COMPLESSITA’ e CROLLO delle CIVILIZZAZIONI.

Recensione a E. H. Cline, 1177 a.C. Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino, 2014.

coverwe4E’ da poco uscito lo studio di Cline su quel periodo storico che segnò la fine della civilizzazione dall’Età del Bronzo e l’inizio di quella dell’Età del Ferro, nelle zone prospicienti il Mediterraneo orientale. Lo studio che raccoglie tutte le ricerche archeologiche e le teorie storiche più recenti, sull’antichità mediterranea, giunge alla fine a concludere che, dal momento che nessuna delle cause addotte sino ad oggi in ipotesi, da sola, riesce a spiegare un crollo così intenso, esteso e più o meno, sincronico, allora deve essersi trattato di un crollo sistemico. Crollo sistemico, teoria delle catastrofi e teoria della complessità, sono le risorse epistemiche a cui Cline e non solo, si rivolge per spiegare quel che fino ad oggi spiegar non si è potuto. Sintomatico che il ricorso ad una visione sistemica o meglio di “crisi sistemica”, si presenti in quell’oggi in cui ci rendiamo conto di essere immersi in strutture, sistemi, complessità che stanno maturando una profonda crisi generalizzata del nostro mondo. E sintomatico è anche che l’interesse per le dinamiche di passaggio da una età all’altra, si riproponga oggi in cui, probabilmente,  ci ritroviamo in una di queste transizioni. Insomma, l’attualità dello studio di Cline sembra basarsi sull’analogia tra ieri ed oggi, quanto fondata o meno lo scopriremo argomentando lo sviluppo del libro.

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Siamo nel campo della storia antica (dal -3000 a poco dopo il -1200 per l’Età del Bronzo, dal -1700 al -1200 o poco dopo per l’attenzione specifica dello studio in oggetto) non troppo frequentata dagli storici in quanto tali che temono di avventurarsi in cose di cui non si ha sufficiente prova e conoscenza, così da lasciarla prevalentemente nelle mani degli archeologi. Siamo in quella terra vaga in cui è richiesta “immaginazione scientifica” come Cline fa appellandosi alla razionalità di Sherlock Holmes. Digital StillCameraLa cosa può disturbare i logici più conservatori legati alla deduzione ma anche a quelli più moderni legati all’induzione. Siamo infatti in regime di abduzione, una logica del terzo tipo che trae conclusioni possibili o fors’anche probabili, da un sillogismo con prima premessa certa ma seconda premessa ipotetica. Ogni celebre agente investigativo da Holmes a Poirot, da Miss Marple a Maigret, ha usato l’abduzione. Secondo C. S. Peirce è la base del ragionamento scientifico, ne fanno uso anche i pragmatisti (o pragmaticisti secondo alcuni) e vi argomentò su anche G. Bateson. Non ha molto senso paragonare le performance delle tre logiche tra loro in quanto la loro diversità si deve alla diversa possibilità di applicazione. Si tratta in sostanza di incunearsi nell’ossimoro per cui ci si attiene al massimo di scientificità possibile stante che non tutte le premesse possono esser certe, cioè “scientifiche” e vanno quindi poste dall’immaginazione ben temperata.

I fatti partono dall’esistenza di un lungo periodo (almeno tre secoli tra circa -1500 e -1200) in cui convissero alcune grandi civiltà tutto intorno al Mediterraneo e lungo la piana dei due fiumi mesopotamici. Gli Egizi, i Micenei (greci continentali), i Minoici (cretesi), gli Ittiti (indoeuropei centro anatolici, oggi Turchia), gli Assiri (oggi Iraq del Tigri)), i Cassiti che furono tra i molti gestori di Babilonia, i Ciprioti, i Mitanni (con una élite indoeuropea, oggi Iraq dell’Eufrate e Kurdistan) i Cananei (tra Israele e Giordania). Gli Elamiti si trovavano ad Oriente dei Cassiti (sud Iran) e molti altri centri come Ugarit o zone come Arzawa (Anatolia sud-occidentale a ridosso della costa, tra cui Mileto, che era però di origine greca come altri centri della costa) e popoli come i Kaška (Anatolia nord-orientale proprio sopra Ḫattuša capitale degli Ittiti), completavano un quadro molto ricco e complesso.

Quello che le ultime indagini archeologiche hanno portato, oltre ad una migliore conoscenza di ognuna di queste realtà tra cui la scoperta di Ugarit ma non ancora quella 14_century_BC_Easterndella capitale dei Mitanni, Waššukanni, sono centinaia e centinaia di tavolette iscritte. Da queste si sono apprese sostanzialmente due cose: a) la prima è che esisteva una incredibilmente vasta ed intensa rete di relazioni diplomatico-commerciali tra queste civiltà; b) la seconda è che le famiglie aristocratiche che reggevano il comando delle varie civiltà, qualche volta si muovevano guerra ma più spesso si scrivevano per chiedersi informazioni, scambiarsi doni, personale tecnico e qualche volta, anche per stringere rapporti famigliari tramite scambio dei rampolli. Come nota Cline, è curioso che anche quando non avevano reali rapporti di parentela, si appellassero l’un l’altro con “mio fratello, mio padre, figlio mio …”. Evidentemente si sentivano una comune famiglia (tra élite) o comunque avevano intenzione di simulare tale stato per cementare rapporti e relazioni. Quanto alle relazioni commerciali, finalmente è stato sdoganata la certezza che ciò che “è rimasto” (bronzo, oro, ceramica, gioielli, coppe, spade, scudi etc.) non era che una piccola frazione di un totale che comprendeva oli, essenze, spezie, grano, orzo, frutta e verdura fresche o in semi, animali, schiavi esotici etc. che compaiono negli elenchi scritti che accompagnavano gli scambi. La nostra periodizzazione (Età del Ferro, Bronzo, della pietra) sconta questo riferimento a ciò che è rimasto visibile a noi ma non è affatto detto che le civilizzazioni fossero definite da questi aspetti e non da aspetti deperibili se non immateriali. Quanto al bronzo, che era la materia prima dell’epoca, necessario per far la lega era certo il rame ma anche lo stagno e pare che quasi tutte le miniere di stagno fossero in Afghanistan che quindi entrava a far parte di questa “circolazione allargata”. Quando le cose cominciarono a precipitare, si hanno urgenti e pressanti appelli all’invio di grano per scongiurare rivolte e vere e proprie carestie.

Questo sistema di economia internazionalizzata, doveva aver creato quello che Ricardo chiamava il “vantaggio comparato” ovvero una sorta di specializzazione per cui ogni economia areale, aveva le sue specialità e mancanze. In verità, ogni areale o cultura di ogni ordine e tempo ha le sue naturali specialità e mancanze ed obiettivo dello scambio commerciale è proprio quello di coprire le une (mancanze) con lo scambio delle altre (abbondanze). E’ che nel lungo tempo, ci si specializza sempre più sulle abbondanze contando di poterle scambiare con le mancanze per cui, quando per ragioni imponderabili ma che ogni tanto accadono, si interrompe il flusso consueto degli scambi, si finisce con subire qualche mancanza fondamentale che arriva a minare il consueto funzionamento del proprio sistema sociale. Si è cioè attratti per convenienza in una rete mercantile, funzionale fino a che regge, disfunzionale quando per un motivo o per l’altro, non regge più.

image041Con le merci, viaggiavano idee e persone e dato il vasto raggio di questo circolo di interrelazioni, così si spiega l’ampia condivisione di elementi estetici o culturali, storie e mitologie, tanto da far parlare l’autore di una vera e propria “cultura e stile internazionale” del tempo. Una piccola, pre-globalizzazione delle merci, delle persone, delle idee. Ad un certo punto, proprio a ridosso della data riportata nel titolo (-1177), qui e lì, crollano rovinosamente i centri delle rispettive civiltà. Cade Micene-Titinto-Pilo-Tebe e molto altro in Grecia, Ugarit ed il nord della Siria, Megiddo e Lachish in Israele (dove compare la Pentapoli filistea), distruzioni anche in Mesopotamia ed Anatolia tra cui la rovinosa caduta dell’inespugnabile Ḫattuša ma anche lo strato VII A di Troia, quello candidato a corrispondere alla famosa guerra omerica, Cipro e varie turbolenze che si registrano anche in Egitto. Perché?

baf-clineLa ricerca della causa ha offerto vari pretendenti nel tempo, ognuno ha avuto il suo momento di fulgore aspirando a paradigma causativo esplicativo, poi è declinato non confermato, falsificato o rimpiazzato da uno nuovo più promettente. Nessuno in verità è stato completamente falsificato, nel senso che pare aver effettivamente agito ma mai con la totalità o intensità o concentrazione temporale e sincronia di manifestazione in un areale così vasto, tanto da poter reggere sulle sue spalle, l’intero edificio esplicativo. C’è dunque stato un earthquake storm (una tempesta di terremoti) e una lungo periodo di siccità e conseguente carestia che ha accompagnato un mutamento climatico sebbene non particolarmente eccezionale e non repentino. Alcuni cadute hanno avuto probabilmente cause interne (rivolte popolari o élite sfidanti mosse dalla crisi di gestione dell’élite in charge), altre, cause esterne visto che si sono trovate punte di frecce e varie armi sparse tra le rovine incendiate. Il crollo della rete commerciale internazionale fu conseguenza del crollo di qualche punto importante della rete, popoli migranti dalle proprie disgrazie e rovine confusero territori e rotte, la legalità e sicurezza dei viaggi si fece senz’altro problematica con la comparsa di pirati e bande organizzate. downloadfn8Alcuni hanno posto il crollo dell’economia centralizzata e palaziale e la sostituzione con una economia capitalistica privata, tra queste ragioni ma è probabile che tale economia convivesse con quella centralizzata già da tempo. Il nostro M. Liverani, uno dei pochi coraggiosi storici dell’Antichità per altro di statura internazionale, ha segnalato che la grande rigidità della centralizzazione palaziale fu una forma di forza quanto ad ordine in tempi normali ma in tempi speciali divenne una debolezza poiché caduto il palazzo e la sua élite, gli stati non avevano più ordine e sostanza e si disgregavano facilmente.   La disgrazia altrui provocò l’appetito del competitor per cui forse Ḫattuša, crollò per cause proprie e solo dopo gli storici rivali degli Ittiti, i Kaška, ne approfittarono invadendola.

La spiegazione che è andata per la maggiore in tempi recenti, è stata quella dei famosi Popoli del Mare. Costoro ci sono noti per via dei report storici compilati dagli egizi, una sequenza di misteriosi nomi stranieri che non si ha idea di dove venissero, come vivessero e dove andassero. Qualcuno ha ipotizzato che i Shardana provenissero dalla Sardegna e i Shekelesh dalla Sicilia, i Teresh forse erano proto-etruschi. Sull’ipotesi sarda c’è da registrare i recenti ritrovamenti dei giganti di pietra di una civiltà nuragica, evidentemente ben più importante del sino ad oggi ritenuto. Forse non erano neanche tutti di provenienza marina, di certo alcuni erano guerrieri puri mentre altri erano solo nomadi, viaggiando con animali, mogli e figli al seguito, nomadi storici o nomadi improvvisati (nel senso di in fuga da qualche disastro), alcuni erano pacifici e si collocarono accanto a culture stanziali locali, altri “irresistibilmente” bellicosi. Era appunto il -1177, quando secondo le fonti egizie, si ammassarono sulla costa siriana, prima I_Popoli_del_Maredi scendere in Libano, Israele ed il delta del Nilo. Alcuni, avendo carri e bighe, cioè cavalli, hanno fatto pensare ad indoeuropei della steppa ed oltre Danubio, così anche per una certa vis bellica distruttiva che forse fu una delle cause di qualcuno dei crolli segnalati.

L’ipotesi Popoli del Mare, secondo Cline, oggi è indebolita. Per altro, escluse le cronache egizie e qualche resto materiale che attesterebbe della presenza dei Peleset/Filistei sulla costa israeliana (uno dei centri era Gaza) nulla più è emerso in anni ed anni di ricerche. Oggi si propende per una ipotesi alone. Questa più che una causa fu un effetto del caos in cui piombò l’intero sistema centrato sul Mediterraneo orientale. Migrarono popoli più organizzati ma anche meno, piccoli gruppi ma anche gruppi consistenti, armati o pacifici, in blocco o a rate. Ognuno dei loro spostamenti diede vita ad altri spostamenti in un gigantesca carambola di biliardo delle migrazioni, migranti si stanzializzarono, altri continuarono ma raccogliendo ex-stanziali in cerca di nuove terre.

isola-santorini-vulcanoInsomma: a) abbiamo molte fiorenti civiltà, autonome ma interconnesse: b) ad un certo punto crollano più o meno tutte; c) ogni crollo è soggetto ad una pluralità di possibili cause esplicative. Terremoti, carestie, rivolte interne ed aggressioni esterne, Popoli del Mare intesi come torma indistinta di popoli in fuga, interruzione permanente della rete degli scambi commerciali, delle vie di scambio, comunicazione e della tessitura diplomatica, caduta delle élite storiche compongono questa pluralità esplicativa. Ne consegue la possibile diagnosi  di crollo sistemico, causa complessa, dinamica di catastrofi interrelate e reciprocamente causanti. Quello che crollò fu un sistema ed un sistema quando crolla, crolla tutto assieme anche se non tutto nello stesso momento, per molteplici cause in cui è impossibile discernere l’interno dall’esterno, per dinamiche non lineari, retroazioni, perturbazioni che vincono la resilienza dopo aver spezzato la resistenza strutturale del sistema.

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Il crollo di civiltà è un soggetto ideale della cultura complessa, poiché ogni civiltà prima o poi crolla ed ogni civiltà è un sistema complesso. Un po’ come nelle scienze cognitive, si capisce come funziona il cervello quando questo è danneggiato così si capisce come doveva funzionare un sistema-civiltà da come e perché questo è crollato. Se ne è dedotto che i sistemi collassino quando sono troppo complessi, a quel punto scendono di complessità, in genere si scompongono in sottosistemi più semplici ed iniziano un nuovo percorso non proprio daccapo ma retrocedendo di qualche ordine di complessità per poi ripartire a crearne di nuova, superare il vecchio limite per poi incorrere in uno successivo dove la dinamica si ripete secondo la logica “un passo indietro, due in avanti”. La complessità tende ad aumentare per spinta naturale, i sistemi vi si ambientano sperimentando ora questa ora quella forma di struttura secondo lo schema tentativo – fallimento – nuovo tentativo.

477Iniziò E. Gibbon (1776-1788 sei volumi sulla caduta dell’Impero Romano); poi il celebre J. Tainter (1988) sul collasso delle società complesse in generale, la cui ragione è proposta in una sorta di legge dei rendimenti decrescenti per cui più diventa grossa una società, più diventa complessa e costosa ed il maggior costo spinge a diventare più grossa fino a scoppiare/crollare; poi la meno nota ed utile antologia di N. Yoffe e G. L. Cowgill (1988) che non avanza alcuna legge specifica;  infine il celebre Collasso di J. Diamond (2005) che si basa sulla cecità ai disequilibri demografico-ambientali. Sta di fatto che tutti si sono occupati di singole civiltà non di sistemi di civilizzazione, quale è il caso in questione.

Il ricorso al principio di causa complessa ci porta a darne una più puntuale specifica, utilizzando la comparazione con il principio di causa normalmente vigente e che per ragioni di differenziazione introdotte dall’aggettivo “complesso”, porta a specificarsi come principio di causa semplice.

  • La causa semplice è una e singolare, quella complessa è molteplice e plurale.
  • Quella semplice è lineare (causa-effetto), quella complessa è non lineare (cause-retroazioni-effetti che diventano cause di altre retroazioni etc.).
  • Essendo una, quella semplice è o interna o esterna al sistema considerato (che per altro non è mai considerato come sistema), quella complessa è sempre nella relazione o meglio, nelle relazioni tra l’interno e l’esterno del sistema dove all’esterno ci sono altri sistemi oltre all’ambiente generale in cui tutti i sistemi si trovano.
  • Quella semplice presuppone il tempo ristretto in cui accade il fatto catastrofico, quella complessa risale a fenomeni di media-lunga durata che si compongono nel tempo e solo alla fine si compongono con l’effetto catastrofe.
  • Rispetto ai sistemi umani, quella semplice ha o una matrice materiale (geografia, ambiente, economia) o ideale (sistemi di pensiero, innovazioni sociali o produttive comunque culturali, decadenza dei principi, etc.). Quando le considera abbinate, l’una è sempre causa dell’altra. Quella complessa considera tutte le variabili sincronicamente e diacronicamente.

Secondo me, ve ne è una sesta a proposito del fatto che quella semplice presuppone di poter trovare una legge regolativa valida in tutti i casi, stante simili premesse (è il caso anche di Tainter e Diamond). Chi scrive invece non pensa possibile trovare simili premesse se non in casi specifici e quindi non pensa esista una possibile legge del collasso delle civiltà o civilizzazioni. Questa seconda posizione è tipica del “contestualismo”. CollassoLa cultura della complessità, in genere, prevede la estrema sensibilità alle condizioni iniziali cioè il fatto che le storie dei sistemi, sono per lo più eterogenee, dipendendo fortemente non solo alle condizioni iniziali ma anche dal contesto che nei casi umani è assai variabile.

Questo pattern dell’indagine e della spiegazione dei fenomeni, quello complesso vs quello semplificato, sconta la contraria organizzazione dei saperi contemporanea. Come si fa a cercare cause complesse se le informazioni sono sparse in decine di discipline? Quale autore infrangerà il tabù di criticare la tesi di un collega di un’altra disciplina? E chi potrà vantare una formazione adeguata a questo compito enciclopedico? Che utilità si potrà vantare  a ricostruire storie che ogni volta mostrano una diversa grammatica? Come accettare e discutere tesi ipotetiche e parziali quando il crisma della precisione millimetrica vincola a non parlare su ciò di cui è meglio tacere? Come trattare le deduzioni da premesse ipotetiche, come trattare le “verità provvisorie”?

Eppure, come più volte andiamo ripetendo nei nostri studi, gli oggetti, i soggetti, i fenomeni, sono intrinsecamente complessi e laddove come oggi capita in geopolitica, economia, organizzazione dei saperi, si deve indagare realtà complesse, una teoria della conoscenza complessa diventa imprescindibile. E’ la natura dell’oggetto da conoscere che lo impone e grave danno si fa conformando o meno a forza l’oggetto ai nostri pre-formati e limitati presupposti conoscitivi. Dire che l’unica conoscenza è quella scientifica è dire che possiamo conoscere solo qualcosa di fisica, di chimica o di biologia e nulla più, un assurdo evidente.

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Che dire delle possibili analogie tra la crisi sistemica di tremila anni fa e quella di oggi? Terremoti non sono prevedibili e comunque eventi ambientali fuori scala certo impattano i sistemi tanto più questi sono complessi. Basti ricordare il perdurante caos nel cieli d’Europa quando eruttò il periferico vulcano islandese nel 2011 o lo tsunami giapponese che provocò una pericolo chissà quanto scongiurato di contaminazione nucleare che non è rischio naturale connesso ai terremoti marini. 639303main_20120416-m1flare-orig_fullOgni tanto si avanza il timore di una tempesta elettromagnetica in relazione ai flare solari, fatto che metterebbe fuori gioco l’intera economia basata sull’elettronica (quindi praticamente tutta), evento che forse si presentò in passato ma di cui non ci fu nessuna consapevolezza perché non impattò su nulla di sensibile esistente. Su i cambianti climatici esiste una ampia letteratura ed è un fatto che al di là del più caldo o più freddo, la “semplice” dislocazione dei climi, introduce elementi di profonda caosizzazione nelle economie e negli stili di vita dei gruppi sociali che hanno l’intera cultura materiale centrata su specifiche consuetudini climatiche. La stessa storia dei Popoli del Mare ci dice di un periodo in cui, pressioni ambientali possono innescare movimenti migratori che in assenza di terre libere ed ospitali, diventano caotiche carambole di un conflittuale biliardo impazzito. Epidemie, pandemie, scarsità di cibo ed acqua, guerre alimentate dal mai pago sistema di produzione degli armamenti oltretutto al servizio di istanze geopolitiche senza scrupoli, tempeste valutarie ed economiche,  innalzamento del livello dei mari con conseguente allagamento permanente delle coste, inquinamento, sono tutte minacce note per il temuto accendersi del biliardo caotico. Noi europei poi siamo seduti su due vulcani, quello musulmano e quello africano, oggi gli africani sono 300 milioni più degli europei ma tra soli trentacinque anni , saranno 1.200 milioni in più, altro che Mare nostrum o Triton.

Le rivolte popolari interne e la competizione tra stati sono sempre pronte ad accendersi. Quelle tra stati in competizione: diretta per le risorse, (si pensi alla corsa all’Africa tra cinesi, indiani, americani ed europei o all’intricata geoeconomia delle energie, le terre rare, il grano, la pesca, l’acqua) o competizione indiretta per riformulare la geometria degli equilibri geopolitici che è conditio sine qua non per affrontare i problemi delle risorse. Anche la competizione per il controllo più generale delle valute di sistema, dei mercati, dei debiti e dei crediti, sono già accese. Tra ebola e land grabbing, petrolio-gas e bacini idrici, primavere arabe e Stato islamico, Siria ed Ucraina, dollaro e yuan, centro euroasiatico e nuovi trattati promossi dagli americani, sembra noi già si sia in pieno, in uno di questi turbolenti periodi di riconfigurazione degli assetti.

FotoFlexer_PhotoQuanto allo specifico crollo della rete globale, che sia Internet, il sistema commerciale o quello banco-finanziario-valutario, c’è già chi sta pensando di ridurne la complessità, creando almeno due sistemi separati, quello USA – centrico e quello Cina -centrico.  Ma quello USA centrico o più in generale occidentale, ha una fragilità costituzionale che ha giù creato più di una crisi e molte altre è destinata a crearne. Si tratta dell’enorme ed innaturale sproporzione tra ricchezza effettiva e ricchezza circolante, un debito di aspettative incolmabile anche in tempi di rosee previsioni di crescita, tempi che sono stati e mai più torneranno. E’ dal 2009 che sento qualcuno di importante (tra i meno stupidi) che sentenzia che “questa è una crisi sistemica” ma alla diagnosi non è seguita una, che sia una, iniziativa correttiva. Siamo semplicemente obesi di aria compressa ma non possiamo che fare piccoli peti qui e lì perché i nostri stili di vita dipendono da quel gonfiore di promesse non mantenibili che ci fa galleggiare.

000-000L’accentramento palaziale, per quanto riguarda l’analogia con la diagnosi di Liverani, non è mai stato così pronunciato come oggi lo è rispetto a gli ultimi sessanta anni. Dappertutto trionfa l’invocazione a gli uomini e donne decisionisti, la riduzione di democrazia, il riferirsi ad un unico credo (competere e crescere!), i poli economici o finanziari, trattati rigidi (che sia per la moneta vedi euro o per il sistema degli scambi internazionali, vedi TTIP, TTP, TISA, NATO), le sottili élite di super-ricchi e super-potenti su un mare di agnostici a tutto che non sia l’ultimo telefonino o la soddisfazione di un selfie che regali loro almeno cinque secondi di notorietà anche se solo nel triste cortiletto del proprio facebook. L’imperativo di salvare il centro-sistemico che è nel sistema bancario, pena il caos generale ed anche al prezzo di trasferire i debiti bancari su i privati o sul pubblico che è il privato collettivo nè è un altro sintomo. Tutto sta andando verso la radicalizzazione, la polarizzazione, la centralizzazione, l’aut-aut.

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Q89L’analisi di Cline aggiunge un ultima considerazione che non abbiamo ancora riportato. A dispetto del titolo del suo libro che evidenzia una singola data come spartiacque del crollo del vecchio sistema, le ultime analisi convengono sul fatto che, in realtà, si trattò di un passaggio che durò più di un secolo. E’ questo un dato importante perché noi siamo abituati a segnare il tempo storico con date che fungono da spartiacque ma nel farlo, ci danno una errata visione del tempo del cambiamento. Stante la rivoluzione francese repubblicana al 1789, la prima repubblica durò dodici anni, poi scomparve per quarant’anni e tornò per quattro, scomparve di nuovo per altri diciotto anni e si affermò infine stabilmente solo quasi un secolo dopo l’inizio del Luglio dell’89. Questa è la differenza tra fatto cataclismatico, lineare, causa effetto e fatto di transizione anche epocale, non lineare, complesso. Sicuramente, noi siamo in una di queste transizioni. Lunghe, travagliate e dolorose.

Ma lo studio di Cline, ci dice anche  che società interrelate, magari anche solo per via della prossimità geografica, sono sistemi anche se come accade oggi a differenza di tremila anni fa, noi non ne abbiamo coscienza. La differenza di cultura, di religione, di status economico e sociale, ci fa immaginare, quanto ad europei mediterranei, “altro” da ciò che c’è nell’altra sponda del mare. Un “altro” non solo concettuale ma anche spaziale, noi siamo un altro sistema che è in un altro luogo o dimensione. Non è così. I mari, sopratutto i mari interni, non sono frontiere ma spazi di comunicazione, da sempre. E’ l’attualità a ricordarci che il caos imperante nell’altra sponda del nostro mare, spesso creato da noi stessi, sta arrivando qui da noi, direttamente dentro casa nostra. I nuovi popoli del mare vengono da sud e con questi popoli, volenti o nolenti, dovremmo decidere per il nostro essere un comune sistema, se avere un futuro di evoluzione o di catastrofe.

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti e più anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca multi-inter-transdisciplinare da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità e pubblica su specifiche riviste di sistemica. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio, in particolare sull'argomento "Mondo e complessità". Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore. A seguire: "Europa al bivio. Tra radici e sfide" a cura di Vincenzo Costa, Marcianum press, 2024 Venezia e "L'era multipolare: competizione o cooperazione" a cura di Gabriele Germani, La Città del Sole, 2024, Napoli.
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6 risposte a COMPLESSITA’ e CROLLO delle CIVILIZZAZIONI.

  1. Jean ha detto:

    La sua analisi è molto dettagliata, mi piace molto, ma dissento su una cosa, una volta questo tipo di cambiamenti avvenivano con tempi molto lenti, mentre attualmente non vedo perchè non dovrebbero avvenire in modo assai veloce, fermo restando che di tempo ce ne vuole comunque, ma essendo ormai tutto il pianeta collegato inesorabilmente per vari aspetti, economici sopratutto, ma che vanno di corsa, quindi anche questo ultimo cambiamento potrebbe avvenire in tempi meno lunghi di quelli “canonici”…..

    Saluti

    • pierluigi fagan ha detto:

      Ha assolutamente ragione. Il tempo del cambiamento di strutture molto complesse e tra loro intrecciate rischia di portarci ad una sorta di cambiamento precipitato o permanente (fatta salva la “resistenza” che comunque le strutture dei sistemi tendono a mostrare), anche tendente al caos. Comunque sono tempi inediti, scomodi da vivere ma interessanti da osservare. Cordialmente.

  2. pierluigi fagan ha detto:

    La recensione è stata twittata anche dall’autore del libro: H.C. Cline:

    Eric H. Cline
    ‏@digkabri
    Interesting review of Italian translation of 1177: COMPLESSITA’ e CROLLO delle CIVILIZZAZIONI. http://wp.me/p2pD9k-Ep via @wordpressdotcom

  3. Gianandrea Ghirri ha detto:

    Bene! Stavo per scrivere una cosa del genere. Ma per fortna, prima, ho fatto una ricerca con google. I miei complimenti 🙂
    http://gigionazpol.blogspot.it/2015/05/complessita-e-storia.html

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