CRONACA N. 590
03.09 – SPIEGATORI DI SPIEGATORI. Articolo cool dell’inserto del Sole24Ore, sul fenomeno per il quale c’è gente che si intromette nella relazione tra sapienti costituiti ed ignoranti costituzionali, facendo da filtro intermedio. Ma che competenze hanno costoro? La lotta di classe sulla Verità è quella che condiziona tutte le altre e mr Nichols sa da che parte schierarsi. Sovietologo, professore ad Harvard ma più che altro professore al Collegio della Marina Militare americana, membro di molti think tank, punta avanzata dell’anti-trumpismo e spingitore della eterna, infelice, candidata Clinton.
Vale la lettura per i problemi che pone, come li pone e per come pensa di risolverli (le gente è ignorante? si affidi a gli esperti!). Premio Nobel per la mancanza di vergogna, afferma “Una società moderna non può funzionare senza una divisione sociale del lavoro e senza affidarsi a esperti, professionisti e intellettuali (per ora userò queste tre parole come intercambiabili). Nessuno è un esperto di ogni cosa. Non importa quali siano le nostre aspirazioni: siamo costretti dalla realtà, costituita dal tempo a disposizione e dagli incontrovertibili limiti del nostro talento. Prosperiamo perché ci specializziamo e perché sviluppiamo meccanismi formali e informali nonché abitudini che ci permettono di fidarci gli uni degli altri per quello che riguarda queste specializzazioni.”. Bravo, mi hai convinto, immagino quindi tu sia un professore di filosofia gnoseologica, teoria della conoscenza, no? No, il tizio insegna “National Security Affairs” (?).
Poi vai su Wikipedia e scopri che il professore del principio di specializzazione ha partecipato e vinto a cinque puntate di Jeopardy! incassando 57.000 US$ rispondendo a quiz di “cultura generale”. Chi scrive (io) quindi è uno spiegatore di spiegatore di spiegatori. Siamo sempre lì, all’elefante in groppa all’elefante, quale elefante sarà l’ultimo ad aver ragione?
[L’editore della sua ultima fatica che trovate in fondo all’articolo è l’Università di Oxford, ovvero quella che ha ufficializzato il concetto di post-verità inserendolo nell’ambiziosa edizione aggiornata del proprio famoso vocabolario e facendolo così diventare un meme]
CRONACA N. 589
03.09 KOREAN STAND-OFF. In origine, era il mexican stand-off, situazione di più armati che si tengono sotto mira reciprocamente tale per cui se uno inizia a sparare, può essere che alla fine muoiano tutti (Le iene, Tarantino, 1992). Applicato nel dopoguerra, per sorreggere la corsa alle armi atomiche tra USA ed URSS, la situazione, in questo caso a due, è stata razionalizzata con la Teoria dei giochi.
La strategia della tensione con la Corea del Nord, è iniziata dando l’immagine del dittatore pazzo, se era pazzo si giustificava l’ipotetico intervento per liberare il suo popolo ed i vicini, dagli effetti incontrollabili della pazzia. Ma il dittatore ha scalato velocemente la scala dell’acquisizione nucleare bellica ed è passato da una posizione di minorità assoluta ad una di pareggio, lo stand off appunto. Kim ha proiettato una storia ad escalation che dice: ho forse le bombe, ho forse dei missili, ti mostro che effettivamente ho dei missili, guarda come sono bravo a pilotare e controllare i miei missili, i miei missili arrivano dappertutto, senti che botto posso fare con le mie bombe?
Al di là delle ambiguità dei giochi d’area che vedono russi e cinesi, oltre a sud coreani, giapponesi ed americani, Kim sembra perseguire la solitaria strada dell’emancipazione in proprio, vatti a fidare degli “amici” (cinesi) che oggi ti proteggono ma domani potrebbero scarificarti in un altro gioco in cui hanno una posta più importante per loro. Il mondo multipolare, è probabile vedrà molte altre storie coreane poiché l’atomica è ciò che ti rende autonomo da ogni altro polo, è l’assicurazione in senso difensivo dell’autonomia. Al Consiglio di sicurezza tutti hanno censurato Kim perché a nessuna delle cinque potenze atomiche ufficiali, conviene che il gioco del “anch’io mi faccio l’atomica” dilaghi. Solo l’incrocio tra la presunta pazzia e l’atomica però crea la nostra paranoia, di per sé, logica (quindi razionalità, opposta alla pazzia) dell’atomico fa di queste armi, armi esclusivamente difensive, dissuasive. Serve per creare lo -stand off- , rompere lo stand off non conviene a nessuno, questa è la sua logica paralizzante. E’ un “se vuoi la pace prepara la guerra” com’era noto già ai latini. Come ha detto Bannon off record creando scandalo per cui (non solo ma anche) è stato cacciato, se nessuno risolve l’equazione che dice che un secondo dopo un attacco a Kim, ci sono 40 milioni di morti in Sud Corea (ma a questo punto anche Giappone o Guam e chissà dove altro), lì non si muove paglia.
Certo la paglia è molto infiammabile e come aveva raccontato Kubrick, le umane cose nonché quelle tecniche, possono sempre deragliare e questo crea ansia. O magari a qualcuno viene in mente di non accendere il falò ma un focherello e dare così via al famoso storno dei mercati che ormai tutti attendono come inevitabile ma sai com’è accendi il focherello e poi diventa l’Incendio di Londra del 1666. Difficile fare previsioni.
Io propendo cautamente per il “no exit”, da questa situazione non c’è uscita, quindi lo stand off riuscirà, quindi alla fine ci terremo Kim atomico e quando la rissa delle minacce si acquieterà, cominceranno colloqui tra Pyongyang e Seul. Mi sa che Kim l’ha imbroccata giusta e chissà se qualcuno non gli ha dato una bella mano pur nascondendola dietro sdegnate sanzioni, l’effetto finale –se tutto va bene- è che Kim il pazzo ridisegnerà la geopolitica dell’intera area e qualcuno ci guadagnerà parecchio e qualcun altro altrettanto parecchio ci perderà. Vai a capire chi …
CRONACA N. 588
02.09 – CHINESE DO IT BETTER? L’ Africa Renewable Energy Initiative (Arei) ha siglato una partnership coi cinesi per lo sviluppo delle energie rinnovabili nel continente (http://www.ansa.it/…/rinnovabili-cina-e-africa-siglano-memo…). Qualche mese fa, il capo dell’AREI, Youba Sokona, si era polemicamente dimesso denunciando indebite pressioni e magheggi, a suo dire operati dall’UE e sopratutto dall’allora ministro dell’ambiente francese Ségolène Royal per imporre programmi di business nell’esclusivo ed unilaterale interesse franco-europeo (http://www.climatechangenews.com/…/eu-france-accused-hijac…/). A fiancheggiare il tentativo euro-francese, i capi di stato del network ex-colonie di Parigi. Domani, inizia il vertice dei BRICS in Cina e quest’anno sono stati invitati come osservatori, cinque Paesi in rappresentanza di altrettante aree del mondo. Oltre a Thailandia, Messico, Egitto e Tagikistan, la Guinea la prima ex colonia francese ad emanciparsi dal dominio di Parigi, al centro della FranciAfrique. Tra cinesi, europei e petro-monarchie sunnite che operano con le bande del network Isis (con gli anglosassoni britannici ed americani in secondo piano, pronti a giocare di tattica) si svilupperà un complesso gioco per la penetrazione egemonica nel continente. Chi promette di più facendo realistici calcoli su come condividere i dividendi dello sviluppo futuro, vincerà. Vedremo chi ha il modello migliore ben sapendo che il gioco ha nel regolamento implicito, l’utilizzo di molti mezzi tra quelli leciti ma sopratutto tra quelli illeciti. A proposito di effetti quali i migranti, se ci ricordassimo che ogni effetto ha una causa e ci occupassimo anche un po’ della cause, non sarebbe male. Tra gli opinion leader dell’ aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più e bombardiamoli a casa loro, potrebbe esserci un “giusto mezzo”, ma nella società dello spettacolo non si ottiene molta notorietà col buonsenso, meglio esagerare …
CRONACA N. 587
01.09 AD ESSER FRANCHI. Vediamo un po’ il caso francese. Abbiamo un paese che è la 6° economia del mondo, 25° per pil pro capite (Italia 32°). Stanno abbastanza bene i transalpini, no? No.
Per debito aggregato, debito pubblico più quello delle aziende, delle banche, delle famiglie, i franchi sono i primi in Europa (http://www.ilsole24ore.com/…/italia-no-e-francia-paese-piu-…). Vivono con un rapporto di quattro volte il debito sul Pil, 9000 mld. Da notare che noi siamo a 3,5 del rapporto, quindi sotto, solo che noi siamo finto-comunitari per cui scarichiamo gran parte del debito sullo Stato ma lo Stato è anche “in teoria” solvibile perché insomma, alle brutte, qualcosina di valore ce l’abbiamo per onorare il debito. Aziende, banche e famiglie invece, sono difficilmente solvibili per cui non solo l’aggregato francese è più alto ma composto in maniera (per prestatori interni ed esteri) più “rischioso”.
Accostiamo allora questa situazione macro a questo articolo (http://contropiano.org/…/due-cose-sul-franco-cfa-sulleuro-l…). Scopriamo che la Francia ha una potestà valutaria su 14 nazioni afro-occidentali che contano 137 milioni di persone. Ma se poi consideriamo anche questo articolo (http://www.africanews.it/14-paesi-africani-costretti-a-pag…/) scopriamo che la faccenda valutaria è solo il vertice di una gabbia d’acciaio con cui la Francia continua a tenere in controllo semi-coloniale, queste sue ex-colonie. Si leggano tutti gli undici punti che qualificano questo dominio per capire quanto esso sia profondo ed esclusivo. Si potrebbero poi aggiungere rapporti di dipendenza o di favore esclusivo anche considerando alcuni stati del Maghreb ed altre cosine sparse per il globo.
J.W.Moore, docente americano di economia e membro del F. Braudel Center di NY, nel suo recente “Antropocene o Capitalocene” (Ombre corte, 2017), sottolinea la tesi sostenuta dai sistemici dell’economia mondo ovvero che il sistema economico detto capitalismo è una macchina che ha entrate ed uscite. Non si capisce affatto come funziona questa macchina se non la si considera con le aree di entrata ed uscita. L’area d’entrata della macchina fracese è data da “quattro fattori a buon mercato”. E’ chiaro che se avete esclusive coattive su forza lavoro, cibo, energia e materie prime che non pagate ai prezzi di mercato ma di favore e se avete esclusive per poter piazzare vostre merci e servizi (e scaricare mondezza e scorie), il vostro capitalismo va alla grande. Quindi il capitalismo francese, va analizzato con un’area che è il doppio della Francia o di cui la Francia è un terzo, da cui i franchi traggono fattori a buon mercato e piazzano merci e servizi in via privilegiata e non certo vincendo la battaglia della libera concorrenza. Chapeau! Va bene, queste son cose note si dirà.
Allora consideriamo un altro fattore. Prendiamo Alain Badiou, Etienne Balibar, Jacques Ranciere, Jan Luc Nancy, Jacques Sapir et similia. Chi sono? Sono l’aristocrazia dell’intelligencija marxista, anticapitalista, foucultiani o deleuziani, lacaniani ed altro, tutti viventi e ben inseriti nei sistemi didattici ed intellettuali di un Paese che non sembra esagerato dire,è fortemente dipendente da un controllo cripto-colonialista vergognoso. Questa gente è usa scrivere deliziosi libricini, per lo più incomprensibili, che esplorano l’eterno sogno della liberazione umana, della giustizia sociale, del sol dell’avvenir. Posso sbagliare, ma non mi risulta (attendo dai lettori e lettrici documentazione di segno contrario) che cotanta concentrazione di intelligenza etica abbia mai denunciato il bubbone che hanno in casa. Uno si aspetterebbe che prima di raccontare la rava e la fava sull’universo mondo, gente con tale tensione etica, avrebbe quantomeno dovuto volger lo sguardo in casa e notare che l’oikonoms (da cui deriva “economia” ma che originariamente significava proprio “regime -ordine, legge, funzionamento- della casa”) in cui loro stessi vivono, puzza ancora di schiavismo sebbene 3.0.
E’ solo per dire che, come altrove detto, c’è una filosofia politica che ci manca ma il peggio è in quella che abbiamo. Non quella dominante delle classi dominanti che è scontato sia conforme al dominio, quella che critichiamo da decenni senza per altro esiti apprezzabili ma quella che dovrebbe trovare l’alternativa. Questa filosofia politica alternativa, è coltivata da gente del genere, gente embedded ad un sistema che paga loro la “critica di corte” affinché non si sviluppi una critica ma sopratutto fattivi progetti veramente alternativi e funzionanti. Lo diciamo non per fare i Ritals della filosofia politica (anche perché non è che quella italiana “svetti”) ma per segnalare che le forme di certo pensiero a cui dovremmo attingere per trovare il sistema per mettere in piedi un contropotere, sono deformate e quindi non solide strutturalmente, inservibili. Ad esser franchi, un gran bel “grip pour le cul” che essendo parte dell’organico, chissà se rientra nel complesso concetto della biopolitica …
[Singoli e distratti articoli in cui questi signori accennano una auto-critica al regime nazional-coloniale non basteranno a riequilibrare il giudizio. In mancanza di una Manifesto pubblicamente sottoscritto, azione politica incisiva, libri argomentati e reiterati, una vera e proprio mobilitazione dello sdegno, questi signori vanno considerati falsi coscienziosi e con loro tutto il sistema planetario degli Zizek, Negri, Agamben et varia che gli ruota attorno]
CRONACA N. 586
Gli ultimo post di agosto.
27.08 IL DESTINO DI UNA CIVILTA’. Questo post è molto problematico e forse lo scrivo solo per spingermi a scrivere un articolo più ampio, un articolo che tenti una riflessione, anch’essa assai problematica. Il tema è: che fine farà la “nostra” civiltà? Innanzitutto, quale “civiltà”?
Da tempo sono convinto che l’insieme di occidentalismo (con “occidentalismo” s’intende modo di intendere l’essere occidentale) euro continentale (che non è affatto omogeneo al suo interno, divisibile quantomeno tra quello germano-scandinavo e quello latino –mediterraneo) ed occidentalismo anglosassone, tenda alla separazione lungo una frattura storico-culturale che la storia recente aveva occultato. Quanto poi “nostra” questa civiltà dal momento che ne critichiamo incessantemente le forme che siano il modo di ordinare la società, il sistema economico, la lunga storia di ingiustizie, le credenze etico-morali dominanti? Come possiamo porci il problema del contenitore se noi stessi ci sentiamo a disagio al suo interno? Eppure, come spesso accade sebbene si tenda a non considerarlo, gran parte degli eventi storici non dipende mai solo da fattori interni ma da relazioni tra sistemi tra loro e tra sistemi ed ambiente (non solo l’ambiente in senso naturale, il contesto geografico o geopolitico o geoculturale). Noi non siamo più produttori di eventi storici ma altri lo sono e questi eventi ci riguardano.
Tempo fa, ormai qualche anno, intrapresi uno “studio islamico”. Non essendo -per metodo- uno specialista di alcunché, fu uno studio spinto un po’ più in profondo della chiacchiera che mastica banalità e sentito dire ma non certo sino alle profondità dell’esperto. Appresi però che l’islam è una civiltà, religiosa in particolare. Io non ho credenze religiose e quindi -pur rispettando quelle individuali degli altri- le civiltà basate sulle credenze religiose non rientrano tra i miei modelli favoriti ed il fatto che critichi anche le società ordinate dal modo economico, a differenza di Fusaro, non me le rende più simpatiche. L’islam è un mondo molto vasto, già più vasto di quello occidentale ma soprattutto è in crescita espansiva potente, tanto quanto quello occidentale (in particolare la sua componente europea) è in potente contrazione. All’interno dell’islam è in corso una potente guerra per l’egemonia. Questa guerra non ha rivali opponenti, ha solo una forza specifica che ha progettato di gramscianamente egemonizzare l’intera civiltà islamica. Questa forza è data da un gruppo di emirati e regni che ruota intorno all’Arabia Saudita, un gruppo non del tutto omogeneo (vedi il regolamento interno dei conti tra AS e Qatar), molto ricco e senza rivali. La sua immensa ricchezza materiale, gli permette sia di sviluppare il tentativo egemonico sull’intero islam, sia di intrattenere relazioni di convenienza con le élite che governano l’Occidente. Sono convito che questa élite arabo-islamista porti avanti un preciso progetto di espansione universale, quindi anche rivolto all’Europa, sono convinto che non tutti ma molti flussi che portano genti asiatiche non meno che africane qui da noi, sono logisticamente governati da organizzazioni ombra che fanno capo a questo nucleo d’acciaio dell’islam petrolifero. E’ un progetto preciso, quello che l’arcivescovo di Strasburgo -Luc Ravel- chiama il Grand Remplacement, una strategia di semplice pesatura demografica. L’islam poi è solo una parte del campo di gioco, ci sono gli asiatici e ci sono gli africani, quantomeno.
Questo è solo l’inizio del ragionamento. Naturalmente, allo stato attuale del dibattito pubblico, si presta alle più disordinate e inconcludenti delle discussioni ma l’articolo qui postato lo condivido come taglio. Il problema c’è e qualcuno deve avere il coraggio di porlo, dobbiamo domandarci se vale la pena di porsi il problema del futuro del “noi”, se questo “noi” esiste anche e nonostante al suo interno si sia una parte ferocemente contro l’altra, se cioè nonostante la dissidenza si senta ancora una appartenenza ed una appartenenza a cosa.
Ce la sentiamo di porci una domanda sul futuro della “nostra” civiltà o preferiamo abbandonarla alla sua lenta dissipazione? Confesso che davanti a questa biforcazione, tentenno e su questo tentennare, vorrei riflettere.
[Questo post che ha sviluppato un interessante dibattito ed è stato abbastanza diffuso, era accompagnato da un articolo da cui ho preso spunto, questo qui. Alcuni commenti hanno notato che i dati inclusi in esso, in alcuni casi non sono corretti. Chi segue questo blog, sa che io pongo attenzione ai problemi, in genere, in senso macro. In senso macro, la stagnazione ed al limite la regressione demografica del Giappone e dell’Europa, sono un fatto, lo sono oggi e viepiù in proiezione. Ciò esula dall’avvelenato dibattito contingente sul fenomeno migratorio, è un problema più generale e la riflessione era impostata da questo punto di vista generale e dalla contraddittoria posizione di chi si trova da una parte al contempo, dentro e fuori il concetto della nostra civiltà]
27.08 BIRMANI. (Qui) 98 morti in Myanmar (Birmania), di cui 80 insorgenti della minoranza musulmana Rohingya. Non troverete articolo italiano o in inglese, nelle prima pagine di Google che non denunci le inumane condizioni in cui storicamente i buddisti birmani tengono questa etnia, estrema propaggine di indoeuropei, probabilmente provenienti dal vicino Bangladesh, musulmana sunnita. C’è di mezzo anche la famosa Aung San Suu Kyi, Nobel per di diritti umani nel 1991, coccolata da Clinton e Obama, ora Consigliere di stato e Ministro degli Esteri. Ma ecco che ad un certo punto spunta una organizzazione paramilitare, l’ARSA, che intende vendicare i torti e le umiliazioni di questa popolazione che non ha neanche diritti civili ed una lunga storia di ingiustizie. Ma si fa fatica ad avere notizie su costoro se non che hanno un capo. Atta Ullah, pakistano, dice di aver studiato in Arabia Saudita e di aver ricevuto addestramento dai Talebani, nonché in Libia. Reuters 10.02.17 riportava: “While no firm evidence linking HaY [Harakah al Yaqin ex ARSA] to extremist organizations has emerged, several Islamist groups, including al-Qaeda in the Indian Subcontinent, Tehreek-e-Taliban Pakistan, and Islamic State have raised the Rohingya cause in their publicity materials”. .ARSA, pare sia solo una delle 39 sigle di insorgenti che operano ai confini Bangladesh – Myanmar.
Sarà. Negli ultimi tempi, mi è capitato di scrivere di Bangladesh, Pakistan, conflitto indo-(Buthan)-cinese, ora Myanmar, se prendete una cartina vedrete che sono uno di fila all’altro. Inoltre, vedere buddisti che lanciano di mortaio contro musulmani, mi pone ancora interrogativi sul problema della convivenza con alcune espressioni di questa religione che disturba anche cinesi, russi, indiani ed africani. Ma gli africani chi li sta a sentire?
28.08. Questo post che parlava dei rapporti tra Europa ed Africa, è stato ripreso da Megachip (che ringrazio), qui.
29.08 INTERNAZIONALE. Non paleremo della Beneamata (Fozza Inda!), né della rivista omonima, né di quella di Lenin “futura umanità” ma di quella dell’islam armato.
Con pennino intinto nel veleno, Al Jazeera, riprende uno scoop di un giornalista bulgara (con bei documenti) poi interrogata dalla sicurezza nazionale e licenziata dal suo giornale. Nell’inchiesta che allego, esce fuori un bel giretto in cui il governo azero, tramite una locale compagnia aerea cargo, la Silk Way Airlines, fa da carrier per un commercio di armi con vari stati soprattutto dell’Europa dell’est come venditori, l’Isis e molte sue repliche (Pakistan, Congo, Afghanistan) come destinatari e l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti come acquirenti e fornitori di credenziali diplomatiche per ben 350 voli vietati all’ispezione. In un caso almeno, ci sarebbe anche una partecipazione di copertura di Israele.
AJ, ricorda altresì il già pubblicato scoop AJ+New York Times su un analogo traffico orchestrato dalla CIA via Giordania ma l’inchiesta bulgara è di ben diverso spessore e dimensione. Si ricorda che AJ è Qatar, accusato di finanziare il terrorismo (in realtà finanzia per lo più i Fratelli musulmani che sono un problema solo per i governi degli stati già islamici) ed espulsa di recente da Israele. Dello scoop bulgaro ai più ignoto, ne parlò già Meyssan a Luglio che confesso non leggo di solito in quanto non so mai se parla a nome proprio o di qualcuno, visto quanto è ben informato su varie cose dei servizi segreti che spesso le informazioni le fabbricano più che darle. La bulgara però mi sembra abbia acchiappato un pescione grosso-grosso. Mi è allora saltato un neurone nella memoria ingombra che ricordava qualcosa dell’ Azerbaijian in relazione al traffico d’armi sardo-tedesco verso l’AS per i bombardamenti in Yemen e … tombola, è sempre la mitica Silk Way Airlines immortalata su foto pubblicata dal Fatto e non solo. Un aereo della compagnia si schiantò in Afghanistan nel 2011 ma i soccorritori vennero respinti a colpi di mitra, vennero incolpati i talebani ma pare che la stessa NATO che era destinataria del carico abbia escluso la loro presenza in loco. Gli unici a riprendere lo scoop bulgaro che è dei primi di Luglio a parte Meyssan e pochi siti bizarre? Gli armeni, cioè i nemici giurati degli azeri per via del Nagorno Karabakh che ricordano sibilando che i leader azeri ed i curdi sono della stessa etnia.
Mah, mi sa che in fondo ha ragione Meyssan, è tutto sotto i nostri occhi, non ci si crede anche se lo si sospetta ma è tutto un gigantesco prenderci per i fondelli. Se fosse un film, l’ultima inquadratura fissa sarebbe di una pista d’aeroporto con un volo per le nostre dorate vacanze che atterra in primo piano ad incrocio di un volo della Silk Way che decolla in secondo piano per portare morte e distruzione di cui poi piangeremo le vittime innocenti al Tg della sera, segue pizza. That’s all folks!
Peccato solo di sapere di vivere in un Looney Tunes …
AJ : http://www.aljazeera.com/…/saudi-arabia-uae-implicated-arms…
LO SCOOP BULGARO: https://trud.bg/350-diplomatic-flights-carry-weapons-for-t…/
MEYSSAN : http://www.voltairenet.org/article197189.html
IL FATTO: http://www.ilfattoquotidiano.it/…/armi-deputato-de…/2232079/
ARMENI INDIGNATI: https://armenpress.am/…/azerbaijani-silk-way-airlines-carri…
CRONACA N. 585
Le cronache seguenti, sono una collezione dei miei post su facebook nel mese di Agosto. Accompagnano con commento una ricca serie di notizie prese qui e là.
26.08 ROMPERE IL GHIACCIO. Questa è una delle novità decisive del nuovo mondo multipolare. Nuova geografia, nuova politica. Mediterranei, egiziani, sauditi, golfisti, iraniani, pakistani, indiani, risiko degli stretti del sud-est asiatico, Giappone, USA, da oggi “pesano” diversamente, perdendo -in prospettiva- l’unicità della tratta. Le alternative, stabilizzano la complessità del mondo, è una buona notizia (già nota, per altro, cioè aspettata) in generale, anche se favorirà quelli del Nord Europa. Apprezzabile l’ironia russa di intitolare la nave allo scomparso (2014) amministratore delegato della francese TOTAL, grande amico del petrolifero russo, morto perché il suo Falcon in decollo da aeroporto moscovita si trovò davanti uno spazzaneve guidato da un ubriaco che non doveva trovarsi lì. Chissà se fatalità casuale o causata …
26.08 L’EPOCA FONDAMENTALE. (Qui) L’Arthashastra è un antico trattato indiano del III-IV secolo a.C., attribuito ad una figura che non si sa se leggendaria o storica, Kautilya. In esso compare il famoso concetto “Ogni stato confinante è un nemico e il nemico del mio nemico è un alleato”, di cui possono darsi ulteriori varianti (ma qualcosa di simile appare anche in Esodo nell’A.T.). Si dovrebbe aggiungere che la definizione “nemico” è forse da intendersi “potenzialmente”, non è sempre necessariamente sempre vero poiché nelle cose umane non esistono leggi al pari di quelle di natura.
Il concetto è stato variamente applicato nella storia delle relazioni intestatali e richiama la natura fisica -ovvero geografica- della geopolitica. Nella classica lotta tra potenze di mare (UK, USA, Giappone) e di terra, i primi non hanno vicini e quindi non sono soggetti alle geometrie che la regola suggerisce mentre altresì, possono usare la regola per indurre pressione su i loro nemici di terra, attraverso interessate alleanze che portano all’altro classico del divide et impera. Ma nel Mondo Nuovo Multipolare, la regola si ripresenta anche con una sua autonomia dato che i soggetti continentali aumentano di peso e rilevanza in sé per sé e non solo alla luce delle geometrie imperiali a cui gli isolani sono da sempre dediti.
L’antecedente più conosciuto di queste geometrie variabili dei nemici e degli amici, è l’Italia del XV secolo e il risultato finale (non scontato ma tendenziale) è una sorta di equilibrio di potenza per il quale ogni peso nascente trova naturalmente il suo contrappeso equilibrante. La grande novità della geopolitica contemporanea è il presentarsi di questa forza tramante le relazioni intra-continentali, non più e non solo in relazione alla competizione tra i poli principali (USA – Cina – Russia) ma come logica delle relazioni di secondo livello, quella tra attori “locali”. E’ una logica che, pur presentandosi in forme -a volte- di minacciosa frizione, in realtà contribuisce allo sviluppo dell’unico assetto che promette pace e cooperazione: l’equilibrio. Questo ci porta ad un altro detto “Si vis pacem, para bellum” ovvero se vuoi la pace prepara la guerra che s’intende al primo livello come consiglio di annullare quelle differenze di potenza che implicitamente favoriscono la guerra (ad esempio la proliferazione nucleare, essendo queste armi notoriamente dissuasive più che offensive, porta ad uno stallo che favorisce la pace) e al secondo livello ad un “come ingigantire il pericolo di minaccia esterna per compattare il fronte interno”. Poi magari la logica sfugge come accadde a gli stati europei ai tempi del periodo che poi sfociò nella Prima guerra mondiale e per evitare vari tipi di scontri di classe interni, si organizzò il mattatoio esterno. Ma, appunto, le regole non sono leggi.
Tutto ciò a commento di questa notizia sulla nuova amicizia indo-vietnamita a riequilibrio di quella sino-pakistana. In ultimo, è interessante notare che qui, come accadde l’altro giorno per il detto di Biante “Nulla di troppo”, come accade con altri possibili esempi, ci ritroviamo a seguire pezzi di logica di un paio di millenni fa. Questo sembra dirci che siamo in una epoca che torna ai fondamentali, torna a seguire quella logica antica di lunga durata che si ripropone ad intermittenza lungo i secoli proprio perché riguarda i fondamenti. Sembra cioè che noi si sia capitati in un’ -epoca fondamentale-, dove cioè si ripropongono problemi relativi alle fondazioni, una sorta di nuova età assiale come la chiamò K. Jaspers riferendosi al mondo di più di due millenni di anni fa. Vale per le relazioni inter-statali e vale anche per la fondazione interna le comunità umane, vale per la geometria degli scambi commerciali come per gli assetti militari, per le migrazioni come per il rinnovamento delle identità culturali. Siamo capitati in una epoca “storica”, disagevole forse ma molto interessante …
23.08 TRAMONTO, QUANDO C’E’ ANCORA LUCE MA SEMPRE MENO. Qui la tesi centrale del mio libro Verso un mondo multipolare, ora sviluppata da Martin Wolf su Financial Times. Finalmente, Wolf si accorge che la demografia è -di base- primo motore della crescita, dispiacerà ai dibattenti sull’endogeno e l’esogeno anche perché è un dato un po’ volgare ma tant’è, se demograficamente ci si contrae e si invecchia, impossibile aumentare Pil e produttività, siamo alla logica realistica di base. Dai dati (quelli citati da Wolf sono lievemente migliori di quelli che a me risultano ma chissà come ha fatto i calcoli), la tesi del tramonto dell’occidente.
Così, ieri mi veniva da postare un articolo sul nuovo fenomeno svedese , il “lagom”, un nuovo stile di vita che si potrebbe tradurre con “il giusto mezzo”, il “nulla di troppo” (mi sembra, Biante di Priene, Grecia, IV secolo a.C.), la “società dell’abbastanza” secondo il titolo di un libro del biografo di Keynes Skidelsky, che recensii tempo fa quando scrivevo che la decrescita non è un alternativa, ma nel senso che è un destino irreversibile per noi – e non solo per ragioni demografiche o di rapporti di forza mondiali – , tocca solo vedere come la gestiamo.
Ne consegue il fatto che non solo e non tanto l’economia si riduce (e mi fa piacere Wolf citi uno dei pochi economisti da me citati nel libro, Robert Gordon) ma si riduce il peso che abbiamo nel mondo il che, per quella parte di mondo che ha campato del dominio sul mondo stesso, è un problema. Ed è un problema di tutti perché se una parte di noi è eretica rispetto allo stile di dominio e di sfruttamento con cui abbiamo soggiogato gli altri, se alcuni di noi tifavano per gli indiani contro i cow boy, resta il fatto che tutti noi facciamo pur parte del sistema occidentale ed è quindi ora che ci si prenda la responsabilità di fare un progetto su come questa parte di mondo deve vivere se non vogliamo finire dentro una lunga notte buia, fredda e paurosa.
Siamo tremendamente lontani dal capire cosa sta succedendo e quali saranno gli effetti per noi. Continuiamo ad indebitarci con un futuro in cui già sappiamo che non ci beneficerà di ciò che ci serve più ciò che dobbiamo restituire, non c’è alcuna possibilità ciò avvenga, ormai è chiaro a tutti. Siamo tanto fideisticamente convinti che l’esercizio del negativo, la critica, sia hegelianamente il nostro compito di contraddittorio motore del divenire che non siamo più in grado di avanzare uno straccio di proposta complessa su come ordinare le nostre società. Nel mentre denunciavamo l’alienazione della divisione del lavoro, ci siamo fatti carcerare in discipline irrelate ed oggi abbiamo prospettivisti sociologici, geopolitici, politici, economici, di costume, scienziati, intellettuali di qualche microcosmo ma sul mondo che è un tutto, siamo ciechi. Siamo infarciti di teorie de-contestuali secondo le quali, la nostra economia funzionava meglio se così o se colà quando in realtà, funzionava sempre e solo dentro le condizioni di possibilità che quel dominio ci ha dato. Ci siamo anche a volte auto-denunciati come euro-centrici o occidental-centrici ma questi pur apprezzabili barlumi di lucidità non hanno veramente diffuso comprensione precisa su i nuovi rapporti nel mondo, basta vedere come discutiamo la faccenda dei migranti o dell’islam o della stessa Cina, un mondo di cui i più ignorano semplicemente tutto. E non abbiamo neanche aperto la prima pagina del librone sul dramma ambientale. Ci stiamo svegliando non solo in una dittatura dei mediocri ma anche di ignoranti, a volte “dotti ignoranti”.
La luce si riduce e con essa la lucidità, come si può vedere leggendo giornali, post arroganti, libri inconsistenti, video paranoici, pensatori in disarmo, disonestà intellettuale, narcisismo violento e sgomitante e tanta, tanta incontenibile rabbia che non sappiamo più come gestire. Ammettere di avere paura della lunga notte che ci aspetta sarebbe già qualcosa, parlarne, cercare di capire, organizzare i turni di guardia, coltivare qualche fuoco intorno al quale ricostruire pezzi di comunità sarebbe utile e saggio e perciò non avverrà. Temo che non saremo all’altezza dei tempi che ci sono toccati in sorte da vivere, pochi per me che sono già su i sessanta, ancora molto lunghi per i figli e questo dispiace, molto.
Scusate il pessimismo della ragione, quanto all’ottimismo della volontà è difficile coltivarlo da soli …
23.08 PAKISTAN … STAI SERENO! (Qui) Già alleato di ferro degli USA e dell’Arabia Saudita con la quale si vociferava avesse un accordo di fornitura eventuale di una o più testate nucleari che i sauditi avrebbero all’occasione potuto montare su i missili che avevano acquistato dalla Cina.
Nel 2015, la Cina firma piani di investimenti in Pakistan per 50 mld di US$ per lo sviluppo della sua Via della Seta (CPEC). Recentemente, il Pakistan viene ammesso di diritto nella Shangai Cooperation Organization (assieme all’India) entrando così -di fatto- nella struttura strategica orientale che lega Russia e Cina oltre le repubbliche centro-asiatiche e che fa da contesto allo sviluppo della strategia delle varie vie della seta cinesi, nonché dare struttura a più della metà del futuro, auspicato, sistema euroasiatico.
Durante la crisi col Qatar, vengono lanciati gossip ‘interessati’ che vorrebbero i pakistani addirittura pronti ad inviare truppe in difesa Qatar il che sarebbe stato assai strano visto che si pensava che tra i sauditi ed i pakistani ci fosse un patto di ferro. Visita a Riyad del Ministro della Difesa, nulla di fatto, il Pakistan comunica di non aderire all’iniziativa saudita quando il Pakistan era stata la seconda colonna fondativa del progetto della NATO araba, promessa da Riyad a Trump durante l’ultima visita e ridottasi poi a una manciata di stati minori, oltre all’Egitto.
Lo scorso giugno, i pakistani schierano 15.000 soldati internamente, per proteggere da misteriosi attentati le maestranze cinesi che lavorano su strade, ponti e ferrovie. Un mese dopo, l’onda lunga dei misteriosi Panama Papers chissà come e da chi trafugati da uno studio legale a Panama e contenenti tutti gli investimenti speculativi delle élite, con l’eccezione del padre di Cameroon, non direttamente alleate con Washington, arriva alla Corte Suprema di Islamabad. Il potente Primo Ministro Nawaz Sharif che aveva imposto la svolta strategica di collocamento nello scacchiere dell’area è costretto alle dimissioni per sospetta corruzione.
In quei giorni, il Primo Ministro indiano Narendra Modi va a Washington e si fa immortalare in un tenero ed affettuoso abbraccio con Trump. Poco dopo scoppia una frizione confinaria tra India e Cina nel Buthan. Un anno fa Modi aveva dichiarato che Islamabad è la madre di tutti i terroristi (non debbo certo ricordarvi l’annoso conflitto indo-pakistano nel Kashmir, vero?) e Trump ha recentemente richiamato Delhi ad una più fattiva presenza in Afghanistan con soldi e truppe.
Pochi giorni fa, il Bangladesh comunica che verrà beneficiato di un investimento saudita di un miliardo di dollari per la costruzione di 560 moschee che, come ormai si sono finalmente accorti quasi tutti in Occidente, sono la fucina del radicalismo islamico che già aveva dato antipasto delle sue aspirazioni con l’attentato di Dacca condito da 22 morti. La precedente partnership saudita-pakistana era iniziata allo stesso modo con immensi investimenti in scuole coraniche e moschee da cui sorsero il fior fiore degli elementi che ci hanno deliziato con il grande romanzo criminale al-Qaida-Osama bin Laden, Tora Bora, taleban tra-là-là.
L’altro ieri, finalmente, Trump decide di aumentare la presenza militare americana in Afghanistan senza che nessun giornalista occidentale si prenda la briga di notare che la più grande macchina bellica del mondo è lì da sedici anni, il più lungo conflitto armato da più di un secolo, senza esser riuscita a risolvere minimamente il problema, problema che forse non era poi così grave visto che Obama aveva già cominciato il ritiro truppe che Trump aveva promesso di perfezionare in campagna elettorale. Trump ora annuncia che invece gli USA rimarranno lì, fino a quando? Ma sciocchini! … fino alla vittoria finale che avverrà quando Penelope finirà finalmente l’ordito che tesse di giorno e smonta di notte. I servizi di disinformazione occidentali, sono ora prodighi di storielle secondo le quali hanno convinto Trump mostrandogli foto di donne anni ’70 che esibivano orgogliose le gonne corte a Kabul, fonte l’irreprensibile WP di Bezos, questo sì che è giornalismo, altro che Bernstein-Woodward! Che stupidotto questo Presidente, vero? Peccato che proprio ieri lo stesso WP riportasse mischiato in un lungo articolo l’ex ambasciatore USA all’ONU che, riferendo dichiarazioni di Jim Mattis, confermava che in gioco non c’è l’Afghanistan ed i talebani, ma il Pakistan : ““The big issue wasn’t land-war tactics. The big issue is Pakistan.”
E’ tutto normale, il mondo va così, da sempre. L’importante è che la gente comune non lo sappia, pensi ai fatti suoi, lavori, gioisca, compri l’irresistibile ultima inutilità, speri, sfoghi le frustrazioni su facebook. Fuori della bolla c’è sangue, vomito e merda ma quello è solo lo sporco lavoro che fortunatamente qualcuno svolge per permetterci di vivere con i nostri piccoli pensieri. Il mondo è “grande e terribile” non è luogo che possa interessare le nostre fragili coscienze. Al prossimo attentato gattini, gessetti, candeline, poi vi fate un selfie arrabbiato e passa tutto. E poi diciamocelo, a questi pakistani tocca dare una lezioncina per cui prepariamoci a tifare contro il nostro nuovo nemico, come scrive oggi Rampini che detta la linea progressista “Difficile dare torto a Trump su questo, in verità. Il doppio gioco dei servizi segreti pakistani è intollerabile.” Intolleratevi, dunque!
21.08 URGE ETICA. (qui) Tempo fa, non ricordo chi tra i miei contatti, mi sembra sostenesse che siamo lontani dal dover discutere “leggi della robotica” ma 116 fondatori di aziende di robotica e intelligenza artificiale, sembra la pensino diversamente.[Visto che molti leggono solo i titoli dei post magari mentre mangiano una frittura di pesce e compulsano facebook, con calma, chi vuole può leggersi testo ed elenco dei 116 firmatari l’appello, qui: https://www.businessinsider.com.au/the-worlds-top-artificia…]. Enjoy!
20.08 INVESTIMENTI PER IL FUTURO. (Qui) Ottavo paese al mondo per dimensione (160 milioni), centoquarantanovesimo per Pil pro capite, incastonato tra India, Sud Est asiatico e Cina, il Bangladesh diventa la nuova miniera del radicalismo islamico. C’è a supporre che il monarca in pectore dell’Arabia Saudita, per far passare internamente le audaci visioni di modernizzazione della sua “scatola di sabbia” (Vision 2030), abbia messo sul piatto del “clero” wahhabita, molti miliardi di investimento per la radicalizzazione islamica extra-araba. Che dietro tutta la faccenda Isis ci sia il wahhabismo saudita è incontrovertibile e noto da anni, anche ai sufi bangladesi come riporta l’articolo . Ma a noi piace di più discutere di scontro di civiltà, di “ci odiano perché siamo liberi”, del feroce Saladino e quando il prossimo bangladese si farà saltare in aria ammazzando alcuni di noi, gattini! Tanti gattini! Epoca irrazionale …
19.08 TESSUTO MULTIPOLARE. Spinti dalla semplice proiezione da due (USA vs URSS) a tre/quattro (USA, Russia, Cina, Euro-Germania), alcuni analisti forse non hanno ancora ben realizzato il salto quantico che il mondo complesso -ovvero multipolare- comporta. Un salto di quantità e qualità delle interrelazioni tra le parti, che creerà un tessuto ben più tramato della semplice contrapposizione tra grandi potenze militari. Ecco qui un bel contratto da ben 10 mld di dollari (!) tra Egitto e Sud Corea, due paesi che non hanno alcun motivo geografico di possibile contesa e che quindi si possono dedicare a coltivare i reciproci interessi su un piano cooperativo. E se funzionasse? Se il business di crescita dell’autonomia alimentare ed idrica, dovesse affermarsi, quanti sarebbero interessati a sottrarsi da quelle dipendenze che pervertono gli interessi nazionali e con quali riflessi sulle geometrie delle alleanze locali? E quanti allora sarebbero attratti a sviluppare la tecnologia coreana che forse è simile a quella israeliana ma con ben minori vincoli geopolitici? Fare affari, tra medie entità, potrebbe sviluppare un secondo livello di strutture e sistemi informali e quelli del primo livello, potrebbero scoprire che mentre loro si dedicano al Risiko globale, il mondo si sta organizzando per conto suo. Il mondo multipolare è più probabile che diventi un sistema autorganizzato o caotico?
17.08 MODELLI. Mah, la chart qui sotto gira da un po’ e l’avrete già vista. Segniamo: 1. Norvegia; 2; Danimarca; 3. Svezia; 4. Finlandia e stiamo parlando di % di popolazione impiegata nel pubblico. Ok, poi? Stati per Pil pro capite, Norvegia e Svezia sono comunque sopra la Germania, con la Danimarca sono comunque sopra Francia e UK, poi c’è la Finlandia, comunque prima dell’Italia. Per quanto calcolato dal The Economist, il Democracy Index, dà: 1. Norvegia; 3. Svezia; 5. Danimarca; 9 Finlandia comunque prima dei principali stati europei e naturalmente, anglosassoni. Bene, veniamo al World education ranking dell’OCSE: Finlandia e Norvegia sempre sopra ad USA poi Svezia, poi gli altri grandi europei. E chiudiamo con l’opinabile World Happiness Report delle UN: 1. Norvegia; 2. Danimarca; 5. Finlandia; 10. Svezia. Nel Social Progress Index abbiamo 1. Danimarca; 2. Finlandia; 4. Norvegia; 8. Svezia. Dove non sono primi c’è spesso l’Islanda che come modello è omologabile.Poiché la faccenda è evidentemente sistemica, potrete trovare molte altre classifiche per diversi items in cui i quattro, sono ai primi posti o a ridosso. Solo la Finlandia aderisce all’euro, Danimarca e Svezia fecero regolare referendum (del resto, sono democratici…) e l’adesione venne bocciata, la Norvegia non ha mai preso in considerazione l’eventualità. In Norvegia hanno il petrolio, il che aiuta sicuramente, però forse ci sarebbe da dare un occhio più analitico a questi scandinavi …
15.08 ANNIVERSARI. Giustamente, quelli della MMT (di cui riporto l’articolo perché mi hanno ricordato l’avvenimento) oggi ricordano a tutti che quel 15 agosto di quarantasei anni fa, ci fu quel punto di svolta che nella storia segna -talvolta- il passaggio da una fase ad un’altra. Non entro nei dettagli, in parte lo fa l’articolo nella sua parte iniziale, segnalo solo che la decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon, cambiò la forma stessa del sistema economico a cui tutti gli stati (ai tempi soprattutto occidentali ma poi anche tutti gli altri) affidano il loro ordine interno ed esterno.
Era il 1971 ma nessuno si accorse dell’epocalità dell’evento e per molto tempo ancora, rimase un tecnicismo da economisti oltretutto monetari. Negli ultimi anni, molti analisti hanno però rimesso sotto esame quella decisione, dandole il segno del turning point tra un certo tipo di economia (produttiva) e quella successiva (finanziaria). Chissà poi se la decisione venne presa con questo disegno strategico a lungo termine o per altri motivi.
C’è molta letteratura che indaga la decisione. Si narra di navi piene di dollari inviate dall’Europa per esser convertite in oro che forse non c’era più nelle giuste quantità dei forzieri del Fed o di capitalisti non meglio precisati che volevano uscire dalla fase keynesiana per una nuova stagione di vorace accumulazione. Quest’ultima posizione permette ad alcuni di pensare che con una nuova stagione neo-keynesiana le cose potrebbero aggiustarsi ma c’è il rischio che -invero- non sia quello il problema principale.
Anni fa, mi comprai la bibbia del capo economista dell’OCSE Angus Maddison, un volumone di statistiche sul Pil praticamente di tutte i paesi del mondo, addirittura con tentativi di andare indietro nel tempo di mille anni. I dati degli anni ’60 erano comunque ufficiali e solidi. Armato di calcolatrice e foglio a colonne, misi assieme gli indici di crescita del Pil lungo tutto il decennio precedente il 1971 poiché partivo dall’ipotesi che se qualcuno prende una decisione ad un certo punto, quello che è successo nell’immediato precedente potrebbe mostrare l’ipotetica causa. Il lavoro fu premiato da quella che sembrava una promettente traccia. Tutte, ripeto “tutte” le economie del mondo di allora (prese per Stati o per aree), segnavano importanti indici di crescita costante (cioè ogni anno), superiori al 4%, inclusa l’Europa dell’Est e la stessa Unione sovietica. Molti però, come in Europa, erano sopra il 5% e il Giappone furoreggiava intorno al 7% annuo se non oltre. Facevano eccezione solo due stati: gli USA con una media poco sopra e la Gran Bretagna con una media poco sotto, il 3%. Ripeto, dati costanti di un decennio, “trend” per chi si occupa di strategie. Per gli Usa, il dato era in un certo senso normale, la percentuale si applica ad un montante e quello americano era certo il più voluminoso differentemente da quelli ad esempio europei che partivano dalla distruzione bellica. Sta di fatto che se quella linea decennale fosse stata allungata a 50 anni, inevitabilmente, quello che veniva fuori era un processo di convergenza macro, gli USA sarebbero stati relativamente meno dominanti come peso nell’economia mondiale.
Gli anni ’60 erano pur sempre anni di intensa innovazione tecnica e soprattutto di consumo. Pubblicità, marketing sofisticato, obsolescenza programmata, società dei consumi allora censurata da Marcuse e dalla sociologia americana, erano a pieno regime. Se a pieno regime, quello era il risultato, beh, c’era da preoccuparsi davvero. Da allora, sono personalmente convinto che il motivo di quella decisione fosse quello che ho esposto: trovare una nuova via di crescita vertente su pezzi di carta verdolini di cui il governo USA aveva l’ovvia esclusiva (Wall Street + sistema banco-finanziario newyorkese). Nixon ed altri prima di lui certo avevano stampato molti più dollari di quanto oro avessero, ci fu senz’altro il problema degli eurodollari, c’erano problemi di apprezzamento rispetto alle altre valute ma, al fondo, credo che la decisione ferragostana, venne presa per liberare la moneta da ogni vincolo che non fosse la forza geopolitica con la quale la si afferma. E questo per sviluppare una nuova economia visto che quella tradizionale sentenziava la grande convergenza futura.
La teoria monetaria sviluppata su i presupposti della scuola di Chicago, i diciannove anni di Greenspan in Fed (poi sostanzialmente continuati da Bernanke per altri otto) con tassi a zero ed inondazione di credito facile, il Glass Steagall, l’ipertrofia bancaria e finanziaria con conseguente bolle, lo stesso mercato azionario (poco noto è che l’indice Nasdaq è inaugurato indovinate quanto? Nel 1971!), lo sviluppo della new economy, i tempi d’oro di Wall Street, lo stesso WTO ed il Washington consensus, fecero poi quadro intorno a quel presupposto. “Buying time” disse W. Streeck a titolo di un suo libro. Ora quel tempo sta finendo di nuovo e vedremo cos’altro s’inventeranno per provare ad evitare la tendenza naturale del mercato a convergere i valori dei vari sistemi nazionali.
11.08 A FIN DI BENE. Sempre godibile Diana Johnstone (qui), un’americana sempre lucida. Questo il presidente della commissione francese che indagava su gli effetti che la legislazione americana ha anche nell’extra-territorialità: “I fatti sono semplicissimi. Ci confrontiamo con un muro estremamente denso di leggi statunitensi la cui precisa intenzione consiste nell’usare la legge per servire i propositi del potere politico ed economico con l’idea di ottenere vantaggi economici e strategici. Come sempre negli Stati Uniti tale potere, tale bulldozer normativo opera nel nome delle migliori intenzioni del mondo poiché gli Stati Uniti si considerano una ‘potenza benevola’, cioè un paese che può agire solo a fin di bene.”. Alla fine si parla anche di Macron e non bene. Qui dove mi trovo, su un’isola greca, c’è Macron con moglie, in vacanza col primo ministro del Lussemburgo e marito, Lussemburgo quel simpatico paesotto retto da re Juncker per appena 18 anni, il sancta sanctorum della finanza transalpina. Ma di sicuro non sono amici con Xavier Bettel per questo. Buona lettura.
09.08 DAL MODERNO AL COMPLESSO. Scrissi un articolo con questo titolo ma non sono qui a riproporlo, mi interessa solo tornare sulla transizione storica che secondo me (e non solo) stiamo vivendo, per farci riflessione, atavica attitudine di quegli umani che ricorrono all’uso dell’unico organo che l’evoluzione ci ha dato per sopravvivere: il cervello ovvero la mente.
Allora, in prima battuta, abbiamo l’indomito The Economist che rilancia (sono più di trenta anni che lo fa) la vecchia idea delle frontiere aperte per ridistribuire la forza lavoro secondo opportunità (libera mobilità dei fattori recita il credo). La promessa è all’ultima riga: un mondo più ricco di miliardi di dollari! Ad un certo punto, stimano il possibile afflusso di migranti nel mondo ricco, per circa un miliardo di unità in più. Che problema c’è? Certo, può darsi che a Londra ci sia un po’ di sovraffollamento ma quale miglior ragione per iniziare a costruire nuovi grattacieli. Allora, uno si domanda: ma questi -esattamente- di quale malattia mentale sono affetti?
E veniamo alla seconda battuta. Qui abbiamo un articolo di un filosofo italiano che si domanda quale potrebbe esser oggi il compito della filosofia: (http://espresso.repubblica.it/…/che-fine-ha-fatto-la-filoso…) . Proprio nell’articolo di cui al titolo del post, così come in altri, sostenevo che la filosofia dovrebbe recuperare il ruolo di pensiero generale di tutti i pensieri particolari che poi corrispondono alle diverse discipline. Praticamente l’oggetto contemporaneo principale della filosofia dovrebbe essere l’immagine di mondo. Questo è ciò che intendo per filosofia della complessità e questo sembra essere anche l’idea di Andrea Zhok, il che mi fa piacere.
Proprio un filosofo è l’unico che potrebbe spiegare la malattia mentale dell’Economist. L’Economist parte dalla non detta convinzione a priori tipica della filosofia utilitaristica, che tanti più miliardi di dollari sono di per loro la felicità e poiché l’uomo cerca la felicità così come rifugge dal dolore, ergo, è giusto fare ciò che promette quella cornucopia di miliardi di dollari, il resto s’aggiusta. Questa convinzione è fallace magari anche ricordando Epicuro che ammoniva che certo occorre perseguire il piacere ma ogni piacere ha un costo e bisogna esser sicuri che il costo di quel piacere non dia dispiacere superiore al piacere che procura. Capiva più di economia Epicuro degli utilitaristi? Chissà forse era per questo che il giovane Marx ci fece su la sua tesi di laurea?
08.08 NEMESI. Gli astrofisici hanno di recente indagato una nube di gas e materia, una nursery stellare, scoprendo che la maggior parte delle stelle, è partorita a coppie. Hanno allora ipotizzato che anche il Sole avesse una sorella poi andata chissà dove e le hanno messo nome Nemesi. Nemesi orbiterebbe intorno al Sole facendo un giro molto largo ma ogni qualche milione di anni potrebbe tornare vicino al fratello, creando un bello scompiglio nelle orbite di pianeti, satelliti, comete e meteoriti del sistema solare. Nemesi era la dea della distribuzione della giustizia, ovvero colei che sovraintendeva al bilancio generale per il quale male azioni sarebbero state pagate -a tempo differito- con sofferenze e dolori (o il contrario).
Nel 2000, i capi di stato e di governo europei, si riunirono a Lisbona per una rara riunione di pura strategia dal titolo: come assicurare ad Europa un futuro nel mondo nuovo e complesso. Il verdetto fu chiaro, condiviso ed unanime: Europa sarebbe dovuta diventare la più dinamica ed innovativa economia della conoscenza del mondo! C’era molto buonsenso di primo livello nella scelta, certo che con mercati aperti a livello globale, cosa altro poteva fare un continente che non poteva certo competere col Vietnam ed in seguito con la Nigeria, quanto a costo del lavoro. Persa la quantità, rimaneva solo la qualità. Ovvio.
Eccoci quindi alla lungimirante decisione italica di provare a togliere un anno al liceo. Chissà però il motivo? In pratica si toglie dall’ambiente scolastico ragazzi che finiranno spesso in strada o a casa. Li si toglie da scuola per deprimersi nel rifiuto di una qualsivoglia occupazione. Non solo. Nell’allegato articolo del 24Ore, una filosofa, perora la causa dell’insegnamento precoce della filosofia come formazione al problem solving generale, all’elasticità di pensiero, all’autonomia di giudizio, attitudini che mai un sapere specialistico può dare. Ormai lo sanno anche i meno aggiornati che siamo entrati in un mondo di rivoluzione permanente, così ogni specializzazione non fa che formare a qualcosa che a breve non servirà più. I grandi della Silicon Valley sembrano concordare. Più volte ho letto di lamenti sul fatto che la formazione tecnica la fa il lavoro ma quella generale è paurosamente mancante e senza di quella, l’intere attitudini alla complessità dinamica del mondo che già è, non può affermarsi.
Chissà se i posteri si domanderanno quale virus logico (invaghimento del controfattuale?) colse gli antenati che combattevano la crisi economica con l’austerity, la mancanza del lavoro con la flessibilità, la diminuzione dei salari con i prestiti e la costruzione della società della conoscenza riducendo gli anni di studio. No forse non se lo domanderanno, saranno solo alla prese con Nemesi che distribuirà i dividendi passivi di investimenti così scellerati. Sempre che la sorella del Sole non torni prima a risolvere da par suo il problema del futuro, forse il nostro governo, punta astutamente su questo.
[Il post è ironico, il mio stato d’animo, molto meno]
08.08 QUANDO LA MANO INVISIBILE NON BASTA PIU’. Chissà se Zuckerberg sta veramente procedendo alla costruzione di una sua candidatura a future presidenziali (qui), certo non fai quello che sta facendo per diletto personale, per personaggi di tal fatta val bene sempre porsi l’interrogativo sulle finalità.
Senza scendere in troppi dettagli, visto che siamo nel format di un post, ho rilevato spesso una comune e ben precisa posizione condivisa da tutti i grandi attori della rivoluzione digital-informatica e parlo di Google come di Amazon, di Musk non meno di Apple e molti altri. Da una parte, questi individui hanno una visione, una precisa visione su quello che è l’uomo e su quello che dovrebbe esser il mondo fatto per questo tipo di uomo. Non sono molti, in questi confusi tempi, ad avere una visione così precisa, ambiziosa ed originale e questo tipo di visioni sono certo un motore potente per credere, organizzare ed agire in conseguenza. C’è ovviamente l’aspetto imprenditoriale, la ricchezza, il potere ma queste caratteristiche sono già ampiamente diffuse, non sempre si sposano con una precisa teoresi antropologica che è presupposto di un pensiero squisitamente politico. Nel loro caso, la pulsione individuale si sposa con un senso di missione e questo fa una certa differenza.
Dall’altra, tutti loro, sono ora in contatto con un problema fondamentale. Con Trump, ha vinto l’industria più tradizionale ed il governo degli Stati Uniti d’America sembra sviluppare una agenda che non coincide con la loro, vezzeggiata già dai tempi di Clinton e poi ben sostenuta da Obama e di cui la Clinton doveva essere la madrina ulteriore. Ma c’è anche qualcosa di più profondo nel conflitto degli interessi tra loro ed il politico. Tutti indistintamente loro che condividono quella visione dell’uomo e del mondo, sono consapevoli più di qualunque altro, che la loro azione pratica, sta sconvolgendo le società. Il problema del lavoro in primis. Non c’è posizione politica più unanimemente condivisa tra loro, di quella che vorrebbe spingere il potere politico a farsi carico della disoccupazione tecnologica. Loro sanno che senza governo politico delle condizioni di possibilità, gli effetti della loro libera azione tecno-imprenditoriale, creerà tali e tanti problemi da aizzare una contro-ondata simil luddista o comunque decisamente avversaria: dai finanziamenti pubblici ai progetti di AI, alle frontiere che limitano i loro network, alla privacy, ai regimi di tassazione, alle relazioni internazionali.
Insomma, questi signori hanno un forte interesse in comune, realizzare il loro sogno e con esso, realizzare se stessi sia sul piano esistenziale che su quello imprenditoriale stante che i due piani, in questo tipo di personaggi, coincidono. Credo che questo manipolo di innovatori si parli, discuta e convenga come da sempre avviene per ogni gruppo umano che condivide un comune fine e penso che abbiano in serbo qualcosa, penso che nell’immediato futuro anche se faremo forse fatica a riconoscerne subito il disegno, questo qualcosa prenderà diverse forme inaspettate il cui fine sarà prettamente politico. Da seguire.
05.08 COMPLOTTISTI ELEATICI. Girovagando su Internet mi sono imbattuto in questo affare, si chiama Elea 9003 ed il nome è stato dato in onore e ricordo della colonia greca in Italia, da cui venne la scuola di Parmenide e Zenone. Nato nel 1958 (!), creato da un cinese nato in Italia a capo di un gruppetto di giovani della Normale di Pisa che lavoravano con lui in Olivetti. In Olivetti erano assunti anche filosofi, forse il nome è colpa loro. L’affare è uno dei primi mainframe interamente a transistor del mondo. Il signor Zhu (Tchou, Mario) morì l’anno dopo Adriano Olivetti, in un incidente di macchina. Carlo De Benedetti che poi rilevò Olivetti in tempi successivi, riferiva che i vecchi ingegneri erano del tutto sicuri fosse stato ammazzato dai servizi americani per conto di IBM. La macchina della foto venne disegnata da Sottsass ed è considerata in tutto il mondo, uno dei più pregiati pezzi di design degli anni ’50.
04.08 GEO-POLLITICA. Nota è la storiella della statistica che vuole che se A e B consumano complessivamente due polli, se ne deduce che A e B consumano un pollo a testa sebbene in realtà A si abboffa con i due polli mentre B muore di fame. L’ Earth overshoot day quest’anno è stato anticipato al 2 Agosto, dal 1980 cioè dall’accesso al tipo di economia occidentale da parte di parti del resto del mondo, si consuma sempre più di quanto la natura ci impieghi a riformare le scorte, si va a debito. Naturalmente anche questa statistica è soggetta alla legge dei polli. Scopriamo così che gli USA, mangiano quattro polli in più del dovuto. Poiché come candidamente disse il mitico presidente americano Bush jr, il loro “stile di vita non è contrattabile”, cioè non si può discutere per renderlo meno distruttivo, come in ogni società umana, sulla Terra c’è chi può e chi non può e chi non può vuol potere come chi può. Ne consegue l’attuale fase geopolitica in cui ognuno cerca di crearsi le condizioni di possibilità per potere al più possibile, fase in cui il gioco consiste nel controllare quanti più polli è possibile per rifornire il proprio stile di vita. Ma nel mentre si gioca questi gioco tra chi può e chi vorrebbe potere anche lui, il pollaio vien decimato oltre il possibile. Come con i polli di Renzo ne I Promessi sposi, ci si becca a morte tanto poi si finisce tutti in pentola.
CRONACHE N. 584
POST LUNGO SUL PERCHE’ C’E’ TANTA DESTRA E NON C’E’ PIU’ SINISTRA. (Partendo da questo articolo di Micromega). Mi appoggio a questo articolo che posto di cui però ho letto solo la tesi generale ed alcuni capoversi, nel senso che mi interessa la tesi generale ma non invito i lettori e lettrici a perdersi in tutto e per tutto nei suoi argomenti specifici.
La tesi generale però mi interessa e la condivido. La condivido al punto da averla già io stesso esposta nel mio libro uscito ormai sei mesi fa. La tesi è che in Europa, come nel mondo, non oggi ma da sempre, la partita principale è tra Stati, questi sono la partizione sistemica principale. Ci piace o non ci piace poco importa, così è. Ci sono altri soggetti, c’è il disordine globalista e neo-liberale, ma -per quanto interessante indugiare in analisi qualitative sul disordine creato da questo affollamento di soggetti disordinanti- lo stare la mondo è un gioco ed i giocatori del tavolo principale, sono Stati. Il difetto che certe descrizioni portano è quello di pensare esistente qualcosa come il generico “capitalismo” o il generico “neoliberismo” o il generico “globalismo”. I fenomeni sono una cosa, gli enti un’altra, ontologia elementare.
Il globalismo neoliberale è una interpretazione del modo economico, inaugurata da Stati Uniti d’America e Gran Bretagna e se non avesse incontrato gli interessi di questi due soggetti, non sarebbe mai nato, non si sarebbe mai affermato (sfugge forse che anche le cose economiche avvengono in spazi giuridici e gli spazi giuridici sono definiti dagli Stati), non si sarebbe mai sviluppato. Così, non è un caso, quando la sua vulgata grezza e priva di distinzioni non corrisponde più a gli interessi di questi soggetti nazionali promotori, essa viene corretta e per primi, viene corretta proprio dai promotori (Brexit, Trump). Stesso discorso sul mantra europeo. L’Unione europea è una forma confederale atta a creare una spazio economico e debolmente giuridico in favore degli interessi primariamente tedeschi e poi francesi nella misura in cui i francesi sperano così di risolvere il loro storico “problema Germania”.
Il punto qual è? Il punto è che questo è il mondo reale. Ad esso corrisponde una mondo virtuale fatto di concetti, idee, luoghi comuni, ideologie, discorsi pubblici, dibattiti, un teatro delle ombre che dovrebbe simulare la realtà a parole. Solo che nulla di tutto ciò corrisponde alla realtà, è semplicemente un mondo a sé. Un mondo in cui ci sono Kant e Spinelli (o forse Kant letto sotto l’influsso di spinelli), globalisti privatisti e localisti statalisti, progressisti e populisti, europeisti e nazionalisti, juventini ed interisti categorie del razionale ma per nulla del reale (solo juventini ed interisti lo sono un po’ ma c’è poi anche un ben più ampio pluralismo-romanisti, milanisti, “napolisti”-, come sempre).
Come fa questo teatro delle ombre ad imporsi come metrica del discorso pubblico, monopolizzando anche l’attenzione dei migliori intelletti? Certo conta molto il possesso dei media, l’accademia, la servitù intellettuale ma come ogni gioco, per giocare ci vuole l’altro, l’avversario. E chi è il maggior fornitore di avversari del discorso dominante? Il discorso critico, cioè la “sinistra”. La sinistra antagonista, è storicamente convinta che il suo ruolo è essere all’antitesi e poiché il nemico pone la tesi, l’antitesi sarà il semplice contrario, l’altro dicotomico. La sinistra collaborazionista, essendo arrivata al potere di recente ed essendo del tutto digiuna di mondo reale pensa davvero che le cose funzionino come nei libri e quindi diventa più realista del re, più globalista, più mercatistica, più neoliberale degli stessi che pongono i concetti astratti. La sinistra non si ferma a dire “aspetta un attimo, ma cosa dice esattamente questo concetto? quale consistenza, cioè realtà ha?”, abbocca, o facendolo proprio in forma acritica o scatenandosi contro in maniera rabbiosa.
Questa sindrome che sta uccidendo la sinistra occidentale ha un nome: idealismo. Quando l’idealismo incontra il pragmatismo che non è una prassi acefala ma una prassi indotta da sistemi di idee che poi vengono continuamente aggiornate, aggiustate, stiracchiate, dissimulate, intorno a dei principi ben saldi che ne guidano l’azione, diventa subalterno e così dopo post e post sul nazionalismo orrendo della Le Pen, ora ti trovi col nazionalismo elegante di Macron. E giù articoli, studi, ragionamenti e a Settembre, magari anche un pamphlet.
Ma non dovevamo cambiare il mondo? Sì, ma prima avremmo dovuto com-prenderlo.
CRONACHE N. 583
IL DECLINO DELLO SPERMA OCCIDENTALE. (Qui) Con il nostro modo di vivere che non s’avverte delle retroazioni negative dei nostri sforzi positivi e prometeici, stiamo portando la natura ad eliminarci come un virus indesiderato? Chissà. Oppure stiamo cercando ragioni semplici per spiegarci un calo demografico che è oggettivamente rilevato in tutto il mondo occidentale e di cui non sappiamo altrimenti darci ragione? E se proprio la percezione di questo futuro oscuro fosse la causa prima che agisce come disincentivo a riprodursi quasi che esistesse un inconscio di civiltà che consiglia a non mettere al mondo infelici senza speranza, qualcosa che nessun padre e madre farebbe -diciamo così- d’istinto? Abbiamo scambiato la roboante “fine delle storia” con la più modesta “fine della -nostra- storia”? E vale la pena porsi questo problema o effettivamente che vada pure così e neri ed asiatici ereditino pure il mondo poi vediamo se loro riescono ad evitare la trappola che noi stessi ci siamo costruiti assemblando pezzi di idee che ci sembravano geniali ma che complessivamente messe a sistema, pare ci stiano portando all’estinzione? Di cosa è ammalato l’Occidente e qualcuno si sente appartenente a questa tribù o è una definizione molto lontana dal comune sentire? Se nessuno desidera pensare l’Occidente, se l’Occidente non ha momenti di autocoscienza, che sia questa la ragione che lo condannerà a non esser più quello che è stato?
CRONACHE N. 582
BIT THEN BE. Essere in quanto dati, questo il nostro futuro. Dai che ti conviene e poi hai anche uno sconto e ti senti parte del grande processo di innovazione e progresso. E’ facile, è utile, è fico. E poi sarai collegato a tutta le rete, te e tutti, tutti e tutto. E poi non potrai farne a meno. e quando si sarà raggiunta la massa critica, non ti assumeranno, non potrai usufruire, non potrai entrare, non sarai. L’eterno ritorno della servitù volontaria. Il futuro sarà distopico o non sarà ? (Qui)
CRONACHE N. 581
LOGICA ELEMENTARE DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI. Nel IV secolo a.C., un indiano, tale Kautilya, scrisse un trattato politico-economico-militare dal titolo Arthasastra. In esso, compare questa definizione elementare dei rapporti tra stati: “Ogni Stato confinante è un nemico e il nemico del mio nemico è mio alleato”. Per ovviare a questa problematica, i francesi hanno -nel dopoguerra- strategicamente cercato di trovare ragioni di alleanza coi tedeschi, il che li ha portati a considera l’altro vicino, l’Italia, nemico naturale. Nemico può intendersi “non amico” e non per forza entità che ti invade o invadi. In una relazione, nulla è più patetico dell’asimmetria per la quale uno dei due reputa l’altro un amico mentre l’altro, no. Ha ragione Scaglione (qui), Macron è il nostro peggior nemico nazionale, Macron vuole indebolire l’Italia per succhiarne la scarsa, residua, forza per meglio bilanciarsi nella sua “relation dangereuse” coi tedeschi. Ai francesi, si potrebbe invece offrire un piano alternativo, unirsi ai mediterranei contro i Paesi del Nord ma questo tipo di cose, con la mentalità che domina sia i politici, sia gli intellettuali, quindi il popolo, è oggi fantascienza. Eppure poiché il gioco geometrico dei nemici e degli amici è quello che da secoli regola i rapporti politici internamente ed esternamente a gli Stati, i nemici di Macron, potrebbero ben essere gli amici dell’Italia.
CRONACHE N. 580
LA NEUROSCIENTIFICA IIa TESI SU FEUERBACH. (Qui) Molto meno nota dell’XIa, a me è sempre piaciuta molto la IIa Tesi che -più o meno- dice che la “verità” di un pensiero, si misura dalla pratica che induce, altrimenti si fa “scolastica” . Avessero i marxisti applicato questa Tesi al loro stesso impianto teorico, oggi saremmo in altre condizioni. Ma questo cappellotto ci serve solo per segnalare quello che sembra un libro di neuroscienze interessante, di cui al link. Il pensiero umano e tutto il complesso mondo che ha prodotto, sarebbe in sostanza un epifenomeno di una facoltà che -in origine- si sarebbe evoluta per farci agire. Il cervello, quindi la mente, è al servizio del corpo e non il contrario. Cognitivismo ed idealismo -out-, pragmatismo e materialismo -in- ? Molto probabilmente non è proprio così semplice anche perché il fascino dell’inversione della dicotomia (celebre quella operata proprio da Marx sulla dialettica hegeliana) anticipa sempre il fatto decisivo che è decidersi a non considerare più dicotomici due enti prima ritenuti tali ma vedremo, vi saprò dire una volta letto.
Comunque la storiella delle ascidie è carina sebbene si debba sempre sospettare della trappola delle false analogie (ovvero, un essere umano non è un’ascidia, un individuo non è un atomo sociale, un cervello non è un computer, una società non è un corpo umano con varie funzioni e via analogicizzando … )
CRONACHE N. 579
CHIMPANZEE OECONOMICUS. Il biologo evolutivo di Harvard, Joseph Henrich (qui), è andato sul campo a verificare se gli assunti che definiscono il cardine della teoria economica classica (e per gran parte neo-classica) ovvero la definizione dei comportamenti umani economici detta “homo oeconomicus” (un vero e proprio scandalo epistemico), fossero corretti. La prova è fallita sistematicamente nell’analisi di ben 24 differenti tipi di società realmente esistenti con multiple e diverse comunità al loro interno. Ma ha anche incontrato una conferma: l’homo oeconomicus predice correttamente il comportamento, davanti a problemi estremamente semplici, degli scimpanzè. Quindi l’assunto teorico è corretto, peccato sia stato applicato alla specie sbagliata.
[Interessante anche lo sviluppo del nuovo paradigma dell’homo bio-culturale. Inoltre, segnalo il propagarsi nel mondo scientifico americano, della “consapevolezza del campione sbagliato”. Grande parte della letteratura scientifica di psicologia evolutiva, si basa su esperimenti che non tengono conto delle distorsioni ambientali (bias da laboratorio) ma sopratutto, sono clamorosamente ingenui nel non considerare l’aticipità del campione. Il campione su cui fanno gli esperimenti è sempre dato da studenti universitari del professore che fa la ricerca. Studenti WEIRD ovvero Occidentali, Educati, Industrializzati, Ricchi e Democratici. Insomma, gli economisti non parlano con gli psicologi, gli antropologi e i sociologi; i psicologi evolutivi non parlano con gli statistici (problema della rappresentabilità del’universo). L’Arcipelago delle scienze disconnesse genera mostri]
CRONACHE N. 578
IN DRUG WE TRUST ? (Qui) Credenti forti di due monoteismi e buddhisti, assumono funghetti sotto controllo psico – medico e raccontano di aver avuto accesso ad un livello più alto, universale, di esperienza religiosa e di aver altresì confermato le convinzioni delle proprie credenze. I monoteismi, discendono in qualche modo dall’antica Avesta, narrazione orale andata perduta di cui conosciamo solo le versioni più recenti, quelle zoroastriane. L’antica Avesta, presumibilmente, assieme al buddhismo che è ramo filosofico in qualche modo riconducibile all’induismo, provengono dallo stesso ceppo dei Veda, la più antica scrittura sacra. I sacerdoti vedici, pare raccontassero quello che poi venne messe per scritto soprattutto nel RgVeda, il primo e più antico libro dei Veda, dopo riti complessi che prevedevano l’ingestione di una sostanza che si chiamava “soma”. Non si è mai capito bene che tipo di droga botanica fosse il soma ma si suppone fosse qualche fungo crescente ai piedi dei Monti Urali che forse era la regione nativa degli antichi sacerdoti indo-ariani, poi divisisi in due rami, quello indiano e quello iranico. Soma è anche il nome di fantasia della droga con cui un distopico governo controlla l’intera popolazione del romanzo “Breve New World” di Aldous Huxley – 1932. Religione, oppio dei popoli? Forse, ma non è solo questo. E’ interessante che l’architettura cerebrale e il contesto biochimico in cui si svolgono gli effetti di queste droghe e parte del pensiero mistico, coincidano. I paleoantropologi, pensano che questo uso di sostanze psicoattive nei rituali sciamanici a metà tra la mistica e la ritualità che cementava i gruppi sociali, sia antica di decine e decine di migliaia di anni ed esteso in tutto lo spazio umano. Trattasi quindi di cose umane e forse non solo, visto che l’ingestione di piante psicoattive è accertato anche nel regno animale. Al cervello pare piaccia giocare con se stesso.
CRONACHE N. 577
PIU’ OMOSESSUALI – VEGANI O MENO AMERICANI? Mi scuso preventivamente per la rozzezza del titolista ma faceva caldo ed andava di fretta. Ad ogni modo, la svedese Lund University (qui), ci fornisce uno studio in cui si pesano i nostri comportamenti in termini di impatto ambientale. Lo studio è effettivamente interessante per sapere cosa occorrerebbe fare prima che si sciolga non solo Larsen C ma tutta l’Antartide e tra questi consigli, fare meno figli e rinunciare ad aereo, macchina e carne, pare siano i più efficaci. Ma poi si scopre che il contributo di emissioni pro-capite dei 330 milioni di americani (pro-capite ovvero per singolo individuo, non complessivamente come nazione) è di 16.4 metric/tons mentre nella media della nostra sgangherata unione, noi contribuiamo “solo” per 6,8 T, poco meno di un cinese 7,5 T ma molto di più di un indiano 1,6 T. Nella lista dei cattivi c’è pure la Russia, tutti i petroliferi arabi e non e naturalmente gli altri paesi occidentalizzati ma per peso unitario e complessivo, gli americani sono, come sempre, un passo avanti. Quando cominceremo a far presente a questa simpatica popolazione che ci delizia giornalmente con i maldipancia del suo Game of Throne e ci ricorda costantemente quale indispensabile faro di civiltà sia il suo sistema di vita che ci hanno definitivamente stufato? [stufato: lunga cottura a temperature poco inferiori ai 100 gradi]
CRONACHE N. 576
ELIO E LE STORIE TESE (qui e qui). Problema già ampiamente noto a chi segue la faccenda Qatar, ora ci si accorge che gli aerei a reazione potrebbero rimanere a terra, le risonanze magnetiche potrebbero fermarsi, così la costruzione dei superchip e soprattutto, inizia l’estate ma i sub non possono immergersi.
Tillerson ha firmato con Doha un patto di controllo dei movimenti finanziari al fine di evitare ogni possibile flusso in direzione della misteriosa entità “terrorismo” ma il curioso è che l’ha fatto prima di andare a Jeddah dove incontrerà i quattro paesi del blocco ostracizzante. Ora, stante questo patto, il pezzo più succoso delle accuse a Doha potrebbe cadere ma soprattutto, se i quattro firmano anche loro, anche loro debbono smetterla con il supporto alle varie fazioni che hanno ampiamente usato non meno del Qatar. Se invece non firmano, cambiano gli equilibri del gioco perché l’accusato si comporta meglio degli accusatori. Tillerson ha fatto capire che per gli americani il succo della faccenda è solo questo, le altre richieste avanzate dal fronte amici dei Saud, sono “irrealistiche”. Oppure voleva solo avere un pezzo di carta in mano per difendersi internamente ed internazionalmente dall’accusa di avere una base militare in un paese che è la capitale del Male? Mercoledì vediamo chi firma e chi no, poi vediamo cosa s’intende per “terroristi”, poi vedremo che succede nel mercato del gas (qui), poi vediamo che succede alla nuova liaison tra Riyad e Mosca, poi vediamo …
CRONACHE N. 575
PUTIN PEZZO PREGIATO DEL CALCIOMERCATO (qui e qui). Ulteriori segnali di come il business energetico torni a trainare alcune relazioni internazionali. L’Asia sarà pure la fabbrica del mondo ma per accendere gli impianti ci vuole energia. La Russia, quindi, deve esser portata dalla parte dei fornitori per condizionare i produttori. [Dal manuale “Leggi dell’equilibrio di potenza” di H. Kissinger]
CRONACHE N. 574
FOTO DI GRUPPO (qui). Fa un po’ tenerezza l’aspettativa con cui i commentatori mainstream seguono questi incontri dei vertici del nuovo mondo multipolare. In realtà, le interrelazioni tra i vari attori sono molto complesse e si svolgono permanentemente nel prima e nel dopo di questi incontri che servono più per dar lustro al paese ospitante ma anche per fisicizzare queste intricate interrelazioni.
Il polso della situazione mondiale vede, sul piano geopolitico, una nascente sicurezza ed ordine asiatico basato sulla SCO. Non che le relazioni, soprattutto Pakistan – India e Cina – India siano esenti da problemi ma questi non portano a crisi che non siano evitabili. Meno ordinato il Medio Oriente dove la pretesa saudita di ergersi a perno del sistema arabo ed addirittura musulmano è del tutto sproporzionata. Problematici i rapporti interni all’Europa dove Nord ed Est vanno per conto proprio mentre il Sud, anche grazie allo sproporzionato Macron, non va da nessuna parte. In crisi identitaria, quindi strategica, la Gran Bretagna, Trump va avanti sulla sua strada. Una strada che prevede il divide et impera sulla già divisa Europa, con celebrazione dell’art. 5 della NATO in Polonia, il distacco deciso dalla Germania e vedremo cosa con la Francia, prossima tappa dell’americano.
Palese, invece, la postura amicale nei confronti di Putin, almeno dalle pubbliche immagini, di suo, ben meno entusiasta e più prudente. Anche qui, la finta ingenuità dei commentatori che leggono e discutono le dichiarazioni ufficiali del lungo incontro, corroborate da ampie invenzioni di fantasia, fa sorridere. Prima di discutere di Siria, Ucraina o Corea, clima, commercio o le reciproche intromissioni informatiche, i due avevano da chiarirsi a quattr’occhi le relazioni squisitamente bilateriali. Queste, vertono sul problema energetico, strategie, joint venture, blocchi, prezzi, Qatar e Iran, logistica delle reti ed altro. Rampini sostiene che Trump e Tillerson, rispetto a Putin e Lavrov sono dei dilettanti allo sbaraglio ma sull’argomento in questione, Tillerson non è un dilettante allo sbaraglio ed è lì proprio e prevalentemente per questo. Questo accordo s’ha da fare, che piaccia o dispiaccia al deep state, Trump e Tillerson sono lì apposta. Che glielo lascino fare è tutt’altra questione.
CRONACHE N. 573
IL COMPLESSO DI MACRON. Uno che si occupa del concetto di complessità non può che venir attratto irresistibilmente dal giovane presidente francese che rifiuta la conferenza stampa a base di domande e risposte perché il suo pensiero è “troppo complesso” (qui). E dire che proprio il francese Edgar Morin, “filosofo della complessità” pose come primo dei tre principi fondativi del pensiero complesso il principio dialogico che da una parte è riconoscimento della legittimità di due logiche parallele, dall’altra non può che richiamare l’arte del discorso, del dialogo, per intrecciarle in un complesso condiviso.
Ma il giovanotto, sembra aver una propensione di lunga data per la pubblicità culturale ovvero per una forma che vorrebbe mostrare uno spessore culturale che in realtà non si ha. Il posizionamento (tecnica di strategia di comunicazione) simbolico di Macron, è stato quello dell’intellettuale al potere, sogno platonico di molta intellighenzia francese. Così è passata la narrazione dell’assistente di Paul Ricoeur che poi passa alla Rothschild ed infine diventa re-filosofo. Peccato che Myriam Revault d’Allonnes, membro del consiglio scientifico del fondo Ricouer, allieva ed amica personale del filosofo ermeneutico, abbia specificato che monsieur Macron è stato solo assistente editoriale per una pubblicazione di una raccolta di saggi uscita nel 2000 per Seuil. Da correttore di bozze a re filosofo è un passaggio inspiegabile, forse è questo passaggio che è troppo complesso da spiegare.
Passiamo così dal re filosofo a Napoleone. Napoleone, i filosofi, non li amava e fossero stati altri tempi, forse li avrebbe incarcerati buttando via la chiave. La connotazione spregiativa di “ideologo”, pare sia proprio stata definita dal corso. Gli Idéologues erano un gruppo di filosofi materialisti-sensisti che rifiutando l’astrattezza metafisica, iniziarono una precoce ricerca sul pensiero sociale ed economico basata addirittura sulla struttura fisica del sistema nervoso, una sorta di acerba intuizione sulle relazioni tra idee-mente-cervello che non sarebbe poi male riprendere oggi che le scienze cognitive stanno facendo così tanti progressi. Gli Idéologues erano tra i pochi, strenui critici di Napoleone ed il disprezzo con cui questo li coprì, finì col riverberarsi sul termine stesso che poi divenne concetto. Macron è oggi il napoleonico campione del post-ideologico, del pragmatico, del comunicativo push ovvero non argomentato e discusso, cioè l’esatto contrario del complesso. Forse Macron che stupido comunque non è, ha un complesso, il complesso di sapere di non essere complesso e di esser solo un ”…garzone mandato dal suo padrone a riscuotere i crediti …” (Colonello Kurtz – Apocalypse now 1979) prima che il collasso da era complessa inghiotta la sua Francia.
[Il diavolo, si sa, è nei particolari. Ecco allora che i pubblicitari che supportano Macron avrebbero dovuto sapere che vendere un “filosofo” con la scrivania vuota è dissonanza cognitiva ma in effetti non dovevano vendere un filosofo ma solo un problem solver]
CRONACHE N. 572
(23.06.17) TI DO DIECI GIORNI DI TEMPO, POI… . POI COSA? Gli Stati del blocco hanno dato al Qatar la loro lista delle doglianze in 13 punti (qui), aggiungendo un imprecisato pagamento di danni ma sopratutto hanno dato un ultimatum, dieci giorni. In pratica il Qatar dovrebbe suicidarsi e diventare una provincia saudita. Meno male che Tillerson aveva raccomandato che la lista fosse ragionevole ed attuabile. Estate calda eh? Piccoli principi crescono …
CRONACHE N. 571
(23.06.17) CIRCUITI LOGICI BREVI E DANZE DELLA PIOGGIA. Ed ecco che l’unica cosa che piove in abbondanza oggi sono gli articoli sulla siccità (qui). Il fatto (la siccità) è messa in breve relazione con la situazione climatica (fa caldo). Qualcuno si avventura su i territori del cambiamento climatico e (giustamente) Mercalli ammonisce sulla nostra nuova condizione climatica che è e sarà quella di un paese progressivamente sempre più un po’ arido, un po’ tropicale. Ricordo distintamente un servizio televisivo a Febbraio che ammoniva su questa situazione già ampiamente prevista dato che, questo inverno, non aveva piovuto e nevicato a sufficienza nel quadrante nord-orientale. Ne conseguono tre considerazioni: A) la RAI dovrebbe spiegare perché un programma come quello di Mercalli che aveva almeno il merito di dare minima pubblicità a questi problemi ed alle loro logiche non immediate (complesse), è stato cassato alla seconda stagione; B) i governi locali e nazionali dovrebbero spiegare perché pur sapendo in anticipo quello che senza alcun dubbio sarebbe successo questa estate, nulla è stato fatto per avvertire, prevenire, preparare; C) uomini e donne di buona volontà, dovrebbero capire che se continuiamo a ragionare con circuiti logici brevi, azione-reazione, attualità fruita passivamente, “oggi parliamo di … “ e conseguente tempesta di talk e post su i social che cambia ogni settimana tema, ci andiamo a schiantare.
Non so se è un problema di destra o di sinistra, se è assimilabile alla questione neoliberale o se ha rapporti con l’euro e l’Unione europea o c’entri Trump e Putin ma temo che la struttura mentale fatta di neuroni che s’infiammano per poi sedarsi, scollegati tra loro e confinati in circuiti locali irrelati gli uni a gli altri, sia l’origine di quello che chiamiamo “alto rischio di disadattamento”. Noi non pensiamo il tempo, le cause lunghe e le conseguenze altrettanto lunghe, noi siamo ancora alla danza della pioggia.
CRONACHE N. 570
(19.06.17) ONE STEP BEYOND. Era il 1992 quando quei pazzerelloni dei Madness, infiammavano i londinesi in un famoso concerto a Finsbury Park, già il quartiere in cui un tizio occidentale ha pensato fosse giunto il momento di dire la sua nel dibattito sull’integrazione, scagliando un pulmino contro musulmani che uscivano dalla preghiera notturna alla moschea, essendo tempo di Ramadan. Negli anni ’90 la band londinese suonava allegramente lo ska, una musica che originava dalla felicità con cui i giamaicani negli anni ’60, festeggiavano la raggiunta emancipazione dal colonialismo britannico. I bianchi suonavano e ballavno la musica dei neri ma mischiare le note è più facile che mischiare le persone, in più, gli anni ’90 erano affluenti e quando le cose vanno, molte contraddizioni vengono ammorbidite anche quella per la quale i colonialisti ballano alla musica dei colonizzati.
Negli ultimi giorni, ho letto molti post sul problema dello ius soli. Chi postava Sartori che dall’alto dei suoi novantatre anni diceva che non bastano cinque anni di elementari ci vuole anche il ripudio della sharia (? non cedo sia un problema ottenere un solenne giuramento da un bambino di dieci anni, è farglielo mantenere quando ne avrà venti che la vedo più complicata), chi postava neri che parlavano fiorentino all’università, chi postava migranti che commettono reati, chi posta le basse percentuali dei migranti in Italia rispetto a quelle di altri paesi, chi scomodava il mitico Kalergi ed il suo piano di annullamento della razza in favore di un capitalismo meticciato, docile, remissivo, manipolabile. Mah, in questi giorni mi dedico a seguire le faccende del mondo arabo e posso solo immaginare come la faccenda di Londra verrà presentata lì da alcuni che da mesi, forse anni, cercano -finora invano- di accendere il grande rogo dello scontro di civiltà.
A chi odia l’arabo, a chi odia il musulmano, a chi odia coloro che odiano gli arabi ed i musulmani, a chi odia coloro che odiano coloro che odiano gli arabi ed i musulmani, a gli intellettuali o almeno ai facente funzione o aspiranti facenti funzione, a coloro che hanno i sensi di colpa occidentalisti per via del colonialismo, ai curatori di anime che non si preoccupano del fatto che le anime sono dentro i corpi ed ai corpi va trovato un lavoro, una casa, un futuro, a coloro che pensano che il nostro deficit demografico non sia un problema ed a coloro che hanno postato Tito Boeri che avverte che senza i contributi previdenziali dei migranti non abbiamo cash flow per pagare tutte le pensioni pensando che si tratti di un inammissibile ricatto, a coloro che odiano la Boldrini ma anche alla Boldrini che dall’alto del suo attico al centro non capisce cosa significa vivere in un quartiere multietnico se non monopolizzato da etnie molto diverse dalla tua, ai buoni come ai cattivi, ai nazionalisti come ai “il proletariato non ha nazione”, consiglierei di fare one step beyond, un passo indietro. Non siamo sempre obbligati a dare giudizi sulle cose, in democrazia ed oggi in particolare che i tempi si stanno facendo molto complessi e difficili e sempre più lo saranno, è prima importate capire cosa stiamo giudicando, qual è il fenomeno. Non ci sono soluzioni se non si capisce qual è il problema ed i problemi sono un po’ più complicati che non tutti i giusti di qui e tutti i cretini di là.
Quello che è successo a Finsbury Park, spero senza speranza, che sia come si sono affrettati a dire un “gesto isolato”, ma la rabbia cova, cova da una parte e dall’altra. Un rabbia figlia non solo di accenditori di fuochi perché i piromani contano comunque sulle sterpaglie secche che si accumulano nel sottobosco sociale. Chi ha creato questi pasticci non sa e non vuole risolverli ma gode nel vederci scendere in campo a partecipare alla rissa su un problema da loro stessi creato. Uomini mediocri, cercano di ritagliarsi un posto al sole per ottenere qualche voto in più (da una parte o dall’altra), cercano di passare per vittime perché hanno “osato” dire la “verità”, qualcuno ci si fa un po’ di pubblicità per vendere qualche libro in più, qualcun’altro brandeggia giudizi morali come il machete nella foresta.
Possiamo anche godere lo spettacolo della triste fine della nostra civiltà che sta finendo prima culturalmente e politicamente che razzialmente, ma ricordatevi che noi ne siamo dentro.
CRONACHE N. 569
“COSE PREZIOSE” IN MANO AI RAGAZZINI (L’espressione romanesca identifica la “cosa preziosa” con un termine preciso che qui non si può riportare). I sauditi, assieme o per conto dello schieramento che ostracizza il Qatar, ha annunciato da ieri di star preparando un “lista delle lagnanze” da sottoporre al Qatar. Il fronte aveva già presentato la lista dei 59 reprobi e delle 12 associazioni definite “finto-caritative” con le quali il Qatar doveva tagliare ogni rapporto ed era questo il punto concreto sul quale verteva il contenzioso. Ora però aggiungeranno questa nuova “list of grievances”, perché? In questi giorni, c’è stato un turbinio diplomatico. USA, Francia, Germania, Gran Bretagna, Turchia, Pakistan, Marocco, Kuwait, Russia, sono tutti mobilitati per cercare di sciogliere o contenere le tensioni del Golfo ma questa faccenda è molto difficile da risolvere. La lista serve a dare ulteriore ragione pubblica del motivo che muove il fronte capeggiato dai sauditi e forse a meglio specificare l’oggetto del contendere, stante che la strategia del fronte contro il Qatar è non trattare alcunché ma imporre il “o con noi o conto di noi”. Tenendo il blocco a lungo, si spera che qualcuno in Qatar, soffocato da queste nuove condizioni di vita che sono assai difficili per gente che stava nel paese a più alto reddito pro-capite al mondo, decida di detronizzare la famiglia al Thani. La posizione del fronte non è trattabile per una ragione ben precisa. Persa sostanzialmente la guerra in Siria e trovato in Trump un interlocutore potenzialmente più ricettivo di Obama ma con l’intenzione ferrea di onorare il mantenimento della promessa elettorale di sradicare il “terrorismo”, i sauditi hanno riformulato la loro strategia. In cambio di un nuovo patto di ferro con gli USA, i sauditi hanno promesso probabilmente l’abbandono dell’Isis.
Cosa curiosa di tutta la crisi del Golfo che verte pubblicamente sul problema del “terrorismo” è che nessuno parla più da un paio di settimane dell’Isis. Nessuna dichiarazione pubblica del fronte ha mai nominato l’Isis tra gli addebiti mossi a Doha, semplicemente perché Doha manovra altre forze, non l’Isis. Il contenzioso con Doha è concreto, quindi non c’è alcun bisogno di dire bugie come siamo abituati in genere a sentire nelle guerre delle fake news che accompagnano i conflitti geopolitici contemporanei. L’Isis colleziona sconfitte in Siria, i russi pensano addirittura di averne decapitato il vertice con o senza al Baghdadi, l’idea stessa di uno Stato islamico nel nuovo scenario geopolitico è del tutto irrealistica. Ma se Riyad abbandona l’islamismo militare (almeno nella forma Isis) allora Doha deve abbandonare l’islamismo politico (Fratelli musulmani) perché le due strategie sono entangled, l’una è nata per far concorrenza all’altra poiché concorrenti sono i due centri che le promuovono. In breve, se Riyad abbandona quella strategia perché ne ha un’altra basata sul riallineamento gemellare con Trump, Doha deve abbandonare la sua linea concorrente, senza se e senza ma, non c’è alcun margine per trattare questo principio, ovviamente.
A questo punto entra in gioco la variabile tempo. Arriverà prima la rivolta delle élite di Doha che rovescia gli al Thani o una qualche forma di “buying time” in cui Doha promette ciò che poi non manterrà come altre volte ha fatto (ma dubito che i sauditi si accontentino di questo) oppure arriveranno prima i tradimenti dell’alleanza delle spade, se non le dimissioni stesse del clan Trump che è ormai isolato ed accerchiato da tutte le parti? Tra l’azzardo della sterzata di Riyad, gli insuccessi sauditi in Yemen, il verificare che addirittura il Pakistan sta tradendo l’alleanza con i sauditi (così il Sudan), l’aperta secessione dell’Oman e la stessa terzietà del Kuwait, la lotta alla successione nella monarchia beduina, la debolezza di Trump, il nuovo semi-asse Ankara-Teheran, la SCO che avanza (l’India sta investendo a manetta per il potenziamento di un porto in Iran), lo scarso allineamento del fronte (Trump parla di 50 stati allineati a Riyad perché così gli avranno detto che sarebbe stato ma le Maldive, due stati falliti ed un gruppetto di africani centro-occidentali non fanno l’islam), l’onere è tutto da una parte.
Forse i trentadue anni di bin Salman (Jared Kushner che probabilmente è colui che ha condotto la pre-trattativa per il clan Trump ne ha solo quattro di più, l’emiro del Qatar ne ha cinque di più), sono stati una cattiva guida per maneggiare una cosa così complessa come la strategia geopolitica di un gioco così difficile.
CRONACHE N. 568
SHOPPING. La Turchia, paese NATO, starebbe per firmare l’accordo d’acquisto per due batterie di S-400 dalla Russia, sistema già venduto dai russi a cinesi ed indiani (qui).
PORTI. L’India procede ma con qualche difficoltà, nello sviluppo del porto di Chabahar in Iran. Il porto farebbe parte di una strategia di aggiramento del Pakistan che ospita il porto cinese di Gwadar e legherebbe non solo India ed Iran ma anche Afghanistan e questo Sud col Nord delle repubbliche centro-asiatiche (qui). La regione è quella del Belucistan, sunnita, in cui è presente un gruppo armato affiliato ad al Qaeda, già autore di diversi attentati in Iran. L’Iran sostiene che gli attentatori delle due recenti azioni terroristiche svolte a Teheran, provengono da questi gruppo e di avere prove del fatto che esso è eterodiretto dall’Arabia Saudita (qui).
ISOLE. La commissione parlamentare egiziana ha dato il via libera alla votazione alla prossima votazione alla Camera per la ratifica della contrastata cessione delle due isole di Tiran e Sanafir, all’Arabia Saudita. Le due isole (deserte) controllano l’accesso al Golfo di Aqaba in fondo al quale si trova Eliat (Israele) da cui dovrebbe partire una collegamento ferroviario per il Mediterraneo cofinanziato dai cinesi che pensavano di utilizzare questo braccio del Mar Rosso come eventuale alternativa della loro Via della Seta di mare, qualora fosse bloccato Suez (qui).
CANALI. Panama ha disconosciuto Taiwan e quindi si offre per ricche partnership con la Cina (qui).
CRONACHE N. 567
ARABIA FELIX. Yemen, l’OMS comunica che nello Yemen dilaga il colera: 1000 morti accertati, 125.000 infettati. Dopo 27 mesi di bombardamenti sauditi armati dagli occidentali (Italia inclusa), la situazione è: 6000 morti, 1,5 milioni di profughi, 15 milioni di persone non hanno accesso alle cure di base (gli ospedali sono bombardati), 7 milioni non hanno cibo, 500.000 bambini sotto i 5 anni gravemente denutriti. Al prossimo titolo di editoriale in cui campeggia la fatidica domanda “Perché ci odiano?” datevi la risposta.
CRONACHE N. 566
EVOLUZIONE NEGLI SCHIERAMENTI. Con gli autori del blocco Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, c’è lo Yemen dove però c’è una guerra che oppone il vecchio governo sunnita alleato a gli houti sciiti a quello nuovo amico dall’Arabia Saudita. Analisti arabi segnalano una forte presenza di militari UAE nello Yemen del sud e stimano una successiva rivendicazione di sovranità o di secessione di questa parte da quella meridionale come era un tempo, opzione decisamente malvista dagli alleati sauditi. C’è poi la Libia di Tobruk (Haftar) ma non quella di Tripoli (Serraj). C’è anche la Mauritiana, il Senegal, il Chad ed il Niger. Non pervenuta la Nigeria, così l’Algeria, la Tunisia, il Libano. Il Marocco, si è offerto ieri di mediare (già lo fa il Kuwait). Il Sudan come il Pakistan hanno pubblicamente dichiarato di non vedersi coinvolti nelle beghe del Golfo invitando gli “amici arabi” a trovare la soluzione tra loro, il Pakistan ha anche dovuto smentire voci di un dispiegamento di forze a protezione del Qatar. L’Etiopia ha sposato la causa del Kuwait ovvero la mediazione tra le parti mentre l’Eritrea appositamente sollecitata da Riyad non solo a risposto picche ma ha confermato i legami di amicizia a Doha. L’Oman ha ricevuto la visita del MdE saudita ma non ha fatto dichiarazioni, né è probabile le farà dato che storicamente ha una posizione eccentrica. L’Oman (che appartiene al CCG e come al Kuwait non partecipa la blocco) è l’unico paese arabo né sunnita, né sciita. Ha comunque fatto un accordo per diventare pre-base marittima degli scambi con Doha nel senso che le importazioni del Qatar adesso arrivano in Oman e da qui vengono portate in patria. La Giordania ha downgradato le relazioni diplomatiche con Doha ma cosa questo significhi sul piano pratico non è chiaro. Se c’è un regime change a Doha, Hamas ha chiuso. L’Iraq, in quanto sciita, non è della partita, la Siria certo non può prendere parte e contempla felice la spaccatura nel fronte nemico. La Turchia ha deliberato lo stanziamento truppe in Qatar (operazione per altro prevista già da Maggio scorso) ed Erdogan è nervoso perché non vuole litigare coi sauditi. Quattro aerei e tre navi di acqua e cibo inviate da gli iraniani, voci inverificabili di origine saudita dicono che una guardia speciale iraniana avrebbe preso posto a difesa del palazzo dell’emiro del Qatar. Ma l’Iran ha annunciato anche due navi da guerra in partenza prima per l’Oman e poi per le acque internazionali davanti allo Yemen – Golfo di Aden. Ripeto: Yemen – Aden. Si prevede un blocco? A livello internazionale, silente Parigi che sembra pendere per Riyad (ma ora arriva Macron) , molto allarmati i tedeschi intervenuti due volte per bocca di Gabriel ed una per bocca di Merkel. Col loro 17% di VW in mano ai qatarioti, i tedeschi pendono chiaramente per Doha ed avvertono che l’imbroglio rischia di sfociare in guerra aperta e fratricida se tutti non si danno una calmata. La nuova amministrazione americana ha dato un altro saggio di incomprensibilità. Parte un comunicato molto preoccupato del Dipartimento di Stato a firma Tillerson che ricorda come in Qatar ci sia la base USA da cui partono gli attacchi all’Isis dicendo che un Qatar equilibrato e sereno è essenziale per gli americani ma un paio d’ore dopo parte il tweet maramaldo di Trump che plaude all’energica azione di Riyad nell’isolare lo stato terrorista (?). Il MdE del Qatar visita Mosca per incontrare Lavrov che non si sbilancia ma si ricordi che il Qatar si è appena comprato il 20% di Rosneft. Ieri anche una telefonata Lavrov-Tillerson. Molto preoccupati il Giappone il cui rifornimento energetico è dato da GNL qatariota, gli stati indiani ed indocinesi che solo in Qatar hanno più di un milione e mezzo di connazionali. Silenziosamente preoccupati anche gli italiani che vendono armi a Riyad ma ricevono importanti investimenti strategici da Doha. Anche la rete delle moschee e madrase negli anni finanziate da Riyad e Doha in tutto il mondo arabo, islamico ed europeo, parteciperanno alla tenzone?
FATTI. L’espulsione dei qatarioti dagli stati del blocco sta generando un diluvio di ricorsi alle corti internazionali e la mobilitazione delle agenzie dei diritti umani, tra cui Amnesty. Famiglie spaccate, imprenditori rovinati, aziende miste allo sbando. Il Qatar non ha applicato pari sanzioni che però verranno applicate dai governi del blocco ai loro cittadini che sono in Qatar. Chiara l’intenzione di premere attraverso questi fatti, più il crollo del riyal, blocchi bancari e finanziari, l’improvvisa restrizione delle condizioni di vita affinché siano a qatarioti a rovesciare la famiglia al Thani ritenuta responsabile dei misfatti ascritti. Questi sono la protezione di 58 individui per lo più vicini ai Fratelli musulmani (più banchieri di al Qaida), più una dozzina di enti caritativi, l’attendibilità della lista è stata contestata dall’ONU. Forte azione di lobbying saudita e pressioni su i parlamentari americani che a breve dovrebbero decidere se mettere i Fratelli musulmani nella lista dei fuorilegge. Si ricorda che i Fratelli musulmani hanno pubblicamente rinunciato all’uso delle armi già parecchio tempo fa. Sono però fuorilegge e con 1200 condannati all’esecuzione nel solo Egitto. Il Qatar, accusato di ospitare l’unica rappresentanza diplomatica al mondo dei talebani ha ufficialmente chiarito che i talebani sono stati invitati su sollecitazione degli americani per favorire trattative un-official tra loro e gli afgani. Al Jazeera è stata depennata per legge da tutti le televisioni pubbliche (e private) degli stati aderenti al blocco, galera per chi non si adegua. Si segnalano anche blocchi e discriminazioni per i cittadini qatarioti in pellegrinaggio a Mecca il che è abbastanza problematico poiché Mecca e Medina dovrebbero esser trattate come entità extra territoriali. In tutto ciò, il prezzo del petrolio scende ma i dollari a Doha cominciano a mancare. Espressioni di simpatia verso il Qatar espresse via social media da cittadini dei paesi del blocco sono punite con prigione ed ammende finanziarie. Sono altresì bloccati gli accessi ai siti di informazione del Qatar e nell’UEA anche i servizi postali per il Qatar
Non strettamente attinente al contesto si ricorda che i curdi iracheni hanno indetto unilateralmente il referendum per la secessione a Settembre ma sia Ankara che Baghdad hanno detto che se lo possono scordare. I curdi però confermano. Si ricorda che vi sono curdi in Turchia, Siria, Iraq ed Iran e che i curdi iracheni sono armati, formati e finanziati direttamente dagli USA.
Speriamo che tutti sappiano cosa stanno facendo. Il Medio Oriente è una miscela instabile, shakerarlo non è il miglior approccio. Consoliamoci con Pep Guardiola: “voteremo anche se lo stato spagnolo non vuole”, riferendosi ad un altro referendum autoconvocato, la secessione della Catalognia dalla Spagna, il primo di Ottobre.
CRONACHE N. 565
QUESTO PAZZO, PAZZO MONDO. Una cosa è certa, chi segue la politica internazionale, si diverte molto di più di chi segue la politica nazionale.
Brutto colpo ieri per l’élite anglosassone. Forse i tories riusciranno a fare un governo di coalizione (con i conservatori nord-irlandesi), con risicatissima maggioranza ma è chiaro che i britannici vanno politicamente in stallo, sia sulla trattativa per Brexit, sia in termini di politica estera. Ricordiamo che May ha anticipato Trump nella visita a Riyad, con tanto di vendita d’armi (il rilancio della produzione armiera era un punto fondante della politica della May) e che sicuramente c’era l’avvallo di Londra per l’ostracismo dei petromonarchi del Golfo, nei confronti del Qatar. Chissà se gli attentati in UK facevano parte della dialettica sotterranea a gli eventi. May era l’alleato più organico a gli USA di Trump che messosi in urto coi tedeschi (quindi l’UE), ora si trova un po’ più solo.
Ma ieri si è compiuto un altro importante fatto. Pakistan ed India, com’era già pianificato, hanno terminato positivamente le procedure e sono stati ufficialmente ammessi alla Shangai Cooperation Organization – SCO. SCO ora conta paesi per quasi la metà del mondo, in termini di popolazione (Cina, Russia, quattro repubbliche centroasiatiche + Pakistan ed India). Non va sovra interpretato il fatto pensando che così si formi una compatta ed armonica compagine orientale, che Pakistan ed India troveranno finalmente modo di andare d’amore e d’accordo, così l’India e la Cina. Indubbiamente però, gli orientali si stanno organizzando e lo stanno facendo in maniera assai poco hobbesiana. Se la Russia ha voluto fortemente l’India nella compagine, la Cina ha voluto fortemente il Pakistan e quindi India e Pakistan (magari per motivi diversi) hanno accettato di sedersi per la prima volta in un organismo comune. Questo tipo di “triangolo del possibile”, appunto, è molto poco hobbesiano ed indica nuovi possibili standard per il nuovo mondo multipolare. Prossima entrata attesa nello SCO: Iran.
Noi seguiamo anche la faccenda del Golfo perché il mondo non è quello dei titoli dei nostri giornaletti di quartiere. Lì si va formando la mezzaluna degli improbabili: Turchia, Iran, Qatar, secondo l’antico principio (in origine antica, espresso da un indiano Kautilya IV secolo a.C.) per il quale il nemico del mio amico diventa anche mio nemico (versione turca) e il colui che ha il mio stesso nemico diventa mio amico (Qatar – Iran). Il Ministro degli Esteri degli Emirati ha detto che il Qatar sta scrivendo pagine “tragiche e comiche” nella storia del Golfo con questa improbabile alleanza ma credo che la dichiarazione sprezzante, riveli un certo rodimento perché la mossa dell’ostracismo sta creando una alleanza paralizzante per le mire saudite. Volendo abbandonarsi alla fanta-pipeline, si potrebbe addirittura immaginare qatarioti che inviano gas ai turchi (motivo originario del conflitto siriano), via Iran. Molto “fanta” ma divertente. Intanto, i golfisti, hanno prodotto la lista dei terroristi connessa all’ambigua politica estera del Qatar ed ecco venir fuori l’oggetto vero della contesa: Yousuf al-Qaradawi. Il “problema” con Doha, non l’unico, è la sponsorizzazione dei Fratelli musulmani ovvero la via politica (e non terroristica) all’islamizzazione, ciò che più temono gli anziani maschi alfa tribali che possiedono senza alcuna islamica legittimità gli stati arabi inventati dai britannici.
L’immagine sottostante è un banner che appare nelle pagine web di al-Arabya ovvero la tv-sat dell’Arabia Saudita che voleva contrastare il dominio di al-Jazeera (Qatar). Non esattamente un messaggio rassicurante per il resto del mondo islamico che trascende di molte volte lo specifico del Golfo. Del resto gli art director di Riyad, sono gli stessi che hanno impostato quella ridicola sceneggiata dei tre demiurghi illuminati sinistramente dal basso con le mani sul mondo. Noveau riche, il gusto non si compra e l’egemonia neanche, dovrebbero andare a lezione dalla sheikka Mozha.
CRONACHE N. 564
QUESTO PAZZO PAZZO MONDO. (Per lo più saccheggiando al Jazeera news ma non solo) Il parlamento turco ha autorizzato il presidente a dislocare velocemente truppe fuori dei confini per proteggere gli interessi nazionali, cioè in Qatar. Il capo dell’associazione delle aziende esportatrici turche ha detto che sono pronti a far arrivare cibo ed acqua velocemente in Qatar, così gli iraniani. Il Ministro della Difesa del Qatar ha elevato al massimo livello le forze armate per difesa dei confini di terra, mare, aria. Già da ieri, Qatar Airways vola su Iran e Turchia per i voli da e per l’Europa. Gli Emirati ed il Bahrein potrebbero operare un formale embargo per strozzare la penisola. Gli Emirati, hanno promesso 15 anni di carcere a chi mai dovesse manifestare simpatia e solidarietà al Qatar. Il Kuwait va e viene dai paesi del Golfo in cerca di una mediazione. I 10 punti dei termini di resa del Qatar, tra cui la chiusura immediata di al Jazeera (o quantomeno l’immediato allontanamento del predicatore al Qaradawi), non sono stati , né verranno presi in considerazione dall’emiro al Thani. Anche il Senegal ha rotto le relazioni diplomatiche con Doha mentre si registrano manifestazioni di solidarietà davanti l’ambasciata del Qatar in Mauritania, regolari i voli con il Marocco. La Giordania ha messo in downgrade le relazioni col Qatar mentre gli avvoltoi di Standard & Poor’s hanno downgradato il debito sovrano. Hamas si è detto scioccato per le dichiarazioni saudite su i rapporti tra Doha e palestinesi. Banche saudite stanno vendendo riyal qatarioti a piene mani, il riyal è sotto attacco ed è ai minimi da 11 anni. Masoud Barzani ha annunciato per il 25 Settembre la data del referendum per la secessione dei curdi dall’Iraq. Le Guardie della Rivoluzione iraniane hanno accusato formalmente l’Arabia Saudita di manovrare i terroristi (forse del MKO) che hanno condotto l’attacco di ieri e che questo atto non rimarrà impunito. La frase è di rito ma dopo gli attacchi di ieri, attacchi anche di significato simbolico, non rimarrà semplicemente rituale. Sta venendo fuori da parlamentari e think tank americani che non c’è stata alcuna fattiva vendita di armi all’Arabia Saudita ma solo scambio di lettere d’intenti e per un importo ben inferiore ai 110 mld di US$ pubblicizzato. Si comincia anche a parlare del fatto che le camere USA potrebbero non ratificare gli accordi. Il cuore della vendita era il sistema missilistico THAAD, quello che il nuovo governo sud coreano ha ieri bloccato congelando i precedenti accordi mentre Washington ha fatto salpare la Nimitz che si unirà alla Vinson ed alla Reagan oltre 3 incrociatori e 12 cacciatorpediniere. Pyongyang ha festeggiato lanciando in aria un mazzetto di missili. In USA ampio è lo sconcerto per il tweet mattutino di ieri di Trump, la controreplica del Dipartimento di Stato che in Qatar ha la più importante base della regione, la telefonata di Trump in serata all’emiro al Thani proponendosi -pare- come mediatore, di che non si sa. Come mediatore si è proposto anche Macron sebbene i francesi pendano per Riyad mentre il tedesco Gabriel pare sia molto seccato anche perché il Qatar detiene il 17% di VW. “Spifferi” non solo avvelenati dalle polemiche interne vs Trump, dicono dello sconcerto per come il Presidente ed il suo improbabile entourage a base familiare, sta affrontando le questioni regionali che com’è noto hanno diversi e stratificati gradi di complessità. La faccenda FBI-Comey potrebbe offrire un appiglio giuridico concreto per l’impeachment. UK va alle elezioni indette per rinforzare la maggioranza tory in vista di una trattativa di uscita dall’UE ma potrebbe addirittura perdere la maggioranza che ha, a quel punto tutto il processo della Brexit andrebbe rivisto a fondo e l’intera strategia britannica andrebbe in stallo. Previsioni? Da seguire la possibile formazione di una mezzaluna ottomano-persiana-salafita con venature kharigite, sarebbe la nascita di una inaspettata supernova nei cieli nuvolosi della geopolitica contemporanea, lì dove la semplice geografia e la storia di lunga durata spiegano quello che tonnellate di articoli smarriti nei gomitoli ideologici non riescono a leggere. Stay tuned …
CRONACHE N. 563
CHE SUCCEDE NEL GOLFO? (Anche qui) La notizia odierna di un improvviso e sincronizzato ostracismo nei confronti del Qatar, operato da Arabia Saudita, Baharein, EAU ed Egitto, una espulsione dalle logiche che uniscono tra loro gli stati che si affacciano sul Golfo e da quelle a base della nuova presunta NATO araba, è la miccia d’innesco di un processo.
Il processo è quello di “semplificare” la regione che gode di una lunga tradizione di atavici incroci del “tutti contro tutti”, una sorta di frattale multipolare a sé a base tribal-beduina. I poli tradizionali sono la Turchia, l’Iran, le petromonarchie, l’Egitto, un attrattore politico è il conflitto israelo-palestinese, lo sfondo ideologico islamico è quello che vede tanto governi laici come l’egiziano ed in fondo anche quello turco e monarchie sunnite islamicamente ingiustificate (a parte -forse- quella giordana), la spaccatura sciiti – sunniti su cui ormai sarete esperti e quell’aggrovigliato mondo che si riferisce all’ideologia genericamente definita “salafita”, che ha al suo interno diversi interpreti in competizione sia con l’Occidente, sia con i governi arabi ritenuti -in genere- illegittimi, sia tra loro. Sotto tutto ciò c’è il petrolio (le riserve, il prezzo, la logistica delle pipeline), la lotta per l’egemonia dei sunniti, la geopolitica di un’area che deve esser attraversata dalla Via della Seta cinese e gli appetiti delle potenze. Il Qatar è una monarchia del Golfo, storicamente in competizione con l’Arabia Saudita (http://www.aljazeera.com/…/will-gcc-survive-qatar-saudi-riv…) sebbene da quelle parti sia d’uso bere il tè assieme e fumare in amicizia con gli “amici” nel mentre gli si organizza un attentato contro. Il Qatar è stato spesso affiancato ad altri nell’elenco degli stati che finanziano e proteggono l’Isis ma chi scrive pensa che ciò sia sbagliato, Isis è creatura eminentemente saudita e quindi è assai improbabile che riceva aiuti dal Qatar. Il Qatar è notoriamente supporter di un’altra interpretazione del salafismo, quella dei Fratelli musulmani che ha tradizione in Egitto, presso i palestinesi di Gaza (Hamas) ed in Turchia che infatti ha strettissimi legami col Qatar (c’era chi sosteneva che le prime informazioni sul tentativo di colpo di stato in Turchia, vennero date ad Erdogan dai servizi qatarioti). Ad al Qaida, storicamente, gli appoggi vengono un po’ da ogni parte del Golfo sebbene sia da quasi tutti ritenuto che in Siria, al Nusra nello specifico, il primo manovratore delle fazioni locali, fosse appunto il Qatar. Forse la guerra siriana, è stata persa anche per la competizione tra fratellanza, qaedisti e Isis. Ricorderete altresì che alla base del conflitto siriano, c’era -tra l’altro- la questione della competizione tra gasdotti che per altro pescavano dallo stesso pozzo che si trova sotto il Golfo, quello qatariota e quello iraniano.
Il fatto del giorno che segue la recente kermesse di Riyad con la solenne imposizione delle mani sul mondo di Salman ed al Sisi uniti da Trump, sembra dire una cosa ben precisa. Nell’area non c’è posto per nessun altro che non si schieri o dalla parte capitanata da USA- Arabia Saudita-(Israele) o quella capitanata dall’Iran. I fratelli musulmani e l’eterodirezione di al Qaida vanno abbandonate, quindi Hamas. Deve esser stato firmato un patto d’acciaio su qualche progetto petrolifero di cui non conosciamo i termini (ma su cui sospettiamo il solenne impegno americano a prendersi quel 5% di Aramco che verrà messo sul mercato) ma che sembrerebbe voler mettere in ginocchio il Qatar, quindi dare per persa o pareggiata la faccenda in Siria ed al suo posto, pensare a pipeline che passino in Arabia Saudita e poi o in Giordania-Israele o Egitto-Sinai per sboccare nel Mediterraneo. A quel punto un bel conflitto (o una sua calda minaccia) nel Persico (ricorderete la segnalazione che abbiamo dato sul fatto che non si faceva la “danza delle spade” seguita a gli incontri a porte chiuse di Riyad, per puro folklore) bloccherebbe le forniture iraniane, farebbe schizzare il prezzo con grande gioia di Tillerson e della lobby delle quattro sorelle che ha promosso la presidenza Trump, porterebbe i petrodollari a fluire nell’industria degli armamenti americana, porterebbe in stallo l’intera complessa strategia cinese della Via della Seta tanto di terra (via Iran) che di mare (Mar Rosso, Suez), risolverebbe sia la successione a Salman in favore del giovane bin Salman, sia il senso strategico dell’Arabia Saudita per i prossimi anni. La faccenda, come avrete capito, è assai complicata e foriera di strategici sviluppi per cui andrà seguita con molta attenzione. A questo punto si attendono le mosse cinesi, russe, iraniane e turche ma anche quelle di Doha che ha una intelligenza strategica piuttosto sofisticata e per nulla acquiescente. Stay tuned …
CRONACHE N. 562
LA CATASTROFE A DUE VELOCITA’. L’ultimo numero di Limes non smette di sollecitarci riflessioni. Questa è la volta dell’acuirsi della distanza tra le due Italie, quella del Centro-Nord e quella del Sud. La prima ha il 77% del Pil italico con il 65% della popolazione, la seconda con il 35% della popolazione, pesa solo per il 22% del Pil complessivo. Significative le differenze infrastrutturali, logistiche, occupazionali, del sistema civile. Una serie di articoli sul numero tematico dedicato all’Italia, costruisce la tesi allarmata di un possibile risucchio dell’Italia del Nord nella sfera d’influenza tedesca. Tale risucchio potrebbe prendere varie forme: 1) un possibile futuro piano per una riorganizzazione macroregionale imposto a gli Stati aderenti (per unire prima si deve dividere diversamente) che prepari una qualche “autonomia del Nord” preludio per un assorbimento di fatto, almeno sul piano economico e finanziario; 2) l’oggettiva attrazione di una sempre maggiore integrazione logistico-economica tra Nord Italia secondo lo schema della Kerneuropa (cuore dell’Europa); 3) l’ineguale distribuzione degli investimenti eventualmente previsti dal nuovo nucleo d’acciaio del fallito progetto europeo versione ecumene, che richiederanno quelle condizioni minime di standard che il Nord ha ed il Sud no. Fabbri arriva addirittura a prevedere un invito selettivo di adesione al possibile futuro Neuro (euro del Nord) che potrebbe far da perno ad una effettiva federazione di Germania, Austria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Rep. Ceca, Benelux, Danimarca e Finlandia in una nuova entità statale-militare (ed ovviamente economico-monetaria) a centro tedesco. Questo ipotetico impero centro-nord europeo, sarebbe amico con la Russia (e la Cina), nemico con la Turchia ed in lotta per l’egemonia dei Balcani, mentre grande nemico a questo punto diventerebbero gli USA che però conterebbero sulle paranoie polacche, rumene ed ucraine per mettere i bastoni fra le ruote. Secondo Fabbri, l’Italia stessa diventerebbe e per l’ennesima volta, oggetto di divide et impera, con ritorsioni americane contro il Nord eventualmente secessionista ed in funzione preventiva, chissà quale sequenza di pasticci, servizi deviati, stragi, bombe, avvelenamenti e primavere nazionaliste sovvenzionate da Washington, ma anche Londra, sempre che Parigi decida di dormire sonni profondi assieme a Mosca che chissà che opinione avrebbe sul fatto. Mah, forse Fabbri è andato un po’ troppo in là con il suo Risiko privato epperò rimangono alcuni fatti.
I fatti sono che nel nuovo mondo multipolare ormai sancito da Brexit-Trump, la quarta potenza economico-commerciale non può non dotarsi di una propria polarità, questa non può che formarsi nell’area europea, i tedeschi non annettono territori e non uniscono politicamente se prima non hanno germano-formato le economie di quei territori che intendono annettere alla loro sfera d’influenza prima e di dominio poi. C’è una tempesta crescente di articoli preoccupati sulle mosse di Berlino, a partire dai think tank americani. Dal sibillino annuncio sull’Europa a più velocità, a quello sull’emancipazione dell’Europa dagli USA, all’attivismo diplomatico per il prossimo G20 di Amburgo a Luglio, al preannuncio della presidenza Weidmann in BCE, a gli accordi militari bi o trilaterali promossi dai tedeschi, al rischio di una epidemia di bail-in bancari che esporrebbero al fallimento quel tessuto micro-bancario italiano che fa gola alle teutoniche mani forti che già si sono succhiati il sistema aeroportuale greco , alla gioia per l’elezione di Macron che porterebbe la Francia ad esser partner del banchetto italico e junior partner del nuovo sistema binario germano-franco, la Germania mostra di avere piani ed intenzioni. Per noi, l’unica via sarebbe coltivare un nostro diverso progetto ma questo richiederebbe una mentalità che ancora non c’è, al massimo possiamo fare un convegno per l’uscita a chiacchiere dall’euro.
CRONACHE N. 561
ZUPPA DI ESTREMOFILI. Fra qualche decennio, chi verrà dopo di noi, si siederà al ristorante “Da Checco al Bellosguardo” e incantato dalla vista del violaceo mare notturno ordinerà la gustosa zuppa di estremofili innaffiata da un mezzo litro di Maalox per calmare l’acidità. Una buona parte di organismi estremofili infatti, sono acidofili, vivono cioè in condizioni di acidità-ph per i più proibitive. E. Kolbert, nel suo “La sesta estinzione”, premio Pulitzer 2015 (è scritto effettivamente bene), ci racconta di come stiamo producendo le condizioni per l’avvento della sesta estinzione biologico-planetaria di massa. Un volenteroso contributo, proviene dal fatto che cielo e mare si scambiano gas vicendevolmente, più o meno con pareggio di bilancio. Quando però come oggi avviene ed avviene da tempo, i gas atmosferici sono di più di quelli marini, il mare assorbe l’esubero e lo trattiene. Il gas in questione è il diossido di carbonio, la famigerata CO2 . Questo gas aumenta l’acidità dei mari e fra qualche decennio, l’acidità marina sarà 150 volte maggiore di prima della rivoluzione industriale, tre delle cinque estinzioni di massa registrate nella storia planetaria, ebbero un sostanziale contributo dalla progressiva acidificazione degli oceani. Più acidità, meno biodiversità, addio ai mitili con guscio calcificato (cozze, vongole etc.) e sovra riproduzione di estremofili, organismi che amano l’estremo, organismi non complessi (la complessità biologica è figlia di condizioni del giusto mezzo, non di condizioni estreme) che prosperano in ambienti per noi proibitivi.
Tutta la faccenda allude ad un problema del mondo complesso a cui non siamo abituati, il tempo. Ci sono cause che producono fenomeni talmente lentamente da uscire dal raggio percettivo del senso comune. Così i rimedi debbono agire nel tempo lungo ed esser posti in essere molto prima che i peggiori fatti accadano. Tocca cioè avere a che fare con analisi, diagnosi e prognosi e non con cose che si toccano, belle e chiare per tutti. Ne consegue che molti politici eletti da un corpo elettorale ignorante possano ignorare questo problema, specie se il problema richiama soluzioni a base di tempo e la società è ordinata da un paradigma già felicemente espresso da Benjamin Franklin: il tempo è denaro. Una società fondata sul denaro che è misura del tempo, non ha denaro, per soluzioni che costano tempo. Così, con immagini di mondo che ci hanno portato a costruire un certo tipo di mondo, inadatte al mondo nuovo che hanno generato, andremo convinti e furiosi a sbattere contro il fallimento adattivo, la grande mano invisibile di tutte le mani invisibili, quella che ti cancella dal gioco. Ma tanto molti di noi saranno già fuori dal gioco, per cui, godiamoci le cozze prima che entrambi si diventi ricordo. Loro verranno ricordate con nostalgia, noi…non credo.
CRONACHE N. 560
LA CHIMICA QUANTISTICA DEL MONDO. Ai primi di Luglio, Merkel guiderà il G20 dal titolo: Dare forma ad un mondo interconnesso. Il titolo non è male, dà l’idea che il mondo è sempre più “un” mondo ma che la forma di questa nuova materia planetaria è da decidere. Si può avere “un”mondo-mercato o un mondo come risultante delle interrelazioni tra aree-civiltà e stati, un mondo cooperativo (tendenzialmente) o competitivo, in tensione o in conflitto, etico o egoista, governato in qualche modo o anarchico, dominato da pochi o contrattato tra molti. Ecco a cosa serve una laurea in chimica quantistica ed un marito quasi Nobel per la fisica (chimica), a fare il demiurgo tra il disordine delle particelle e l’ordine delle molecole. Merkel ha cominciato a costruire il prossimo G20 con la disdetta della conferenza stampa congiunta con Trump, ha poi messo il secondo mattone con le dichiarazioni dell’esplicito divorzio momentaneo dagli USA, rincarate da un editoriale piuttosto rude dello Spiegel e dalle dichiarazioni di ieri del vice cancellerie Gabriel, mentre ora sta preparando il menù dell’incontro con l’indiano Modi e poi il cinese Li Keqiang. Nel più classico del “nemico del mio nemico…” Merkel dice a Washington “ok, se ognuno va per la sua strada chissà che la nostra allora non porti ad est”. Forse Trump, una letta al libro del recentemente scomparso Brzezinski sulla Grande Scacchiera euroasiatica, dovrebbe darla ma non entrando le formato twitter, improbabile lo farà. Esente dal peccato di vanità che rovina il necessario equilibrio tra passione, senso di responsabilità e lungimiranza, le tre qualità fondamentali de “La politica come professione” (Weber, 1919), la figlia del pastore luterano su cui rovesciamo da anni apprezzamenti poco lusinghieri, continua a seppellire leader meteore che solcano disordinatamente i cieli occidentali. Così s’avvia incontrastata al quarto mandato. Responsabilizza i tedeschi facendo leva sull’atavica diffidenza verso l’americano e li prepara ad una nuova fase in cui Angela diventerà la cancelleria del mondo, osserva silenziosa la May naufragare nella gestione della piratesca strategia britannica, si assicura la partnership del junior partner francese che ha un debole per le donne mature e sagge, incontra Obama e accetta il mandato dell’internazionale liberale di far terra bruciata intorno al cafone di New York. Se Trump non getta molti soldi e lavoro sul piatto americano entro i prossimi 18 mesi, perderà di certo una o tutte e due le camere. Senza una maggioranza, Trump si dimette ed arriva Pence ovvero il “deep state” tanto caro al Fabbri di Limes. Per l’Europa, si comincia a parlare di “piani segreti” con qualcosa di simile a bond comuni per rilanciare gli investimenti (FAZ), piano speciale sulla Libia per il problema migranti, le fatidiche forze armate congiunte preludio per una modifica dei rapporti di forza NATO -da una parte-, se e solo se però c’è Weidmann -dall’altra- (nel 2019), ovvero la Buba diventa BCE. Non è bella, non è simpatica, non ha carisma, non è alla moda. Ove si dimostra che una sola cosa può sopravvivere all’entropia della complessità: l’intelligenza.
CRONACHE N. 559
LA CHIMICA QUANTISTICA DEL MONDO. Ai primi di Luglio, Merkel guiderà il G20 dal titolo: Dare forma ad un mondo interconnesso. Il titolo non è male, dà l’idea che il mondo è sempre più “un” mondo ma che la forma di questa nuova materia planetaria è da decidere. Si può avere “un”mondo-mercato o un mondo come risultante delle interrelazioni tra aree-civiltà e stati, un mondo cooperativo (tendenzialmente) o competitivo, in tensione o in conflitto, etico o egoista, governato in qualche modo o anarchico, dominato da pochi o contrattato tra molti. Ecco a cosa serve una laurea in chimica quantistica ed un marito quasi Nobel per la fisica (chimica), a fare il demiurgo tra il disordine delle particelle e l’ordine delle molecole. Merkel ha cominciato a costruire il prossimo G20 con la disdetta della conferenza stampa congiunta con Trump, ha poi messo il secondo mattone con le dichiarazioni dell’esplicito divorzio momentaneo dagli USA, rincarate da un editoriale piuttosto rude dello Spiegel e dalle dichiarazioni di ieri del vice cancellerie Gabriel, mentre ora sta preparando il menù dell’incontro con l’indiano Modi e poi il cinese Li Keqiang. Nel più classico del “nemico del mio nemico…” Merkel dice a Washington “ok, se ognuno va per la sua strada chissà che la nostra allora non porti ad est”. Forse Trump, una letta al libro del recentemente scomparso Brzezinski sulla Grande Scacchiera euroasiatica, dovrebbe darla ma non entrando le formato twitter, improbabile lo farà. Esente dal peccato di vanità che rovina il necessario equilibrio tra passione, senso di responsabilità e lungimiranza, le tre qualità fondamentali de “La politica come professione” (Weber, 1919), la figlia del pastore luterano su cui rovesciamo da anni apprezzamenti poco lusinghieri, continua a seppellire leader meteore che solcano disordinatamente i cieli occidentali. Così s’avvia incontrastata al quarto mandato. Responsabilizza i tedeschi facendo leva sull’atavica diffidenza verso l’americano e li prepara ad una nuova fase in cui Angela diventerà la cancelleria del mondo, osserva silenziosa la May naufragare nella gestione della piratesca strategia britannica, si assicura la partnership del junior partner francese che ha un debole per le donne mature e sagge, incontra Obama e accetta il mandato dell’internazionale liberale di far terra bruciata intorno al cafone di New York. Se Trump non getta molti soldi e lavoro sul piatto americano entro i prossimi 18 mesi, perderà di certo una o tutte e due le camere. Senza una maggioranza, Trump si dimette ed arriva Pence ovvero il “deep state” tanto caro al Fabbri di Limes. Per l’Europa, si comincia a parlare di “piani segreti” con qualcosa di simile a bond comuni per rilanciare gli investimenti (FAZ), piano speciale sulla Libia per il problema migranti, le fatidiche forze armate congiunte preludio per una modifica dei rapporti di forza NATO -da una parte-, se e solo se però c’è Weidmann -dall’altra- (nel 2019), ovvero la Buba diventa BCE. Non è bella, non è simpatica, non ha carisma, non è alla moda. Ove si dimostra che una sola cosa può sopravvivere all’entropia della complessità: l’intelligenza.
CRONACHE N. 558
IL NUOVO GIOCO GEOPOLITICO. Ian Bremmer è un geopolitico americano che aveva già segnalato che si stava andando verso un mondo G-zero, dove cioè il format dei “grandi” che si consultano per condividere un certo “ordine” nelle relazioni interstatali mondiali, non aveva più senso di esistere. In questa intervista, Bremmer segnala in fondo all’articolo (qui), un fenomeno interessante: il 2017 come anno della recessione geopolitica. In cosa consiste, questa “recessione geopolitica”? Per Bremmer, in due fatti. Uno è la previsione che le contraddizioni del mondo nuovo, unitamente alla mancanza di un gendarme planetario ed all’indebolimento dei formati trans-nazionali (G7 – G20 – ONU – IMF – WB – BIS – WTO etc.), innalzerà il numero e volume dei conflitti. L’altro è che il nuovo stato del mondo, interconnesso, multipolare, tendenzialmente anarchico, creerà viepiù pressioni esogene su gli stati. Le opinioni pubbliche premeranno ansiose su i leader e le questioni interne, nazionali, egoiste, monopolizzeranno l’attenzione politica tanto dei cittadini che dei loro leader. Questi non avranno né consenso, né forze per occuparsi di questioni esterne ma col paradosso che saranno spesso proprio esterne le cause delle crescenti pressioni che creano così tanti problemi interni.
Di contro alla diagnosi di Bremmer, si potrebbe dire che si assiste ad un cambio di ordinatore ed è questo che deposiziona il vecchio concetto di “ordine”. Il formato G 7 è un formato in cui la grandezza, la potenza e la ricchezza si condensavano in un blocco, il blocco occidentale. Oggi, la Cina è senz’altro più potente di tutti eccetto gli USA, l’India si vanta di essere diventata la nazione più numerosa e di essere la quinta ricchezza del mondo, il Brasile forse ha sopravanzato l’Italia, la Russia non sarà potente economicamente ma lo è certo militarmente, la Turchia vale poco più della metà del Canada in termini di Pil ma almeno tre volte di più sul piano della sua posizione geopolitica. Per ragioni di stabilità d’area Corea del Sud, Indonesia, Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Nigeria, Messico, hanno tutte ruolo e rilevanza. Ne consegue l’evidenza lampante che l’ordine del mondo dovrà nascere tra color che hanno peso geografico-politico e non solo economico anche perché vi sono molte più questioni al mondo di quanto ne preveda il nostro modo di pensare l’economia, che le prospettive dei prossimi trenta anni varranno più del pedigree, che l’eventuale accordo sarà fatto su gli interessi duri e non modulato sulle partiture ideologiche usate per dissimularli. Infine, reciprocità e cooperazione diventano l’unico ago con filo per tessere un ordito che sino ad oggi si è tessuto con dominio e competizione. In effetti è proprio questo imporsi dell’ordinatore geopolitico a rendere inutile il club occidentale economico e finanziario e sarà la lentezza e la resistenza con cui le opinioni pubbliche occidentali e le loro élite ne prenderanno atto a determinare quando, quanto e dove si rischierà di portare le tante contraddizioni del mondo nuovo, dal livello di tensione, al livello del conflitto. Il mondo sarà diversamente stabile o instabile a seconda di come il potere che ha dominato per settanta anni, accetterà di prendere atto che è cambiato l’ordinatore del gioco e quindi debbono cambiare tutti i sottostanti giochi e con essi, le aspettative, i concetti di egemonia e potenza, il tornaconto nazionale, l’ordine stesso sociale, politico e culturale interno alle nazioni. Per l’Occidente, si tratta della più difficile sfida adattiva da quando salpammo alla scoperta del Nuovo Mondo, non la scoperta del Mondo Nuovo ma il nostro assai difficile adattamento ad esso.
CRONACHE N. 557
26.V – PAREGGIO DEMOGRAFICO IN COSTITUZIONE. Sull’ultimo numero di LImes, il maggior demografo italiano M. Livi Bacci, constata che l’equilibrio demografico -a rigore- è più importante di quello di bilancio, se non altro perché ne è precondizione. Il nostro consuntivo delle nascite 2016, è pari a quello del XVI secolo, quando eravamo un quinto degli attuali. Complesse, ovviamente, le ragioni di questo pesante deficit.
Una contrazione della natalità si osserva un po’ ovunque (tranne nell’Africa sub-sahariana) nel più generale movimento che tende a convertire quantità di vite in qualità di vita. La possibile compensazione migratoria, in mancanza di un bilancio statale agile ed investibile nei processi di accoglienza ed integrazione, da soluzione diventa problema. Al movimento generale di riduzione della natalità, in Italia, si sommano questioni peggiorative specifiche. La prima è l’occlusione del futuro, senza fiducia ed aspettative non solo si produce la “preferenza per la liquidità” che blocca la circolazione della ricchezza ma anche la paralisi di ogni altro investimento, incluso quello riproduttivo. E’ curioso come la scienza economica non abbia una sezione di psicologia economica nel suo episteme, a parte il recente sviluppo della cosiddetta “economia comportamentale”. Ancora più curioso noi si faccia gestione sociale ricorrendo solo ad una scienza economica così gravemente insufficiente. La seconda sarebbe dare alle donne in età fertile (quindi giovani) garanzie occupazionali, di reddito e di servizi ma poiché i figli non li fanno da sole, tali rassicurazioni prospettiche dovrebbero valere anche per i partner il che ci porta all’annoso problema dell’occupazione giovanile, all’autonomia abitativa, alla sempre più impossibile indipendenza che è la terza ragion per cui del fenomeno negativo. Insomma, il pareggio di bilancio s’impone per non aggravare il debito ma porta ad una sclerosi economica che produce deficit demografico che produce sclerosi sociale ed economica che non può che peggiorare qualità di vita ed anche il debito.
L’Italia era la decima nazione al mondo nel 1950, è la ventitreesima oggi, trentunesima nel 2050. Nel 1950 eravamo poco di più dei nordafricani, nel 2050 saremo quattro volte meno e molto più anziani. In breve, s’imporrebbero due cambiamenti radicali. Il primo è assumere una mentalità sistemica, non c’è economia che non sia imbricata con la società, la demografia, la geografia, la geopolitica. Altresì, nei sistemi, le dinamiche sono non lineari e le reazioni alle azioni possono impiegare decenni a prodursi per cui occorre fare e condividere strategie e non disordine compulsivo di idee della giornata. Il secondo, è l’assunzione di un punto di vista basato sull’interesse nazionale comune. Senza la condivisione di un interesse nazionale (che non cancella la successiva lotta per poi ripartirsi in un modo o nell’altro il risultato complessivo), tutti noi avremo sempre minori condizioni di possibilità. Ragionar per sistemi e darsi in oggetto il sistema Italia, la forza politica che riuscirà in questo doppio intento, potrebbe rappresentare l’unica nostra speranza.
CRONACHE N. 556
GIOVENTU’ AFRICANA. L’interessantissimo e condivisibile editoriale di Caracciolo sull’ultimo numero di Limes, riporta –tra gli altri- alcuni dati di profilo sul fenomeno migranti. Abbiamo tre stati africani (Niger, RD Congo, Etiopia) che da soli fanno l’intera popolazione dell’eurozona (19 paesi). I tre paesi africani però, hanno una popolazione con età media compresa tra i 17 ed i 19 anni, mentre quelli dell’eurozona sono tra i 40 ed i 47 anni. Cresceranno imperiosamente i tre africani e molti altri loro intorno, nel 2050 l’Africa sarà cinque volte l’Unione europea che rimarrà più o meno flat. Un secolo fa noi eravamo più del doppio degli africani. L’arrivo dei migranti, nei cinque primi mesi dell’anno, segna un +44% rispetto l’anno precedente ed il trend proietta una stima di 200.000 l’anno, il cui 90% resterà qui da noi. Poiché Merkel ha chiuso il corridoio est con Erdogan, ecco che oltre a gli africani, la seconda etnia per sbarco in Italia è del Bangladesh. Abbiamo un problema ed un problema aggiuntivo è l’italica propensione a fare di un serio e grave problema logistico, una discussione idealistica sulle identità ed il multiculturalismo con tanto di manifestazioni di piazza tra guelfi e ghibellini. La discussione sull’appartenenza all’euro si fa lunga ma il tempo per tentar di arginare questo enorme problema epocale è assai breve, se ancora c’è. “L’Italia deve scendere a patti con la realtà” chiosa Caracciolo ma è molto più divertente discutere di vaccini, mondezza, Ivanka-tutta-panka.
CRONACHE N. 555
23.V. TRESSETTE COL MORTO? Mah, in genere mi astengo dal commentare gli eventi al caldo, meglio far posare la polvere. Ma la sequenza del solenne impegno a mollare la strategia Isis che re Salman avrebbe preso con i due compagni di gioco e il “message in a bottle” di Manchester, induce alla congettura. Al Sisi ha snocciolato con lucidità, i termini del problema del “terrorismo” https://www.youtube.com/watch?v=8vFhE1AFIuk. Una evidente rete di cointeressenze che riportano a centri “istituzionali”. Quali? Beh, lo sanno tutti i granelli del vasto deserto arabico, parte influente e sino ad oggi dominante della famiglia reale al Saud, delle loro finanze, della loro logistica, dei loro servizi segreti e diplomatici. Ora, la lotta per la successione al vecchio Salman è in pieno corso ed il giovane bin Salman al Saud, che non a caso fa il Ministro della Difesa, ha ricevuto il suo doppio pacco dono delle forniture di armi e dell’appoggio USA a formare la NATO araba, da cui l’impegno pubblico ad abbandonare la strategia terroristica (a quel punto fai la guerra tradizionale, non ti serve più di tanto la “quinta colonna”). Credo gli americani abbiano anche preso impegno per quell’acquisto del 5% di Aramco, visto l’impegno nelle danze di Tillerson con tanto si spada sguainata. I commenti di fb indugiano sull’aspetto folkloristico della danza ma quello che qui è “folklore”, lì è solenne impegno simbolico che non si inscena per farsi dei selfie. Fare quella danza assieme a Trump&Co significa che gli americani hanno preso impegni strategici chiari. Del resto era stato proprio il parziale disimpegno USA ad aver dato il via alla strategia geopolitica del’utilizzo dell’Isis da parte dei al Saud. Capita così che qualche pezzo di famiglia reale che sta perdendo la corsa alla successione, magari la diaspora londinese o chissà chi, unitamente alle gerarchie wahhabite, pezzi dei servizi ora superati dai militari e naturalmente la cupola dell’Isis, non l’abbiamo presa bene, com’è ovvio. Il cambio di strategia geopolitica è il cambio dell’élite che la deve sviluppare. Da cui il messaggio. E del resto cosa meglio di un concerto di “giovani” per mandare un messaggio ai “giovani” principi in ascesa? E chissà che il messaggio non sia rivolto anche a gli storici garanti del precario stato saudita, i britannici.
Naturalmente le cose geopolitiche inducono al cinismo disincantato, i 22 ragazzini e il vuoto che lasceranno nell’animo di molte più decine di persone a loro vicine, rimane una cosa a sé, una cosa per cui le parole, di qualunque tipo, risultano sgraziate ed inutili.
CRONACHE N. 554
Rampini ha saggiamente assunto una posizione neutra per raccontare lo scontro perpetuo tra l’amministrazione Trump e l’amministrazione ombra di Washington (qui). Il tema dei temi è sempre il punto delle relazioni con la Russia. Già nel nostro “Verso un mondo multipolare” avevamo trovato tracce inequivocabili dell’intenzione di Trump di modificare i rapporti con la Russia, intenzione che per altro aveva anche fatto apertamente trasparire in campagna elettorale. Intenzioni basate -ovviamente- su analisi razionali, sulle quali gli americani potrebbero essere d’accordo o meno, usando metro di giudizio razionale. Invece, la tesi complottista che legge ed ha continuamente interpretato questa volontà come subordinazione, tradimento, collusione col nemico, è ovviamente il tentativo di impedire lo svolgersi di questa intenzione geopolitica facendo leva su i sentimenti pre-razionali dell’americano medio. Vediamo quindi lampante uno dei vari drammi dello stato pseudo-democratico della “più grande democrazia del mondo” (che poi -per grandezza di popolazione- è la seconda dopo l’India), ovvero due élites che si sbranano intorno ad un fatto di merito ma non discutendolo apertamente per quello che è davanti alla propria opinione pubblica, ma usando verità e menzogne che muovono sentimenti e valori per strapazzare il giudizio pubblico a favore o contro, dell’uno contro l’altro. Al cittadino americano non è chiesto un giudizio sul fatto in sé ovvero sulla opportunità o problematicità di riassettare le relazioni con i russi, la strategia geopolitica non è cosa da dibattito democratico. E’ invece cosa da dibattito democratico, esprimere giudizi ed opinioni in libera uscita, utilizzando uno degli emoticons che l’amministrazione di sistema ha previsto per l’istantaneo sondaggio d’opinione, quella doxa che misura lo stato di salute di qualsiasi democrazia e che -nel caso in questione- segna un livello sempre più regressivo che ci dice cosa siamo -o meglio- cosa dovremmo essere: bambini attoniti, divertiti o spaventati, davanti alla cose da grandi che non campiamo -o meglio- che non dobbiamo capire. La democrazia contemporanea è al penultimo stadio di quella che è conosciuta come “la tragedia dei beni comuni”, quei beni generali che non essendo miei o tuoi, della mia classe sociale o della tua, della mia cultura o della tua, della mia opinione o della tua, non vengono curati da nessuno e quindi deperiscono per mancanza di cura. L’individualismo possessivo della modernità miete vittime senza discriminazioni, è questo davvero il caso in cui “non c’è più destra – non c’è più sinistra”, se non è “mio” o “tuo” allora non è di nessuno, altro che “bene comune”. Ora, che la “destra” non abbia trasporto per la democrazia rientra nella normalità delle cose, è l’atteggiamento della sinistra che lascia stupiti. “Sinistra” era la posizione dell’emiciclo in cui sedevano i rappresentanti del popolo nelle assemblee parlamentari prima e dopo il Luglio del 1789 in Francia e quelli più a “sinistra” erano quelli che volevano che il parlamento e dopo di lui il governo, riflettessero con esatta proporzione la composizione sociale del Paese dove il popolo è maggioranza. Il divorzio tra sinistra e popolo è la ragione per cui “non c’è più destra, né sinistra”, siamo diventati tutti utenti di emoticons da apporre allo spettacolo delle élites che combattono per il potere, il potere su di noi.
CRONACHE N. 553
(Aggiornamento di vari post da facebook dal 19.04 al 15.5)
15.05 Stavo facendo dei calcoli su dati WB. Nei cinque anni precedenti il 2015, il Pil mondiale, praticamente non è cresciuto, ha avuto qualche oscillazione in su ed in giù ma nella sostanza, il Pil del 2015 è praticamente quello del 2011. Nel decennio tra il 2005 ed il 2015, l’area Nord America + area Euro, hanno complessivamente perso un 10% di peso nel Pil mondiale (da 52% a 41%) e per più di due terzi, la perdita è portata dall’area Euro. Quasi tutta la perdita è andata a vantaggio dell’Asia che nel 2015 pesava per un terzo dell’economia mondiale, ma crescerà ancora. Stavo vedendo anche un video del summit sulla Belt and Road Initiative ed erano tutti con gli occhi a mandorla e la pelle di vari colori, ma non bianca. Per distrarmi ho fatto un po’ di zapping di articoli vari imbattendomi in Staglianò che scriveva: “l’Institute for Local Self Reliance di Washington ha inoltre calcolato che, mentre un negozio tradizionale dà lavoro a 47 persone ogni 10 milioni di dollari generati, Amazon ne impiega solo 15 per produrre la stessa ricchezza.”. Ne consegue anche la desertificazione del paesaggio urbano perché i negozi chiudono a grappoli. Seguono le fosche ma realistiche previsioni profetate di recente da Jack Ma: “Nei prossimi trent’anni, per gli sconvolgimenti economici che internet ha portato nell’economia, il mondo vedrà molto più dolore che felicità”. Del resto, Bill Gates dice le stesse cose da cinque anni in ogni conferenza a cui è invitato, usando toni sempre più allarmati. Poi ho letto l’ennesimo articolo sull’attualità di Marx ed uno di Cacciari sulla perdita irreversibile di ragione delle categorie “destra e sinistra”. Mah, mi sa che un salutare “non ci stiamo capendo più niente, non abbiamo la più pallida idea di cosa fare” sarebbe un buon inizio per tentare un adattamento ai tempi. Ma non sono sicuro…
13.05 POTERE DELLE ARMI vs POTERE DEI SOLDI. In “Verso un mondo multipolare” sintetizzavo così il senso della tenzone tra Stati Uniti e Cina. Abbiamo visto recentemente il round americano con promesse di intensificazione militare al Giappone ed alla Corea del Sud, in funzione anti Corea del Nord ma in subordine anche come piazzamento d’area in funzione contenimento della Cina. Ora vediamo il secondo round. La Corea del Sud che dichiara di voler distendere le relazioni con la sorella settentrionale, la Cina che redistribuisce un po’ di surplus promettendo di comprare manzo e gas statunitense. Poi oggi, scopriamo che la diplomazia nord-coreana “apre” a possibili chiacchierate con gli USA, chiacchierate già avviate a livello informale e forse alla base di quel inspiegabile “sarei onorato di incontrare -a certe condizioni- Kim Jong-un” di Trump. Il tutto, nella cornice del primo summit dei 30 paesi interessati agli sviluppi della Belt and Road Initiative (le due vie della seta, quella di mare e quella di terra) dove i cinesi si presentano con 650 miliardi di dollari di investimenti concreti, il che in questi tempi di magra, è un bel presentarsi. Per Pyongyang, una ottima opportunità di trattare con gli USA, giocando sulla triangolazione con Cina e Corea del Sud. Per chiudere il poligono, tutti dovrebbero poter portarsi a casa qualcosa, vedremo cosa…
09.05 NON TUTTI I PD VENGONO PER NUOCERE. Moon Jae-in, pare diventerà il nuovo presidente della Corea del Sud, dopo nove anni di dominio conservatore. Moon è un liberal-democratico-progressista non proprio un “politico di razza” essendo il suo coinvolgimento nel partito democratico coreano (di cui i sottostanti geroglifici su blu, sono il simbolo) piuttosto tardo. Moon fu il capo di gabinetto di un altro presidente Roh Moo-yun, il quale aveva proseguito la campagna del presidente precedente Kim Dae-yung per la normalizzazione dei rapporti con la Corea del Nord, cosa che valse a quest’ultomo il Nobel per pace nel 2000, quando il Nobel veniva dato per la pace in quanto tale. Moon ha annunciato di voler riprendere la Sunshine policy (questo il nome della campagna di buone relazioni inter-coreane) e di voler effettuare il suo primo viaggio all’estero a Pyongyang. C’è anche chi ha supposto che il blocco del lancio di missili di Kim Jong-un fosse dovuto alla cautela del vedere come andava a finire a Seul perché l’elezione di Moon avrebbe cambiato le carte sul tavolo. Moon ha anche affermato di voler mantenere gli ottimi rapporti con Washington ma non di farsi dettare la politica estera dell’area, che è poi l’unica cosa che a noi interessa ed il motivo per cui scriviamo questo post. Ma la questione ha anche un rilievo economico importante perché l’economia del Sud potrebbe avere un bello slancio nell’interfacciasi con quella del Nord che è abbastanza depressa. L’intera questione poi, fa presumere anche una distensione economica con la Cina. Vedremo quanta luce del sole (sunshine) sprigionerà la nuova fase lunare (moon) coreana. Mi sa che al Pentagono non sono contenti anche perché puntavano su un altro candidato, Hong Yu-pyo, il quale aveva dichiarato che se avesse vinto sarebbe andato a stringere la mano a Trump sulla Carl Vincon. Peccato…
07.05 OSTE COM’E’ IL VINO? Repubblica apre il pezzo sulle elezioni francesi, intervistando un “filosofo” (? – categoria “aperta” a cui ci auto-iscrive per cui incontrollabile) che sentenzia sul rischio di fine della democrazia e dell’Europa. Ma chi è questo Bruckner a i più ignoto? Laureato con una tesi sulla liberazione sessuale nel pensiero di Fourier (correlatrice J. Kristeva), insegna in USA e all’università delle élite francesi, si schiera per l’intervento NATO contro i serbi e con Bush ai tempi dell’Iraq. Vede i nostri tempi come un reincanto di magico e razionale “Siamo lontani dallo spirito del calcolo razionale che formava, secondo Max Weber, l’ethos degli albori del Capitalismo: la produzione mercantile viene messa al servizio di una magia universale, il consumismo culmina nell’animismo degli oggetti. Con l’opulenza ed i suoi corollari (gli svaghi ed il divertimento), una sorta di incantesimo a buon mercato viene messo a disposizione di tutti. I prodotti esposti in vendita nei nostri centri commerciali (…) non sono esseri inerti: vivono, respirano e, in quanto spiriti, possiedono un’anima ed un nome. Il ruolo della pubblicità è quella di dare loro una personalità attraverso una marca, di conferire loro il dono delle lingue, di trasformarle in piccole persone che parlano” Dopo questa elegia della società di mercato ci si domanda: va bene, Todd, Onfray e Houellebecq hanno dichiarato che oggi non andavano a votare ed erano in vacanza ma cercare proprio l’oste per domandargli com’è il vino ed in più celebrarlo come “…uno dei più famosi filosofi francesi”, non vi pare un po’ tanto banale? Ogni epoca ha la filosofia che si merita.
04.05 COMPRENDERE E GIUDICARE. Tillerson espone il principio guida della politica internazionale dell’amministrazione Trump. Nulla di nuovo, solo l’esplicitazione precisa di quello che si chiama “approccio realista”, lungamente egemone dal dopoguerra sino a che si è palesato un principio concorrente: il liberalista. Per simmetria concettuale lo si dovrebbe chiamare “idealista” ma a gli americani il termine non piace. Il principio liberalista, prevede sempre una politica guidata da interessi ma nel computo di questi mette anche elementi ideali quali la democrazia di mercato, i diritti umani etc. In pratica, si bombarda ed invade sempre e comunque ma in un caso -il realista- lo fa e dice che lo fa per espliciti interessi duri (hard) mentre nell’altro -il liberalista- lo fa sempre per interessi duri ma dice lo fa per interessi morbidi (soft) mutuando in un certo senso, il principio di “egemonia culturale”.
Rampini presenta e commenta, cioè spiega e giudica al contempo, la notizia e chiaramente non può che farlo dal suo punto di vista che è liberalista. Incorre quindi nell’errore di livello elementare quale quello di equiparare la politica interna (quella sì basata necessariamente anche su valori poiché fondano la comunità tanto quanto gli aspetti pratico-materiali-funzionali) con quella estera, cosa che non si fa dai tempi di Locke. Bill of Right di qui e quindi Bill of Right per tutti!
L’approccio liberalista, in questa sua foga di insaziabile egemonia hard & soft vorrebbe essere più umano di quello realista ma lo è di meno poiché la pretesa di imporre valori per liberare l’umanità è una missione non richiesta che porta ad una interpretazione di “interesse nazionale” più ampia e paradossalmente più aggressiva di quella onestamente basata sull’egoismo delle nazioni. Il mondo esterno non è una comunità ma un insieme di comunità, ognuna col suo interesse e punto di vista valoriale. “Siamo in missione per conto di Dio” recitavano i Blues Brothers ma non c’è niente di peggio di colui che confonde l’Io con Dio.
26.4 APOCALITTICI ED INTEGRATI (en France). Alla partizione destra – sinistra se ne sovrappone una nuova, ortogonale, quella tra integrati e non nel “sistema”. L’analisi della sociologia del voto francese allegata (Ipsos – 4700 casi, quindi discretamente affidabile) dice che gli apocalittici (gli anti-sistema capital-liberal-europeista) sommano a poco più di 46% mentre gli altri sono ovviamente il rimanente. Direi che questa è l’espressione quantitativamente più rilevante ed approssimata al punto di rottura sociale, registrata in Europa. Dal punto di vista sociologico, i voti si pesano più che contarli, cioè si guardano con gli occhi socchiusi, si valutano a grana grossa. A grana grossa, il sistema, in Francia, accontenta la metà della popolazione. Sempre dal punto di vista sociologico, un sistema che si approssima pericolosamente non importa se di poco sopra o di poco sotto la metà del consenso è sostanzialmente privo di consenso. Consenso è una massa critica che va -più o meno- dal 60% in su. Di contro, gli anti-sistema, com’è stato per il referendum italiano del 4 Dicembre, hanno senso solo come negazione alla tesi positiva. Poiché ogni società necessita di un sistema come ogni vertebrato di uno scheletro, essere contro un sistema non porta di conseguenza ad essere tutti a favore di un altro specifico ed alternativo sistema ed è per questo motivo che affermare che la partizione destra – sinistra non ha più senso è sbagliato. E’ giusto rispetto al negativo del rifiuto di un sistema in atto ma sbagliato rispetto a quello che lo dovrà sostituire.
Ortogonale, significa proprio che una partizione si sovrappone all’altra, non che la sostituisce, come negli assi cartesiani.
Il dato apocalittico del voto francese è ben esemplificato dalle risposte di auto-collocazione politica degli intervistati. L’unico a dichiarasi né di destra – né di sinistra è stato Macron ma solo il 17% del totale di coloro che così si auto-definiscono, lo hanno votato. Il 68% ha votato o per Le Pen (37) o Melénchon (16) o Altri (15 – Dupont-Aignan/Autres).
Ne consegue che la Francia è in transizione. Macron o meglio il sistema (che include Hamon e Fillon) deve ancora risolvere il problema non del secondo turno ma delle elezioni di Giugno e così va inquadrato il richiamo di Hollande “Attenzione, non è ancora finita” a calmare gli esuberanti spiriti festanti per lo scampato pericolo lepenista. Se con il giovane e sbiadito ologramma digitale di Macron, il sistema ha ottenuto ancora il 54% (e non senza anche lui polarizzarsi al suo interno che rimane altrettanto vario quanto quello apocalittico), cosa riuscirà a fare per il parlamento dove “monsieur novità” pare non abbia neanche un suo partito, un suo primo ministro ed una sua classe dirigente? Il pericolo “anatra zoppa” in parlamento è ancora ben vivo mentre quello del paese spaccato, turbolento e riottoso ad ogni riforma è certezza. Il termine della notte è ancora lontano, En Marche quindi, ma verso dove? (Link preso da Nicolò Scarano) : http://www.ipsos.fr/…/ipsos-sopra-steria_sociologie-des-ele…
23.4 L’ELITE POPULISTA. Se prendiamo la definizione di Wikipedia di populismo: “una relazione diretta, non tradizionale, tra le masse e il leader, che porta a quest’ultimo sia la fedeltà delle prime, sia il loro sostegno attivo nella sua ricerca del potere, e questo in funzione della capacità carismatica del leader di mobilitare la speranza e la fiducia delle masse nella rapida realizzazione delle loro aspettative sociali nel caso in cui egli acquisti un potere sufficiente” (G.Hemet, Les populisme dans le monde), come definiremmo un tizio che inventa un movimento un anno fa, senza storia né radicamento territoriale, senza quadri dirigenti, rappresentanza parlamentare, regionale, comunale, circoscrizionale, senza numero due o tre o quattro, con un programma generico, né di destra-né di sinistra e che si appella al modello della start up, una idea, tanta energia e chi mi ama mi segua? Al di là di Laclau e successivi approfondimenti su i quali Alessandro Visalli ci illuminerà, non è che le élite prima hanno imposto il brand (populista) ed ora ci ficcano dentro il prodotto (Macron)? Populismo di sistema. En Marche!
CRONACA N. 552 (19.04.17)
NE UCCIDE PIU’ L’IDEOLOGIA SBAGLIATA CHE LA COREA DEL NORD. Al 43° posto per aspettativa di vita (ONU), il Paese più relativamente ricco ed assolutamente potente del mondo, gli USA, vedono impennarsi le morti per fegato spappolato dall’alcol, dall’abuso di farmaci, droga, nella popolazione bianca che spesso sceglie questa lenta consunzione ma qualche volta -e sempre più spesso- il suicidio. Le condizioni economiche sono peggiorate anche tra le altre etnie ed anche in Europa quindi -da sole- non bastano a giustificare il fenomeno. E’ probabilmente un mélange di auto-condanna unita alla sanzione sociale dell’insopportabile fallimento a rendere invivibile la condizione. Il sogno americano rimane come motore immobile dell’immaginario sociale ma per molti non è perseguibile quindi la dissonanza “io non ce l’ho fatta” “tu non ce l’hai fatta”. La solitudine dell’individualismo competitivo fa il resto. La mancanza di comunità, solidarietà, condivisione permette che la mano invisibile premi con la ricchezza ed il potere sfarzoso i pochi e col rinunciare a vivere i molti. Alcuni entrano nelle statistiche quantitative morendo ma di più saranno in quelle qualitative che gli studiosi americani non possono fare perché “non scientifiche”, ora che i sociologi americani sono stati licenziati dagli economisti. Trump ha vinto con questi voti ed ha due anni di credito, poi anche lui verrà giudicato e credo che lo sappia molto bene….
CRONACA N. 551 (19.04.17)
NE UCCIDE PIU’ LA PAROLA CHE LA SPADA. Allora, il pallino in alto della cartina era la posizione della 3a flotta USA il giorno della dichiarazione che la voleva diretta verso la Corea de Nord, l’8 Aprile. Il pallino in basso, il 15 Aprile, il comandante della portaerei nucleare Carl Vincon, posta foto della posizione aggiornata ed era tra Giava e Sumatra. Doveva andare a nord, invece è andata dalla parte opposta perché doveva onorare programmate manovre congiunte con l’Australia. L’ha scoperto HP e NYT, poi oggi ne parla anche Rampini su Repubblica in taglio basso. In effetti, una flotta non è un ciclomotore con cui decidi all’improvviso di andare di qui o di lì, ci sono i tempi logistici, precedenti accordi, preparazioni. Trump quindi aveva necessità di alzare il clima minaccioso in un dato momento anche se in quel momento non poteva avere nulla con cui sostanziarlo. Ora la 3a flotta ha invertito finalmente la rotta e tra una settimana, pare, sarà da qualche parte del Pacifico nord occidentale. Arriverà quindi a due settimane dalle elezioni sudcoreane anche se i sudcoreani ed i giapponesi se la sono già fatta sotto e chissà cosa hanno concordato con il vice-presidente Pence che in effetti ha anticipato di qualche giorno il suo programmato viaggio da quelle parti. In effetti, anche la camorra ti avverte per tempo che se non paghi ti bruciano il ristorante…