardo storico ovvero lo sguardo su ixCW_History_640x345.jpg.pagespeed.ic.mQjQBRRR2K fatti e gli eventi di uno spazio-tempo) per meglio allineare l’immagine del mondo al Mondo. Ne sta conseguendo una distruzione creatrice che abbandona progressivamente le forme epistemiche della storia otto – novecentesca e crea (sarebbe meglio dire “propone” perché si è ancora nella fase costruttiva della disciplina) una nuova forma di sguardo. Abbastanza chiaro il versante del “da cosa dobbiamo emanciparci” cioè il versante critico dell’eurocentrismo e dei suoi collaterali epistemici, ancora non ben definito il “di quali metodi e forme dobbiamo dotarci” sul versante costruttivo. Questo sguardo in transizione che ha per oggetto il mondo nella sua complessità sferica, si chiama World history[3].

Questa forma di indagine e narrazione, si accompagna in un certo senso all’ultima globalizzazione (torneremo più avanti su i problemi connessi all’uso di quest’ultimo termine). Si va dalla necessità di presentarsi al dialogo tra civiltà imposto dall’infittirsi delle interrelazioni prima finanziarie, poi economiche, poi politico-diplomatiche, in una veste meno presuntuosa (ma quanto poi convintamente è tutto da vedere), alla necessità di inglobare in saperi di ordine superiore le élite dell’ognidove che vanno a studiare nel istock-world-booksistema universitario occidentale e che non possono certo ascoltare e condividere la sbilanciata auto narrazione di chi è sentito ed ha voluto far credere a tutti di essere il centro del mondo, all’onesta presa d’atto che l’oggetto (il Mondo) impone una revisione profonda del metodo, incluso il taglio ontologico, gli oggetti ed i tempi che inquadriamo ed i giudizi di valore che sopra vi esprimiamo, implicitamente ed esplicitamente. Insomma, se c’è un Mondo, dovrà pur esserci una narrazione che lo ha in oggetto per cui anche la disciplina storica va globalizzandosi sia assumendo punti vi vista più sferici, sia rivendendo l’apriori dei tagli spazi-temporali, sia assumendo metodi ed idee da altre discipline (sociologia, economia, relazioni internazionali, geopolitica, geografia, storie culturali e dei fenomeni religiosi). Questa vocazione inter e multi – disciplinare, antiriduzionista ed antideterminista,  porta la World history verso l’iscrizione di fatto alla cultura della complessità. In effetti, la vera novità è proprio l’assunzione del Mondo come oggetto eminentemente complesso, cum – plexus, un “intrecciato assieme”.

Più in particolare, la World history, sembra adottare una ontologia sistemica che è proprio ciò che distingue alla radice, la cultura complessa da quelle precedenti. I sistemi sono popoli, stati, regioni, civiltà, aree comuni, ma anche sistemi economici, culturali, religiosi, sono dotati di parti più piccole di cui sono composti al pari delle interrelazioni tra queste. Danno vita tramite interrelazioni esterne a sistemi di ordine superiore, nascono – vivono – muoiono ereditando sostanza e vincoli dal passato, sostanza e vincoli che lasciano in eredità a quelli che vengono dopo. Sono sistemi aperti e quando li ritagliamo per isolarli dal Tutto, dobbiamo ricordarci di aver compiuto un’effrazione al solo fine di osservarli meglio. Quello che osserviamo andrebbe poi ricollocato nel contesto spazio – temporale da cui l’abbiamo estratto, nella vasta trama di cui fa naturalmente parte perché è alla logica di quella natura complessa che risponde. Per mondo, questo è il contesto geografico ed teoria-generale-sistemiambientale, per Mondo è il contesto dell’umanità e del grande flusso storico generale degli intrecci politici, economici, culturali, militari e religiosi degli spazi posti come casi temporali (stati, popoli, civiltà, aree) .

Una veloce analisi del vocabolario della materia ci rivela meglio i particolari di questa impostazione. “Casi” sono le unità d’analisi, le varietà prese in esame, “reti” sono le geometrie tipiche dei sistemi fatti di parti (i casi) e relazioni (connessioni), “scale” sono i piani di analisi che possono essere micro, medio, macro ad esempio città[4] o stati, regioni o civiltà, aree o continenti ma anche decenni, secoli, millenni. I “confronti” sono i necessari sforzi di comparazione per sancire le differenze relative ma anche le similitudini a volte invisibili allo sguardo che decide di contrastare troppo casi che ad una più attenta analisi risultano un misto meno netto, di differenze e similitudini. Tali differenze poi son reciproche e non scostamenti da uno standard dato a priori.

Un caso tipico di revisionismo comparativo da World history è stata la scoperta oggi estensivamente accertata ed accettata del fatto che la Grande divergenza tra Europa e Cina è stata fatto assai contingente e non teleologico (non era un destino fondato su inequivocabili premesse), si è manifestata solo nel XIX° e parte del XX° secolo e proviene e forse darà seguito ad una preminenza invertita, quella della Cina sull’Europa[5]. Andre Gunder Frank della scuola F.Braudel NY di I. Wallerstein, la chiama “la breve interruzione del domino asiatico” che certo è una bella inversione rispetto alla storiografia anglo-liberale basata sulle magnifiche sorti progressive del capitalismo protestante eurocentrato. E’ questo anche un caso tipico di come il taglio temporale e l’atteggiamento di studio che su esso si ha (solo presupporre vi sia stato un perché di lunga durata precedente l’osservazione dei fatti o anche verificarlo) dia luogo a due visioni ben differenti[6]. Hegel, Marx, Weber, Comte diedero per scontato vi fossero ragioni storiche di lunga durata dell’arretratezza asiatica (giudicata tale usando ad indiscusso parametro l’Occidente del XIX° secolo) e su questo costruirono per deduzione, una filosofia della storia stadiale e per 27d99a4cover23998induzione, financo delle previsioni di evoluzione o più o meno fine della storia. Il tutto nella più vasta temperie culturale già illuminista che s’era innamorata del concetto di progresso per opposizione alla “stasi” medioevale. Peccato che analizzando dati, registri, mastri della riscossione fiscale, forme similari al catasto, regimi di proprietà e contratto, tipi di tecnologie, modi di produzione e molto altro che costituisce il proprio del lavoro di indagine storica, si sia scoperto che le aree più sviluppate della Cina avessero un Pil pari a quello delle aree più sviluppate del Nord Europa ancora nella seconda metà del XVIII° secolo e ben superiore nella prima parte e nei secoli precedenti. E senza colonie e tratta degli schiavi. La Grande divergenza si manifestò solo nell’’800 e forse fu spinta da una poco nobile contingenza legata alla presenza geologica del carbon fossile in quel dell’isola britannica e da una ignobile dinamica di schiavizzazione ed espropriazione a vasto raggio, incluse le cannoniere britanniche che imposero il libero mercato dell’oppio proprio alla stessa Cina[7].

Ci sia consentita qui una breve parentesi sul capitalismo. Questa forma che qualcuno dice economica, altri socio-economica, altri stato-economica (e già la confusione testimonia della problematica complessità dell’oggetto) e che s’accompagna al concetto di “modernità”, ci appare in un modo se scambiamo la sua struttura e dinamica interna (le peripezie del “capitale”, i fasti dell’intrapresa) per la legge unica del suo essere, se cioè lo consideriamo un sistema chiuso, astraendolo dal contesto. Ben diversa ci appare se la collochiamo nello spazio-tempo storico in cui il sistema si è manifestato. L’importanza di un sempre più  vasto mercato interno di produttori e consumatori sembra una costante che aiuta (non esaurisce) nella spiegazione della traiettoria nomadica del suo centro pulsante (Genova-Venezia, Province Unite, Inghilterra – Gran Bretagna – Regno Unito ovvero dal 1689, dal 1707, dal 1801 e poi Stati Uniti d’America e forse, infine, Cina ovvero porzioni di popolazione sempre più grandi) ma soprattutto, cotone, leggi delcopcf6 parlamento, coloniali, schiavi, mercati secondari, armi e navi debbono entrare a far parte integrante della descrizione genetica tanto quanto aria, acqua, cibo ed intenzionalità autocosciente debbono esserlo della biologia umana. Mano invisibile e plusvalore nell’un caso, ci sembreranno leggi impersonali di un sistema che ha del meta-fisico, dipendenza dalla sfruttamento di differenze (di costo, di natura, di qualità, di materie ed energie limitate) procacciate con colonialismo ed imperialismo, ce lo restituirà nella sua forma più propriamente fisica e molto, molto prosaica. C’è un decisivo materialismo geografico – politico – militare dell’economico che sembra, a volte, sfuggire persino ai materialisti “storici”, per non parlare del delirio liberale sull’individualismo protestante. L’accumulazione originaria proviene dalle enclosures del XVI° secolo o da quel 25% di tasse (con una media eurocontinentale del 10%) che il parlamento britannico imponeva nel XVIII° secolo i cui tre/quarti vennero poi investiti in flotta, cannoni e soldati/marinai, tratta degli schiavi, e colonie? Il miracolo della rivoluzione industriale basata sul cotone si basava sul genio innovativo ed imprenditoriale o sulle leggi del parlamento britannico che vietarono l’importazione dei manufatti in cotone di cui ovviamente l’India era leader mondiale ma non della materia prima, alla faccia del libero mercato e della ricardiana specializzazione internazionale del lavoro?

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Tornando al vocabolario della nuova impostazione storica, dopo casi, reti, sistemi, comparazioni e connessioni, un termine assai interessante è “frontiere”. Si perché questo limite degli oggetti storici si precisa nelle frontiere dello stato nazione europeo, complice una geografia naturale ben delineata, solo molto tardi. Altri oggetti, ad esempio Occidente, o Russia, o Islam hanno frontiere storiche molto più mobili ed indeterminate. L’intero Medio oriente è un oggetto dalle frontiere interne assai precarie come per altro si verifica nella cronaca odierna. Moltissimi stati “costruiti” dal colonialismo soffrono di infondatezza dei confini foriera di future guerre.  Aree come il Mediterraneo del XVI° secolo indagato dal grande F. Braudel nel monumentale doppio volume del 1949-1966[8] hanno sì le chiare frontiere fisiche del bacino ma di contro assommano stati, città, popoli, traffici, tecniche di navigazione, coste ed entroterra di un sistema ben diverso, vasto ed intrecciato, che dissolve le frontiere degli oggetti consueti (gli stati).

Ma il concetto di frontiera è assai interessante anche per un altro motivo. In linguistica, esiste il termine “creolizzazione” ovvero il formarsi di ibridazioni tra due o più sistemi linguistici. Questo fenomeno si è verificato ai confini dei sistemi linguistico – territoriali ed è stato accompagnato da ibridazioni genetiche e sb2jpg-c7056culturali (idee, religioni, cibo). C’è cioè una zona liminale dove un sistema sfiora o si sovrappone ad un altro, in cui i due vengono a mischiarsi dando vita a nuove varietà, quindi novità. Trasferito il concetto nella teoria culturale, potremmo ipotizzare che le “novità” compaiono più facilmente, lontano dal centro dei sistemi dominanti. Ritornando al nomadismo del centro egemone del sistema capitalistico lungo la storia, ogni centro successivo era in effetti la periferia di quello precedente. Tutti i filosofi greci precedenti la codifica classico-ateniese di Socrate – Platone – Aristotele provenivano dai “bordi” (Ponto – Anatolia – Magna Grecia) e non a caso iniziando dall’Anatolia (la scuola di Mileto) perché l’Anatolia altro non era che l’estrema propaggine dell’Asia e la riflessione indo – cinese e la cultura babilonese poi persiana furono l’innesco di quella incredibile storia di sviluppo del pensiero. Anche il Rinascimento sorge oltre ai confini di Roma e dello Stato pontificio ed anche la ricchezza culturale dell’Andalusia musulmana sorge alla periferia dell’Islam.

Queste zone molli ed in quanto aperte a disparate influenze, fertili al cambiamento, indicano anche una delle tre più tipiche risposte all’influenza esterna secondo la codificazione in uso nella World history : connessione – interazione, assimilazione, resistenza e conflitto. Nelle aree di creolizzazione c’è interazione ma anche quando c’è resistenza e conflitto, questa reazione retroagisce sull’interno dei sistemi che cambiano per opporsi al contagio visto come potenziale dissipazione. Le relazioni creano sempre dinamica. Ecco allora il nuovo e fertile interesse per altri concetti figli dell’interrelazione: flussi, snodi, scambi (non solo economici, anche genetici, culturali, virologici, di tecnologie, di sistemi di pensiero) influenze, prestiti, diffusione, contagio, sinergie, sincretismo e resistenze. Queste dinamiche viaggiano in su ed in giù tra il micro e il macro, tra un ordinatore e l’altro (dal politico all’economico ma anche dal culturale al militare e tra questi e gli altri, passando per il religioso, dalle idee ai fatti e viceversa), dal tempo del prima a quello del poi.

Nella definizione delle scale spaziali che tagliano l’oggetto Mondo, stato, civiltà, famiglie, villaggi o città, economia globale, appartenenza a credenze comuni (religioni) nessunaimagesrt90 rappresenta un punto privilegiato, tutte concorrono a formare il Mondo e tutte sono soggette alla regola complessa per cui il totale (il livello macro) e maggiore della somma delle parti (il livello micro). Anche queste “scale” hanno frontiere ed in queste frontiere si formano interrelazioni, determinazioni e resistenze conflittuali. Altresì, confini precisi tra individuo e comune, tra economia e politica, tra Stato e civiltà, si possono presupporre per recintare qualcosa che ci dà comodità d’espressione ma sapendo che se si va ad indagarne il tratto preciso di questi confini ci si perde spesso in una nebbia di evanescenti riferimenti contradditori.

Non meno importanti le scale temporali. Introdusse l’esistenza di questo tempo relativo lo storico F. Braudel che lo mutuò dal filosofo H. Bergson a sua volta in dialogo con la Teoria delle relatività di A. Einstein. Non solo quindi la diatriba tra tempo circolare (ciclicità, corsi e ricorsi, l’eterno ritorno) e tempo lineare (concezione tarda che induce a pensare un telos ed il progresso) ma anche quella braudeliana tra tempo degli avvenimenti, quello più lento delle congiunture e delle strutture e quello quasi immobile della geografia. Eppure la geografia stessa non è immobile e non lo è la storia ambientale mossa, ad esempio, dal nomadismo climatico. Ma soprattutto non lo è nelle nostre concezioni perché fu ad esempio la scala della nascente geologia a dare a Darwin lo scenario mentale in cui poter pensare copvt65l’evoluzione per tentativi ed errori. Le centinaia di migliaia di anni delle geologia primo ottocentesca andavano in collisione con la data di nascita del mondo presupposta dalle Scritture che un arcivescovo anglicano aveva calcolato essere nel -4004.  Non è un caso che i cristiani invece presupponessero un “pronti? Via!” con la settimana creativa della Genesi ereditata dagli Ebrei, perché solo un “Creatore” poteva esser l’artefice di cotanta intricata complessità. Per altro, solo dalla venuta di Cristo (per i musulmani di Maometto) si poteva giustificare l’esistenza della storia perché certo non era spiegabile perché Dio avesse aspettato fino a duemila anni fa per rivelarsi. Da cui il calendario occidentale che in virtù del nostro dominio sul mondo è diventato il riferimento temporale standard del mondo tutto[9]. Da cui quel fenomeno da noi più volte sottolineato del “è sempre tutto più antico di quanto credessimo” perché è culturalmente e psichicamente chiaro che se partiamo con l’Evento che dà significato al Mondo a duemila anni fa, si ritenga implicitamente che “prima” c’è stato ben poco o niente di significativo, da cui la “sorpresa” nel trovare popoli che ignari della Rivelazione, mostravano segni di antichissima civiltà poi non molto diversa dalle successive, benché del tutto ignari del Giudizio universale basato sul regolamento espresso da Dio o direttamente (Mosé, Maometto) o per delega filiale (Cristo) ma anche del “razionalismo greco” che è la versione laica dello stesso occidentalismo. Così, è ovvio l’Isis debba cancellare tutte le tracce di grande civiltà pregresse la loro Rivelazione il cui inizio data al 610. Ed è così anche ovvio che alcuni preferiscano presupporre che gli antichissimi fossero stato illuminati dagli alieni piuttosto che presupporre una più lunga durata del corso storico delle civiltà umane. Così, nella nota metafora dell’Universo ridotto a singolo giorno, se i nostri ancor molto scimmieschi progenitori compaiono al calar della sera del 31 Dicembre è ben difficile capire la logica di un dio che mette in piedi l’ambaradan e l’osserva ipnotizzato per 13,7 miliardi di anni per poi alle 23.59 mandarci (mandarlo neanche sul sasso periferico di una galassia periferica ma proprio e solo in Israele, unico centro dell’Universo) il figlio a dirci “Oplà, tutto questo è stato fatto per Voi, comportatevi bene, paradiso! Comportatevi male e …”. Insomma, le civiltà dominanti, impongono le immagini di mondo dominanti[10] e di queste fa parte anche il tempo, le scansioni, i riferimenti fondamentali.

Se non abbiamo spazio mentale per il giusto tempo, il capitalismo ci sembrerà la Rivoluzione41-2O+fUkmL._ industriale, la Rivoluzione industriale ci sembrerà figlia dell’innovazione casuale dei fattori di produzione, la modernità figlia della Rivoluzione industriale, l’Occidente figlio della modernità e così non capiremo affatto con cosa abbiamo a che fare semmai ci venisse il ghiribizzo di metterci le mani per cambiarlo[11].  I concetti di transizione, di tempo lungo[12], l’origine dei fondamenti che reggono le nostre costruzioni sociali, la scarsa causalità a l’alta casualità di molti processi, il principio di causa complessa (plurale, non lineare, contingente, con potenti retroazioni), saranno inevitabilmente stranieri ad una mente della caverna formata su potenti quanto più semplici narrazioni sincroniche al movimento delle ombre dei fenomeni e cieche alla loro più vera ed intricata sostanza complessa. Annegare lo strutturalismo sincronico nella storia diacronica è già un passo avanti per restituirci una più realistica descrizione del Mondo.

Tornando alla globalizzazione, diverso ci apparirà il significato del fenomeno se conveniamo, aprendo molto il diaframma, con gli storici che leggono reti tra civiltà già 5000 a.f. o con quelli che porzionano il tempo di questo fenomeno da 500 a.f. dall’inizio della Grandi navigazioni, o con quelli che partono dalla natura del “capitalismo” della Rivoluzione industriale di 150 a.f., o con quelli che partono dal Washington Consensus e dal neoliberismo di 30 anni fa. In effetti sarebbe più giusto leggere il fenomeno al contrario, quella finanziaria segue quella dell’impero delle merci che segue l’innovazione delle tecnologie nautiche nate dalla competizione intra-europea che è solo un caso più recente di quella rete delle civiltà mediterranee (si pensi ai Fenici) che è solo un caso locale della vocazione umana ad andare a vedere cosa c’è oltre l’orizzonte da cui il nomadismo di specie che è figlio del bipedismo autocosciente figlio della iniziale biforcazione da scimpanzé e bonobo che… . Vedremmo così che la biforcazione essenziale fu in effetti quella di 500 anni fa, quando la competizione interstatale europea (che è figlia della storia sì ma molto anche della geografia) fece da motore alle proiezioni oceaniche dei nascenti, nuovi, sistemi economici che davano a gli stati le ricchezze con cui finanziare i propri eserciti. Eserciti e navigli con cui dominare il mondo, da cui l’abnorme spesa militare  degli USA che ancora nel 2014 (fonte IISS) è pari alla somma di quelle dei successivi 10 top spender.  Così per il significato di “migrazioni” che ci può sembrare un’invenzione degli scafisti, una invenzione di chi vuole disordinare l’Europa, un naturale travaso dal poco al molto e viceversa (dal poca ricchezza alle molte opportunità ma anche dalla molta popolazione alla poca) a seconda di quanti casi consociamo, se li abbiamo appresi dalla televisione e dai giornali o se abbiamo studiato la grande storia dell’umanità, nomade per il 99,6% del suo tempo di sviluppo .

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Concludevamo un articolo precedente su “Geopolitica e comprensione del mondo” (qui), auspicando che l’allargamento del diaframma spazio – temporale delle nostre indagini, potesse portare a modificare i vari sensi con cui attribuiamo verità alle nostre convinzioni.

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In effetti, il think global – act local dei movimenti per un’altra globalizzazione, poi divenuto concetto di poco conto in quanto inflazionato e banalizzato, ha in sé una saggezza epistemica considerevole. Alla formazione di un pensiero globale, la World history porta un contributo fondamentale, precedente e fondativo di quello dell’analisi economica, culturale, geopolitica stessa. Fino ad oggi ci siamo impegnati solo a tentar di cambiare il mondo, forse dovremmo tornare prima a pensarlo in un altro modo. E’ dalla revisione del “think” che potrà scaturire un nuovo “act”?

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[1] Usiamo il maiuscolo quando lo usiamo come concetto, minuscolo quando parliamo del pianeta. Sul perché “il M/mondo” è balzato di recente alla nostra attenzione è utile anche questo filmato. Partite da 0:50 ed aspettate con calma la fine, l’esperienza del rapporto tra il tempo del filmato e l’ultimo secolo, fa parte del processo di comprensione. Qui.

[3] Ne abbiamo già parlato qui.

[4] C’è una fascinazione in ambito anglosassone per questa idea della rete globale delle città. Convergono fatti (il mondo si sta progressivamente inurbando sempre più), leguin-bookproiezioni (il “desiderio” di superare la forma stato o stato-nazione), risonanze (un libero mercato totale, sovranazionale) ed opportunità (democrazia cittadina). George Modelski, World Cities, -3000 to 2000 (dal 3000 a.c. al 2000 d.c. = 5000 anni di storia), Faros, 2000 ma anche Saskia Sassen, Global Networks, Linked Cities, Routledge, 2002, ne hanno esaminato i contorni, seguiti dello storico Peter James Taylor (2004). La Sassen ci dice che l’idea è sviluppata anche in ambito progressista, c’è infatti anche uno sviluppo  teorico della democrazia diretta cittadina da Benjamin R. Barber a Herman Daly che si riconnette al filone anarco-municipalista di Murray Bookchin. A Bookchin si richiama la “svolta” del PKK impressa da Ocalan, a cui si richiamano la comunità curde del Rojava (Siria).

[5] Del seminale libro di Kenneth Pomeranz abbiamo dato conto qui. Si affianca Roy Bin Wong ( caso tipico di storico globalizzato nato in Cina ma direttore dell’UCLA Asia Institute di Los Angeles) China Trasformed: Historical Change and the Limits of European Experience (Cornell U.P. 1997). Un vero e proprio shock poi, è stato scoprire che i cinesi se ne andavano in giro per gli oceani con una flotta di trecento navi ed una ammiraglia a 14 alberi, sessanta – novanta anni prima delle precarie tre caravelle di Colombo. Shock rinforzato dallo scoprire che i cinesi, poi, decisero deliberatamente di auto-affondare l’intera flotta e rinunciare così ad una conquista del mondo che avrebbe invertito il senso della storia eurocentrata. Treasure Ship 7

[6] Un altro caso di clamoroso revisionismo fu proprio l’indagine di Braudel sul lungo XVI° secolo. Si credeva che già allora il Nord Europa fosse subentrato per volume ed importanza al Mediterraneo ma la corposa indagine sulle fonti di registro e non solo, fatta da Braudel, dimostrò il contrario e estese questa resilienza mediterranea a parte del XVII° secolo.

[7] Un seminale studio di World history fu Alfred W. Crosby Jr, The Columbian 51xi24Bp2ZL._SX364_BO1,204,203,200_Exchange: Biological and Cultural Consequences of 1942, Greenwood P.G. 1972-2003. Questo studio è poi diventato un concetto largamente usato in W.h., lo “scambio colombiano” ovvero l’ineguale bilancio di dare – avere in termini di malattie infettive, piante ed animali domestici tra Europa ed America. Mentre molti amerindi morirono frustrati, violentati, infettati, molti europei si salveranno dalle cicliche carestie alimentari continentali grazie alla “patata”, tubero importato dalle Americhe. Si dovrebbe poi aggiungere il concetto del triangolo atlantico ovvero quel flusso per il quale i britannici davano in Africa specchietti e collanine in cambio di schiavi (12 milioni circa) che rivendevano nelle colonie in cambio di materie prime con un saldo finale di: specchietti e collanine in cambio di importanti materie prime (altro che plus valore!). In più aumentavano la penetrazione estera delle colonie che diventavano mercati per l’export britannico e sfogavano il proprio destabilizzante esubero demografico da crescita impetuosa, alimentando proprio il flusso dei coloni che poi annientavano le popolazioni locali. Anche la sola industria ed economie di supporto logistico a questa eccezionale proiezione oceanica fu motore di crescita come oggi la spesa militare lo è per il Pil U.S.A.. Infine, nel caso indiano e cinese, imponevano un libero mercato unidirezionale e deprimevano le economie locali più potenzialmente competitive, annichilendo i competitors.

[8] F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino, 1953-2010 due volumi.

[9] La political correctness della World history, non usa avanti – dopo Cristo (a.C. – d.C.) ma o ante evo volgare (a.e.v) – evo volgare (e.v.) o il meno, tipo Solone nacque nel – 638, il più è omesso perché implicito.

[10] Fu Marx a scoprire la legge anche se lui la osservò nel rapporto tra classi sociali e rimase spesso intrappolato nel dominio di quella della sua stessa civiltà di appartenenza di cui vedeva i conflitto interni molto meglio di quelli esterni. L’economicismo di Marx poi certo peggiorato dagli epigoni ma non inventato da questi, assimila in molti punti Marx ai liberali, era lo “spirito dei tempi”, così per il progresso teleologico, la dinamica creativa scaturita dell’innovazione produttiva, la storia hegeliana del dispotismo asiatico e seguenti stadi. Così l’esaltazione per le fratture da transizione (le rivoluzioni) che osservava dal vivo in quel della metà del XIX° secolo tanto da farla diventare una prescrizione del cambiamento storico che invece è sempre basato su transizioni con un prima ed un dopo assai lungo e contradditorio.

[11] Un altro caso classico è il concetto di “Rivoluzione neolitica”. Non ci fu alcuna “rivoluzione” tantomeno qualcuno a cui si accese la lampadina del trapianto di semi, l’inventore dell’agricoltura. Fu un processo lungo 4-5000 anni ma forse di più, in cui condizioni ambientali locali con debole ma progressivo incremento demografico portarono ad una sequenza nomadismo – seminomadismo – stanzialità con un ricorso sempre maggiore alla cura intenzionale della natura (agricoltura selvatica, orticultura, agricoltura domestica) che retroagì potenziando il processo di stanzializzazione stesso.   Certo poi, da totalmente stanziali, le comunità iniziarono una nuovo storia ma non ci arrivarono con quello che Hegel chiamava “un colpo di pistola”. Che piantando semi nascessero piante, fu probabilmente un’acquisizione molto, ma molto antica.

[12] D. Christian, Maps of Time. An Introduction to Big History, Berkeley, U.of C. Press, 2004 è un testo fondativo della Big History cioè della storia del Tutto, quella che scansiona il tempo profondo a partire dal 13.7 mld di anni fa e della quale, la World history è il segmento finale, quando l’umanità prende rilievo storico e non più solo paleo-antropologico.

BIBLIO

9788815258830BQuesto articolo attinge a piene mani all’ultimo capitolo (10) di: Eric Vanhaute, Introduzione alla World history, il Mulino, Bologna, 2015 che consigliamo senz’altro anche come base per la quantità di dati e concetti che introducono a questo sguardo.

Abbiamo già segnalato qui l’opera di W. H. McNeill, aggiungiamo anche Laura Di Fiore e Marco Meriggi, World History, Laterza, Roma-Bari, 2011.

In questo articolo e nel precedente su McNeill sono contenuti altri fondamentali riferimenti bibliografici. I testi del Mulino e di Laterza contengono tutta la bibliografia necessaria a chi volesse approfondire.

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Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti anni ritirato a "confuciana" "vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e soprattutto filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre) oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio. Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore.
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2 risposte a STORIA E COMPRENSIONE DEL MONDO.

  1. Jean ha detto:

    La leggo sempre con passione, le mie conoscenza sono ben altrove, ma con piacere leggo le sue sempre ottime analisi.
    Volevo fare una riflessione, cartografica, lo sa che oltre a ciò che lei afferma, il mondo viene anche rappresentato a livello cartografico in modo errato, con l’Europa e le Americhe più grandi del resto del mondo, o perlomeno in modo “distorto”, sopratutto è evidente come sia rappresentata in modo veramente errata l’Africa, che in realtà è molto puù grande dell’Europa e più proporzionata nei confronti delle Americhe.

    Cordiali saluti

    • pierluigi fagan ha detto:

      Grazie. Sì, Lei pone la questione delle proiezioni Mercatore (quella che vediamo di solito, 1569) e di Peters (quelle con le dimensioni reali che portano a quello da Lei riportato,1973). Magari un giorno ci scrivo su qualcosa sulla cartografia perché è interessante vedere come le immagini di mondo intese in senso culturale ampio, si riflettano sulle immagini del mondo in senso cartografico… . Grazie di avermelo segnalato 🙂

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