DA DOVE VENIAMO ?

[Una riflessione basata sulla review generale degli ultimi guadagni della ricerca paleoantropologica, secondo una serie di articoli pubblicati negli ultimi anni da le Scienze, collezionati nel volumetto “Il cammino dell’uomo” in edicola ad Aprile 2014]

132834034-6bc804f4-c6bd-4985-9d96-5f8a3f0ba13dMentre si offuscano sempre più le possibilità di avere una visione, chiara e confortante, del “dove andiamo?” e si disordina vieppiù la percezione e conoscenza del “chi siamo?”, la ricerca del “da dove veniamo?” subisce una cascata di importanti cambiamenti nei punti di vista che orientano la ricerca paleoantropologica. La paleoantropologia sta sostanzialmente cambiato prospettiva su i suoi oggetti di ricerca, incamminandosi verso una visione nuova del nostro passato.

Da quando leggo e mi interesso di queste faccende passate, siano esse riferite al passato più prossimo che a quello più remoto, da decenni si verifica sempre lo stesso fenomeno: è sempre tutto più antico di quanto credevamo. Perché?

La prima e più profonda causa è nei fondamenti della nostra autonarrazione che ha lungamente teso ad identificare -uomo- con -uomo occidentale-. Noi occidentali contiamo il tempo che conta, da quando il figlio di Dio ha ritenuto di farci visita per spiegarci come stavano le cose e solo perché il papà ce le aveva già spiegate tempo addietro, ma non era stato ben compreso. Come stabiliva l’arcivescovo anglicano Ussher nel XVII° secolo, l’uomo era comparso nel 4004 a.c. secondo il conteggio delle antiche cronologie contenute nel Vecchio Testamento. Nel XIX° secolo ci si è resi conto che le cose non stavano proprio così, ma allora, altri fattori sono intervenuti. La scienza, imponeva di rimanere attaccati alle fonti certe e le fonti certe erano scritte e la scrittura originava da poco dopo l’avvento umano calcolato da Ussher. Le fonti scritte raccontavano delle antiche civiltà, babilonesi, le piramidi, i roveti in fiamme, i greci ed eccoci qui, gli occidentali al culmine della progressione “evolutiva”.science-dna-wallpapers Al canone si accodavano anche gli archeologi marxisti (G.V.Childe) e poi tutti gli altri che sanzionavano che l’homo laborans (l’essenza umana secondo Marx) esordiva con “l’invenzione dell’agricoltura” occorsa 6-8000 af, causa (o causata?) dalla stanzialità, accompagnata dalla prima produzione ceramica. Di 6000 af era anche l’origine delle invasioni indoeuropee che stendevano il primo strato della lingua comune.

Questo canone veniva recepito dalla paleontologia recente che, sotto il dominio esplicativo della biologia molecolare, supponeva che il sapiens apparso 200.000 af, per due terzi della sua esistenza non ebbe manifestazioni di rilievo e solo nell’ultimo terzo, divenne proprio come noi.

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Ne conseguivano tre fatti: il primo era che la causa di questo “salto evolutivo” non poteva che essere una mutazione genetica catastrofica, una “rivoluzione” che aveva creato il novum. La cosa non serviva solo a giustificare l’evento con il principio di causa semplice di chiara impronta riduzionista, stava anche ad indicare un “tesoro”: la conoscenza profonda del DNA per manipolarlo. Richiamo irresistibile per fondazioni farmaceutiche e ricerca&sviluppo degli strateghi militari, generosi finanziatori della costosa ricerca che prometteva nuovi mondi artificiali con cui dominare quelli naturali. 1-s2.0-S0047248404X00129-cov150hLa seconda conseguiva, ed era allontanare il più possibile l’uomo di Neanderthal nella catena di discendenza, tra sapiens e neanderthal c’era un baratro che dava a noi un ulteriore senso di “eletti”, non da Dio, ma dal Caso. La terza era appiccicata a forza ma ci stava bene, ed era che la caratteristica più rilevante della nostra nuova specialità, non era l’autocoscienza o la generica intelligenza che sono concetti indefinibili scientificamente, ma il linguaggio. Ed il linguaggio come sostanza o essenza umana risuonava come -cosa buona da pensare- anche nelle giurisdizioni filosofiche. Lo era nella tradizione logico-linguistica della filosofia analitica anglosassone ma lo era anche nella tradizione ermeneutico-strutturalista-psicanalitica continentale. Un “miracoloso” caso di convergenza epistemica intorno al paradigma linguistico, axis mundi del pensiero novecentesco.

bsl_olduvai_handaxe_channel_624x351Il recentismo è un pregiudizio insito nella narrazione di autofondazione occidentale, tesa ad accreditare la nostra straordinaria unicità. Prima della sequenza, –inventori dell’agricoltura, scribi mesopotamici, architetti piramidali, pastori monoteisti, mediterranei dediti al logos-, si poneva  il sapiens genial-creativo, tecnico, sterminatore di neanderthal, che irrompe in Europa e si mette a dipingere pareti in Francia (del resto non si ha un Gauguin per caso). La consecutio temporum vibra in assonanza con quella logica e il tutto è troppo coordinato per non esser vero. Così tra monoteisti, marxisti, scientisti, complesso culturale anglosassone, pur con diverse ragioni e sfumature, si forma il canone occidentale delle origini recenti, progressive per rivoluzioni e catastrofi che porta “all’uomo in preda al linguaggio”. Ma le cose stanno veramente così ?

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La review contenuta in questo libricino delle Scienze ci informa che no, le cose non stanno proprio così. E vi assicuro che questa sì è una vera rivoluzione paradigmatica, sebbene tutta interna alle nostre forme del pensare. Le ultime novità riguardano tre ambiti della storia delle nostre origini.

sediba--model-head-800La prima novità è relativa proprio al difficile problema delle origini prime, quelle di due/tre milioni di anni fa. I nuovi ritrovamenti scombinano la già confusa trama dei primi fenomeni umani che era già passata dalla linearità semplificata habilis-erectus-sapiens (con qualche rametto fuoriposto), al cespuglio di specie che non hanno avuto un futuro e i cui dati di discendenza e relazione reciproca erano sempre meno chiari. Il nuovo australopiteco sediba, crea ulteriori imbarazzi e rischia di porre veri e propri dubbi ontologici all’epistemologia della disciplina. Ma l’intera faccenda ha espetti molto tecnici che, per la nostra riflessione principale, sono di secondaria importanza.

La seconda novità è più decisiva e riguarda da vicino la storia della nostra specie, i sapiens. I sapiens si palesarono, più o meno, 200.000 anni fa in Africa, forse in Etiopia. Precedentemente, come detto, si divideva la storia dei sapiens in due segmenti. Un primo tratto arcaico un po’ ebete lungo circa il doppio del successivo tratto moderno (70-60.000 af) che presto giungeva in Europa dipingendo, chiacchierando e combattendo contro la natura e l’impero del male dei Neanderthal. Il passaggio tra l’uno e l’altro era la catastrofe genetica. Scava, scava, vien fuori che, appunto, non è così.

m_Pinacle-Point-Caves-1-1156-x-771-600x300Forme di intelligenza articolata e previsionale, di intenzionalità complessa, addirittura di conoscenze sembra assai composite ed evidentemente cumulate, quindi veicolate tramite linguaggio, capacità simboliche, evoluzione tecnica, cottura della pietra per facilitarne la lavorazione e migliorarne l’affilatura, archi, frecce, addirittura una certa qual conoscenza di proprietà chimiche, tutto sembra comparire nei resti che vanno da 70.000 a 165.000 anni fa.

In particolare, colpiscono i ritrovamenti di Pinnacle Point in Sud Africa, risalenti a 164.000 anni fa, lì dove forse una piccola popolazione resistette (fortunatamente per noi) alla avverse condizioni che decimarono la nostra giovane specie, mangiando frutti di mare e tuberi. pigmento-in-polvere-ocra-rossa-cod-4068Forse è questa la nostra famiglia originaria, quella da cui tutti i cowboy, i mullah, i mandarini e i podisti kenyoti discendono, con praticamente nessuna traccia di apprezzabile variabilità genetica. Usavano ocra rossa sebbene ne fosse disponibile anche in altri colori, rossa come il sangue, il mestruo, la vita, la morte. Erano dotati di un universo simbolico e forse anche di un calendario lunare per prevedere le maree.

homoSapiensCambia anche il paradigma interpretativo dell’evoluzione cerebrale. Certo, scatole craniche più grandi ospitano cervelli più grandi, ma adesso invece della conta dei neuroni (principio di quantità) si ipotizza più spazio tra neurone e neurone, per farci cosa? Per farci passare dendriti ed assoni, ovvero ciò che collega i neuroni tra loro (principio di relazione). La progressione delle  dimensioni corrisponderebbero ad un aumento della cablatura e questa porterebbe maggiore complessità mentale. Stiamo passando dal regno della quantità all’alba di quello della qualità?

Ecco che il principio di relazione o interrelazione, quello che trasforma le quantità in qualità, la semplicità in complessità, la linearità in pluridimensionalità, le parti disarticolate in un intero ordinato, compare anche nell’interpretazione di un genetista evoluzionista britannico: Mark Thomas. image_mypersIl nostro che non è il solo che s’incammina lungo questa strada,  ipotizza che gli elementi decisivi per l’evoluzione del sapiens, siano state certo le caratteristiche endogene di tipo filogenetico, ma anche condizioni esogene non solo ambientali naturali, ma ambientali sociali: le dimensioni demografiche. Vi sono semplici maggiori opportunità statistiche, che in un gruppo grande, compaiano idee grandi, pezzetti di idee o pratiche che si saldano le une con le altre, formando sistemi di idee che divengono presto patrimonio di tutti, migliorando la fitness di gruppo. Anche le idee sulla selezione delle popolazioni e non più dei geni  degli individui portatori, si stanno facendo strada rispetto all’unismo imperante precedentemente (l’un gene, l’un individuo più grande, più grosso, più cattivo, più dispotico nel riservarsi tutte le opportunità riproduttive, entrambi strettamente “egoisti”). Insomma “non è questione di intelligenza” chiosa Thomas, “ma di ricchezza di rapporti”. Relazione è il nuovo paradigma, nell’era delle reti, dei sistemi, dei social e della NSA.

Human_migration_out_of_AfricaCirca 30.000 af, il numero di sapiens prese ad aumentare, forse solo per ragioni di logica degli incrementi geometrici, raggiungendo certe densità territoriali. Le nostre capacità in potenza diventavano in atto all’interno di gruppi sempre più grandi e diversi, attivando una circolarità adattativa che migliorando progressivamente la fitness, diminuiva la mortalità ed allungando la vita, lievitava la massa demografica dei gruppi che perciò diventavano più resilienti. Qui abbiamo raccontato come ormai si debba abbandonare l’idea di una scoperta dell’agricoltura che cambiò i nostri destini facendosi diventare stanziali e sociali (quelli di Pinnacle Point ad esempio, erano già stanziali 164.000 anni fa) nei tempi recenti. La pratica dell’agricoltura selvatica, quella stagionale, l’orticultura, è molto, ma molto più antica di 6-8000 af e divenne sistematica solo quando le dimensione demografiche lo richiesero, dimensioni che quelle stesse pratiche contribuivano a creare. Di nuovo certe quantità, se interrelate,  producono la diversa qualità.

E lo stesso libricino di articoli che stiamo qui esaminando, riporta la sottolineatura di un altro di questi fatti demografici poco considerati. Migliorare la fitness portò ad allungare la vita, almeno fino alla prima comparsa dei nonni. Che cosa portò la comparsa dei nonni? Una trasmissione delle conoscenze meno fragile di quella che si verificava da padre a figlio e spesso anche fuori dalla stretta linea parentale, più “sociale”. L’invenzione o l’innovazione, quando compaiono, non sono nulla fino a che non diventano bene comune, poiché si perisce o ci si adatta ed evolve in gruppi, non da soli. chauvetpan1Meglio poi se i gruppi sono tanti, moderatamente diversi e collegati tra loro. Qui anche la linguistica dovrebbe riconsiderare gli studi di M. Alinei che saltava le ipotesi indoeuropee o quella anatolica-accadico-semitica (dai 8000 ai 6000 anni fa), per retrocedere il codice della prima lingua comune (e prima speciazione dei diversi rami linguistici) a decine di migliaia di anni fa, più o meno ai tempi delle nuove datazioni dei comportamenti moderni. I nonni, potevano anche curare i nipoti liberando parzialmente i genitori e l’intera organizzazione sociale ne beneficiò anche in termini di collante sociale, di narrazioni identitarie. Gruppi umani più consistenti in areali di medio raggio, favorivano l’identificazione simbolica, sia del gruppo verso gli altri gruppi, sia degli individui all’interno del gruppo, compariva l’imitazione e la distinzione. Anche lo scambio delle eccedenze a compensazione delle mancanze, che stabilizzava le forniture e la variazione alimentare e tesseva il primo strato delle future civiltà fluviali.

1-neanderthalLa terza novità riguarda i neanderthal. Il vecchio paradigma che distanziava in senso assoluto i neanderthal dai sapiens, con questi ultimi che massacrarono i primi è del tutto tramontato. I più vecchi antenati (forse lo sono, forse sono solo cugini, non si sa), dipingevano, suonavano il flauto, pare potessero articolare almeno tre vocali (prima si pensava non parlassero affatto) e forse cantavano, usavano l’ocra, si dipingevano corpo e faccia, producevano forse piccoli gioielli con conchiglie e si truccavano, si ornavano il capo con piume e seppellivano i loro morti, lasciando fiori sulle sepolture. Questi sono fatti, documentati non meno scientificamente di ciò che si afferma su i sapiens ma il fatto che contraddicano longeve convinzioni mineralizzate in “definitive verità scientifiche” prodotte dal mainstream anglosassone, ne rallenta la ricezione. Ancora impregiudicata la questione dell’ibridazione tra sapiens e neanderthal che risolverebbe l’assurdo mistero sulla loro scomparsa, ma la distanza a salto tra i due è ormai diventata una dissolvenza incrociata.

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Jul_11_PLoSA conclusione, possiamo segnare alcuni punti di questo cammino alla scoperta di quel cosa siamo stati, che potrebbe aiutarci a capire meglio chi siamo e cosa possiamo diventare. Lo storico F. Braudel ci invitava a considerare la storia come percorsa da fenomeni di lunga durata. La lunga durata è una prospettiva che da una parte ci dice che i fenomeni hanno una loro persistenza e che non sono bollicine di eventi che saltano all’attualità a caso, nascendo e morendo in continuazione, dall’altra ci dice che i fenomeni risultano dalla relazione di molteplici fattori e non sono riducibili a meccanismi di causa-effetto semplici, singolari e lineari.

L’overview sul fenomeno umano di lunga durata studiato dalla paleoantopologia che ci è offerto dal libricino in oggetto, ci conferma la consistenza di questa prospettiva del tempo lungo. neanderthal1Conoscevamo il fuoco già quasi un milione di anni fa, parlavamo centinaia di migliaia di anni fa, ci ornavamo il corpo, cantavamo e ballavamo e seppellivamo i nostri cari, piangendone la morte e col tempo, abbiamo sviluppato una mente sempre più sociale. La nostra specie, l’homo sapiens, forse non ha l’essenza nel “sapiens” come il nome vorrebbe. In un certo qual modo siamo stati proto-sapiens anche prima, quel sapiens è forse carattere del genere non della specie. La specie ha forse la sua essenza nell’equilibrio tra le parti che compongono la nostra complessione biologica, quando questo sistema complesso maggiormente equilibrato ha fatto da substrato alle facoltà intellettive e relazionali che già ci erano in buona parte proprie, è nato l’uomo moderno.

I ricercatori della materia, stimano che i Neanderthal avevano un costo energetico per la locomozione del 32% superiore al nostro. Questo significa muoversi di meno e dover trovare più cibo ogni giorno, due condizioni pesantemente restrittive. nature12788-f1Il dover trovare più cibo era necessità del padre, della madre e di più per ogni singolo figlio, la caccia di gruppo a taglie grosse era necessitato ma anche rischioso e doppiamente poiché non sempre andava a buon fine (creando problemi di discontinuità alimentare) e certo non era esente da rischi per l’integrità fisica dei cacciatori. Per le nostre diete miste di vegetali e piccoli animali, i rischi erano ben minori. I neanderthaliani avevano un cervello un po’ più grosso del nostro, ma anche un corpo più pesante e meno agile. “Noi” avremmo dunque avuto un vantaggio non nell’aver qualcosa in più, ma qualcosa in meno. Il paradigma cartesiano ci porta spesso a dividere i corsi della mente da quelli del corpo, ma se gli uomini di Neanderthal, come pare, avevano un corpo così impegnativo, non è che la loro mente fosse poi potenzialmente molto diversa dalla nostra, solo che era votata a far da centrale strategica alla soddisfazione di quelle richieste così più impegnative. La mente che emerge dal cervello è un sistema finito, se la si occupa per a, b, c, non rimane più spazio mentale fisico per sviluppare d, e, f, stante che le condizioni di possibilità per d, e, f, pur sussistono “in potenza” o in forme meno sviluppate di chi ha più spazio per farle lavorare di più nel tempo lungo, rinforzandone il substrato mielinico.

lascaux-mainsLa ricerca delle cause che ci giustificano e giustificano l’insuccesso di alcuni tra gli antenati, diventa così la ricerca di quadri interi, fatti di più componenti e variabili, endogene ed esogene, non di un causa decisiva allo steso modo che i fenomeni storici non vengono orientati da questo o quel fatto o uomo del destino, ma dallo svolgersi tortuoso e complesso di sciami di cause. Alcune poi dirette, ma molte anche indirette, per sottrazione di fattori e non sempre e solo per aggiunta. O perché prima reprimevano il manifestarsi di qualità, che poi vengono liberate da nuove condizioni di possibilità.  Il nostro maggior equilibrio nei fattori che ci costituiscono, ci ha fatto vivere un po’ di più, ci ha fatto esplorare le possibilità con un raggio d’azione un po’ maggiore, ci ha permesso la coltivazione di un maggior numero delle potenzialità che ci sono geneticamente proprie, ci ha permesso una maggiore diversità tipologica e quando il numero ha raggiunto la soglia critica, ci ha fatto esplodere in una nuova condizione adattativa: le società degli umani.

La società umana è la nostra più caratteristiche dimensione. Non che prima non fossimo sociali, ma società piccole e disperse in grandi territori, non creano la fenomenologia che creano società più massive e a maggior densità territoriale. manoChissà quanto volte abbiamo inventato e reinventato daccapo le stesse cose, senza trasmettercele tra generazioni. La società ha rappresentato un vantaggio per un lungo tratto della nostra storia. All’adattamento ed alla selezione, ci siamo presentati in gruppo, nascondendo all’interno della corazza sociale i nostri vecchi, i nostri figli, i malati, i meno abili. Ma questi meno abili alla forza, hanno poi mostrato utilità intellettiva e relazionale, i malati poi sono guariti alzando la contabilità demografica, si è abbassata la mortalità dei figli ed i nonni hanno retto la nuova struttura sociale, dandole “la colla che unifica”.  Anche la società va vista come un intero più della somma delle parti. Risolto vieppiù il problema del rapporto con le condizioni naturali, ci siamo dedicati allo sviluppo sia della società collettivamente intesa, sia delle nostre facoltà adattive individuali, adattamento alla società, non alla natura.

Questo, come detto, ha rappresentato per lungo tempo un indubbio vantaggio, ma come sempre accade, così come in ciò che ti insidia c’è ciò che ti salva, al contrario, in ciò che ti salva si annida ciò che poi può rappresentare una insidia. atapuerca-ok-finL’adattamento presenta sempre nuovi quadri e i nuovi quadri richiedono nuove attitudini. L’insidia è quella dell’aver perso di vista la natura, il problema che avevamo risolto con la società. La società non è un ente autocosciente, autocosciente è solo l’individuo. Se l’individuo è tutto teso ad adattarsi alla società, chi sovraintende ai rapporti tra società ed ambiente? Quando si arriverà, se non si è già arrivati, al punto di rottura della relazione società umane – ambiente, chi lancerà l’allarme? Chi lo riceverà? Chi potrà resettare le forme sociali al fine di allontanarsi dai punti di rottura? Quale intenzionalità condivisa si potrà formare per dotare le nostre società di un cervello collettivo che le renda non solo corazzate, ma anche intelligenti?

E’ questo in breve il gradino adattativo al quale siamo giunti, riuscire ad usare le nostre società come enti omeostatici, biologici, cibernetici, elastici. neandertals1Enti di cui prendere cura perché non basta più costruire una testuggine sociale, armarla e regolarne i rapporti interni in base ad un paradigma religioso o militare o economico. Le nostre società debbono evolvere e non evolveranno per catastrofe genetica. Debbono assumere intenzionalità condivisa. Quello che in una società di individui umani più corrisponde ad un salto genetico è l’adozione di un nuovo paradigma culturale poiché noi enti autocoscienti agiamo e ci regoliamo in base al rapporto tra ciò che siamo e ciò che pensiamo. Ciò che siamo biologicamente, cambia molto lentamente, l’unica arma adattativa che abbiamo per cambiare velocemente è il sistema delle nostre idee.

L’essenza di questo paradigma l’abbiamo incontrata più volte in questa analisi delle idee che emergono dalla ricerca della risposta al “da dove veniamo?” che illumina anche il “chi siamo?” e ci fornisce un chiaro orizzonte del “dove dovremmo andare?”. –Relazione-, noi siamo relazione, l’adattamento è relazione, le società umane sono sistemi di relazione e debbono imparare ad aver nuove relazioni tra loro e tra loro e l’ambiente che le ospita. Questo il nostro immediato traguardo adattativo, vivere, pensare, agire –come se– il significato centrale di tutto ciò che è,  fosse la relazione, il primo principio e causa “dell’essere in quanto essere”.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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