CRONACHE DA 616 A 619

CRONACA 616 (dal 11 al 31 dicembre 2017)

TESTAMENTI E PROGETTI. Una infermeria australiana di un reparto di malati terminali, ad un certo punto si è decisa a scrivere un libro in cui ha raccolto i rimpianti di tutti i suoi pazienti che sapevano di stare alla fine di essere. Il primo rimpianto era non aver vissuto una vita vera da rivendicare come propria, il secondo era non aver lavorato meno. In fondo i due rimpianti sono collegati, lavorando meno, si può aver più opportunità di stare con se stessi, costruire se stessi e decidere invece che esser decisi.

“Utopie per realisti” di Rutger Bregman che è giovane storico olandese, è un libriccino scritto sul modello saggismo frizzante ma impegnato che forse farà storcere la bocca ai palati che commisurano il sapore delle idee dal numero di neologismi e dall’involuzione espressiva che fa capire che la verità è profonda, quindi non alla portata di tutti. Ha le sue leggerezze ed anche punti su cui non concordo ma la tesi di base la trovo interessante: reddito universale incondizionato e settimana lavorativa di 15 ore. Per altro non è altro che la messa a registro di spunti che hanno attraversato da tempo il mondo delle idee, ma non siamo qui al campionato dell’originalità ma a far sì che il rimpianto diventi un progetto, prima di arrivare scontenti alla fine.

So che alcuni, a sinistra, non concordano sul reddito universale di base. Penso che costoro sbaglino ed anche di brutto ma non mi vorrei soffermare sulla questione sebbene questa verta sulla prima ragione di schiavitù: il bisogno del reddito. Ma la questione che più mi preme è l’altra: il tempo, tempo per sé divorato dalla schiavitù del lavoro, lavoro trainato dal bisogno di reddito. Anche qui c’è conflitto con certo pensiero di sinistra che ha incredibilmente introiettato l’idea che il lavoro permetta all’uomo di esprimersi compiutamente. Invero penso che abbiano malinteso Marx, il quale nelle scarne frasi con cui ha dipinto l’utopia comunista parlava di individui liberi e felici la cui vera ricchezza era data dal tempo a disposizione per sé, dalla necessità alla libertà, appunto.

Ma anche in Marx c’è vaghezza, come c’è in Bregman ed in tutti coloro che hanno vagheggiato questa utopica società felice di individui dediti a gli hobbies più disparati. La mia visione è da tempo diversa su questo punto. Io penso che il tempo di lavoro economico dovrebbe travasarsi -non tutto ma per lo più-, in tempo politico. La promessa ultima libertà è condizionata ad una ultima necessità che ne è presupposto.

Solone, fonda il concetto occidentale di politico con la -per la nostra mentalità- apparentemente assurda legge dell’atimia, nel lontano VI secolo a.C.. Venivano tolti tutti i diritti civili a chi non prendeva parte ai conflitti politici che -ai tempi- diventavano vere e proprie guerre civili (stasis). Questo perché il passaggio dalla comunità tribale a cittadina era anche il passaggio dall’impolitico al politico, che deriva da polis ovvero città. Compito del cittadino era partecipare all’impresa comune della soluzione dei tanti problemi della vita associata che si chiamava polis, attraverso appunto la politica. Questa è anche la fondazione del processo che porterà all’antica democrazia, ossia al concetto proprio di democrazia, poi in modernità corrotto in mille, sofisticati modi. La democrazia presuppone tempo, i singoli individui, per svolgere l’esercizio democratico, debbono avere tempo. Tempo di leggere, informarsi, discutere, soppesare, farsi un’idea, saperla argomentare, far cambiare idea a gli altri o magari cambiarla loro stessi ed alla fine affermarla con un giudizio espresso in un voto di ratifica.

Se non volete arrivare alla fine coi rimpianti, c’è solo una via, battetevi per avere più tempo da investire nel lavoro più complesso che c’è e da cui tutte le altre forme sociali dipendono: decidere assieme a gli altri come vivere.

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I FRANCESI? NON CI STARANNO MAI. Sull’ipotesi di creare un nuovo sistema euro-mediterraneo, molti hanno -in prima battuta- opposto l’obiezione che “i francesi non ci staranno mai”, attratti dalla posizione di co-leadership coi tedeschi. Ebbene, pare non sia così.

France Insoumise, il movimento nato nel 2016 per supportare la candidatura di J-L Mélenchon, ha varato un programma con ipotesi A e B. Nella A si tratterebbe di cancellare e riscrivere daccapo gli attuali trattati, nella B -ove ciò non fosse possibile, come mai lo sarà- una uscita unilaterale con: “Proporre un’alleanza di paesi del Sud Europa per uscire dall’austerità ed impegnarsi in politiche concertate di rinnovamento ecologico e sociale delle attività economiche” .

Il movimento si richiama alle esperienze politiche di Podemos e dell’America latina. 540.000 iscritti, 7 milioni di voti alle ultime elezioni, 19,58% al primo turno, primi a Marsiglia, Toulouse, Montpellier, Lille, Le Havre, Saint-Étienne, Nîmes e Grenoble. Contiamo quindi un’area politica sufficientemente omogenea che è al governo in Portogallo ed in Grecia tenuto conto forse più dell’elettorato di Syriza che non dei suoi vertici, una forza oltre il 20% in Spagna, intorno al 20% in Francia. E gli italiani? … non ci staranno mai … [anche perché stanno discutendo di partiti del popolo, liste del popolo, partiti comunisti A o B, con o senza falce e martello ed altre questioni di capitale importanza]

[Se volete buttare un occhio a gli 83 punti di FI, qui l’indice in italiano:https://franceinsoumiseinfo.wordpress.com/programmi/laec/]

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INTERNET CHE VERRA’. La decisione di Trump di violare il principio di neutralità delle rete è un chiaro attacco alla logica stessa di questo fenomeno. Internet è un media quantitativo con una grandissima audience potenziale. Questo principio ne ha sostenuto lo sviluppo economico poiché i big player hanno big audience indifferenziate e quindi grandi introiti pubblicitari. Altresì, la big audience chiama content provider di massa e non di nicchia. Era la stessa logica della televisione, quando la televisione era solo broadcast, quindi prima del cavo e dei satelliti. Non ci sono barriere insormontabili in entrata ed uscita, né per un utente in grado di pagare una connessione standard, né per una azienda o un gruppo di qualsivoglia intenzione che vuole aprirsi una finestra sulla rete. Aprire alla segmentazione dell’offerta di connessione per qualità di connessione, significa in prima battuta uccidere questo universalismo e questa non è una decisione di business, è prettamente una decisione politica.

Il business forse guadagnerà qualcosa in più, più che altro si ristrutturerà. Si perderanno audience sul piano numerico ma si guadagnerà qualcosa in più dall’offerta servizi. Chi più ha, più avrà il che però ucciderà l’effetto agorà. Content provider grandi potranno fare gli investimenti di potenziamento della qualità d’offerta, gli altri, no. Si va ad un universo allungato e frazionato in segmenti che ricalcano la segmentazione sociale. Tali segmenti quindi, risulteranno tra loro relativamente incomunicanti poiché chiusi da soglie di acceso diverse. Potrebbe anche limitare il potere sostanzialmente oligopolistico degli attuali “prendi-tutto” e divaricare l’utilizzo tra computer e mobile, ma la forma oligopolistica potrebbe semplicemente trasferirsi dai fornitori di servizi ai fornitori di connessione. Il processo, comunque, sarà lungo ma difficilmente reversibile una volta avviato.

Il controllo della rete, avanza così tra costruzione di firewall e limitazioni di accesso che segmentano le reti nazionali di alcuni paesi e lì dove formalmente rimangono aperte, con il frazionamento delle audience. L’effetto virologico verrà ora contenuto dalle nuove pareti delle varie stanze in cui la rete si frazionerà. L’infrastruttura forse principale della fase di prima globalizzazione, è destinata a terminare con questa, per diventare “altro”.

Aspettiamo con ansia la nuova lettura sbagliata del mondo da parte di A. Negri, ora che il suo impianto moltitudine – general intellect nell’Impero globale, va precocemente in archivio.

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TOKYO GA. Era il titolo di un bel documentario sul Giappone di Wim Wenders, una specie di fenomenologia cinematografica. Già nell’’85, si vedeva che questa gente era strana. Ora in Giappone le cose potrebbero mettersi male. La gente lavora troppo, non si sposa, se si sposa non fa figli, vivono sempre più a lungo. I vecchi sono abbandonati dai figli ed i nipoti che non possono mantenerli, le prigioni si riciclano in ospizi. Visto che c’è sempre meno gente in carne ed ossa e quella che c’è è anziana, dilaga la robotica anche di compagnia mentre alcuni anziani cominciano ad usare esoscheletri per continuare a lavorare. C’è gente che sparisce, “evapora”, cambia identità, c’è un proficuo business di coloro che debbono scappare dal proprio contesto sociale perché sono stati licenziati, addirittura ci sono compagnie di trasloco notturno per non farsi vedere di nuovi vicini. Poiché si sono creati troppi vecchi in troppo poco tempo c’è penuria di forni crematori per cui hanno aperto “alberghi per i cadaveri”, poi quando finalmente ti ridanno il tuo caro polverizzato, lo puoi collocare in templi della morte psichedelici appositamente creati. Bassa fertilità, bassi consumi, stagnazione eterna, prossima recessione. L’IMF ha allertato i paesi dell’area della bomba giapponese, si teme che un collasso demografico abbia effetti recessivi sull’intera area. Zero criminalità c’è chi ruba un panino solo per andare in carcere a farsi mantenere. Noto è il fenomeno del suicidio per lavoro ma ci sono anche ictus e colpi al cuore per privazione del sonno. Almeno il 20% della forza lavoro fa una media di 20 ore di straordinario a settimana, dopo aver realizzato la bella performance di ben 105 ore di straordinario nell’ultimo mese, una pubblicitaria di 24 anni si è buttata dalla finestra del grattacielo in cui lavorava. Era il Natale di due anni fa.

QUI: un articolo con molti link ad altri articoli che raccontano quello che qui si è sintetizzato. https://it.businessinsider.com/questa-e-la-morte-della-fam…/

La chart UN/UBS mostra il picco di forza lavoro in questi anni nelle principali economie avanzate, tutte destinate a contrarsi. Chi manterrà la nostra vecchiaia? Se il presente è problematico, come sarà il futuro?

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

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TRUMP, UN ANNO DOPO. Trump ha provocato il suo isolamento, il che aumenta le sue chance di rinfocolare il senso nazionale, gli abbiamo dato il nemico. In solo un anno, la geografia politica del mondo è cambiata radicalmente.

Ha disdetto tutte le trattative per accordi commerciali globalizzanti, ha fatto sapere ai partner di tali possibili accordi che vuole riequilibrare le singole bilance commerciali, ha disdetto unilateralmente gli accordi con l’Iran e sul clima, si è sostanzialmente ritirato dalla guerra in Siria, non ha affondato il colpo sul Venezuela, ha trovato uno splendido partner di confusione in Kim Jong un passando dall’oneroso TPP alla vendita di armi ai paesi asiatici, ha fatto sapere ai tedeschi di ritenerli “molto cattivi” ed ha costantemente manovrato per separare i già precari destini dell’Europa dell’Est rispetto all’Europa dell’Ovest. Ieri, la Haley, ha fatto sapere che gli USA ritireranno i loro impegni di finanziamento all’ONU e chissà che la sede non possa tornare a Ginevra. E’ chiaro infatti che gli USA non sono più e non vogliono far più finta di essere i croupier della sala giochi, ma solo un giocatore, sebbene il più forte e cattivo.

La questione di Gerusalemme è stata ben pensata. Nessuna altra azione di così semplice diplomazia negativa, avrebbe potuto sortire effetti così macroscopici sul piano geopolitico, in fondo al solo prezzo di qualche parola. L’appoggio ad Israele, in America, è un caposaldo della visione del mondo del’americano medio, Trump ha agito all’interno di un sentimento ampiamente condiviso. Il voto di ieri, la triste conta dei sette paesi amici che spaziano dalla Micronesia, alle Isole Marshall, permettono a Trump di dare a gli americani il senso chiaro del loro isolamento “non ci capiscono, non ci amano, non ci meritano”. Gli abbiamo dato il nemico e col nemico il perno del compattamento nazionale. Gli abbiamo dato la conferma da mostrare internamente che gli USA sono soli ed allora tanto vale isolarsi davvero.

A parte il suo documento di dottrina di politica estera basato sul realismo basato su principi (che confesso, mi piace come definizione, solo la definizione) che rende nota l’analisi già data del fatto che gli USA si considerano non più i garanti del gioco mondiale ma un giocatore, la riforma fiscale ha dato chiare indicazioni. Le aziende americane adesso sanno tre cose: 1) spostando la sede fiscale in USA pagheranno molte meno tasse; 2) riportando i capitali off shore in patria avranno un condono vantaggioso; 3) restare fuori dal sistema ovvero nel grande mondo hobbesiano nel quale gli USA hanno intenzione di diventare più lupo di ogni altro lupo, sarà molto rischioso. L’Amministrazione USA non solo non curerà più il proprio brand globale, ma “americano” diventerà sempre più termine assai poco attraente. Di contro, a casa, troveranno una forma di iperliberismo nazionale in piena furia de-legiferante e privatizzante, in un mercato di 330 milioni di individui che con minor carico fiscale (per coloro che hanno redditi sopra il cluster povero), ha liquidità da spendere. E siamo solo all’inizio della strategia economica che prima o poi vedrà nascere anche il grande piano infrastrutturale.

Ogni volta che Trump firma un decreto mostra in segno di sfida la cartellina col suo istogramma da Io ipertrofico “Io ho promesso, Io ho fatto”, la costruzione della credibilità della sua parola non ha falle, contro tutto e contro tutti. Quello che non riuscirà ad ottenere in termini di risultati, lo compenserà con promesse ma promesse fatte da uno che le mantiene, l’obiettivo è l’anno prossimo, le elezioni di mid-term.

Qualche giorno fa, è uscito sul Sole24Ore, un articolo di C.A.Kupchan (stimabile geopolitico americano con inclinazioni realiste basate su principi liberal), che sommessamente sussurrava il suo grido di dolore, sull’opera demolitrice svolta da Trump. Invocava l’Europa a mantenere -in absentia-, la leadership occidentalista del mondo forse non più liberale ma almeno globale. Ricordava che i presidenti passano ma l’America resterà e tornerà -prima o poi-, quella di una volta. Vedremo. A mio avviso, se Trump scavalla le elezioni dell’anno prossimo è molto probabile che vincerà quelle del primo mandato e se lo terranno otto anni, parkinson permettendo. A quel punto il sipario sarà strappato e l’incanto del mondo sarà per sempre perso.

Quanto all’Europa, l’astensione compatta dell’Est, il caso polacco, l’irriducibilità dei Visegrad group, gli austriaci che resuscitano la nazione tirolese, si sommano ai due governi di minoranza (Portogallo, Spagna), un governo a termine da grande coalizione prossimamente in Italia, la difficile mediazione per dare un governo alla Germania mesi dopo l’elezione e un Macron che vedremo come starà in primavera. Poi, tra un annetto, sciolti definitivamente i legami con Londra, vedremo all’opera l’isola dei pirati veleggiare in questo procelloso mare e ci sarà da divertirsi ancora di più.

Un anno di Trump, un anno di Verso un mondo multipolare che ieri ho avuto il piacere di vedere appaiato al grande Khanna di Connectography, in una rastrelliera tematica su “Il Mondo che verrà”, dal mio Feltrinelli di spaccio. Nulla meglio della verifica del tempo per saggiare la tenuta degli impianti di analisi che usiamo.

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LEZIONI CATALANE. Ci interessammo alla faccenda catalana con un precoce post qualche tempo prima del referendum. Abbiamo poi seguito la faccenda ma ci siamo astenuti da un certo punto in poi, rimanendo abbastanza esterrefatti dal fatto che molti commentatori politici, dell’area critica o di sinistra in genere, mostravano di non capire assolutamente la natura della faccenda.

Si discuteva in maniera troppo ravvicinata alle notizie del giorno, quella trappola della scomposizione dei processi complessi in atomi di news che la dittatura mediatica del discorso impone a tutti ed a cui tutti, evidentemente, non riuscivano a resistere. Altresì, infuriava la proiezione di apriori fortemente ideologici ed avvelenamenti da fake news come quella su Soros e gli israeliani.

In termini di processo, abbiamo in tre mesi un governo locale tendenzialmente autonomista che viene confermato a maggioranza, pur perdendo qualcosina in termini di seggi (2). Nel mezzo abbiamo tutto ciò che sappiamo, inclusi un governo in esilio, un vicepresidente in carcere, la fuga delle aziende e delle banche, i moniti europei, polizia e botte e quant’altro. Come valutare il risultato dal punto di vista di coloro che hanno forzato la mano, a che punto è la strategia indipendentista?

Cominciamo col dire che la strategia indipendentista reale, non la conosciamo, non sappiamo quale risultato volevano davvero conseguire i leader catalani. Quello che si può supporre è che nessun leader politico dotato di buonsenso, per quanto indipendentista di viscere, credesse davvero possibile separare la repubblica catalana dal regno spagnolo, la semplice numerica delle forze in campo catalano diceva che ciò non era possibile stante che in queste cose i voti si pesano oltre a contarli. Forse pensavano necessario vantare 100 per ottenere 50, forse avevano una più realistica strategia del tempo medio o lungo. In questa ipotesi, il risultato di ieri è positivo. Nonostante tutto, sono ancora là, la loro forza è intatta, Rajoy è più debole di quanto non fosse prima, le forze che potrebbero approfittarne per mediare (socialisti? podemisti?) vedono spazi. Il muro contro muro, da questo momento in poi, gioca a sfavore del governo centrale ma non di quello catalano. Si aprono le condizioni politiche di possibilità per provare ad ottenere quel 50 o forse anche un 40 o un 30, vedremo. Un passo alla volta, la via è lunga, così la marcia diceva anche Mao Zedong.

Dispiace che molti sappiano che politica è rapporti di forza e che forza significa minaccia ed a volte, pratica e rottura, disordine e spavento, ma solo quando scrivono dei loro miti rivoluzionari. Per ottenere qualche cosina occorre fare un gran baccano, questa la lezione catalana.

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PARTITE DI GIRO, PRESE IN GIRO, PERDERE UN GIRO. Fino a 1000 euro per tutti defiscalizzati ed incondizionati, con variazioni per figli, a seconda del costo della vita della propria regione o città, come integrazione per raggiungere la soglia minima. E’ la vecchia ricetta della teoria neoliberale à la Friedman, teoria che abbiamo in atto per molti aspetti ma non per questo del pavimento di minima sopravvivenza.

Naturalmente molti obietteranno che essendo la faccenda molto complicata da attuare ed essendo il proponente notoriamente dedito alle prese in giro, non è neanche il caso di spenderci su cinque minuti. Ma stante che il proponente ha già mostrato di voler farlo diventare un cavallo da battaglia forte per la compagna elettorale, un cavallo che sfida quello di cittadinanza del M5S, quali possibilità avrebbe poi di effettivamente mantenere le sue promesse?

Per come l’ha messa, sarà anche difficile fare una quantificazione del necessario ma diciamo di averla fatta e che sia un “tot”. Dove prendere il corrispondente di questo “tot” stante la condizione occlusa del nostro bilancio? Escludendo l’utilizzo della progressività fiscale in quanto certo non compenserà la maggior spesa o minor introito, con maggior introito prelevato dalle sue classi sociali di maggior riferimento, rimane solo una possibilità: tagliare dell’ammontare corrispondente la spesa statale e farlo con il consenso attivo di quanti non vedono la partita di giro tra meno servizi impersonali, più soldi nelle mani personali. Bene, quindi?

Niente, mi interessava far notare come M5S e CD andranno a promesse dirette e golose sebbene come poi nessun altro tipo di pasto, “gratis”, Renzi in nome della sua ambigua posizione un po’ di centro e sempre meno di sinistra punterà tutto sul discredito altrui ed il sorrisetto ironico e sufficiente del “non si può fare”, la sinistra -ammesso la si possa indicare con precisione- starà ferma un giro perché non ha in mano nulla per andare contro promesse chiare e dirette su soldi, pochi, maledetti e subito.

Postilla: 9000 mld di ricchezza privata nazionale, col 5% ottenuto come prestito forzoso a bassi tassi (mi sembra lo applicò Keynes in UK nel dopoguerra) ci ricompreremo tutto il debito pubblico in mano estere diventando immuni ai mercati oppure … ?(http://www.repubblica.it/…/i_patrimoni_italiani_in_poche_m…/)

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CRONACA 617 (1-14 Gennaio 2018)

TENDERE L’ARCO INDO-IRANICO. Cronaca degli ultimi sei mesi: 1) Riconferma e rinforzo della presenza USA in Afghanistan; 2) si accende la questione Rohingya in Myanmar; 3) inizia la destabilizzazione dell’Iran; 4) Trump sospende aiuti e twitta furioso contro il Pakistan.

La strategia USA sull’area indo-iranica prende forma (ricordo che la precedente dottrina Clinton-Obama detta Pivot to Asia è stata aggiornata da Trump in Pivot to Indo-Pacific). Si comincia con l’inattesa inversione di Trump sulla strategia in Afghanistan annunciata questa estate, forse 4000 uomini in più e riconferma dell’intenzione di rimanere a Kabul per lungo tempo.

Si continua con l’esplosione improvvisa del problema Rohingya che in realtà andava avanti da anni. La pratica è appena aperta e andrà avanti per lungo tempo anche qui con formazione dello sdegno umanitario, minacce, sanzioni, qualche attentato dei poveri Rohingya ormai reclutati nell’internazionale jihadista che opera su mandato saudita dal Bangladesh.

Di questi giorni, l’improvviso inizio di una rivolta libertaria iraniana, Iran già messo sotto pressione di non ratifica dell’accordo sul nucleare e da continue frizioni coi sauditi. Proprio i sauditi, precedentemente fratelli di credo islamico ma anche di specifiche interpretazioni hanbalite, litigano con il Pakistan durante la recente crisi del Golfo che ha ostracizzato il Qatar. Il vantato asse militare con Islamabad in quella che doveva essere la NATO sunnita, si rompe prima ancora di vedere la luce.

Trump inaugura l’anno con un tweet al vetriolo contro Islamabad, niente aiuti per 255 mio di US$ e recriminazione su tutti soldi dati ai pakistani negli ultimi 15 anni, con tanto di accuse di esser stati presi in giro continuamente sulle faccende che riguardano il complesso rapporto tra Islamabad, il terrorismo, i talebani, i pashtun. Proprio questi ultimi due, si rifanno vedere con attentati in Pakistan con sinistra sincronia. Subito difeso da Cina e Turchia, il Pakistan viene messo in croce ovviamente dai giornali indiani che sostengono che finalmente Trump si è accorto di quello che loro sostengono da anni.

Segnalo che la zona dei Rohingya In Myanmar è laddove si sta costruendo un porto gasifero che dovrebbe portare condotte dirette al sud della Cina e che il Pakistan è diventato partner di ferro della Cina con la quale sta costruendo il “Corridoio China-Pakistan” valutato per 65 mld US$ e che ha nel porto di Gwadar il suo terminale di sbocco per far passare l’energia acquistata nel Golfo. Alibaba si vede rifiutare l’acquisto di MoneyGram (reti di trasferimenti di denaro) poiché “impresa strategica”. Cronache del mondo multipolare, non la terza guerra mondiale ma gioco del conflitto permanente.Conflitti che si sbaglia a ritenere “inventati” poiché tutto il mondo post coloniale (e non solo) è un accrocco di potenziali contraddizioni per lo più insolubili.

L’ho già scritto mesi fa: attenti al Pakistan. Il Pakistan è uno stato precario, nato per decreto coloniale settanta anni fa, composto da quattro diverse etnie principali, con un conflitto a bassa intensità permanente con l’India riguardo il Kashmir (e non solo). Gwadar è nel Belucistan dove c’è un movimento autonomista. Il Belucistan continua nel sud Iran dove opera Jundallah, organizzazione affiliata al Qaeda, indicata dall’Iran come supporto logistico per gli attentatori che fecero 12 morti tra parlamento e mausoleo di Khomeini, a giugno scorso. Fossi il Pakistan, come si diceva quando facevo il militare, dormirei preoccupato …

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

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LUBRIFICANTI. Mi son sempre domandato che effetto avrebbero fatto cinque C130 pieni zeppi di dollari da lasciar cadere a pioggia sulla questione israelo-palestinese. Chissà magari dovendo collaborare per metterli a frutto, i vecchi popoli della zona, che quanto a commerci e mercati hanno know how millenario, avrebbero potuto trovare equilibri diversi.

In soli 5 anni il commercio bilaterale Cina – Israele è passato da 1 miliardo a 11,4 miliardi di dollari e la necessità di incamerare tecnologia – come stabilito dal progetto “Made in China 2025” volto ad emancipare il paese asiatico dal ruolo di fabbrica del mondo – ha fatto triplicare gli investimenti cinesi nel paese soltanto nell’ultimo anno. Il numero degli accordi a coinvolgere almeno un partner cinese sono aumentati del 16% su base annua. E a rendere ancora più ghiotte le prospettive future concorre la crescente reticenza degli Stati Uniti ad accogliere capitali cinesi nella Silicon Valley (da il Fatto).La Cina è oggi il secondo partner commerciale di Israele, sia per l’import che per l’export (l’articolo dice il terzo perché conta la UE come un unico soggetto)

La Cina (maggio 2015) ha operato l’acquisto della concessione (per 25 anni) del porto di Haifa (Israele), da parte di Shanghai international port group (operazione da oltre 850 milioni di euro). Il passaggio dello scalo all’amministrazione cinese è previsto nel 2021. Inoltre la China harbour engineering sta realizzando, sempre in Israele, un terminal container ad Ashdod (un’altra operazione da oltre 850 milioni di euro, relativi alla sola costruzione, non alla gestione). Anche in questo caso il terminal è previsto in funzione nel 2021 (da Sole24Ore). Ashdod sarà terminale strategico per due motivi, Il primo è che avrà i nuovi standard per ricevere le nuove mega navi container, il secondo è che sarà collegato a Eilat tramite ferrovia che stanno costruendo sempre i cinesi (con gli israeliani) e rappresenterà quindi l’alternativa all’eventuale chiusura di Suez (Eilat è in fondo al Golfo di Aqaba). Oppure, potrebbe arrivare un ramo ferroviario dalla Turchia, la ridondanza è la cifra dello sviluppo della BRI cinese.

Non arriveranno quindi i C-130 ripieni di dollari, ma solerti funzionari cinesi con valigette pieni di yuan. Vedremo l’effetto che farà. Spesso ci lamentiamo degli economisti che non includono considerazioni geopolitiche nelle analisi ma vale anche per i geopolitici che non includono considerazioni economiche nelle loro. Col giusto lubrificante si entra e si esce da ogni tipo di strettoia. (QUI)

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KIM ALLA SETTIMANA BIANCA. Pochi giorni fa, il feroce Saladino coreano, ha articolato un discorso con due segmenti. Nel primo ricordava che sulla sua scrivania, ora c’è il red button nucleare, nel secondo apriva ad una possibile partecipazione della Corea del Nord alle prossime olimpiadi invernali di febbraio in Corea del Sud. Sebbene ampiamente fuori tempo massimo (le iscrizioni si sono chiuse ad ottobre e manca un mese all’inaugurazione dei Giochi), l’apertura di Pyongyang ha messo subito in moto la diplomazia del 38° parallelo. Martedì è il compleanno di Kim, ma la notizia è che i due ministri per la riunificazione pacifica delle due Coree, si incontreranno per contrattare i delicati aspetti formali (che in diplomazia sono sostanziali) della faccenda. Nel frattempo, pare che gli americani abbiano sospeso le rituali manovre navali al largo delle coste coreane e Trump, dopo aver detto che il suo bottone è più grosso e soprattutto funziona, che lui è un genio stabile, abbia detto che queste evoluzioni sono per lo più merito suo e magari martedì butta pure una telefonata per salutare il dialogo coreano. Corriere on line non dà neanche la notizia, la Stampa la sprofonda dove nessuno legge, merito a Repubblica (e ieri il Tg/la7) averci fatto l’apertura.

Ci si domanda: se l’opinione pubblica ha una percezione del tutto distorta della politica internazionale, soprattutto oggi che siamo chiamati ad adattarci ad un nuovo mondo multipolare, come può esprimere la sua democratica volontà generale? Se molto osta alla espressione della nostra sovranità in termini economici e monetari, in linea di principio nulla di tutto ciò osta all’espressione di un sovranità in termini di politica internazionale, eppure basta manipolare notizie ed ecco che si porta la sovranità dove si vuole. Lo so, son cose note. Era solo per ricordare che la precondizione per la democrazia non è questa o quella moneta, questa o quella legge elettorale, questa o quella visione del mondo, poiché questo o quello dipendono sempre da una sola cosa: informazione e conoscenza. Se non sai e non capisci di ciò che dovresti decidere, non c’è alcuna democrazia possibile.

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VERITA’ MULTIPOLARI. Mister Justin Yifu Lin, è un ex militare taiwanese, scopertosi economista. Diventato professore a Pechino con tanto di fondazione di un suo centro ricerca, diventa anche capo economista e senior vice presidente della World Bank (2008-2012). Ha anche lanciato una nuova teoria dello sviluppo che si chiama New Structural Economics, che per certi versi accumunerebbe anche Joseph Stiglitz e Michael Spence. In pratica, pare, una via di mezzo tra l’estremismo del libero mercato e il corrispettivo inverso dell’economia statalizzata o anche l’inversione teorica tra il seguire il modello di sviluppo copia-incollato da quello desunto dalla storia economica dei Paesi già sviluppati (Occidente) e la nuova verità che Yifu Lin sottolinea ad un certo punto di questo articolo: “Non esiste una strategia per lo sviluppo che sia valida per tutti.”

Questa verità “sconcertante”, apparirà giustamente ridicola ai non economisti, siamo alla pura evidenza logica, alla tautologia, alla banalità del buon senso, all’apodittica direbbero i filosofi. Eppure, sino ad oggi, il pensiero dominante è stato in economia come altrove e come sempre è stato, il pensiero dei Paesi dominanti. Il neoliberismo non tramonterà perché falsificato teoricamente, declinerà solo perché gli si oppongono evidenti casi concreti di altra fattura che non rispondono alla sua teoria, fatti fuori teoria che chiamano altre teorie. Nel caso specifico, il puro e semplice buonsenso del fatto che economia e politica sono due ordini dello stesso sistema, di cui occorre trovare a grana fine, il primato ordinativo ora dell’uno ora dell’altro. Più o meno quello che, anche sulla globalizzazione, sostiene Dani Rodrik ormai da anni, sebbene solo di recente riscoperto qui da noi.

Ieri, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli americani hanno preso una ennesima facciata perché volevano reiterare la consueta pesante censura nei confronti del’Iran. Ne è uscito un comunicato molto blando e generico e la dimostrazione che un po’ tutti si sono stufati della pretesa americana di dar per scontata la coincidenza tra verità e punto di vista, il loro.

Ne consegue un futuro molto eccitante, un futuro in cui le verità appaiono per quel che sono, non degli universali ma dei relativi geo-storicamente determinati. Sarà molto eccitante per le menti che verranno, il mondo multipolare avrà la sua versione materiale (geopolitica, economia etc.) ed immateriale (pensiero, idee, logiche) e ricchissimo sarà il movimento intellettuale che dovrà mettere in relazione il mondo ed il come lo pensiamo. Peccato non avere venti anni di meno … (QUI)

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RIPIEGATO. Chi si immagina che Berlusconi sia un improvvisatore sbaglia. Berlusconi ha due aspetti, quello del prima che basa su solide basi empiriche e quello del dopo che basa su una innata capacità di spettacolarizzare la relazione tra lui e gli interlocutori. Le solide basi empiriche sono l’analisi del mercato, Berlusconi fa analisi di mercato che sia per costruire suburbi, per fare nuove televisioni, per fare nuovi partiti. Tali analisi non danno certezze certo, ma sono ciò che più si approssima ad una valutazione scientifica degli ambienti in cui si andrà ad operare, tali analisi vanno fatte e poi vanno interpretate. Se sono fatte bene e soprattutto se l’interprete ne aggiusta il valore dei pesi basandosi sulla propria conoscenza generale, danno indicazioni molto utili. Ecco allora che la strategia 2018 del vecchio imprenditore è tutta rivolta al target fondamentale: gli anziani. Il nostro è un paese tendenzialmente di anziani che diverranno sia sempre di più, sia sempre più anziani.

Ne consegue il portante del programma della coalizione di CD, deliberato ieri. Reddito di dignità ad alzare le pensioni minime, ministero della terza età e inclusione di due bandiere degli alleati, dallo sforzo per supportare nuove maternità (Meloni), alla revisione della legge Fornero (Salvini). Questioni come stretta ulteriore sull’immigrazione e leggerezza fiscale (salvaguardia dei patrimoni), danno rassicurazioni di contorno. Citare le “mamme” e proporre sgravi fiscali per gli animali da compagnia, danno quel “human touch” che è specialità della casa.

Si potrebbe allora supporre che il PD, punterà invece sull’età di mezzo, quella dei coinvolti appieno nella macchina produttiva, i difensori naturali dello status quo. Altresì, i Cinquestelle, punteranno più su i trentenni ed anche meno come si rileva da una chart che sta girando su fb.

Liberi ed Uguali che sono di forza non omologa ai tre contendenti principali, in ossequio alla loro tradizione di pensiero che origina -volenti o nolenti- dalla sociologia marxiana, non accettano la partizione anagrafica ma seguono quella sociale. Ed ecco che togliere le tasse universitarie potrebbe interessare chi ne ha nocumento nel bilancio famigliare, chi preferirebbe scommettere sulla qualificazione dei figli per l’inserimento lavorativo prossimo venturo, gli stessi giovani interessati più studiare che a lavorare (anche perché di lavoro c’è ne è sempre meno). Ma vedremo il resto, certo non può esser questo il baricentro della promessa elettorale e, nel ripristino dell’art.18 già si legge che il “lavoro”, quantomeno in termini di garanzie per chi ne ha uno, sarà l’asse portante.

Ci aspetta dunque una campagna elettorale conservatrice, difensiva. Difendere gli anziani o gli affluenti e gli integrati o i giovani o i lavoratori. Tre punti: quanto ai ricchi e quanto ai poveri (diseguaglianze), quanto di più potremmo e dovremmo fare e come (sviluppo), che Paese costruire per i prossimo venti-trenta anni (con almeno qualche vaga linea strategica in termini di collocazione nazional-internazionale, inclusa l’UE e l’euro), sembrano -al momento- esorbitare dal marketing elettorale. Ne consegue l’immagine dell’introflesso, del ripiegato.

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L’INVINCIBILE MORBO DELLA STUPIDITA’. A tutti i ragionamenti che includono il concetto di limite opprimendo il pensiero nella dura considerazione che se non si può andare avanti si dovrebbe pensare l’indietro, gli ottimisti (categoria dell’atteggiamento psichico che sfocia nella fede) oppongono il principio speranza incarnato dalla scienza. La scienza può trasformare i pani in pesci, non ci sono limiti, ingenuo … (segue sorrisino di compassione).

Ecco allora che dopo Merck, anche Pfizer alza bandiera bianca sulla frontiera di ricerca che dovrebbe essere di richiamo per tutti: garantire una sana vecchiaia a popolazioni danarose (gli occidentali) che vivono sempre più a lungo: Parkinson, Alzheimer, Dementia. Sulla carta, un sacco di soldi. Perché allora ritirarsi?

Si possono fare tre ipotesi.

1) Ipotesi molto poco ipotetica e fondata sulla conoscenza secondo le pubblicazioni sull’argomento. Del cervello – mente ne sappiamo una cippa scarsa. Vantiamo la prossima autocoscienza robotica ma in realtà non abbiamo neanche una definizione di coscienza condivisa, difficile replicare qualcosa che non si sa neanche cos’è. Vattelapesca cos’è la memoria e come si corrompe. Sulla biochimica cerebrale qualcosa ci è noto ma meno di quanto vantiamo. Sulle retroazioni tra liquido cerebrale, materia bianca a relazione mente-corpo, ciao core. Se non sappiamo i generali fondamentali, certo i particolari delle patologie corruttive del cervello, ci sfuggiranno per sempre. Quindi, in attesa che la conoscenza generale ne sappia di più chissà come e perché (se gran parte degli investimenti sono finalizzati all’informatica ed al militare), dedichiamoci ad altro.

2) Perché debellare una malattia quando si possono fare molti più soldi assistendola? C’è forse un principio etico nelle mission delle multinazionali quotate in borsa? Sì, spesso c’è ma è solo “chiffon de papier” a pg. 10 dell’Annual Report, l’impresa non è un ente etico, non lo è mai stato e da quando sono tutte quotate in borsa lo sono anche meno di prima. Francamente non vedo neanche perché dovrebbero esserlo, in quanto individui collettivi privati, si limitano a riflettere l’etica generale che, di questi tempi, come si sa, è quella che è.

3) Poiché il business di una multinazionale deve dare a questa risultati trimestrali che gli analisti finanziari leggono con voracità ed in base ai quali ti danno rating, buy o sell, tutto ciò che non produce risultati avvertibili trimestralmente o al massimo annualmente, va tagliato. Ricerche lunghe dall’esito incerto, non sono compatibili con le performance. Basta che uno dei leader di settore tagli e per il principio del vantaggio competitivo è d’uso taglino anche tutti gli altri, si chiama concorrenza e funziona all’in su come all’in giù.

Avevo diciassette anni quando nei collettivi della mia scuola imparai la semplice verità che la scienza e la ricerca non sono neutrali, non sono beni collettivi dediti a renderci la vita migliore. Sono proprietà e brevetto di chi vi ci investe. Se non lo fa lo Stato lo deve fare il mercato ma il mercato ha le sue ossessive regole di profitto a breve, quindi non lo fa o lo fa per darci il fondamentale riconoscimento vocale dello smartphone. Allo Stato è vietato e coi debiti poi, neanche se ne parla.

Così ci si avvia ad una vecchiaia dall’incerta pensione, senza una badante extra-comunitaria perché altrimenti l’Italia non è degli italiani, tremolando scossi dal Parkinson e dimenticandoci anche come ci chiamiamo per via dell’Alzheimer. Anche l’ottimista dal sorrisino compassionevole starà lì sbavando dall’angolo della sua bocca storta, peccato che di quanto diceva quando era baldanzoso ed in pieno delirio d’ onnipotente ignoranza, non si ricorderà.

Da iscrivere alla colonna: fallimenti adattativi. Dispiace certo, ma giusto così.

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햇볕 정책 (Politica del sole, nome della dottrina di relazioni int’li della Sud Corea, detta anche “riconciliazione e cooperazione politica nei confronti della Nord Corea” 1998-2008) :

Torniamo a “Kim va alle Olimpiadi”. Insomma, le due delegazioni coreane si sono affratellate, affare fatto per le Olimpiadi, pattinatori, esibizione di arti marziali e le mitiche cheerleader nord coreane che pare gli americani considerino le migliori del mondo. Ripristinata anche la linea rossa tra i due comandi militari di modo che -nel dubbio- meglio buttare una telefonata per capire meglio la dinamica di possibili fraintendimenti. Si pensa anche ad un “caramba che sorpresa!” con famiglie del sud che abbracciano i parenti del nord, naturalmente in mondovisione, lacrime e sorrisi. Alla fine un non scontato “ehi, non perdiamoci di vista, eh?” con aperture a trattative fraternizzanti tra le due coree, formalmente in armistizio ma non ancora in pace.

Allora, mettiamo che io sia Kim. So che il presidente coreano appena eletto è un democratico che aveva in piattaforma la distensione con la NK, eletto proprio perché la maggioranza del popolo coreano teme di diventare vittima di un gioco geopolitico d’area con tanto di missili e migliaia di ogive che arrivano nei giardinetti di Seul prima ancora di capire cosa sta succedendo. Ma il presidente SK Moon Jae-in, è stato anche segretario personale del Presidente (2003-2008) Roh Moo-hyum che, nelle loro memorie, Condoleezza Rice e Robert Gates (amministrazione Bush) definivano inaffidabile, imprevedibile e fondamentalmente anti-americano. Roh poi, non faceva altro che seguire il predecessore, Kim Dae-jung, presidente (1998-2003) Nobel per la Pace (2000) per aver portato avanti la dottrina di politica estera nota come Sunshine Policy (di cui al titolo), sostanzialmente -riappacificazione finale con la NK-. Mi pare un comprensibile “interesse nazionale”, no?

Ora,mettiamo che io metta sul piatto il grande passo: facciamo questa benedetta pace, dopo sessantacinque anni ci sta e ci sta anche per via del fatto che la Cina mi dà e mi prende l’85% dell’import-export e mi ha fatto presente che è cosa buona e giusta. Anche i russi mi hanno fatto presente ed i russi sono uomini d’onore. Mettiamo che io prometta di ritirare i 10.000 pezzi di artiglieria, incastonati nelle colline nordcoreane che sovrastano i 238 kilometri del confine la cui gittata giunge fino a Seul e di molto alleggerire la presenza militare. Diciamo che ci metto sopra anche una disponibilità ad accogliere delocalizzazioni industriali del sud allargando la zona economica speciale (me l’hanno consigliato i cinesi che di queste cose ne capiscono) del parco industriale di Kaesong, seguendo quella che a suo tempo già fece Hyundai. Diciamo che butto lì l’idea di un mercato in comune per espellere le produzioni del nemico storico, quello che entrambi odiamo nelle viscere, il giapponese. Diciamo infine che i cinesi buttano una telefonatina aggiungendoci qualche contrattino saporito ed un qualche viottolo della Seta di cui poi noi saremmo il raccordo anulare.

Posso farlo, debbo solo gestire la rivolta di una parte dei vertici miliari il cui potere discende dall’estensione quantitativa del’esercito mentre con questa strategia e visto i relativi successi balistici, nucleari ed informatici, diciamo che andrei versi un perfezionamento qualitativo più che quantitativo, pure con benefici di bilancio il che, visto che il Paese non nuota nell’oro, mi fa pure gioco. Chissà magari molte epurazioni fatte in questi mesi che in Occidente hanno raccontato come il piglio di un pazzo un po’Nerone, un po’ Caligola, già andavano in questa direzione.

Mettiamo allora che di contropartita richieda l’espulsione dei 30.000 soldati americani e le batterie dei THAAD, recentemente messe al confine dagli yankee.
Come la mettiamo?

Nd’A > Tutto ciò a premessa della lettura che oggi potrete fare sulla stampa generica e specializzata sulle reazioni americane e soprattutto giapponesi, all’incontro al 38° parallelo, inclusi gli smarriti commenti degli “esperti”. Nel gioco di tutti i giochi, quando il gioco di fa duro, i duri cominciano a … giocare.

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QUELLO CHE SCOPRIAMO DOPO MA SAREBBE STATO UTILE CONSIDERARE PRIMA. Ai miei tempi, quando s’andava in edicola, si poteva incrociare qualche anziano che con grande trasporto lì si recava per comprare l’agognato numero del mese di Storia Illustrata. Più in generale, sembra che tra curiosità e lettura della storia ed anagrafe avanzata ci sia una stretta correlazione. Perché? Potrebbe essere che dopo una vita passata a ritenere che il mondo doveva esser così e colà, piglio soprattutto di certe infatuazioni irrimediabilmente e giustamente giovanili, e dopo aver verificato che il mondo non è diventato né così, né colà, si torni a considerare di che pasta è fatto questo mondo che volevamo manipolare per farne tortelli e lasagne che non sono riuscite. Può darsi che come autobiograficamente ci rendiamo conto di esser diventati il prodotto della nostra storia personale, siamo tutti dipendenti dal percorso, così capita alle idee, ai popoli, alle nazioni, a gli stati, alle culture ed economie. La pasta delle nostre fantasia gastronomiche mastercheffiane cioè eminentemente idealiste, non facevano i conti con la natura della materia reale che in effetti non siamo stati in grado di manipolare a piacimento. Ecco un buon argomento di possibile relazione tra giovani ed anziani, uno scambio di prospettive che sarebbe dialetticamente assai utile per fondere l’entusiasmo ormai perso degli uni con la conoscenza dei limiti entro i quali questo può conseguire i suoi obiettivi degli altri. Sempre non si preferisca proseguire con l’insensata dicotomia tra idee speranzose che non vanno poi da nessuna parte ed il cinismo di chi dopo scopre il perché non sono andate da nessuna parte. Io direi che capire prima quanto sono tante e complesse le cause che fanno accadere le cose e quindi quanto dovrebbero essere tante e complesse le idee che dovremmo mettere in campo per cambiarle, aiuterebbe, la vita individuale, quanto la collettiva.

CRONACA 617 (16-30 Gennaio 2018)

LO “STERMINIO DELLA RAZZA BIANCA”. [Post su argomento generalissimo che ridotto a post soffre di semplificazione] Argomentone “globalizzazione”, termine sintetico per intendere cosa complessa, quindi tutta da precisare. Nella chart, l’ammontare di ricchezza dei milionari in dollari per regione/mondo.

La crescita cinese falsifica un assunto del liberalismo (non economico, politico) ovvero che il capitalismo (economico) funziona solo con un sistema di democrazia rappresentativa (politico). La Cina ha da secoli un sistema meritocratico di selezione della classe dirigente (sistema confuciano) per cui ottiene lo stesso effetto con altro metodo. Purtroppo questa falsificazione porta gli ex liberal-democratici a prender atto che la democrazia non è necessaria per cui via la democrazia e teniamoci il liberalismo economico.

Ma è interessante approfondire anche la composizione della ricchezza e soprattutto includere le coordinate demografiche che -circa- sono: ASIA 60%. EU 10%, USA 5% di pop. mondiale. Se, come sta accadendo, l’Asia gioca allo stesso gioco dell’Occidente (sviluppo di una economica di produzione e scambio di mercato, una economia “moderna”), è la semplice logica dei numeri-pesi a dire che sempre più sarà la principale massa del sistema. Ma quindi coloro che hanno qui da noi promosso la globalizzazione, questa ovvia considerazione non l’hanno fatta? Certo che l’hanno fatta ma hanno giudicato inevitabile-irreversibile il processo ed in effetti, in una certa misura lo è. Si sono però adattati, dilatando enormemente la produzione di capitale fittizio che poi prendono a tassi irrisori per scommettere direttamente e/o indirettamente sulla crescita asiatica.

Il problema della chart è che la ricchezza degli asiatici è maggiormente legata a normali attività di produzione e scambio com’era da noi primi del 1971 mentre quella degli occidentali è data più da rendimenti speculativi. Non a caso, le restrizioni di esportazione di capitali in Cina di cui recentemente si è data una stretta, dice che i cinesi non vogliono rendere reciproco il flusso. Quelli occidentali sono benvenuti ma quelli cinesi rimangono in Cina. Xi Jinping è per i mercati liberi delle merci, non dei capitali (o meglio che entrino liberamente ma non escano assolutamente) mentre da noi questa distinzione non viene fatta, guarda il caso. Da noi capitale produttivo e speculativo sono tutt’uno e o sei per la “globalizzazione” o sei un ridicolo medievalista.

In pratica, i ricchi hanno divorziato dal resto delle loro comunità nazionali, le hanno abbandonate alla concorrenza senza speranza (lo dicono i numeri demografici) con gli asiatici ma arricchendosi con la crescita di questi, hanno anche ulteriormente aumentato la propria, aumentando le fatidiche diseguaglianze. Ne conseguono alcuni fatti che illuminano la condizione contemporanea occidentale: 1) la democrazia non serve, non serve ai molti tanto si finisce sempre col delegare classi dirigenti dei pochi che questi problemi non solo non li risolvono ma li acuiscono; non serve neanche ai pochi tanto governano comunque col capitale e rischiano che magari per sbaglio i molti mettano della sabbia nella vasellina mandando in parlamento qualche testa calda che intralcia i loro interessi; 2) l’aristocrazia occidentale, svincolandosi dalle radici territorial-culturali occidentali e diventando cosmopolita, si dà comunque un futuro di aristocrazia mondiale mentre il resto della società fa la fine di una tazza di tè caldo rovesciata nell’oceano polare artico, entropia. Sul tutto, una tempesta di confusione dei termini, dei concetti, dei valori, del dibattito pubblico di modo che nessun capisca niente e si vada appreso alle polemiche di giornata, one-a-day.

I pochi sono tali perché sanno, pensano al loro futuro e sono pragmatici; i molti non sanno, pensano solo al presente e sono ideologici. Questa è la legge bronzea della diseguaglianza.

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ANTROPOLOGIA ANGLOSASSONE. Una buona parte di ciò che antropologi e sociologi, filosofi politici ed economisti critici (eterodossi) hanno denunciato del modo di vivere variamente detto “capitalismo” o “moderno” o “occidentale”, in realtà affonda le sue radici nella particolare antropologia dei popoli anglosassoni. per chi è interessato consiglio “La teoria della classe agiata” del grande T. Veblen, un libro del 1899 che vale più di tante analisi di superficie dei nostri decenni tristi. Veblen era di origini norvegesi e mostra una acutezza peculiare nel rinvenire in America, forme tipiche della sociologia tribale degli angli, dei sassoni (juti e frisoni) e delle tribù germaniche e scandinave. Gli anglosassoni sono diventati il modello dominante con l’impero formale britannico e poi informale americano, con la derivata potenza economica che -in società ordinate primariamente proprio dal fatto economico-, corrisponde al potere ordinativo anche in ambito culturale. Come tutte le culture, anche quella anglosassone ha i suoi pro ed i suoi contro. Un “contro” è pensare di pronunciare la frase “non esistono società. solo individui” e passare pure alla storia per la bella pensata che di per sé, è invece una corbelleria. O almeno è una corbelleria per chi è nato nelle poleis, nelle città, nei borghi, nei territori a più paesi e paeselli, dove c’erano i quartieri, le contrade, i rioni, le piazze, i giochi e le feste di paese, addirittura le processioni. Si finisce poi per dover istituire il Ministero della solitudine, una cosa che sarebbe passabile in un racconto di Orwell (anglosassone doc, un figlio dell’Impero) ma che nel mondo dei fatti concreti suona un po’ come un’ammissione dei limiti antropologici di una cultura che ha pagato la sua affermazione con l’esasperazione dei suoi caratteri, quelli positivi ma anche i tanti negativi. Se questo era il programma dell’utilitarismo benthiano della “maggior felicità per maggior numero”, si può dire “missione fallita”. Ravvediamoci, noi che quel difetto, di dote, non lo abbiamo. (QUI)

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MASSA E POTERE. Non ci riferiamo al famoso libro di E. Canetti, ma proprio al concetto di massa in fisica che pur non essendo esattamente data da peso e dimensione, è spesso a queste correlata. Vediamo quindi i pesi del sistema mondo come si comporteranno nel futuro ipotetico, secondo i parametrici economici, qui espressi in Pil a PPP(PPA Parità dei poteri d’acquisto). Ci riferiamo allo studio PWC World in 2050 ma esistono varie ricerche analoghe sostanzialmente coincidenti. Questi studi proiettivi certo scontano l’imprevedibilità della variabili oggi nascoste e servono più che altro per leggere tendenze di fondo più che fatti precisi.

Qual è la tendenza di fondo? Semplice, come dicono gli economisti -ceteris paribus- ovvero -a parità di ogni altra variabile-, l’economia mondo si ordinerà per peso e dimensione demografica. Fino ad oggi non è stato così, l’intero sistema occidentale, avendo sviluppato un certo tipo di economia e società correlata per primo ma soprattutto per unico, è stato largamente e lungamente dominante. Possiamo fissare al 1982 il turning point, al discorso del cinese Deng Xiaoping che lanciò il capitalismo con caratteristiche cinesi ovvero l’adozione di larga parte di quel “modo” economico e sociale occidentale, sebbene integrato da alcune variabili di tipo diverso. Seguito poi da altri paesi asiatici ed in prospettiva dall’Africa, all’interno di quel processo che chiamiamo “globalizzazione”, i paesi dell’ex Terzo mondo, presero a scalare la classifica in ragione delle rispettive crescite dei volumi economici. Le parità di condizione quindi sono relative e si riferiscono solo al fatto di organizzare il fatto economico secondo lo stesso modello (pur con importanti varianti secondarie). A parità di questa condizione, provenire da un basso sviluppo ed avere quindi lunghe prospettive di crescita ed avere una cospicua massa demografica, fa e sempre più farà la differenza. In un certo senso, il gioco del potere economico si brutalizza, i paesi “più giovani” rispetto al percorso di crescita, “grandi e grossi” vinceranno. Inoltre, per effetto sistemico, i paesi collocati nelle zone a più alta densità di crescita come l’Asia e l’Africa, beneficeranno di un effetto traino così come quelli occidentali, l’effetto contrario.

Poiché le variabili dei sistemi complessi sono collegate, la cosa si può leggere in vari aspetti, ad esempio la proiezione OCSE/OECD su i laureati in materie scientifiche che già al 2030, vedranno Cina ed India sfornarne ben il 64% del totale G20. Al 2050, comunque, un solo paese EU risulterà in classifica per Pil, la Germania retrocessa al 9° posto.

Ci si domanda: quale taglia dovranno avere i paesi che vorranno garantirsi le migliori condizioni di possibilità in questo scenario? Come raggiungerla visto che nessun paese europeo raggiunge il minimo dei 100 milioni di abitanti, limite che risulta essere ampiamente superato da tutti gli altri otto che sopravanzeranno la Germania in questa proiezione? Visto che la risposta sarà complicata ma più complicata ancora sarà la strategia da mettere in atto per risolvere il problema del nanismo strutturale dello Stato-nazione di taglia europea, quanto tempo occorrerà per metterla in campo e quando dovremmo iniziare a preoccuparcene? Poiché avremo a che fare con stati-economie, quale Stato europeo sarà idoneo a questo scenario: l’impossibile unificazione politica di tutti gli europei? il recupero della sovranità nazionale? tertium datur?

Tenete conto che c’è una certa correlazione tra potenza economica e potenza tout court, quindi dopo aver festeggiato l’avvento del nuovo mondo multipolare, non per dominare ma quantomeno per non esser dominati, a quale polo ci iscriviamo?

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MASSA E POTERE 2. La tabellina allegata mostra il peso delle economie – mondo a partire dal 1400. Come si noterà manca il 1800, il secolo in cui, per varie ragioni che i più curiosi potranno soddisfare leggendo il testo ormai canonico sulla divergenza tra Asia ed Occidente -La grande divergenza- di K. Pomeranz (Il Mulino), tanto da fare del titolo un concetto ormai usato in storiografia come condiviso, i pesi tra i due s’invertirono decisamente. Noi, che siamo figli del lungo periodo del XX e XIX secolo, attingiamo alla cultura che si è sviluppata in questo arco storico. Non solo ragioniamo sulla base di questa storia parziale ma ragioniamo con forme mentali create in quello stesso periodo. Da Smith ad Hegel, da Ricardo a Weber, da Marx a Nietzsche, da Darwin alla Rivoluzione industriale, molte nostre idee e modi di pensiero, nascono da lì.

Merito quindi dei world-historian, quello di ri-raccontare la storia del mondo, includendo altri periodi, altre storie, altri popoli, altri modi di ragionare. Ieri un mio contatto (Marco Casimirri), mi linkava questo articolo di presentazione di un volume che pare molto bello da ciò che dice in giro (io non l’ho ancora letto ma sta lì sullo scaffale ad aspettarmi) e utile ai fini di questo discorso (https://www.carmillaonline.com/…/oltre-limiti-dellocciden…/…). In esso è riportata una frase del Signore del Regno di Zhao ( -IV° sec.) che recita “Avere talento nel seguire le strade di ieri non è sufficiente a migliorare il mondo di oggi”. Peccato non averla conosciuta prima, è in fondo la tesi centrale del mio modesto Verso un mondo multipolare che ha appena compiuto un anno di vita, sarebbe stata utile da mettere in esergo. Essa distilla un concetto che ragiona così: poiché la mentalità nasce dal periodo storico, se la storia cambia radicalmente, si finisce con l’usare una mentalità vecchia per una situazione nuova. Ne conseguono varie cose tra cui due più importanti: 1) si cerca di orizzontarsi a Milano usando una cartina di Roma; 2) si cerca di costruire una cabina telefonica quando ormai si usano i telefonini. Un doppio disallineamento quindi tra capacità di analizzare e capacità di progettare da una parte e mondo sia come fenomeno da capire, sia come fenomeno a cui far fronte dall’altra.

Questo articolo invece (https://it.businessinsider.com/i-coloni-cinesi-sono-divent…/) racconta l’ennesimo primato cinese, quello della massa che la popolazione cinese mette a sostegno dei consumi interni, quel concetto di massa del post di ieri che vedo è stato poco letto e poco apprezzato, dato che verte su un concetto o che non piace o che è troppo alieno o che è troppo brutale ed apparentemente semplice (e pensare che io mi occupo di “complessità”!). La mia verve idealista tende alle poleis ma il mio senso realista non può negare il fatto che andiamo verso un mondo in cui la massa sarà decisiva. Scorrendo la storia del c.d. capitalismo o quella attuale del primato tedesco in Europa, forse la cosa non è nuova è solo che non l’abbiamo notata o forse qualcuno aveva interesse non la notassimo. Questa considerazione sulla massa non nega di per sé quella sulla poleis, le dice però di inventarsi qualcosa se vuole esser faro di un nuovo modo di stare al mondo, perché come concetto bruto, non elaborato, così com’è non va da nessuna parte. Come i mammiferi ai tempi dei dinosauri, è sempre possibile sopravvivere nel dominio dell’altro, magari nascondendosi sottoterra ed uscendo furtivamente di notte a cercar di rimediare qualcosa da mettere sotto i denti, ma diciamo che non è un bel vivere. Il Regno di Sotto, non è ambiente facile per gente abituata da qualche secolo a dominare il Regno di Sopra.

Chiudo con una invocazione alle menti di buona volontà. Il tempo delle transizioni storiche è quello in cui si apre il giornale e si scorrono i necrologi e poi si va ai funerali, ma è anche il tempo in cui i coraggiosi del nuovo sfidano l’ignoto e si mettono in cerca di non sanno neanche loro bene cosa. Questo secondo atteggiamento è non solo più adattativo e speranzoso, quindi umano, ma anche bellissimo ed affascinante. Apriamo le menti!

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

 

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MUCCHE IN CORRIDOIO. Leggevo ier sera che pare che Renzi stia per centrare la campagna elettorale sull’Europa, su gli Stati Uniti d’Europa come unico progetto serio per il nostro futuro, alla En Marche, per intenderci. Gli altri, fanno finta di dire non cose alternative ma parzialmente correttive su questo o quell’aspetto, ma se c’è un solo progetto sul tavolo sarà la logica di quello a dominare. Pare che a Marzo ci sarà una riunione della Zona euro per fare il punto, alcune cose vanno cambiate. Ecco allora che gli economisti franco-tedeschi si mobilitano e fioccano le idee.

Noi discutiamo d’altro come si conviene nel triste esercizio di una democrazia che non ha oggetto e neanche interpreti. La legge elettorale è fatta apposta per non dare un governo, quindi l’attuale che non si è dimesso, continuerà ed andrà a Marzo alla riunione per rappresentare non si sa cosa visto che nessuno qui se ne sta occupando. Le nostre elezioni nazionali sono ormai retrocesse a municipali. Come si dice in questi casi: così muoiono le democrazie, nella distrazione generale. (QUI)

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SOGNO O SON DESTO? Gli svizzeri, si sa, fanno i buchi col formaggio intorno, ma è la Svizzera tutta ad essere un buco nella nostra immagine di mondo. Questi antichi popoli di valli non facilmente penetrabili, se non dal versante tedesco, si son confederati da tempo immemorabile (XIII secolo o forse prima), meglio di noi poiché avevano iniziato deponendo le armi nel comune esercito (in genere, le confederazioni sono un sistema prevalentemente militare). Dal 1848, dopo lungo fidanzamento durato sei secoli di alterne vicende, tra nativi parlanti diverse lingue e dialetti (tutt’oggi con quattro lingue ufficiali), con più religioni, con diramazioni valligiane in ben 26 diversi cantoni, giungono a sintesi e fanno la fatidica federazione. Anche se molti la continuano a chiamare “confederazione”, è da 170 anni uno Stato non nazione o plurinazionale, con forme di democrazia diretta, federale, neutrale in via di principio dal XVII secolo, con politici non professionisti.

Ci si domanda: potrebbe questa patria di J.J.Rouseau, insegnarci qualcosa invece che l’astrusa analogia con gli “Stati Uniti d’Europa”?

Gli Stati Uniti, si sono fondati e presto passati a federazione, con 2,6 milioni di persone divise in 11 stati, molto omogenee, inizialmente, per etnia, religione, status sociale, con un immenso territorio alle spalle che ha dato loro prospettive di decenni di crescita. Protetti da due oceani, autonomi per materie prime, con un continente da sfruttare sotto. Senza vicini particolarmente temibili, si unirono nel generale semi-disinteresse geopolitico delle potenze del tempo. Noi nella UE siamo circa cinquecento milioni e tralascio il resto che potrete ben immaginare quanto a lingue, religioni, tradizioni, stili di vita, mappe valoriali, comportamenti sociali, forme del diritto, per non parlare di forme economiche, “culture” e diciamolo, odi reciproci e lungamente covati. Questo “arcipelago” come lo chiamava Cacciari, dovrebbe fare gli Stati Uniti d’Europa? Dovremmo fare uno Stato, federale, si spera costituzionale e perché no, anche democratico? E perché dovremmo essere in grado, ammesso di volerlo? Perché sino ad oggi abbiamo fatto, un mer … mercato! E bravi! Auguri! Scrivetemi quando avrete scoperto che le logiche per fare mercati sono del tutto diverse da quelle che sovraintendono la creazione degli stati.

Non so, io un’occhiata a gli svizzeri la darei, loro la moneta (e sì che di monete qualche conoscenza sembrano avere) e pure il mercato comune li hanno fatti solo dopo che si sono federati, non prima. Chissà, magari la geografia e la storia qualcosa insegnano. Fare stati partendo dal pensiero economico è come far prima gli umani e poi gli spermatozoi e poi fargli aprire un asilo nido e dopo farlo gestire ad un pedofilo. Lo so, gli svizzeri sono strani, ma non si può dire non abbiano chiaro in testa cos’è l’interesse nazionale, 7° posto per Pil PPA pro capite (World Bank, 2016). Chissà magari conoscendo la natura dei processi che portano dalle confederazioni alle federazioni, è per questo che hanno schizzato l’ipotesi UE già nel 1992?

Ma a noi questo caso storico nel cortile della palazzina Europa fatto di italiani, francesi e tedeschi non interessa, a noi piacciono gli Stati Uniti d’Europa, vuoi mettere? E poi mica crederai che abbiamo davvero intenzione di fare uno federazione politica? Che ti pensi che davvero la Francia e la Germania voteranno una Costituzione che le scioglie in una democrazia parlamentare con italiani, portoghesi, spagnoli e greci? Si fa così, per sognare, alla gente piace sognare, specie quando la realtà è molto più brutta.

“Unico e comune è il mondo per color che sono desti, mentre nel sogno ognuno si chiude nel suo mondo particolare” Eraclito, (90 Diels-Kranz).

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PER ANDARE DOVE DOBBIAMO ANDARE, DOVE … ? . Discutendo in un precedente post, mi veniva scritto che Stato, nazione, nazionalismi, sovranità, populismo, disfacimento democratico, società multiculturale, geopolitica, sono tutti argomenti-temi che fanno da perimetro ad un unico problema: quali forme di vita associata vorremmo, potremmo e dovremmo avere oggi o più ancora nei prossimi trenta anni?

Da tempo segnalo gli scenari mondo più probabili e nei post geopolitici avrete notato che -insomma- c’è chi sta dando da fare, sono in molti che si stanno dando da fare nel mondo “grande e terribile”, per richiamare il vecchio Gramsci. Qualche giorno fa me la sono presa con gli Stati Uniti d’Europa, prima ancora con economisti francesi e tedeschi che avanzavano proposte per la riforma della zona euro mentre qui da noi nulla in merito si poteva leggere (domani ne parlerà Cesaratto sul Fatto). Ieri leggevo un bel intervento di Pivetti sulla mancanza di una “teoria dello Stato” nel pensiero marxista. Oggi abbiamo la candidatura di Borghi e Bagnai con la Lega. Oggi stesso sono andato a procacciarmi un appena uscito volumetto sul concetto di nazione o meglio nazionalismi (sono due argomenti ben distinti), quel Benedict Anderson, Comunità immaginate, pubblicato a suo tempo da manifesto libri e da anni esaurito ed ora ri-editato da Laterza, esaurito già in due Feltrinelli. Giovedì sarò a Parma a discutere, in parte su questi argomenti, con gli amici di Senso Comune.

Dal dentro di questo perimetro certo la discussione risulta spesso anche troppo sanguinosa, scomuniche volano reciprocamente come si fosse nella Spagna del ‘500. Ma dall’esterno, non distinguendo le posizioni e sommando i certi a gli incerti, non si può non felicitarsi del fatto che l’attenzione aumenti su questa domanda: quali forme di vita associata vorremmo, potremmo e dovremmo avere oggi o più ancora nei prossimi trenta anni? chiaritaci la meta, come andarci verrà poi di conseguenza.

E’ un domandone, quindi non c’è troppo da preoccuparsi se ancora non abbiamo risposte chiare, ce le chiariremo, ma solo se continueremo a discuterne. La lievitazione delle discussioni al perimetro del tema, lì dove si trovano i concetti che lo includono come premessa, induce una nota di ottimismo …

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FUTURO e CINA. “In un futuro non troppo lontano, la Cina potrebbe raggiungere Marte e diventare la prima nazione a conquistare la faccia nascosta della Luna, al punto che, secondo Nature e Scientific American, si avvia a diventare una vera e propria superpotenza spaziale. Da sola, copre un quinto degli investimenti globali in ricerca e sviluppo, ha i due supercomputer più veloci del mondo, sta progettando la costruzione di un acceleratore di particelle due volte più grande del CERN e potrebbe superare gli Stati Uniti nella leadership mondiale della ricerca scientifica.” (qui: http://www.iltascabile.com/scienze/fantascienza-e-progresso/ per gentile segnalazione di Jacopo Coro). Quella dell’acceleratore due volte quello del CERN, non la sapevo.

I due simpatici macachi, si chiamano zhong e hua che assieme fanno zhonghua che appunto significa “popolo cinese”. Sono già 1,4 miliardi se prendono a clonarsi anche Salvini dovrà imparare il putonghua (cinese standard). Ah, i cinesi … (QUI)

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L’IDEOLOGA TEDESCA. Bell’esercizio di Salvati che con carpiato avvitato con uscita capovolta come fosse Antani, passa da una premessa sulle indiscutibili necessità per un italiano di pensarsi in un futuro europeo, a parlare di istituti di governo della moneta e dell’economia. Sarà che forse son ormai avvitato intorno ad una mia personale immagine di mondo che mi fa sentire continuamente cigolii nelle giunture logiche del pensiero pubblico, ma cerco qualcuno che mi spieghi perché si dovrebbe discutere un futuro europeo (qualsiasi cosa voglia dire) per Stati che dovrebbero diventare super Stati, con gli economisti. Se notavamo un certo balbettio nell’ideologia marxista a proposito dello Stato, cosa dire di quella liberale? Ha forse quella liberale una idea che non sia, difendere la proprietà privata, tripartire i poteri, affidarsi al mercato e tenere la società “bene aperta”? Questa vi sembra una teoria dello Stato adatta ad un mondo di 7.5/10.0 miliardi di individui ripartiti in più di 200 Stati, in un continente che ha una lunga emorragia di potenza e va in gruppo verso un mondo multipolare molto competitivo?

Infatti Salvati, che pure è un economista ma politico, giunge a notare due cose: a) la Germania non ragiona in termini di sistema ma di egoismo nazionale (ah l’egoismo! Fino a che tenete gli stati che vi aspettate, gli stati altruisti!? Questi liberali sono pazzi … ); 2) Francia, Spagna, Italia e Resto d’Europa, dovrebbero far presente a Merkel che così non si fa sistema e quindi … ? Quindi non si sa.

Tra referendum consultivi, aspettare che crolli l’euro, fare una grande democrazia (con chi? su quali presupposti?) mentre si continua a fare una gabbia d’acciaio che prosciuga i corpi sociali di tutti gli altri per alimentare la potenza tedesca e la valletta francese, sembra chiaro che stiamo buttando via tempo oltreché consistenza vitale, eppure non si riesce a vedere alternativa.

Geo-storia, gli Stati sono fatti di geo-storia e senza geo-storia non si possono fare Stati, semplice, “verum factum”. Il pensiero economico non contiene la geo-storia, è una metafisica analitica che disprezza l’empirico, i fatti, con quella puoi fare tutto meno che Stati. Tocca cambiare impianto mentale altrimenti, come diceva il vecchio Wittgenstein, la mosca continua a sbattere la testa nel tentativo di uscire dalla bottiglia in cui si è cacciata.

Se non ti piace l’ideologia tedesca, traine la conclusione, con orgoglio e realismo, fai qualcosa senza i tedeschi. Mah, forse invecchio e capisco sempre meno i miei simili …ammesso siano tali. (QUI)

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LOGISTICA DEL MONDO MULTIPOLARE. Ecco il laido palazzinaro Trump, ad un anno dall’elezione, ci presenta un suo punto forte della promessa elettorale: il piano infrastrutturale. Non si sa quanto sarà, chi dice 1700 mld di dollari, chi dice 1500. Non si come lo finanzierà ma voci riportano intervento dello stato per meno della metà o anche meno, “dipenderà dai casi”. Forse farà altro debito e forse lascerà in licenza a tempo l’opera ai cartelli d’impresa che l’hanno fatta, per rientrare e guadagnare dai canoni. Sono decenni che le infrastrutture americane decrepitano, logico quindi.

Ma proviamo ad immaginare un ragionamento più ambizioso di coloro che sono stati dietro la sua candidatura. Di cosa avrà bisogno un mondo dagli attuali 7.5 miliardi di essenti ai prossimi 10? Se continuano a crescere dovranno organizzarsi, infrastrutturarsi. Lo sanno anche i cinesi che già battono ampie zone del pianeta con piani, ingegneri, geologi, architetti e sopratutto soldi.

Non so a cosa quel piano arriverà, a quale entità, e quando, e come, ma l’idea di “allenare” l’industria della costruzione nazionale per esser poi pronta a competere nel mondo, non è male. Debbono aver studiato bene la Rivoluzione industriale ed aver capito che in verità fu la lunga rivoluzione industriosa britannica da prima e lungo il XVIII secolo ad aver creato il presupposto logistico. Senza logistica non c’è la Via.

Pare che il piano sia focalizzato su vari tipi di asset: porti, aeroporti, ferrovie, strade, condotte di energie e soprattutto d’acqua. Già l’acqua, il business di ogni futuro.

C’è solo da sperare che, se l’hanno davvero pensato, l’abbiamo pensato con spirito relativamente “corretto” in termini di convivenza planetaria, come da ragionamento sin qui ipotizzato. Speriamo non si sia alzato lo schumpeteriano-nichilista ad ammonire che prima di costruire, occorre distruggere anche perché altrimenti ai militari deve esser venuta l’acquolina in bocca. Vediamo …

CRONACA 618 (03 –  15 Febbraio 2018)

DILEMMA DI SPESA. Secondo una teoria sulla guerra fredda, questa servì soprattutto a gli USA, per costringere l’URSS ad impiegare gran parte delle sue più scarse risorse economiche nella corsa alla parità bellica contro i ben più ricchi Stati Uniti. Costringendo a distogliere budget statale dall’investimento in sviluppo economico, prima o poi l’URSS sarebbe implosa.

Negli ultimi dieci anni, la spesa militare degli USA ha avuto una flessione dal 2012 al 2016 per poi risalire di un po’ l’anno scorso. Quella russa è invece cresciuta con costanza e senza sbalzi stante che comunque è poco più del 10% del totale di quella USA in termini assoluti. Del resto il Pil russo è il 7,5% di quello USA.

Anche quella cinese sale con costanza ed è un terzo di quella USA. La decisione di Trump di rilanciare la corsa al nucleare (che ha costi molto alti) potrebbe seguire questa strategia. L’invito all’Europa occidentale a seguirlo su questa strada, oltreché sollevare gli USA da alcuni costi NATO, aumenterebbe la pressione complessiva operata dal fronte occidentale.

Nel suo “Ascesa e declino della grandi potenze”, P. Kennedy individuò non solo questo dilemma a cui sono sottoposti tutti i governanti le grandi potenze, ma anche un vertiginoso aumento del costo delle armi, sempre più sofisticate, sempre meno completamente ammortizzabili nel campo commerciale che -sovente- riprende alcune tecnologie lì esperite.

Insomma, la guerra sarà fredda sul piano militare, ma è ben calda sul piano economico che ne è poi diretto presupposto. Il gioco di tutti i giochi tra i giocatori più massivi, non dorme mai. (QUI)

[dati SIPRI 2017 https://www.sipri.org/…/d…/files/Milex-constant-2015-USD.pdf]

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RETTIFICAZIONE DEI NOMI. 正名 ; Zhengming . Pezzo forte della dottrina confuciana, ha preso poi molti significati. Ci si domanda? Qual è il contributo della confusione terminologica nella confusione delle idee e quello che dalle idee va ai fatti? Sia quelli che s’interpretano, sia quelli che si fanno? Ad occhio , parecchio. Se ognuno parlasse un linguaggio privato in ambito pubblico, semplicemente non ci sarebbe intelligenza pubblica, quindi l’intelligenza pubblica è direttamente proporzionale allo sviluppo del dibattito pubblico e questo al linguaggio in comune. Ma se ognuno intende diverse cose per questo o quel termine?

Casi come libertà, comunismo, uguaglianza, democrazia, capitalismo o casi più ristretti o più larghi come Stati Uniti d’Europa, più Europa (cos’è un additivo?), crescita, cosmopolitismo, globalizzazione, verità, scienza, popoli, Stati e nazioni e continuate voi, quanti significati hanno? Siete sicuri di sapere esattamente il significato di “globalizzazione”? E chi lo decide il significato, chi rettifica i termini, in mano a chi sta il vocabolario ?

Non so, mi dà l’impressione che siamo a rischio forte sgretolamento del vocabolario, pericoloso per comunità messe sotto pressione. Lo siamo anche per il gran numero di complesse questioni che attengono al mondo delle idee, delle ideologie e dei fatti nel mondo, impatto al quale non siamo preparati. Data la complessità degli argomenti in ballo, della rete di relazioni che li collegano tra loro e a molti altri, della loro sistematica interna, non meno complicata, è facile che si scivoli nel soliloquio o si finisca ad azzannarsi su fb sul nulla compresso nel niente di giornata. Mmhhh …

Ci sarebbe bisogno di tempo. La materia prima per l’adattamento al nuovo mondo è la conoscenza e fintanto che non inventano davvero quello che circola in certi film, un cavo che ti pompa 1000 terabyte di dati direttamente nel cervello (poi dopo che li hanno “scaricati” mi spiegano come si ordinano. Questi dell’A.I. sono pazzi), la conoscenza è direttamente correlata al tempo e la conoscenza è necessaria per avere un discorso pubblico. Ne consegue quello che si candida ad imperativo categorico del cambiamento:

> ridurre l’orario di lavoro perché dobbiamo rettificare i nomi, assieme. Poi discutere. Poi decidere davvero informati ed a maggioranza.

La civiltà Europea, della quale volenti o nolenti, facciamo parte, ha cominciato a morire nella seconda metà del XIX secolo, tocca riprenderne la tradizione di pensiero, tocca riformularne gli assunti. La cultura del secolo scorso è poco utile. Riprendiamo l’umana autonomia mentale che non può che desiderare di lavorare meno, il movimento operaio della seconda metà del XIX secolo quello faceva, riprendiamo da lì e da lì proseguiamo.

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TORNARE ALLA GEOGRAFIA ED ALL’ANTROPOLOGIA. Standing ovation per questa recensione, davvero bella. Ah! se avessi avuto il professor Kant come insegnante, quanto tempo e fatica mi sarei risparmiato. Adoro la sua onestà intellettuale. (QUI)

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VOLANO LIBRI. Nella mia intensa vita di lettore, ho buttato per terra smadonnando un libro solo due volte. Una era non ricordo cosa di Paul Auster (molto tempo fa, sono molti anni che non leggo più romanzi, purtroppo o nel caso di Auster, per fortuna). Oggi è capitato a Postwar di Tony Judt (e sì che sono poco meno di 1100 pagine, quindi ha fatto pure un bel botto!). Ci sono cose interessanti nel libro di Judt, che scrive anche molto bene. Però, cribbio, dopo una così lunga e precisa storia dell’Europa negli ultimi settanta anni, chiudere senza una sintesi, in giudizio, una prospettiva, un succo, una idea ma con ben trentaquattro pagine di “Epilogo” dedicate all’Olocausto, e no! Ecchediamine! E’ dall’Antico Testamento che gli ebrei hanno dato innumerevoli prove di essere dei grandi narratori, ma santa pace, si rilassino un po’ ogni tanto, si distanzino un po’ dalla loro convinzione di essere l’unico, grande e vero Spirito del mondo e la questione centrale che ordina su tutte le cose.

CRONACA 619 (16 – 28 Febbraio 2018)

DAS ADAM SMITH PROBLEM. Circa trentacinque anni fa, nell’ambito degli studiosi del pensiero di Adam Smith di cui è superfluo ricordare la centralità del ruolo svolto nel sistema di pensiero che riflette la forma del nostro modo di stare al mondo, venne posta una questione interpretativa tutt’oggi irrisolta.

Il fatto è che se a noi Smith è noto per la Ricchezza delle nazioni (WN), ai suoi tempi era invece celebrato per un altro testo, precedente, la Teoria dei sentimenti morali (TMS). Il punto è che la WN è passata in interpretazione come un’opera che celebrava l’egoismo individuale motore del meccanismo economico, la TMS –quella che Smith stesso riteneva esser il suo opus magnum- era invece centrata sul sentimento di simpatia / empatia umana e sociale. Ci si domandava quindi: qual era la visione dell’uomo e del mondo di Adam Smith? Se nella TMS l’uomo cerca l’altrui affetto, accettazione e benevolenza come fa a passare alla WN a dire che l’uomo persegue solo il suo più cieco egoismo individuale?

Smith invero non ha mai sostenuto nella WN che l’uomo persegue “solo” il suo egoistico interesse e se qualcuno ha preso una paginetta su più di 1140 e l’ha fatta diventare il perno di una intera filosofia, questo è un problema degli interpreti non di Smith. Seguo da anni la faccenda che andrebbe seguita nei particolari, ma non era proprio di questo che volevo parlarvi.

Su questo dilemma della natura umana (o meglio dei sistemi di pensiero che pensano l’umano), ci torna su Amitai Etzioni, sociologo comunitario americano, con un articolo sulla Stampa (che qui pubblichiamo via Dagospia), rispolverando la mitica piramide di Maslow e riproponendo la questione della felicità umana in ottica comunitaria, proprio ora che si rende oggettivamente possibile ridurre l’orario di lavoro per via dell’ascesa delle macchine e degli algoritmi.

Affronteremo il problema in un articolo che pubblicherò oggi o domani sul mio blog, la ristrutturazione dei sistemi di pensiero al cambiare dei tempi. (QUI)

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RE-NEW. L’Internazionale liberale medita la rivincita. Distrutta dalla svolta della Brexit e dalla defenestrazione dal Labour, continuata con l’eclisse delle Clinton in USA, dalla sconfitta di Renzi al referendum italiano e dalla sua sostituzione alla leadership di governo, ha avuto il soprassalto con la vittoria di En Marche di Macron. Ora vien fuori un nuovo partito britannico RENEW, di chiara ispirazione macroniana, con dietro Blair, Clegg, il Guardian e l’immancabile Soros oltreché consigli e soldi direttamente da En Marche. Il partito giunge a proposito di una sotterranea campagna anti-Brexit che da tempo va avanti in GB. Politico.eu, aveva nei giorni scorsi spifferato un dopo elezioni con Renzi candidato nel prossimo anno a prendere il posto di Juncker e la formazione di un nuovo raggruppamento al Parlamento europeo con En Marche, PD e Ciudadanos. Renzi, di suo, ha già cooptato la Bonino con il +Europa. Qualcosa verrà fuori anche negli USA, magari non per il mid-term ma tra tre anni.

Ma perché Macron avrebbe fatto uno spin-off addirittura in GB? Perché ai francesi servono alleati per bilanciare i tedeschi e servono alleati per bilanciare gli inglesi e servono alleati per bilanciare chiunque altro, di modo da fare dell’Europa un sistema vago nel quale si annida l’ultimo residuo di potenza francese. Stiamo parlando di un sistema, la vaga “unione degli europei”, che è stato inventato da un francese (J. Monnet) per ragioni geopolitiche tipicamente francesi, promosso da francesi, guidato strategicamente da francesi con, a volte, qualche concessione ai tedeschi.

Il sistema, per quanto vago, rimane pur sempre un mercato e ciò in fondo va bene a tutti, non diventerà mai uno Stato sebbene con slogan vaghi si voglia lasciare molti crederlo e questo va anche bene a tutti. Lasciar fuori i brit o meglio gli inglesi, significa rimanere soffocati in un metro quadro da condividere coi tedeschi, significa avere un paradiso fiscale che ti succhia sostanza al di là della Manica, significa che se poi a gli inglesi va bene, molti altri potrebbero pensare di mettersi in proprio e questo proprio non va bene.

Se le idee sono vecchie poiché la storia e la geopolitica che ne consegue vivono di lunghe durate, il packaging è rinnovato, giovani, abbiamo bisogno di giovani! NUOVO! Sfondato bianco su uno scacco rosso era una bella rivista dei pubblicitari italiani di qualche decennio fa, un magazine da addetti ai lavori, addetti ai lavori che pur non avendo letto la Retorica di Aristotele, ben sapevano per esperienza quanto uno splash (così si chiama una etichetta apposta su un packaging) rosso che urlava una promessa di novità fosse attraente ed accattivante. Ecco attraenti ed accattivanti! Non certo Blair o Soros o Attali ma giovanotti o giovanotte che vogliono sfidare il futuro brandendo l’antica arma del trilogos politikos liberale: individui, libertà, mercato!

Così l’Europa anziana e smarrita, sfida il turbinoso futuro, con le idee immortali di un gruppo politico (i whig), nato nel 1678: Viva Pitt, Viva Locke, Viva Macron! Che il progresso sia un eterno ritorno!

http://www.repubblica.it/…/en_marche_renew_gran_bretagna_b…/

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MAGARI NON VE NE FREGA NIENTE DI PALEOANTROPOLOGIA, MA … . Stavo giusto leggendo una riflessione sul “Che cos’è la storia”? di Edward H. Carr (Sei lezioni sulla storia, Einaudi), che arrivava a sposare la visione di Collingwood (a sua volta influenzata da B. Croce) per il quale i fatti sono da porre in relazione alla mente che li interpreta in maniera inestricabile. La mente sceglie dall’indistinto un oggetto del pensiero, lo fa “fatto” e poi vi esercita sopra l’interpretazione. Voi non sapete, appena dieci-quindici anni fa, quante pagine mi sono letto dei più affermati paleoantropologi che descrivevano i Neanderthal come sub-umani ed i Sapiens sapiens (già dal nome con l’attributo di sapienti che sanno di esserlo! che modestia “scientifica”, che trionfo dei giudizi di fatto e non di valore …) come gli esseri superiori, lignaggi non solo reciprocamente infertili ma con i secondi che poi hanno sterminato i primi per ragioni di affermazione della propria oggettiva “superiorità”. Non erano opinionisti della domenica, né deprecabili scienziati-nazisti che distorcevano l’episteme per ragioni ideologiche (pensavano e dicevano di loro stessi), era il fior fiore dell’accademia internazionale, ovviamente con prassi altamente “scientifiche”.

Da tempo, questo quadro così stereotipato è in revisione profonda. Ora vien fuori che forse i Sapiens sapiens hanno copiato e sono stati emancipati dai vecchi Neanderthal, ma non è su questo che volevo attirare la vostra attenzione. Nell’articolo si fa riferimento al fatto che i francesi sono molto conservativi per cui non vogliono prelevare neanche un po’ di calcite per radio datare i reperti ambigui (quelli ad esempio che dimostrerebbero una paternità Neanderthal e non Sapiens sapiens), perché ? Perché forse andrebbe riscritta tutta la paleoantropologia di cui il loro Leroi-Gourhan è stato il cantore? Si dovrebbe allora rivedere tutta la paradigmatica da loro imposta a questa disciplina per lungo tempo? Si retrocederebbero le grotte di Lascaux e Chauvet a performance tarde di una evoluzione ben più antica che aveva sede in Spagna? E perché il ricercatore dice “Tendenzialmente, i colleghi inglesi e americani sono più anti-Neanderthal, noi mediterranei più filo-Neanderthal”? Perché gi anglo-americani che hanno dominato nell’accademia assieme ai francesi, farebbero la figura dei tolemaici che poi hanno scritto dotti volumi sulla natura delle rivoluzioni scientifiche copernicane ma proprio ora si rivelano assai conservatori ed anti-copernicani? Gli anglo-americani non accettano a cuor leggere la falsificazione popperiana, il dominio di verità dei fatti, l’evidenza “scientifica”?

Magari non ve ne frega niente di paleoantropologia, ma considerate bene a fondo questo: le interpretazioni vengono da sistemi di pensiero ed in ogni epoca, i sistemi di pensiero dominanti sono quelli delle culture dominanti (vale per le classi, ma anche per le etnie, le nazioni, le civiltà). Quando interpretate un fatto, che sia l’euro o le migrazioni o i diritti umani o il posto dell’uomo nel mondo o il ruolo della tecnica e della scienza nella costruzione del mondo, quale sistema di pensiero state usando? Vi state avvalendo della “vostra propria intelligenza” o visto che non avete tempo, usate pezzi di pensato che avete letto e non verificato? Pezzi garantiti da “chi ne sa di più”?
Proprio lì c’è la chiave di volta del sistema di dominio di qualsivoglia su qualsivoglia, dominare la costruzione ed il funzionamento dei sistemi di pensiero. Mi spiace sottolinearlo ma l’emancipazione non viene dal dominio dei sistemi di produzione ma dal dominio dei sistemi di pensiero. Per questo l’accademia anglo-americana in generale, da anni, studia Gramsci con tanto interesse. (QUI)

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DUEMILACINQUECENTO ANNI BUTATTI VIA. Era il -500 quando, in quel di Mileto oggi Turchia, un certo Talete, dava inizio all’interrogazione filosofica occidentale, sostenendo (pare) che il principio di Tutto fosse l’acqua. Non ne sappiamo di più. Aristotele, che centocinquanta anni dopo ci riferiva la questione, non ci ha detto in che senso, con quale inferenza o deduzione, in quale contesto andava posto il pensiero di Talete. Sappiamo però che Talete, stanco di esser preso in giro per le sue strane idee, usò le sue conoscenze di meteorologia per fare una speculazione sull’olio. Sapendo che stava per venire una forte e lunga siccità, comprò a debito acri ed acri di uliveti, spremette le olive, mise l’olio nelle giare. Quando la siccità colpì, l’olio divenne raro, il prezzo schizzò alle stelle, Talete mise sul mercato il suo olio e fece un sacco di soldi. Pagò i debiti, poi ridistribuì il restante non senza accompagnare il gesto con una sentenza “ecco, avete visto? Voi non capite a cosa serve la sapienza, io potrei anche usarla per diventare ricco ma non mi interessa usarla per una cosa così sciocca, ci sono cose molto più importanti. Voi che pensate che io sia stupido e butti via il tempo in cose che non servono, siete molto più stupidi di me perché siete voi a buttar via il tempo in cose che non servono”. Talete – abitanti di Mileto: 1 – 0.

A Cape Town (video) stanno con l’acqua razionata, un quarto di quella che giornalmente usi tu che leggi. A Giugno andranno a prendersela per strada, solo per berla e magari cuocersi un brodo. Tutta l’economia si bloccherà, gli usi e costumi cambieranno radicalmente, ci sarà da rivedere le abitudini, adattarsi all’odore altrui, scompariranno i colori visto che tutto assumerà una patina di polvere, i prezzi di molte cose saliranno, la vita comune sarà completamente trasformata, così i valori, le dinamiche sociali, i sistemi di pensiero. In California molti VIP stanno traslocando, senza acqua per la piscina ed il prato inglese, che senso ha vivere lì? Con loro, crollerà tutta l’economia locale. Sono cose che sono state ampiamente previste, già sappiamo che questo destino ci toccherà in sorte, più o meno estensivamente ed intensivamente, più o meno a tutti. Il problema dell’acqua per un mondo di 7,5 mld, prossimi 10 mld di persone che vivono convinte che il mondo sia infinito e la provvidenza sia la mano invisibile del mercato che risolverà tutti i problemi, è il destino certo con cui dovremmo fare i conti. Lo sostengono tutti gli scenaristi degni di questo nome, lo ripete il papa da tempo, non si vede come scienza-tecnica-mano invisibile potranno aiutarci, almeno fino a quando scienze e tecnica saranno asservite alla mano invisibile.

Questo è una esempio del quando si dice: ragionare con un sistema di pensiero vecchio in situazioni nuove. Mentre state dibattendo se l’economia deve essere privata o sociale, globale o locale, d’uso o di scambio, vi verrà una gran sete ma non potrete spegnerla perché nel frattempo è finita l’acqua. Allora arriverà un discendente di Talete, farà un sacco di soldi vendendovi la sua acqua messa da parte e vi ammonirà: “forse avrete dovuto pensare a come stare nel mondo, diversamente. A questo serviva la filosofia iniziata da Talete.” O forse arriverà una multinazionale francese o americana, farà un sacco di soldi comunque e finirete con il morire di sete accusando l’altro di sostenere idee sbagliate.

In compenso, i pochi discendenti sopravvissuti, andranno a scuola ed il primo giorno, aprendo il manuale di filosofia, leggeranno: “così iniziò la storia di quelle genti che pur sapendo quanto è importante pensare prima di fare, finirono col fare senza pensare”. Talete, da lassù, sorriderà amaro e scuoterà la testa … . Talete – abitanti di Mileto: 2 – 0.

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METAFISICA ECONOMICA. In economia, cento falsi fanno un vero? In ontologia certo che no ma l’economia ha una sua “ontologia regionale”. Capita così che un “costruttore di auto pazzo” cinese, passi dai componenti di frigoriferi a produrre auto in Cina, auto simil-Mercedes che gli valsero l’ovvia denuncia sul copyright. Per inciso, quando andai in Cina nel 1990, all’alba del processo di modernizzazione, la mia guida mi spiegava che le principali fabbriche cinesi erano joint venture con i tedeschi e si producevano soprattutto frigoriferi (non avete idea di quanto sia strategico il frigorifero per sviluppare una società dei consumi). Le joint venture obbligavano i tedeschi ad accontentarsi del 49% ed a trasferire tecnologia che diventava così know how cinese. Si potrebbe allora dire che mr Li Shufu, sia proprio uno di quei imprenditori ad aver fatto i primi soldi producendo componentistica per aziende mezze tedesche. I secondi soldi li ha invece fatti costruendo trabiccoli con l’aspetto da auto tedesca ma poiché si trovava in un mercato che da solo ha dieci volte i consumatori della pur ricca Germania, ha fatto davvero un sacco di soldi. Con quei soldi, l’altro giorno, ha rastrellato azioni Daimler sul mercato diventando l’azionista di riferimento. Vendendo molti falsi si è comprato il vero, Platone inorridirebbe (col non essere si fa l’essere, altro che parricidio di Parmenide!).

Se ne deducono una serie di considerazioni. La prima è che noi parliamo astrattamente di mercato ma il mercato è un meta sistema fatto di mercati prevalentemente nazionali e chi ha un mercato di 600 o 800 o 1000 milioni di consumatori non è come chi ha un mercato che ne ha 40. I leader di produzione dei frigoriferi negli anni ‘50/’60, infatti, eravamo noi italiani (o secondi, insomma giù di lì).
La seconda è che i cinesi hanno piani. Se Suning non può comprare neanche un centrocampista meno modesto di Vecino e Gagliardini, Geely può comprare la Mercedes. Si vogliono comprare il migliore per fare la migliore auto elettrica perché lì hanno problemi di inquinamento gravi (nonché problemi di approvvigionamento energetico) e sapendo che ce li abbiamo anche noi, pensano di risolvere il loro problema ed anche il nostro, facendoci ancora più soldi sopra.
Terzo, mr Li Shufu, ci dice quello che nello specifico mercato automotive si diceva già venti anni fa quando il mio lavoro mi portava ad interessarmi di queste cose: tra pochi anni sopravviveranno solo due o tre marchi mondiali. Concentrazione quindi, dovuta alla concorrenza ed al volume di investimenti che si possono mettere sul piatto. Quindi, sommando le parti, abbiamo che le potenze che domineranno l’economia hanno correlazione con la potenza degli stati da cui originano, quindi stati che domineranno (relativamente) il mondo multipolare. In effetti già lo sapevamo. Se nel ‘600 la prima multinazionale era olandese (VOC), oggi la gran parte sono americane, domani saranno cinesi, indiane indonesiane etc.

Infine, la mano invisibile che ha guidato i tedeschi a creare le condizioni di possibilità per le quali i cinesi hanno fatto i soldi con cui gli stanno oggi comprando la Mercedes, è una proprietà effettiva ma del meta mercato, non dei mercati di questo o quel paese, di questa o quella società. Il mercato ha dato la sua sentenza e la sentenza è che –a parità di condizioni-, vince il più grosso. Per cui: a) facciamo Stati più grossi per partecipare alla festa; b) chiudiamo selettivamente le frontiere per impedire ai grossi di entrarci a casa (ma è una questione di tempo, magari non entreranno a casa ma ovunque noi tentiamo di vendere i nostri prodotti); c) non facciamo né uno né l’altro, laissez faire e nel 99% dei casi umani diventiamo colonizzati dalla megafauna (da colonizzatori a colonizzati, ci sta …) mentre l’1% di noi può investire il suo capitale in borsa per partecipare della crescita della megafauna.

Se tu non sei dell’1%, forse dovresti preoccuparti … (QUI)

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MENO LATINISTI! Vedere Roma davanti a Cambridge, Oxford e Harvard, non ha prezzo o ce l’ha ma va bene così. “Qs (Quacquarelli Symonds) dichiara di aver analizzato i corsi di laurea e post-lauream di 4.522 atenei in 75 nazioni, 198 milioni di citazioni e 22,4 milioni di “research papers” e di aver ascoltato le opinioni di 75.000 accademici internazionali e 40.000 responsabili delle risorse umane. Nella disciplina Antichità La Sapienza ha superato l’ateneo di Cambridge (2°), Oxford (3°) e Harvard (5°). L’università romana è nona per Archeologia ed entra tra le Top 50 al mondo in altre tre “subjects”: Scienze archivistiche e librarie (33a), Fisica e Astronomia (39a) e Scienze Naturali (50a).”

 

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