QUATTRO COSE PER ORIZZONTARSI NEL GIOCO DI TUTTI I GIOCHI.

C’è un gioco che condiziona tutti gli altri giochi. Condiziona significa che ne determina le condizioni di possibilità e, talvolta, financo gli esiti. Che sia l’euro o l’Europa o la sovranità nazionale o la Siria o i migranti o la disoccupazione o il bilancio dello stato o il ruolo di certe élite, tutti i giochi si giocano in un gioco più ampio di cui, soprattutto in Italia, c’è assai scarsa conoscenza. Paese che ha perso la guerra, capitalistico per certi versi ma ancora “ancien règime” per altri, umanistico e financo religioso quanto mai estensivamente scientifico, più idealista che illuminista, ancora fratturato dalla questione meridionale, ripiegato nel confort del proprio paesaggio, tradizione e gastronomia, sempre più estraneo al mondo. Sarà bene allora far pratica di conoscenza con questo gioco di tutti i giochi perché anche se facciamo finta di non saperlo, noi siamo anche pedine di questo gioco.

  • La prima cosa da considerare è che le condizioni interne di un sistema dipendono in gran parte dal suo esterno.

Quando analizziamo lo stato di potere, di forza e di salute di una civilizzazione, di uno stato, di un sistema economico, dobbiamo prioritariamente riferirci a quali sono i suoi rapporti con l’ esterno. Il suo esterno è ciò che lo contiene e i tre stati qualitativi dipendono in gran parte dall’assetto della relazione che il sistema intrattiene con ciò che lo contiene. compare-countries-money-01Lo scenario ultimo, quello che non dipende da altri ma da cui tutti dipendono è quindi, semplicemente, il mondo. Il mondo è il contenitore di tutti i sistemi.

Nel mondo, oggi, si muovono diverse forze ma le principali, quelle che lottano l’un con l’altra per il controllo migliore del mondo sono due. Una è gli Stati Uniti d’America. Gli USA sono la forza di gran lunga dominante e il loro dominio proviene da almeno sessanta anni di potere sostanziale sul mondo o quantomeno su sua larga parte. L’altra non è una singola forza ma un potenziale sistema, un sistema che al momento non è ancora tale essendo ancora allo stato di aggregato. Tale aggregato, passibile di divenire un sistema, è formato da tre entità: Germania, Russia, Cina. Queste tre entità coprono tutte e tre le parti del continente euroasiatico, Germania ad ovest, Russia al centro, Cina ad est. Se queste forze minori, si saldassero in sistema, è la semplice geografia che determinerebbe la struttura portante del potere sul mondo, gli USA diventerebbero un satellite del centro del mondo ed i satelliti non hanno alcuna autonomia, dipendendo da ciò intorno a cui gravitano. Se e per quanto avere un mondo dominato dagli USA e se, quando e come, avere un mondo diverso è il Grande Gioco.

  • La seconda cosa da considerare è la natura sistemica dei giocatori del gioco.

Gli USA sono un sistema, l’aggregato Germania – Russia – Cina no, è un sistema potenziale. Gli USA sono un sistema perché sono uno stato-nazione, con un paio di secoli di storia e senza un ingombrante passato. Non è quindi percorso da linee di faglia interne per quanto tutti i sistemi molto estesi sono sempre a rischio di frattura. L’unità degli Stati Uniti significa un unico sistema politico, militare, economico, culturale, religioso che riporta ad un centro intenzionale, un potere o un gestore centrale in grado di far muovere il sistema come un organismo unico. Gli Stati Uniti sono posizionati su un’isola con due oceani ai meridiani e nessuna seria minaccia ai paralleli, sono quindi una fortezza isolata ed inespugnabile. Il gioco in difesa degli USA sarà sempre un gioco in attacco, sarà cioè un gioco che si svolge fuori dei propri territori, sul continente euroasiatico o altrove ma mai sul proprio territorio. La posta del suo gioco è il controllo di buona parte del mondo, da questo controllo deriva il suo benessere.

L’aggregato Germania – Russia – Cina (GRC) invece non è un sistema.

La parte di massima estensione spaziale, la Russia, ha uno popolazione che è poco meno del doppio di quella tedesca ed un decimo di quella cinese. Essa non esercita alcuna forza di gravità ad est dove la massa cinese è padrona del campo, esercita una forza di gravità naturale nel centro-Asia ed esercita una forza di gravità contrastata sul suo ovest dove una serie di stati europei si trovano in mezzo tra la Russia e la Germania. Qui è la storia recente più che la geografia o la storia profonda a segnare le dinamiche. Questi paesi che “stanno in mezzo” furono satelliti dell’’URSS ed hanno un ricordo assai sgradevole della perdita di autonomia che connotò quella fase storica.

Map of GfK purchasing power Russia

Map of GfK purchasing power Russia

Essi quindi cercano e cercheranno in tutti i modi di sottrarsi al risucchio gravitazionale russo. In questi casi, si cerca un altro centro di gravità che possa contrastare quello da cui si vuole evadere. Sembrò che l’Europa e la Germania potessero rappresentare questa alternativa ma l’Europa non è a sua volta un sistema e la Germania è troppo debole per esercitare questo ruolo. Così, sono diventati il perfetto pied à terre per gli Stati Uniti  in cerca di alleati fidati nel territorio euroasiatico che è lì dove si gioca la partita. La Russia ha un centro politico forte ed una forza atomica e militare altrettanto competitiva (essendo l’eventuale gioco militare dettato dalla forza più forte, cioè l’arma atomica, la consistenza delle tre armi tradizionali -terra/aria/mare- è importante fino ad un certo punto. La guerra condizionata dall’atomica è una guerra di pura e semplice altrui distruzione non di conquista territoriale come è stata nei millenni passati). La Russia non ha una economia forte, né alcuna capacità di egemonia culturale. Come la storia insegna, la Russia non si può “conquistare” poiché ha sempre un territorio alle spalle nel quale rifugiarsi ma può essere seriamente danneggiata ovvero resa relativamente impotente.

La Cina ha una estensione territoriale meno vasta dell’apparente essendo altissima la sua composizione demografica ed essendo più di metà del suo territorio difficilmente abitabile. La Cina ha una fragilità intrinseca che è la sua totale dipendenza quanto a fornitura di acque dolci da un territorio specifico, il Tibet. La nuclearizzazione mirata delle fonti fluviali tibetane, porterebbe ad una carenza d’acqua drammatica. Sebbene si siano verificate tensioni nella consistenza interna (Tibet e Xinjang), la Cina non è facilmente divisibile al suo interno come per altro la Russia. Intorno, la Cina ha potenziali partner e potenziali nemici, i potenziali nemici possono ovviamente essere amici dell’avversario. Il principale è il Giappone. Con l’India i rapporti sono variabili ma non è né nella storia e nelle tradizioni, immaginare evoluzioni negative (una guerra indo-cinese) o positive (una concreta alleanza indo-cinese). Comunque delle due, è semmai più probabile la seconda che non la prima. La Cina ha dunque un problema nel suo stesso intorno perché ognuno degli stati che la circondano, può diventare pied à terre per l’eventuale nemico in un confronto dichiarato. La forza economica della Cina è basata su quella che è anche una debolezza in termini strategici, una massa demografica enorme. I richiami allo “sviluppo armonioso”, il recupero delle linee di saggezza strategica addirittura del periodo china_water_stress_2confuciano, sono equivocate in Occidente. Per la Cina, queste direttive sono ontologiche, quindi senza alternative, un cinese che ha cuore il proprio sistema, sa da migliaia di anni che: a) internamente deve prevalere la concordia alla discordia perché il territorio non consente la presenza di parti in competizione pena la guerra eterna ed inconcludente (cioè senza scopo possibile); b) ogni diversione esterna peggiora l’equilibrio, già di suo problematico, della concordia interna. Chi immagina una Cina imperialista che si lancia alla conquista del suo mondo circostante, non sa quel dice. Ciò ovviamente non toglie che il sistema cerchi in altri modi il controllo del suo intorno ma è più un legare che un controllare. La forza militare della Cina non è nota. Si suppone non sia molto competitiva in assoluto ma si teme (dal punto di vista americano, ovviamente) abbia sviluppato qualche “sorpresa”. Il potere cinese, da sempre, ha nella strategia e nel tempo, un suo a priori. Quindi i cinesi, da quando decisero di aprirsi al mondo, avranno sviluppato una simulazione ampia di scenari e previsto almeno a livello di pensiero, diverse alternative. A che punto è la realizzazione pratica di queste alternative, quelle militari e dei sistemi d’arma nello specifico, non sappiamo e non sappiamo neanche se lo sanno o pensano di saperlo i vertici strategici USA.

La Germania è, dei tre, il sistema più squilibrato e problematico. Del tutto privo di autonomia militare, questo ne fa un paese a sovranità zoppa. Con una estensione territoriale contenuta ed una contenuta popolazione, l’unica vera forza della Germania è la posizione e l’economia. Ma come spesso accade, i punti di forza hanno le loro debolezze. Posizione ed economia, in Germania, sono direttamente correlate.  Una buona parte della sua forza economica è dovuta a: a) dominio del sistema monetario dell’euro che le dà una serie di vantaggi noti, nel controllo delle relazioni economiche con Francia, Italia, Spagna, nord Europa. La Gran Bretagna, notoria seconda gamba del sistema anglo-sassone, è fuori da questo raggio sebbene rimanga un vicino geografico; b) mantenimento del sistema mondiale degli scambi dove esercita, tramite una politica economica mercantilista, un ruolo di rilievo assoluto. Se però si arrivasse ad una qualche perturbazione di tale mercato mondiale (se si arrivasse ad un irrigidimento nel confronto delle forze, non necessariamente una guerra vera e propria) la Germania sarebbe, con la Cina, una delle prime entità a risentirne. La Germania è un sistema al centro di un parallelogramma di forze. L’unica alleanza non problematica e naturale è con i paesi del Nord Europa. Con gli altri europei il rapporto è di cuginanza conflittuale e per altro, sino ad oggi, la Germania non ha mai mostrato reali capacità egemoniche che tra l’altro non fanno assolutamente parta delle sua storia, né di quella del continente. Quanto fatto a Luglio scorso alla Grecia, ricorda (semmai ce ne fosse stato il bisogno) a Francia ed Italia, cosa significa avere a che fare coi tedeschi. Naturalmente antagonista è il rapporto con il Regno Unito. Interessata ad screen-shot-2013-05-31-at-2-10-43-pmallargare la sua egemonia ad Est andando incontro alla richiesta di maggiori legami proveniente dalle nazioni in fuga dal “Grande orso russo”, non ha mostrato reali capacità di saper gestire questo possibile incontro. Per altro, deve sempre bilanciare questo suo eventuale interesse espansivo con la necessità di non mettersi in urto con la Russia. Se alla Germania fosse permessa una amicizia organica coi russi, nel contratto si potrebbe prevedere lo spazio consentito all’espansione d’influenza tedesca ma a questo punto agisce l’altra forza traente, gli Stati Uniti d’America. I rapporti tra Germania e Stati Uniti sono assai complicati. Storicamente, non c’è simpatia ma ricordiamoci che sia gli Angli, sia soprattutto i Sassoni, originano proprio da quelle terre. La Germania è stato protettorato statunitense lungamente dopo la Seconda guerra mondiale e tutt’oggi, la forza militare tedesca è americana. La Germania dipende vitalmente dai rapporti con i cugini europei che possono, all’occasione, giocare sull’amicizia interessata con gli USA per bilanciare la maggior forza tedesca. In sostanza, la Germania dipende dall’esistenza di quella globalizzazione che gli americani hanno senz’altro favorito ma che potrebbero revocare anche solo in parte (ad esempio diminuire o rendere meno facile quella delle merci ma mantenere in quella dei capitali dove controllano l’intero sistema), proprio per mettere in difficoltà eventuali competitors geopolitici. Né la leadership interna, né le condizioni di possibilità esterne, permettono a questo punto di pronosticare una facile soluzione del “problema Germania”.

  • La terza cosa è simulare i possibili sviluppi del gioco.

Prima però bisogna dire qualcosa anche sul sistema forte. Se i tre GRC sono ancora un aggregato potenziale e non un sistema, la cui analisi delle forze indica qualche luce e molte ombre, l’unico vero sistema esistente e quindi il player più forte, come esce da una analisi che si sforza di essere realista? Gli USA partono con quattro punti di forza ed uno di debolezza. I punti di forza sono: A) come detto, gli USA, sono l’unico vero sistema, unito e compatto. Hanno inoltre una lunga tradizione di controllo del mondo e quindi un expertise. Possono disordinare gli altri più o meno a piacimento e molto difficilmente possono essere disordinati; B) la potenza militare degli Stati Uniti è inarrivabile anche si geopolitics-of-myanmar-26-638 (1)mettessero assieme le forze dei tre aspiranti poli di un nuovo sistema. Tra l’altro, al di là delle contabilità delle armi, il solo fatto che da una parte c’è un sistema unico e rodato e dall’altra un sistema nuovo, fa partire questo secondo in deciso svantaggio; C) la potenza più che economica, finanziaria o banco-finanziaria. Dal dollaro al sistema Wall Street – la City – l’offshore, gli Stati Uniti sono in grado non solo di controllare relativamente ma sostanzialmente i competitors ma anche tutti gli altri. Ci sono infatti coreani, australiani, indiani, iraniani, sauditi, israeliani, egiziani, turchi, africani e sud americani oltre che i rissosi e casinisti europei occidentali (e gli affamati ed impauriti europei orientali) nel Grande Gioco e tutto il Grande Gioco verte sul sistema banco-finanziario-off shore anglosassone. In un modo o nell’altro, tutte le élite del mondo hanno i propri soldi in quel sistema e sono le élite a decidere i destini dei popoli. D) Gli Stati Uniti, rappresentano ancora la certezza del sistema vigente che tutti consociamo e non è mai facile lasciare il conosciuto per lo sconosciuto. La loro egemonia è hard nella struttura ma le popolazioni poco o niente sanno di strutture, per lo più hanno contatto con le sovra-strutture e sul piano sovra-strutturale, il soft power americano, ancora oggi, non ha rivali. Se idealmente chiedessimo a chiunque se preferisce stare sotto l’egemonia apparentemente benevola americana o sotto quella tecno-ottusa dei tedeschi o quella alieno-repellente dei cinesi o quella neo-zarista dei russi, non v’è dubbio che buona parte del mondo sceglierebbe 12011252_10200919372262375_3775720435697685862_nancora gli yankee. Il punto è che l’alternativa all’egemonia americana non è un’altra egemonia ma l’autonomia. In teoria tra egemonia anche benevolente e piena autonomia non c’è partita ma raggiungere l’autonomia è un problema ciclopico, questa è l’inerzia su cui giocano gli americani.

Gli USA hanno quindi quattro unti di forza, la debolezza allora qual è? La debolezza è che gli Stati Uniti, possono solo perdere, di più o di meno, più velocemente o lentamente ma possono solo perdere. Gli USA dipendono strutturalmente da un forte controllo su più o meno tutto il mondo ma il mondo è giunto ad un livello di complessità tale che nessuno può sensatamente pensare di controllarne l’intera complessità. Su questo non c’è dubbio alcuno. La partita è certo molto complessa ma GRC sono solo la cuspide di un possibile sistema mondiale, il sistema multipolare. La vera posta in gioco nel Gioco di tutti i giochi e questa: un polo americano a governo, con geometrie variate, dell’intero sistema o comunque della parte maggiore o l’apertura di una nuova fase di mondo con un nuovo gioco complesso che coinvolge diversi poli.  Tutti tranne gli USA, avrebbero interesse ad aprire una nuova fase planetaria in cui tutti giocano con tutti (con o contro), in cui ognuno si possa giocare la sua partita, in cui anche il più remoto staterello periferico possa giocarsi la sua ricerca di autonomia relativa pasandosi ora di qui ora di là in qualche tenzone locale, portandosi a casa comunque un qualche maggior vantaggio che non fare da colonia a qualche macro-sistema dominante. C’è infatti una seconda corona di stakeholders interessati al Grande Gioco ed è nell’elenco riportato precedentemente. Assicurare a tutti il loro interesse non è facile. La realtà è sempre più complessa della teoria per cui pur zoellick-20090929essendoci un oggettivo interesse di tutti al nuovo sistema multipolare, c’è comunque e per lungo tempo di sarà (basta vedere gli stati europei e il loro harakiri – seppuku (切腹) – dell’interesse oggettivo nei rapporti con i russi per compiacere il sistema dominante americano) un gioco asimmetrico di resistenze, ricatti, inerzie, attriti, che freneranno l’esplicarsi di un fronte attivo in favore dei nuovi equilibri. Sarà una transizione, una transizione lenta e difficile.

Tra l’altro conviene a tutti sia una transizione lenta perché se il sistema americano dovesse trovarsi in seguito ad una forte contrazione in una improvvisa, grave, crisi ontologica, si rischierebbe tutti un qualche colpo di testa della bestia ferita ed una bestia con qualche migliaio di testate nucleari, può decidere di morire portandosi appresso molte altre bestie attorno a lei. Sarebbe un funerale assai affollato. Questa è una incognita che ha molti gradi. In sostanza, non è facile rispondere alla domanda: quanto possono contrarsi gli Stati Uniti d’America senza perdere la loro natura essenziale che li obbligherebbe ad una svolta storica di riconfigurazione della mentalità e delle strutture del loro vivere associato, dall’esito assai incerto? Nell’incertezza, cautela è obbligo.

  • La quarta cosa è tentare di prevedere il reale svolgersi del gioco.

A questo punto è chiaro che gli Stati Uniti, giocheranno il gioco di difesa della loro posizione di controllo cercando di limitare, ritardare e rallentare la crescita di competitività degli avversari. Il miglior modo per farlo è metterli in difficoltà. Lo sviluppo di questa nuova fase dei rapporti internazionali ha già visto le prime mosse. La prima in assoluto è stata il varare una strategia di compattamento dello schieramento USA&friends. TTIP-mapCiò sta avvenendo con la promozione dei tre trattati (TPP, TTIP, TISA) commercial-giuridici che possono creare una piccola globalizzazione centrata su gli interessi e soprattutto gli standard, americani. Gli standard (giuridici e normativi), cioè la fissazione del regolamento di sistema, sono financo più importanti dei vantaggi commerciali perché creano una forma forte che, nel tempo, omogeneizza le strutture politiche ed economiche, rendendo il processo quasi-irreversibile. Coi trattati, gli USA non promuovono sesso ma un matrimonio. L’andamento di questo pezzo di strategia è contrastato ed il suo happy end (che sarebbe un punto di vantaggio quasi decisivo per gli Stati Uniti) è tutt’altro che scontato. La seconda è il rafforzamento dei legami militari diretti (NATO) ed indiretti. Il terzo è stato l’operazione Ucraina, tesa prioritariamente a creare un motivo di tensione nei rapporti Russia – Europa di modo che non si saldasse un mercato dei comuni interessi (energia vs tecnologia con flussi di investimenti incrociati). 76b419815558999f29bd279bebe7186bIl quarto avanza a piccoli passi ed è una sorta di tortura cinese inflitta ai cinesi stessi. Che sia il Tibet, il Mar cinese, rivolte ad Hong Kong,  il riarmo giapponese, la tensione confinaria tra le due Coree, il rifiuto momentaneo di includere lo yuan nel paniere IMF, i crolli di Shanghai e chissà cos’alto che non sappiamo, la pressione verso il Paese di Mezzo crescerà e sarà continua. Altresì, si agirà su tutta la corona di stati confinanti com’è dichiarato pubblicamente nella strategia obamiana “pivot to Asia”. E’ stato naturalmente previsto che, come sta avvenendo, russi e cinesi superino la loro reciproca diffidenza naturale (sono infatti paesi con frontiere in comune) e creino una alleanza almeno difensiva ma se volete dominare un gioco molto complesso, il diminuirne la complessità (amici vs nemici) è il primo passo di buonsenso che potete compiere. Bisogna poi vedere se e quanto cambierà questa strategia col cambio d’inquilino della Casa image_largeBianca.  Il quinto è stato creare un sistema che tende all’ordine ma rimane in perenne disordine sebbene controllato, nel Medio Oriente. Questa mossa non ha altro intento che evitare di formarsi un ordine spontaneo e permettersi un progressivo disinteresse sull’area, stante che gli USA hanno investito storicamente molta attenzione e soldi su di esso. Ora però il gioco principale è un altro e questa regione non può più assorbire cotanta energia. Per cui: a) dotarsi di energia in proprio (gas di scisto); b) sdoganare l’Iran come forza di un rettangolo formato anche da Arabia Saudita, Egitto e Turchia quanto a mondo arabo, pentagono con Israele come libera variante; c) alternare carezze e schiaffi (Isis, Iraq, Yemen, Siria, accordo con l’Iran) per agitare le acque ma mai fino in fondo. Tra shale gas e controllo indiretto del mercato petrolifero arabo, si può altresì privare la Russia del potere scaturito dagli enormi giacimenti di gas siberiano.  Il sesto è il più facile e riguarda l’Europa. L’Europa produce internamente il proprio disordine in maniera naturale per cui basta stare a guardare e pigiare qualche tasto ogni tanto, tanto il grosso del casino lo fanno da soli. russia-wants-war-us-bases-sarcastic-mapQuesta considerazione vale per l’Europa ma più in generale per il mondo intero data la sua crescente complessità la cui natura caotica (in attesa dei tempi lunghi dei processi di auto-organizzazione) è implicita. La riduzione coatta della Germania s’impone sia per ragioni geo-politiche sopraesposte, sia per convertire gli europei ad una più convinta politica monetaria espansiva che aiuti a non grippare il motore del capitalismo mondiale affetto da rischi di “stagnazione secolare”, contando sulle sponde italo-francesi. Il settimo è quello di rinunciare gradatamente alle strutture della globalizzazione delle merci (restringendola alle aree dei trattati) che oggi favorisce più la Germania e la Cina che gli USA ed intensificare quelle della globalizzazione finanziaria ed, ovviamente, gestire la contrazione di potenza del dollaro.

La strategia è quindi negativa ovvero distruttiva (distruggere forme d’ordine alternativo) e quindi diretta a creare ordine dal disordine. Il disordine è quello che si vede e sempre più di vedrà, sia perché naturale, sia perché c’è un attivo agente disordinante, l’ordine è ciò che rimane del potere unificato americano: tanto più gli altri combatteranno col disordine, tanto più loro manterranno una facoltà di ordinare (mettere in ordine e ordinare nel senso di comandare).

La contro-strategia dell’aggregato aspirante sistema è giovane ed incerta. I BRICS sembravano una premessa di coordinamento sistemico agito su gli interessi economico-finanziari ma è bastata l’avvisaglia di una contrazione del sistema economico mondiale e qualche operazione mirata di disordine finanziario e valutario per indebolire molto le volontà. Lo SCO (Shanghai, Cooperation Organization), l’alleanza russo-asiatica è un processo lento che comunque procede. L’asse russo-cinese si è recentemente saldato ma va ricordato che l’amicizia tra i due popoli non è mai esistita. La Cina sta lanciando la sua nuova super-banca di investimenti, stile IMF/WB ma bisognerà vedere quando sarà operativa e quali sono i progetti. L’idea centrale è quella di infittire le relazioni economiche lungo i due assi detti “Vie della Seta”, dal polo cinese a quello euro-tedesco, via Russia e non solo. Tutto questo ed altro ancora, sconta il fatto che non è facile fare mentre è molto più facile non far fare o sabotare. Una strategia distruttiva contro una costruttiva ha costantemente la meglio nel breve-medio periodo. Nel lungo periodo è un altro discorso.

Una sguardo specifico, voglio infine riservare al problema militare visto che molti temono la Terza Guerra mondiale. Il primo movente del creare tensioni è evitare relazioni pericolose per la posizione americana. Il secondo, quando le tensioni prendono la dimensione militare, è creare un costo. La struttura economica del bilancio americano prevede storicamente il costo militare, quello degli altri no, inoltre gli americani hanno il dollaro, gli altri no. Anche solo dover prevedere un minimo o un massimo se la tensione cresce, di improvement dei costi di armamento, crea una difficoltà a chi ha bilanci al limite della capienza e tende a concentrare gli investimenti nello sviluppo economico. La provocazione continua ed incrementale, gli appelli a gli europei affinché B8MFbGxnon facciano conto supinamente sull’ombrello americano, il preoccuparli perché la Russia si mostra aggressiva (che poi sia in effetti solo difensiva non importa data la capacità di manipolare l’informazione mainstream), l’incitarli ad armarsi per proprio conto, hanno tutti fine nel sabotaggio degli equilibri di bilancio sapendo che un bilancio squilibrato porta o all’IMF, quindi alla dipendenza finanziaria o a premere sul tessuto sociale di modo che le popolazioni siano sempre più nervose e le loro élite sempre più preoccupate e quindi desiderose di soluzioni di ricambio  della leadership, facili ed immediate. Col soft power, fondazioni, servizi segreti, primavere, ong, massoneria, amici degli amici o altro si potrà poi ben infilarsi nei processi di ricambio delle èlite fallite promuovendone di nuove, ovviamente “amiche”. Poiché strutturalmente inglobato nel bilancio USA, il costo militare lì è addirittura un keynesismo oltre che il volano del famoso complesso militare-industriale-tecnoscientifico. Quindi i “problemi del mondo” per gli USA, sono vitali per controllare il suo esterno ma anche perché trainano il funzionamento interno. Le crisi locali poi sono dei precisi esperimenti di controllo indiretto delle situazioni. Una “crisi baltica” ad esempio, galvanizzerebbe i paesi est-europei, continuerebbe a mettere in difficoltà i russi già sotto sanzioni e col prezzo del gas in saldo ma disturberebbe anche ogni velleità autonomista della Germania.

Credo si possa suggerire, a chi segue i fatti del mondo, di mettersi comodo. Emergerà una sempre più intricata complessità ed apparente contraddittorietà nello sviluppo delle due strategie, la costruttiva e la distruttiva. Siamo in una transizione epocale e quindi i tempi non sono brevi. Certo, c’è sempre il rischio che maneggiando provocazioni, testate nucleari, ardite manovre from behind, qualche cosa vada storto ma non è reale interesse di alcuno far diventare il Grande Gioco, un Grande Dramma. Una guerra aperta tradizionale non è possibile per via del nucleare e una guerra aperta nucleare non avrebbe senso. Questa è una delle contraddizioni insite nel nucleare che gli strateghi dei giochi americani ben conoscono, avendola sfruttata lungo tutta la Guerra Fredda.

Working on the Next Move: Axis & Allies 1942 SE TournamentE’ un Grande Gioco davvero, il più grande si sia visto nella nostra storia planetaria, il primo che prevede per campo il pianeta intero. Sarà una lunga e tortuosa transizione alla fin della quale il mondo si troverà in uno stato strutturale nuovo, quella che chiamiamo l’Era della complessità. Ci vorrà molto o poco tempo? Sarà confusa ma infine sostanzialmente pacifica sebbene punteggiata da micro-conflitti e forti tensioni o transiterà com’è tradizione occidentale attraverso un qualche olocausto? E noi, noi qui, nel nostro immediato “quartiere di mondo”, cosa e come vivremo, in quale struttura più fine di quella qui tratteggiata, ambienteremo la nostra ansiosa e preoccupata esistenza? Ci torneremo su un’altra volta.

[L’analisi segue una precedente che trovate anche qui confermandone l’impianto. Nulla, nell’anno trascorso e nelle molte cose successe, ha modificato sensibilmente la mia interpretazione. Nella mancanza di palesi falsificazioni, vi leggo un auspicio di fondatezza anche se un anno, per lo sviluppo del Grande Gioco, è ben poca cosa…]

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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19 risposte a QUATTRO COSE PER ORIZZONTARSI NEL GIOCO DI TUTTI I GIOCHI.

  1. Massimo Ammendola ha detto:

    Sempre lucidissimo. Vogliamo al più presto il sequel!

  2. Paolo Bartolini ha detto:

    Nessuno insegna il futuro, ma tu il presente e le sue linee di fuga sai vederlo davvero bene. Complimenti vivissimi Pierluigi e grazie per l’intelligenza, Paolo

  3. Leonardo ha detto:

    L’analisi è interessante e sostanzialmente condivisibile, almeno nella prima parte.
    Nutro qualche dubbio sulla seconda, in cui si delinea la strategia statunitense in sette punti tesa a rallentare e posticipare la crescita di un mondo multipolare.

    Probabilmente il mio dubbio è causato semplicemente dalla mia incapacità di vedere oltre l’orizzonte con la chiarezza dell’autore, ma per esperienza tendo ad essere un po’ scettico quando mi si presentano scenari in cui una delle parti in causa appare iper-efficiente e dotata di una tale chiarezza di visione del presente e del futuro da permetterle di sviluppare una così coerente e sinergica azione strategica.
    Soprattutto quando, come negli ultimi tempi, la classe dirigente americana sembra aver inanellato una serie di insuccessi a livello tattico (Ucraina e Siria ad esempio, almeno sul piano dell’immagine), penso sia naturale domandarsi se la sua azione possa essere meno programmata di quanto appaia a prima vista, e chiedersi se in effetti di tanto in tanto non stia semplicemente navigando a vista, cercando di cogliere impreviste opportunità e rintuzzare quelle altrui.
    Per dirla in altri termini: siamo davvero sicuri che gli USA abbiano ancora costantemente l’iniziativa e che non siano invece talvolta costretti a reagire?
    Quello che vedo non mi appare come un’azione sempre così coerente e lucida, ma talvolta come il risultato di processi interni conflittuali tra rami di una amministrazione che magari hanno gli stessi obiettivi strategici, ma diverse opinioni sul modo di raggiungerli (trasversalmente all’ortodossa divisione in partiti Liberale e Repubblicano).

    Per quanto mi riguarda mi trovo confuso, sempre con la sensazione di un processo analitico che rischia di oscillare tra la sottovalutazione e la sopravvalutazione della competenza degli attori in campo.

    • pierluigi fagan ha detto:

      La sua nota ha le sue ragioni. Nell’affrontare l’argomento si possono trovare due filoni principali di impostazione analitica, quelli da lei individuati: la sopravvalutazione ipercoerente e razionale, la sottovalutazione dei sopraffatti dalla complessità. Io credo che: a) esistano analisi a priori. Washington pullula di think tank, ci sono circoli, riviste, centri studi, gente per certi versi assolutamente preparata (e molto ben pagata) che fanno solo questo e lo fanno in nome e per conto di una potenza che ha responsabilità vaste di potere multilivello su più o meno tutto il mondo. Cioè non stanno scrivendo per una rivistina o per un sito Internet, sono professionisti e sono bravi da quello che mi ha dato da leggere; b) non solo tali analisi e relativi piani sono plurali ovvero partono da diversi punti di vista, metodologie, finalità (a volte anche conflittuali) ma poi vengono passati ad intermedi che collegano il mondo del pensiero strategico con quello politico che come lei nota non è poi riducibile solo a due monolitici partiti. Poi si sale al piano politico vero e proprio, a livello di influenti le decisioni del potere. Ma quale potere? Io ho semplificato dicendo che negli USA c’è “un” potere, invero ce ne sono molti.Infine, c’è l’attrito con la realtà, il far di necessità virtù, l’improvviso non previsto che nell’universo liscio delle idee, non è mai descritto perché trascende le nostre facoltà analitiche ed indebolisce la pretesa di ogni nostro discorso.

      Ciò detto, credo che il piano TTIP, TTP, TISA esista (questo più che altro è un fatto). Anche lo sviluppo NATO è un fatto. Così il pivot to Asia che è pubblicamente noto come “dottrina Obama” e studiato e commentato sulle principali riviste di politica internazionale. Conseguire da questo la strategia del continuo disturbo dei cinesi è una tentazione alla quale non mi sono sottratto, lo ammetto. Anche il presupposto “piano Medio Oriente” è una deduzione dell’autore. Venne espressa pubblicamente solo dal presidente del’Egitto, il fratello musulmano Morsi e Lei si domanderà che rapporto si può rintracciare tra Morsi ed Obama. Secondo me ci fu tale rapporto anche se il comportamento ondivago di Obama in Medio Oriente, meriterebbe tutto un altro articolo. E’ uno di quei casi in cui il presidente degli Stati Uniti d’America non ha solo un problema esterno (Israele. Iran, Arabia Saudita, Turchia è già un bell’elenco) ma anche interno. Cioè, molto del fatto e sopratutto non fatto, in Medio Oriente, recentemente, potrebbe non essere interamente addebitabile all’Amministrazione ma a sue parti o sottoparti che agiscono nei servizi, come nell’esercito, come nel complesso industriale e nel sottobosco diplomatico e delle relazioni locali ereditate da Bush.L’idea di continuare il classico divide et impera e disturbare il perno tedesco quanto ad Europa, è una tesi, certo, anche se è abbastanza in voga e sembra, supportata da non pochi fatti. Quanto all’Ucraina, anche questa è una tesi non di mia produzione, mi sembra una tesi che va incontro alla logica ed ai fatti. Forse ce ne sono di migliori ma non mi sono venute in mente e lì francamente, un minimo di progetto sembra esserci stato vista la dinamica dei fatti.

      Ripeto, sono sostanzialmente d’accordo con il suo invito alla prudenza debolista, non credere cioè al determinismo liscio e puro che le narrazioni, come la mia, semnbrano proporre. Ribadisco però i punti dell’analisi strategica come i più logici, che siano stati preventivati e ligiamente messi in opera, che siano frutto solo di un quadro abbozzato e poi implementato alla bisogna, che siano l’espressione di una controversa e conflittuale capacità di cogliere palle al balzo, il succo del “problema americano” e quindi il succo che spiega la loro azione nel mondo, penso siano nel quanto proposto.Gestire la contrazione contrastando i nuovi ordini del mondo che possono accelerarla.

      Come riportato, l’articolo riassume tesi espresse già un anno fa. Quando vedrò fatti radicalmente fuori interpretazione, la cambierò. RingraziandoLa della sua interessante nota La saluto cordialmente.

      • Leonardo ha detto:

        Vorrei cominciare ringraziandoLa per la lunga e esauriente risposta. Apprezzo davvero l’impegno di tempo ed energie spesi per rispondere a quello che in fondo era sostanzialmente un commento egocentrico, nel senso che esprimeva non propriamente un disaccordo con la Sua analisi, quanto la mia paralisi analitica di fronte ad un “gioco” decisamente complesso e quindi, per me, di difficile interpretazione.
        Quando dicevo che nutrivo dubbi sulla seconda parte del post lo intendevo nel senso letterale di incapacità personale di giungere ad una conclusione e di dover lasciare quindi il giudizio in sospeso.

        In particolare concordo con quanto ha scritto nella risposta, compresi i fatti che elenca e che, come pezzi di un puzzle, vanno a comporre i tasselli da cui muove l’analisi. Come dimostra di aver ben compreso, la domanda che mi ponevo riguardava proprio l’organicità e la consapevolezza che eventualmente stanno dietro ad un simile progetto ed era legata principalmente alla curiosità e al bisogno personale di cercare di entrare nella mentalità dell’elite statunitense (includendo nella categoria tutti i componenti di quel vasto apparato che contribuisce al formarsi di una linea di azione geopolitica) e di capire “chi mi trovo di fronte”.

        Grazie ancora!

      • pierluigi fagan ha detto:

        La complessità non sta solo fuori della élite, è anche nella élite. Il potere americano non ha nulla a che fare con la democrazia ma non ha nulla a che fare neanche con l’autocrazia. Ha a che fare con quella che io chiamo “la democrazia delle élite”. Le élite sono bande in perenne competizione interna e saltuaria ma efficiente, unificazione esterna. Grazia a Lei dell’attenzione.

  4. Andrea Boari ha detto:

    Leggo da oltre un anno i suoi post. Riconosco che sono fra i più interessanti.
    Vorrei provare a rilevare un fattore che non si sembra preso considerazione dal suo eccellente intervento, quando indica in un solo punto, il fattore di debolezza degli Usa e dei suoi stretti alleati.
    Questo punto consiste nella natura “liquida” se non gassosa delle società occidentali.
    Poichè la globalizzazione ha distrutto i sensi di appartenenza e demonizzato le credenze collettive,
    le elite occidentali non dispongono più di una “società”.
    Se i Russi decidessero di ammettersi il Donbass, che farebbero gli occidentali? che non hanno più cittadini o “carne” da spendere, ma solo consumatori con i quali non si difende un paese.
    Credo che le Elite esterne al sistema globale siano ben consapevoli, della fragilità dell’uomo occidentale. Non per nulla i russi dalla fine dell’epoca “liberale” si sforzano di ricostituire il demos.
    Andrea B.

    • pierluigi fagan ha detto:

      Grazie innanzitutto per gli apprezzamenti. La mia analisi ha sviluppato una lunghezza già inusuale per gli standard di Internet, purtroppo lo spazio detta la legge del livello di generalità a cui mantenersi. Sotto questo livello ve ne sono sicuramente molti altri e non sono secondari poiché retroagiscono su quelli superiori in vario modo. Quello da Lei indicato, ad esempio, è uno. Proprio ieri mi domandavo quando e come (e se) gli Stati Uniti, metteranno all’ordine di giorno della propria auto-riflessione di popolo, il problema della contrazione necessaria. Possiamo fondatamente dubitare che lo faranno e però dovremmo anche preoccuparcene. Ancora non abbiamo ben capito come i tedeschi siano passati da Weimer ad Hitler. Quando un popolo o meglio, l’insieme delle sue strutture, è messo così pesantemente sotto pressione, tale da produrre disordine, la reazione iperordinata è facile avvenga. Quanto a gli europei il discorso sarebbe ancora più lungo ma forse meno pessimista, abbiamo qualche tradizione in più a cui attingere e poi stiamo invecchiando, il che forse è male per certi versi, forse no per altri…

      Le farà invece piacere, spero, sapere che probabilmente già dal prossimo lunedì, per due puntate, pubblicherò uno studio sulla filosofia di Putin.Putin inviò, l’anno scorso, tre volumi di altrettanti filosofi ai quadri anziani del suo partito ed ai governatori regionali della Federazione. Di che si trattava? Riporterò i risultati dell’indagine, appunto, nel piccolo studio.

      Cordialità

  5. Federico ha detto:

    Ci sono numerosi livelli che si compenetrano. Ognuno di loro ha i propri attori con una propria identitá e intelligenza, quindi ciascun livello possiede le proprie forme che, autoidentificandosi in se stesse, tendono a perpetuarsi anche a scapito di altre.

    Il sopra influenza i grandi cambiamenti del sotto, é chiaro, ma penso che la figura globale sia comunque un frattale, in cui la stessa forma si ripete su piú livelli. Ció implica che anche i livelli inferiori possono influire sui superiori, contenendo loro stessi la stessa immagine… e quindi non é il “chi comanda chi”, poiché siamo tutti parte di un’unica entitá.

    Come in cielo cosí in terra, così come in alto, allo stesso modo in basso.

    Tornando al frattale forme simili si hanno a livello personale, in cui i nostri numerosi “io” cercano di ottenere l’egemonia del nostro se.
    Forme simili si formano ad un livello piú alto, per esempio quello intrapersonale, in cui cerchiamo il nostro benessere anche a scapito degli altri…. E cosí via…

    D’ogni modo l’articolo che ha scritto descrive una manifestazione fisica di alcune tra queste forme che sussistono a livello planetario: per questo la chiama “gioco di tutti i giochi”. Queste forme planetarie, come é normale, cercano di perpetuare la propria esistenza….

    Questo per dire che la complessitá va al di lá dell’immaginabile poiché comprende influenze non solo orizzontali, ossia allo stesso livello, ma anche verticali.

    Un esempio potrebbe essere il movimento hippie degli anni ’60, che rischiava di modificare una forma presente a ben piú alti livelli. Penso che questa in particolare sia stata fermata principalmente con l’introduzione dell’eroina. Per questo motivo é vitale effettuare, per gli alti livelli, interventi non solo a livello globale, ma anche a livello personale, intra personale e cosí via.
    La manipolazione avviene con i mass media….ecc…

    • pierluigi fagan ha detto:

      Trovo interessante la Sua immagine neo-platonica del micro-macro. C’è però un punto su cui resisto. Il fatto che i frattali (voglio seguire la Sua immagine) si riproducano a diverse scale formattandosi a vicenda, non ci dice se e quanto il basso possa influenzare l’alto, se con la stessa velocità ed intensità con cui l’alto influenza il basso. Mi trova senz’altro concorde nel fatto che noi siamo loro, in un certo senso e che occorre cambiare noi, quelli intorno, poi quelli più lontani, però ricordiamoci che così poi incontreremo un punto di resistenza forte: le strutture del nostro vivere associato. Società, gruppi sociali, classi o oltre definizione delle varie, possibili, descrizioni stratificate, stati-nazione, civiltà e civilizzazioni. Certo, quello descritto è solo uno strato tra gli strati ma è bene sapere a che gioco si gioca lì per sapere cosa e come giocare qui. Nel dibattito politico ad esempio, molte cose che maneggiamo esprimendo preferenze che s’agganciano ad una qualche dottrina o ideologia, spesso non tengono conto del Grande Gioco. Altresì, piani per l’avvenire che non tengano conto dei tanti livelli di cui è fatta la realtà rischiano di essere eternamente irrealizzabili. Come storia dimostra, se cambiamo solo le strutture e non gli uomini non otterremo nulla di particolarmente migliore. Se cambiamo gli uomini ma non le strutture questi incontreranno un limite duro invalicabile. Agire l’intero mi pare l’unica via. Cordialmente….

  6. rdonini ha detto:

    Caro Pierluigi, come suggerivi ho riletto anche il precedente prossimo (“Al margine del caos”)
    di questo tuo “fondante” intervento e mi pare coernte premessa. Non vorrei entrare nel merito “geopolitico”, che peraltro condivido largamente, ma voglio sottolineare la funzione pedagogica che svolge il tuo introdurre non tanto “le condizioni esterne” -un punto di vista universale nel “particulare” della provincia italiana, quanto l’insegnamento di un modo sistemico di affrontare la ricca determinazione del mondo. In particolare ti sono grato per la maniera con cui hai usato la “teoria dei giochi” e l’importanza che questo approccio esca dai circoli specializzati o accademici. La specifica qualità provinciale della cultura politica italiana non è la materiale situazione geografia di trovarsi nella provincia mediterranea ma quella di usare dei ferrivecchi per sapere il mondo, quella di continuare ad usare la retorica moralistica che -come ricordi anche tu- spacca il modo in due. Questo riduzionismo è peraltro, poi dolosamente amplificato dai media con la funzione anti-educativa di desertificare la mente sociale dell’individuo, la propria visione relazionale che, ricordo, è il presupposto (socievolezza arsitotelica φύσει πολιτικὸν ζῷον) della “teoria dei giochi”. Ecco qui mi chiedo come giocherà sull’esterno\l’interno fratturarsi delle forme (strutture\rappresentazioni) sociali: la fine del lavoro e della proprietà secondo Rifkin o la completa finanziarizzazione del Capitale del XXI secolo (secondo la fortunata visione di Piketty). Infine quali legami si stabiliranno tra quella democrazia delle elites -che è il “collettivo del potere”- e il deserto politico della società? In questo spazio “indeterministico” (fortuna\virtu = occasione di Machiavelli) è da indagare la sfera della soggettività, l’ambito delle “risposte possibili”. Grazie del tuo eccellente e “socializzato” lavoro.

    • pierluigi fagan ha detto:

      Grazie ancora per gli apprezzamenti. Introduci non pochi temi a cui non è qui luogo di dar seguito. Sulle “risposte possibili”, vedo che molti s’interrogano, il ché è già confortante perché la circolazione dei punti di domanda è buona premessa per il cambiamento. Più confortante ancora sarebbe la fase dei punti di domanda sulla nostra immagine di mondo poiché se non cambiamo radicalmente il modo in cui ci rappresentiamo il mondo e noi stessi, difficile capire quale sia la risposta migliore. Meglio ancora sarebbe dimenticarsi la dialettica che ci muove alle “risposte” e concentrarsi sulle affermazioni. Noi abbiamo disperato bisogno di una nostra narrazione ideale e pratica, assertiva, positiva, costruttiva. Mappa, rotta e gambe in spalla. Potremmo facilmente trovare molti inaspettati compagni di viaggio, le cose non funzionano più, in molti l’avvertono. A presto!

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  8. Pingback: Per unire i puntini ci vuole tempo – Così va il Mondo

    • pierluigi fagan ha detto:

      Grazie per la considerazione. Ho letto il suo articolo e lo condivido. Il punto dei punti, come da titolo della sua testata che è programmatica è “unire i puntini”. Per “unire i puntini” ci vuole tempo, la battaglia per liberare tempo da distribuire a tutti è per me, la battaglia delle battaglie, solo tempo investito in conoscenza produrrà il nuovo disincanto con il quale potremo passare dalla modernità al dopo. In mancanza di tempo, il pensiero collettivo, unire i puntini di chi ha messo in luce questo o quel punto, può aiutare. Buon lavoro…

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