CRONACHE DA 201 A 300

CRONACA N.300 (26.08.15)

Due anni di espansione dell’ISIS, qui. Si consideri che buona parte delle bolle banche accerchiate da rotte controllate dall’ISIS sono desertiche e quindi andrebbero, nei fatti, colorate come controllate.

CRONACA N.299 (26.08.15)

R. Prodi, in Italia, è vissuto come una macchietta. Prodi però gode di un certo prestigio a livello internazionale, non come “italiano intelligente” ma in sé per sé. E’ stato pur sempre presidente della Commissione europea dal ’99 al ’04, ha diversi riconoscimenti e contatti di alto livello nel mondo e per dirne una, è l’unico professore occidentale ad aver insegnato alla università che forma i quadri del Partito comunista cinese. A livello di Prodi non ci si esprime come un giornalista da barricata ovviamente, si dice ma alludendo, si parla in modo piano e felpato anche quando si sta parlando di cose aspre ed appuntite, si moderano gli aggettivi e si mettono i sostantivi in sequenza lineare. Qui e qui, Prodi parla della Cina e del momento che stiamo vivendo.  Cosa dice in sostanza? A parte sottolineare il fatto che l’Europa è destinata solo a subire, sia dalla Cina, sia dagli USA, gli effetti dei colpi che questi si stanno scambiando, così come ha subito gli effetti dei colpi scambiati da Usa e Russia recentemente, il problema è proprio il regime internazionale che sta prendendo forma. L’idea di una nuova Bretton Woods che molti, invano, invocano da tempo, è che o si accetta l’idea di far parte tutti di un unico sistema e ci si divide i compiti ed i problemi stante che dentro un quadro convenuto si può sempre giocare la partita che rimane di base competitiva o questa competizione diventa guerra. Sarà guerra valutaria o finanziaria o regolatoria o economica o d’informazione ma quando si inizia questo gioco si sa che prima o poi potrebbe diventare guerra in senso letterale, cioè militare. Anche fermandosi un centimetro prima del baratro, il caos che si verrebbe a creare in un sistema imper-complesso come il mondo contemporaneo, produrrebbe danni forse irreversibili e disilluderebbe coloro che si sognano di poterlo gestire a proprio vantaggio. Tradotto: si sta portando avanti una guerra contro la Cina ed a Prodi, ed anche a noi nella nostra inutilità, non sembra una bella idea. Quanto a gli europei, tra euro, Grecia, migranti, populisti e riformisti, si continua a suonare allegri, fino a che s’intonerà “Nearer, my God, to thee“, pare l’ultimo pezzo intonato all’1:40 dall’orchestra del Titanic. Poi le acque gelide…

CRONACA N.298 (26.08.15)

La complessità del mondo è cosa oggettiva, a noi sta il compito di renderla leggibile, di provare a renderla comprensibile. In molti, negli ultimi giorni, hanno fatto ricorso al caos, a gli effetti farfalla, alle fisica delle slavine (Rampini su Repubblica di oggi, qui). Altri stanno contribuendo al caos in queste ore, nel farla più complicata del necessario: la Cina non fa le riforme, non sono capaci, sono inaffidabili, c’è un colpo di stato contro Xi Jinping, si notano manovre militari… . Come stanno le cose? Nulla di più immediato di questo grafico. Noi ci occupiamo di complessità da anni, qui la complessità è molto semplice e se è vero che un’immagine vale più di mille parole (attribuita a Confucio ma probabilmente proveniente da ambienti pubblicitari americani), lasciamo parlare il grafico.

SHANGHA INDEX 3 YEARS

Aggiungiamo solo che è l’indice della borsa di Shanghai a tre anni, che dopo due anni di moderata fluttuazione comincia la scalata al Novembre 2014, che non c’era alcun motivo economico duro a motivare quell’impennata ma che in quella data, le autorità cinesi pressate perché si aprisse il mercato secondo gli standard internazionali (occidentali), autorizzano l’acquisto diretto di azioni da parte di stranieri. Il crollo inizia a metà Giugno e subito dopo, il 26, Morgan Stanley si sveglia dopo sette mesi di bolla e dà il segnale alla muta: downgrading sulla borsa di Shanghai.  I volumi degli scambi – sostenuti da Novembre 2013, sono le tacchete blu alla base – scendono di colpo ad Aprile di quest’anno e  dopo, si sono improvvisamente tutti risvegliati lo stesso giorno, quando riappare quel grattacielo blu che è il 14 Luglio scorso mettendosi a vendere-comprare come forsennati (c’è un inchiesta delle autorità cinesi a riguardo delle anomalie di vendita, indiziata JP Morgan). Di oggi, la notizia che le autorità cinesi hanno messo sotto inchiesta cinque compagnie di trading, naturalmente per indurre nell’opinione pubblica l’idea che sotto ci sia qualcosa. 

CRONACA N.297 (25.08.15)

(Qui) Aldo Giannuli, si vota all’analisi complessa. La crisi finanziaria, s’intreccia a quella politica, sociale, militare. L’elenco dovrebbe comprendere anche l’economia, l’ecologia e la cultura per essere più realistico. Il nostro problema, il problema principale, quello che governa in scala gerarchica tutti gli altri, è il trovarci davanti a fenomeni complessi che non sappiamo leggere poiché quasi nessuno è in grado di leggere l’intreccio di fili di queste che nella nostra conoscenza sono discipline altamente specializzate ma irrelate, isolate le une dalle altre. Il fenomeno, la realtà è una ma noi la leggiamo con lenti di differenti polarizzazioni. Ci stiamo dedicando, in questi giorni, ad un lungo articolo sull’argomento che uscirà tra breve.

CRONACA N.296 (24.08.15)

Com’era prevedibile, il TPP ha subito una battuta d’arresto importante (qui). Credo che i paesi coinvolti non abbiano nessuna reale intenzione di portare a compimento del trattato, solo non vogliono apertamente irritare gli Stati Uniti.

CRONACA N.295 (24.08.15)

Panico finanziario: che succede? Succede che come spesso accade in Agosto, qualcuno sta pilotando lo sgonfiamento della bolla perenne nella quale vive l’economia finanziaria da anni se non da decenni. La bolla è fatta di tutta la liquidità emessa a prescindere i valori concreti dell’economia reale. La liquidità è ormai erogata di default per simulare improbabile crescita che in realtà o non c’è o è ben inferiore. Tale liquidità non ha alcun valore concreto per cui, quando l’invaso trabocca, qualcuno deve togliere il tappo al fondo per farla defluire di modo che si possa ricominciare daccapo, un’altra volta. Il segreto è uscire quando il catino è troppo pieno, aspettare e rientrare quando inizia un nuovo ciclo di riempimento. I toglitori di tappo agiscono per lo più durante i periodi in cui il grosso degli investitori minuti sono assenti, Agosto è in genere il mese preferito. Quando i volumi degli scambi sono inferiori, un’azione concertata tra i principali fondi, pesa il necessario per dare il segnale forte di vendere. Quando si inizia a vendere oltre una certa soglia, vien giù tutto per conto suo. L’operazione non è del tutto arbitraria, ci si collega a qualche segnale concreto. Shanghai è già da un po’ sotto pressione, i cinesi hanno abbassato i tassi e quello è stato il segnale per il rompete le righe. Il tutto, oltretutto, andava fatto prima che Fed pensasse di alzare i tassi, cosa che certo, ora, non potrà fare. Chi vince? Chi è uscito un mese fa provocando i primi meno di Shanghai e rientrerà tra un po’ beneficiando ancora di denaro a basso costo. Chi perde? Tutti gli altri.

CRONACA N.294 (22.08.15)

Scandalo! Venduta la gestione di 14 aeroporti greci ai tedeschi. Il Fatto mette addirittura la notizia sotto la categoria “beni pubblici” e la sola gestione diventa la piena proprietà. Scandalo!! Nominati direttori di musei italiani degli stranieri. Colonizzazione culturale.

Ora, se una società tedesca brava nel far soldi gestendo aeroporti vuole gestire 14 aeroporti greci siamo sicuri che ciò sia imperialismo economico? Innanzitutto ha preso la gestione e non la proprietà, quindi se domani ci ripensa, dovrà cedere a qualcuno la gestione e non potrà de-localizzare o chiudere l’attività. Far soldi gestendo aeroporti significa in sostanza due cose: stringere quanti più contratti con compagnie aeree per far atterrare e partire il maggior numero di voli. Su i voli si presume ci siano persone. Molte persone che vanno e vengono dalla Grecia, persone non greche che portano valuta, fanno i turisti, spendono ed aiutano l’economia greca. L’altro fonte di guadagno è vendere la gestione dei servizi a terra. Possono essere box da vendere a broker di ricettività alberghiera, affitta-macchine, negozietti di prodotti tipici, ristorantini, bar, tutte cose che non si vede perché non possano essere imprenditorialità greche. La Grecia ha fatto 22 milioni di visitatori nel 2014, due volte la sua popolazione, siamo su i 15 miliardi di euro, poco meno del 20% del Pil del paese. I tedeschi sono i primi per afflusso turistico in Grecia. Dov’è il problema?

Tutti i musei pubblici italiani fatturano meno del Louvre, è noto. Il fatturato complessivo dei servizi aggiuntivi è la metà di quanto introita da solo il Metropolitan. Qui, G.A.Stella, dava poche e sentite cifre sul nostro patrimonio cultural-turistico.

L’anno scorso il principale club calcistico mondiale, il Real Madrid, era allenato da un italiano, quello tedesco da uno spagnolo, quello inglese da un portoghese. A proposito di calcio, siamo talmente inabili a gestire le attività nel senso degli standard internazionali, che la nostra miglior squadra (la Juventus) è solo al 10° posto nella classifica dei ricavi. Ma la mia squadra, l’Inter, è al 17° posto con pochi spicci più del Galatasaray turco e quasi un terzo di ricavi dei francesi del Paris St. Germain.  Ciò sebbene l’Inter sia all’8° posto per titoli UEFA, il Galatasaray al 37° posto e il PSG al 38°. Per questo un imprenditore indonesiano si è comprato la mia squadra, uno thailandese il Milan, uno americano la Roma.

Allora, se siamo per la promozione dei beni comuni e della produzione nazionale, cerchiamo prima di definirli. Una gestione non è una proprietà, la gestione di un aeroporto non è un bene comune, chi-se-ne-frega chi lo gestisce purché lo faccia funzionare meglio di Fiumicino, ciò sopratutto per chi vive di turismo. Già una compagnia aerea nazionale è un discorso diverso. Chi-se-ne-frega di chi gestisce un museo, se non siamo in grado di farlo noi prendiamo chi è in grado di farlo. I presidenti di calcio italiani, invece di prendere come manager Moggi et affini, se avessero preso manager in grado di gestirli come vengono gestiti in tutta Europa, tra l’altro in contesti ben più poveri di cultura calcistica della nostra, non sarebbero stati costretti a vendere.

Io sono per mantenere alta la stella polare dei nostri ideali ma se lo sguardo vola in cielo, i nostri piedi rimangono a terra. Che il nostro idealismo diventi un po’ più pragmatico, altrimenti il mondo non lo cambieremo mai.

CRONACA N.293 (21.08.15)

La cultura della complessità comincia ad essere un mondo vasto. Nel senso che sotto il generico paradigma della complessità, si trovano diversi punti di vista, inclusa una accentuata pluralità proprio sul modo di intendere il concetto di complesso. Evidenziamo quindi questo paper del 2010 su come si riverbera l’Era della complessità nel pensiero economico (qui) non tanto perché ne condividiamo tutto lo sviluppo ma perché è comunque un contributo pertinente al tema.

Segnaliamo le linee di ricerca e di metodo che stanno, secondo gli autori, mettendo in crisi il paradigma neo-classico dominante, in favore dell’apertura ad uno sviluppo più idoneo alla comprensione dell’Era complessa:

La Teoria dei giochi evolutiva sta ridefinendo come le istituzioni sono integrate nell’ analisi.

Economia ecologica sta ridefinendo come la natura e l’economia sono viste come interrelate in una formulazione transdisciplinare.

L’economia comportamentale sta ridefinendo come la razionalità degli agenti economici viene considerata.

L’economteria sta ridefinendo come gli economisti trattano le prove empiriche e la loro relazione coi modelli.

La teoria della complessità sta offrendo un modo per ridefinire il modo in cui concepiamo l’ equilibrio generale e di dinamiche economiche in modo più ampio.

L’ Agent based computational economic (ACE) analysis fornisce una alternativa ai modelli analitici.

L’economia sperimentale sta cambiando il modo in cui gli economisti pensano il lavoro empirico, e come questo sta diventando  il metodo principale con cui l’economia comportamentale opera.

In pratica, le linee principali di questa tensione epistemica, sono: a) la problematizzazione dei presupposti ipersemplificati sull’agente economico razionale, quindi sulla sua prevedibilità, monodimensionalità ed artificiale singolarità; b) le relazionalità compresa nella Teoria dei giochi evolutiva e la considerazione estesa ai soggetti istituzionali non individuali; c) l’apertura sistemica all’ambiente (eco-logia-nomia). Si potrebbe anche richiedere una ulteriore considerazione sulle relazioni internazionali ma prima o poi ci si arriverà; d) l’utilizzo  della matematica  applicata alla statistica ed all’econometria in luogo di quella astratta nella modellistica. In pratica, un richiamo ad un solido empirismo ed ad un maggior realismo, per una disciplina che sta sostituendo la metafisica. Un indebolimento del determinismo e la considerazione di più variabili in processi molto dinamici che porta alla necessaria trans-inter-disciplinarietà ci sembrano le due costanti portanti.

CRONACA N.292 (21.08.15)

Perché la Corea del Sud, ha deciso dopo undici anni, di riprendere il bombardamento acustico con gli altoparlanti al confine tra le due coree, scatenando le ire di Pyongyang? (info, qui).

CRONACA N.291 (21.08.15)

L’oro ha preso il 3,7% da fine Luglio ma gran parte del rialzo si è avuto a partire dal terzo giorno di svalutazione dello yuan. La strategia anglo-americana in questi anni si è concentrata sul tener molto basso il prezzo dell’oro anche perché l’investimento doveva apparire -per forza- non interessante visto che i soldi dovevano esser dirottati sul turbinio dei pezzi di carta. Quello che ormai si sta presentando come il grande grippamentogolden-chinese-dragon-d-render-series-31564412dell’economia mondiale (l’Asia continua a crollare ed Europa e USA registrano le scosse), apre la corsa all’oro. Ma c’è anche una teoria molto unofficial, che riporto per amor di fantascenarismo (a cui qualche volta, è bene lasciar briglia sciolta altrimenti i cigni neri non si prevedono e rimangono neri fino a quando non li incontriamo, che è poi troppo tardi):non è che i cinesi stanno pensando ad un qualche supporto aureo allo yuan?Contro questa ipotesi, si citano le relativamente basse riserve auree cinesi, basse rispetto a quelle americane, tedesche, francesi, italiane. Ma è tutt’altro che certo che gli americani abbiano davvero l’oro che dichiarano di avere e le difficoltà che hanno fatto nella restituzione ai tedeschi di quello che a loro appartiene pur essendo depositato negli USA (ed a proposito, perché i tedeschi si sono improvvisamente ricordati di avere il loro oro negli Stati Uniti e di chiederlo indietro?) lasciano qualche sospetto. I cinesi sono i maggior estrattori di oro al mondo, oro che tassativamente non esportano ed accumulano. Sono anche i più decisi e costanti compratori da qualche anno. Quanto realmente ne abbiano semplicemente non si sa. Altresì, visto che l’IMF traccheggia nel riconoscere allo yuan lo status di moneta internazionale, quale migliore via che non sostenerne l’affidabilità dandogli un qualche rapporto con il bene dei beni? Certo, non hanno forse (?) abbastanza oro per imporre uno standard aureo, né credo convenga a loro legarsi mani e piedi al corso del metallo prezioso. Però occorre anche considerare che questo ipotetico discorso ha molte altre variabili che non conosciamo e non possiamo valutare, che non è detto che si debba stabilire una parità aurea al 100%, potrebbero anche solo minacciare questa eventualità per costringere tra sorrisi e tazze di tè, ad una nuova Bretton Woods. Comunque, sarebbero effettivamente tra i pochi ( anche i russi estraggono e comprano da tempo) a poterselo permettere anche se calerebbero una carta che sconvolgerebbe tutto il gioco il che è “poco cinese” come mentalità, e per altro, prima del Novembre dell’anno prossimo, difficile si muova qualcosa. Così tanto per aprire uno sguardo obliquo visto che in tempo bui, si cerca la luce….

CRONACA N.290 (19.08.15)

Si può esser d’accordo o non d’accordo con Tsipras ma sembra che il suo essere “politico” sia molto cresciuto negli ultimi mesi. Sopravvissuto (per il momento) al tentativo di soppressione da parte dell’eurocrazia, pare stia per dare le dimissioni con nuove elezioni il 13 o 20 Settembre. Questo permette di congelare la trattativa non accollandosi ulteriori difficili decisioni stante che il grosso dei finanziamenti è assicurato. Permette anche di prendere in contropiede la doppia opposizione. Quella di centro che ancora non si è ripresa dal referendum, quella di sinistra che farà molta fatica a mettere in piedi una lista in tutto il paese in poco meno di un mese. Sembra si vada verso un Tsipras 2 potenziato da una maggioranza più solida, almeno credo che queste siano le intenzioni.

CRONACA N.289 (19.08.15)

La cultura è ciò che fa umani. I custodi della cultura sono i custodi della nostra umanità. Morire per aver custodito un luogo di cultura è rendere un servizio alla travagliata storia della nostra umanità. Onore a Khaled al-Assad (rif. qui).

CRONACA N.288 (19.08.15)

La contrazione cinese si riverbera ovviamente nel suo circostante. Nella Corea del Sud, la domanda interna si raffredda, il debito privato somma al 150% dei redditi, la previsione di minor esportazioni versi la Cina fa rivedere a ribasso le previsioni di crescita. Per il 20150wRfjUEB90Hv6I6ychOzzDQs9Z6ylw(ma non è detto che non sarà, alla fine, inferiore) la stima del Pil è 2,5%.  La Malesia ha la sua valuta deprezzata del 20% sul dollaro e la banca centrale sta prosciugando le riserve mentre il grande freddo su i prezzi delle materie prime, lanciano tristi presagi sulle esportazioni. Si contrae la crescita thailandese, oggi al 2,8% mentre i recenti attentati  puntano alla crisi dell’ industria turistica. La rupiah indonesiana flette del -10,5% su base annua mentre sono crollate esportazioni ed importazioni. Va meglio in Vietnam nonostante l’allargamento della banda d’oscillazione del dong e il calo delle esportazioni del 33% negli ultimi sette mesi 2015 rispetto a quelli dell’anno precedente. Di qualche giorno fa, la notizia sulla contrazione dell’economia giapponese con Pil a -0,4% nel secondo trimestre ma il ministro preposto rassicura che il dato è dovuto al maltempo.  Più che tigri asiatiche, micetti.

CRONACA N.287 (17.08.15)

Con la testa nella ghigliottina di Hume: il filosofo scozzese (Trattato sulla natura umana, 1740) si accorse che c’è un punto impercettibile che tendiamo a saltare nella nostra logica. E’ il punto in cui la descrizione di ciò che è, salta arbitrariamente al dover essere come se questo fosse il necessario prolungamento di quello. Si potrebbe anche dire che la previsione non consegue linearmente la descrizione. L’osservazione è particolarmente importante se prendiamo in esame i cambiamenti di contesto. La nostra mente si è evoluta osservando le ricorsività, i moti inerziali, le consuetudini, l’ordine del mondo, di modo da pianificare la nostra azione nel mondo considerando dato lo scenario. Il Sole all’orizzonte cresce da sempre e sempre crescerà. Qualcosa di simile si trova come trappola nel processo induttivo, la proiezione dei particolari come generali, almeno fino a che, in un mondo di cigni bianchi, non incontriamo il cigno nero.

La trappola più insidiosa dell’Era complessa è nella sua decisa discontinuità, discontinuità che noi, di default, non consideriamo e verso la quale agiamo ciecamente ripetendo e ripetendo le consuetudini ereditate dal passato più o meno prossimo.

E’ il caso delle nostre aspettative economiche. Il sistema, oggi mondiale, di una rete di società di mercato interconnesse appunto dal mercato, pensa di poter ereditare il trend storico di crescita e proiettarlo all’infinito. Gli USA s’accorsero che loro, la locomotiva di testa del sistema, non crescevano più come una volta e come gli altri, nel 1971, e quindi decisero di liberare la moneta dal vincolo di convertibilità con una quantità fissa (l’oro) e scarsa. Fu poi la volta di una cercata ed auspicata nuova rivoluzione industriale, che si pensò di trovare nelle nuove tecnologie. Ma il risultato fu inferiore alle attese ed anzi, il collaterale dello sviluppo delle tecnologie portò e sempre più è destinato a portare, la riduzione del lavoro che, al momento, porta ad una riduzione del potere d’acquisto che va in senso contrario all’aumento dell’offerta potenziata da quelle stesse tecnologie. Nel frattempo, si allargò il sistema invitando al gioco molte aree del globo che erano state sino ad allora sfruttate solo come deposito di materie prime, forza lavoro a basso costo, mercati periferici che comunque assorbivano un po’ di eccesso produttivo. Alla prima fascia del capitale la cosa andò bene, in fondo così si poteva de-localizzare e produrre a meno, investire sulla propria intrapresa e realizzare grossi profitti, investire sulla nascente intrapresa locale e realizzare di nuovo grandi profitti, realizzare profitti su l’altrui profitto prendendo denaro a basso costo che ormai veniva immesso copiosamente nel sistema come il crack in un rave party. Almeno fino a che qualcuno, da qualche parte, fosse cresciuto ancora un po’…

Di corredo a questo movimento, l’economia si spezzò in due: nel vecchio centro del sistema, l’Occidente, si sviluppavano servizi ed economia sopratutto banco-finanziaria, l’industria e l’agricoltura diventavano il business dei cosiddetti “emergenti”. Come detto, questo andò bene alle prime fasce del capitale ma non alle seconde ed alle terze tant’è che in Occidente a fronte di un minimo allargamento delle fasce alte e medio-alte (con un aumento intensivo di capitale notevole), cominciarono a scomparire quelle medie, medio-basse e basse. Come è ovvio, l’intensione andò a detrimento dell’estensione in Occidente e l’estensione andò a detrimento dell’intensione nel resto del mondo. L’intero sistema delle economie occidentali, negli ultimi sette anni, è cresciuto ad una risicata media del 0,8% anno, l’Europa dell’euro di un deprimente  -0,1 % anno.

Global World Product growth rate (%) [Fonte: IMF  ]

ImmagineGDPWW

Le metafore del XIX° secolo su ciò che chiamiamo capitalismo, abusavano dell’allora simbolo centrale del nuovo fenomeno: la macchina a vapore. La macchina a vapore è un sistema termodinamico. I sistemi termodinamici sono convertitori di differenze, si prendono imput ed energia da fuori della macchina, li si mettono nella macchina e quello che esce è l’output. Se tutto il mondo diventa una macchina convertitrice, in breve tempo, non ci sarà più nulla da convertire, gli output eccederanno gli imput e sopratutto eccederanno la capacità di assorbimento da parte del mercato. La macchina soffocherà in una morte termica, cioè,  non troverà più differenze da equalizzare e non troverà più chi le possa assorbire in sempre crescente quantità. I gloriosi indici anni ’60 con media di crescita 5%, passarono  al  4%, poi a 3% e prossimamente sono destinati al 2% e poi all’1% e così via. Quelli occidentali volgeranno ad un depresso stabile, forse con qualche crollo.

Il “capitalismo” finirà la sua fase storica di ordinatore delle società umane perché la sua massima estensione corrisponderà alla sua minima intensione. Si arriverà allora alla sua crisi ontologica. Il motore dell’interesse individuale mosso dalla bramosia di accumulazione di capitale sta andando in conflitto con la funzione dell’economia come ordinatore sociale. L’economia, allora, tornerà ad essere un di cui della società e cambierà struttura. Le società non saranno più “di mercato” ma col mercato, l’economia non sarà più solo di capitale ma si pluralizzerà. Le società dovranno cercarsi un nuovo ordinatore. Tutto ciò sarà di pubblico dominio entro il 2050, se sopravviveremo alla prossima fase hobbesiana in cui ognuno cercherà di accaparrarsi  le ultime possibilità, le ultime materie, energie, posizioni di mercato, speculazioni sull’ultima bolla, l’ultima svalutazione, cercando di strappare le briciole di opportunità decrescenti, dalla bocca dell’altro.

CRONACA N.286 (14.08.15)

Il prossimo 12 Settembre, Jeremy Corbin, potrebbe diventare il leader e quindi candidato in pectore del Labour per le elezioni del 2020 in Gran Bretagna. Negli USA, nel frattempo, la candidatura di Bernie Sanders, sta crescendo in competizione con quella di Hilary Clinton per le primarie democratiche che eleggeranno il candidato presidente per l’anno prossimo, ai primi del prossimo Novembre. Cosa dicono questi due fatti e sono due fatti o un fatto solo? Credo sia un fatto solo con due significati. Il primo significato è che, comethETJMZHHAmolti politologi anglosassoni già notano da tempo (almeno 4/5 anni), il sistema bipolare a matrice anglosassone mostra segni di inadeguatezza. Questo sistema, nacque in Inghilterra nel XVII° secolo ed accompagnò tutta la parabola che portò l’Isola da periferia d’Europa a dominare il mondo intero. Si trasferì come una formina sulla sabbia, ad ordinare anche il fenomeno politico americano che subentrò al Regno Unito, prendendo lo scettro del governo del mondo. Il modello quindi è relativo al suo contesto, il contesto di potenze crescenti che dominano il loro esterno. Dentro una dinamica forte di questo tipo, va da sé che il potere ha in un certo senso un corso unificato, semmai si possono distinguere due interpretazioni una più così e l’altra più cosà ma, nella buona sostanza, ciò che va fatto nell’interesse del proprio sistema unificato, è anch’essa una prescrizione unificata. Il modello bipolare quindi non è affatto bi-polare ma mono-polare con due nuance interpretative, la differenza interpretativa non è di sostanza.

Accade quindi che dentro un corso inverso, un corso di riduzione di potenza, una decrescita invece di una crescita del proprio sistema, il modello unipolare a due interpretazioni diventi una gabbia. Su i confini di questa gabbia premono le forze minoritarie (stante che, a quel punto, tutta le forze sono minoritarie) che tendono maggiormente a rappresentare la propria porzione di riferimento che non l’interesse maggioritario perché -nei fatti- la società si sta spaccando, non esiste più un interesse maggioritario rappresentabile da un partito. L’interesse maggioritario diventa un problema da risolvere all’interno di una rappresentanza proporzionale secondo le alchimie della mediazione di coalizioni, pre o post voto (in genere, meglio post). Il sistema uni-polare a due interpretazioni tende allora a spaccarsi.

La eventuale vittoria di Corbin in Uk, potrebbe portare ad una scissione interna al Labour. A quel punto uscirebbe il centro-destra del partito come in Italia dovrebbe uscire il centro-sinistra dal PD o la sinistra di Syriza dalla Syriza di governo. Altresì, non è escluso che Sanders in USA, se dovesse perdere non di molto le primarie democratiche, potrebbe candidarsi da indipendente come per altro minaccia di fare Donald Trump se non riuscisse a scalare la candidatura repubblicana. Avremmo così la crisi conclamata dal sistema politico anglosassone.

Due anni fa scrivemmo a proposito di questa piccola legge (legge relativa) del “dannoso è tenere unito ciò che è diviso” (qui). Quando sistemi molto grandi sono soggetti a pressioni strutturali che invitano a profonde modificazioni adattative, è bene articolare quanto necessario. Abbiamo 33/34 vertebre, pur non essendo tra gli animali più sinuosi ( i serpenti vanno dalle 100 alle 500), perché se avessimo al loro posto un manico di scopa saremmo scomparsi dall’evoluzione già da un bel tempo. Questo non va in lode aprioristica della frammentazione caotica della rappresentanza politica ma di una maggiore articolazione senz’altro sì.

Il secondo significato di questo fatto unico che è la rottura della gabbia uni-polare a due nuance, riguarda le polarità élite-popolo, destra-sinistra. Si vengono cioè a formare almeno quattro posizioni: élite di centro sinistra spostata al centro contro popolo di centrosinistra spostato a sinistra e simmetricamente a destra. L’unipolarità di centro, il partito unico sebbene colorato di due sapori antichi che stavano in dicotomia (destra-sinistra), è sotto trazione degli oggettivi divergenti interessi tra élite (conservazione del modello dominante) e popolo (cambiamento del modello dominante) che si riflettono nella più giovane dicotomia destra-sinistra. Si tendono cioè a ri-formare una sinistra ed una destra lasciando al centro le due interpretazioni speculari. Si passa così ad un sistema tetra-polare.

Nella transizione all’Era complessa, tutti i vecchi sistemi mono o bipolari, tenderanno a pluralizzarsi poiché l’articolazione è propedeutica al cambiamento. E’ quindi cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza … articolarci!

CRONACA N.285 (12.08.15)

La questione della svalutazione dello yuan cinese diventerà l’argomento del giorno, della settimana e forse del mese. Poiché la faccenda è molto complessa fioriranno le interpretazioni, chi la vede da questo punto di vista, chi da quest’altro. Poiché quindi sono aperti i giochi dell’interpretazione, ci iscriviamo subito al gioco anche noi, sebbene solo con una domanda.

Mettiamoci nella testa dei decisori cinesi. Essi hanno senz’altro molte più informazioni di noi, quindi l’esercizio è viziato in partenza. Solo en passant possiamo contare: la domanda di ammissione al basket valutario IMF (con risposta rimandata di un anno), la strategia cinese che con l’espansione oggettiva della loro economia contano di far diventare lo yuan una valuta di peso internazionale per vie di fatto non contando veramente sul “riconoscimento” da parte dell’IMF, lo “strano” accumulo d’oro registrato recentemente da parte dei cinesi,  la stessa lotta interna all’IMF tra vecchia egemonia e nuovi sfidanti,   la lotta tra il principio del mercato che non è affatto libero ma dominato e coartato dalla megafauna di Wall street e i delicati in quanto complessi interessi di un paese di 1,4 miliardi di persone, la nuova banca d’investimento cinese che potrebbe fungere da alternativa dallo stesso IMF e World Bank, la relazione valutaria tra yuan e valute asiatiche, gli stati-economie asiatici attratti dagli americani nel progetto TPP per circondare i cinesi, le nuove opportunità del commercio internazionale aperte dal nuovo canale di Panama, Suez e l’ipotetico nuovo canale da scavare in Nicaragua (e l’hub ferroviario sud americano sulla costa del Pacifico), la doppia forza a cui sono sottoposte Australia e Nuova Zelanda tra TPP e Cina, i problemi della crescita cinese guidata dalle esportazioni, il valore del dollaro e dei T-bond di cui i cinesi sono pieni, la competizione tra il principio di una economia guidata dalla forza della produzione e scambio (Cina) e quello di una economia guidata dalla valuta e dalla banco-finanza, le isole Senkaku ed il dominio dei mari, le relazioni tra i BRICS, tra i BRICS e gli USA, i prodromi di guerra fredda tra USA e Cina promossi dai primi (il che significa anche l’obbligo a stornare parte della ricchezza nazionale in armamenti), i recenti scrolloni dati alla borsa di Shanghai …

Come si intuisce, i decisori cinesi si saranno a lungo interrogati su quale mossa fare, sapendo che la partita è lunga. Ipotesi in forma di domanda con premessa: visto che lo accumulano come ossessi da almeno sette anni, visto che lo estraggono in patria e non lo esportano all’estero, visto che non sappiamo né quanto ne possiedono loro, né quanto ne possiedono rispetto al dichiarato gli americani, possiamo farci una domanda maliziosa al limite della fantasticheria (ma di questi tempi…): c’è un rapporto tra l’oro e la svalutazione dello yuan?

CRONACA N.284 (11.08.15)

“I have more ideas than I can ever follow up on in a lifetime, so I never worry if someone steals an idea from me.” — John Holland, 1929-2015. Il sito del Sante Fé, ha datonotizia della morte di John H. Holland, tra i fondatori dell’istituto, della prima cultura della complessità, dell’approccio interdisciplinare, dello studio dei sistemi complessi adattivi.

CRONACA N.283 (11.08.15)

Enigmatica mossa della banca centrale cinese che svaluta lo yuan. I più, si aspettavano che i cinesi evitassero di continuare a manipolare i cambi, accettando che fosse il mercato a stabilirne il valore. Questo, avrebbe consentito allo yuan di esser ritenuta una valuta “affidabile”, facendola così entrare nel basket delle valute di riserva, passo propedeutico ad una possibile futura evoluzione per la quale il dollaro è destinato a perdere la sua egemonia assoluta anche rispetto alla valuta del nuovo peso massimo dell’economia mondiale. Ma i cinesi rispondono che è proprio per questo che hanno svalutato, “in vista” di lasciare la valuta libera di fluttuare nel mercato, del tipo: visto che si apprezzerà, meglio che parta da un gradino più basso. Potrebbe essere ma potrebbe anche essere che i cinesi non si fidino del “mercato” e tergiversando, continuino a supportare il proprio export tant’è che tutte le borse non cinesi, stanno calando. C’è poi un’altra spiegazione che più che altro è una ipotesi. Oltre a ciò che ci è noto, attacchi speculativi alla borsa cinese, guerra degli annunci del crollo delle bolle immobiliari, questioni di attrito crescente nello scenario geo-politico, apertura del nuovo Canale di Panama e Suez, vi sono cose che a noi non sono note. E’ sicuramente in atto una partita complessa tra USA e Cina ed è possibile che i  cinesi stiano mandando messaggi del tipo: se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane.  Ne abbiamo di molto grosse, di buon bronzo e fanno un bel baccano…

CRONACA N.282 (09.08.15)

Giannola (Svimez): logistica, energia, nazione mediterrenea, hub dei traffici cinesi, agro-ecologia, sviluppo, strategia, visione. Non è che in Italia non abbiamo intelligenze che parlano e  che non abbiamo intelligenze che ascoltano.

CRONACA N.281 (09.08.15)

Wolfgang Münchau è storicamente critico sull’euro. Ma è significativo che l’idea di una alleanza italo-francese, alleanza non velleitaria quindi dotata di piano B ovvero della finale consapevolezza di poter (dover) arrivare ad una rottura dell’eurozona in due tronconi, cominci a circolare a questi livelli. Che poi sono anche quelli del giornale (Corsera) che ospita l’articolo (qui). Molto significativo.

E molto significativo è che la sinistra critico-critica non abbia, al momento, nulla da dire a riguardo. C’è ancora chi parla d’altro come i più Europa e c’è chi sta familiarizzando, con qualche anno di ritardo, con la posizione “torniamo sovrani, usciamo (non si sa bene come) dall’euro!”. L’oggettiva minorità della sinistra è in questa incapacità di ragionar con la propria testa del mondo reale, di elaborare strategie concrete e non solo critiche, di elaborare piani tattici e non solo strategie ideali. La sinistra ha un disperato bisogno di un Aufklärung.

CRONACA N.280 (08.08.15)

Alfred Steinherr è un economista tedesco. Da sempre più che perplesso sulla costruzione dell’euro. Firmò assieme a Bolkestein, Sapir, Bagnai ed altri economisti, l’European Solidarity Manifesto nel 2013 (qui). In pratica, si consigliava la separazione monetaria Nord – Sud Europa. Già nel 2011, Steinherr vedeva obbligata questa strada. La differenza fondamentale, Steinherr, la vedeva tra il principio dell’accettare come principale ordinatore il puro mercato (paesi euro del Nord) o nel preferire come principale ordinatore una mediazione politica del mercato (paesi euro del Sud). Sicuramente, tener uniti a forza questi due mondi incommensurabili era dannoso per entrambi (o dominava la prima logica ed allora i paesi del Sud avrebbero sofferto dilanianti problemi di distruzione sociale e profonda recessione per molti e molti anni o dominava la seconda ed allora i paesi del Nord si sarebbero trovati a produrre per fare trasferimenti di ricchezza al Sud generando non meno problemi politici e sociali) e per l’intero impianto europeo non monetario.  I pesi del Sud, con una loro moneta, avrebbero potuto accettare tassi di inflazione maggiori del 2% (utili anche a svalutare un po’ il debito), controllare politicamente il tasso di cambio (svalutare all’occorrenza), rinunciare all’autonomia della banca centrale (e farsi finanziare ragionevolmente il debito, magari finalizzato anche a qualche miglioria strutturale in direzione della competitività e della crescita possibile) ed anche istituire una qualche selettività nella altrimenti totale libera circolazione dei capitali. In altri termini, tornare sovrani sulla moneta invece che esserne servi. Steinherr ipotizzava anche che alcuni stati-economie al bordo che divide i due sistemi potessero liberamente scegliere in quale dei due sistemi stare, dando alla politica che governerà i processi successivamente, un più chiaro e forte mandato. L’articolo è del 2011 (e già parte constatando lo stato di crisi dell’eurozona…) e si trova qui.  Come farlo? L’anno successivo, nel 2012 (qui), esaminata l’ipotesi “restare assieme”, quella “espellere uno ad uno gli stati fuori norma”, la migliore soluzione risultava la Dexit. Aiutiamo la Germania ad aiutarci, chiediamogli di uscire dall’euro.

CRONACA N.279 (08.08.15)

135.000 migranti nei primi sette mesi dell’anno, sono arrivati in Grecia dalla Turchia. Pakistani e siriani, in prevalenza. Invece della perigliosa rotta italica, in un’ora – ora e mezzo, lasciate la Turchia alle spalle e vi ritrovate in Europa, in una delle isole del Dodecanneso. Da qui, con un po’ di soldi, tramite traghetti interni, arrivate a Pireo. Impossibile da controllare quel tratto di mare, troppi punti da cui salpare e troppi potenziali attracchi, troppo facile e remunerativo per i pescatori locali dare un passaggio, troppo interesse da parte della Turchia per premere verso l’UE e liberarsi dei profughi siriani. Naturalmente in Grecia, i migranti non hanno niente da fare per cui si parcheggiano per un po’ e poi cercheranno di andare a Nord. Ne vedremo delle belle….

CRONACA N.278 (07.08.15)

Come già detto, da dopo aver battezzato il nostro penoso Presidente del Consiglio, l’incompetente di Firenze e dopo avere registrato un attacco sulla stessa nota dell’incapacità, per limiti oggettivi, da parte di Della Valle, ecco suonare la stessa dolente nota da quel gran pestatore di tasti che è M. Cacciari (qui). Poiché il premier si fa vanto di conoscere a fondo i meccanismi della comunicazione, avendoci tratto il pane per 25 anni che vi ho lavorato e per altrettanti in cui non ho più lavorato ma studiato, consiglio una strategia di comunicazione semplice: battere sulla sua impreparazione. E’ un dato oggettivo, è un dato grave, è un dato intorno al quale si possono raccogliere molti consensi.

CRONACA N.277 (07.08.15)

Di nuovo della serie “è sempre tutto più antico di quanto credessimo” la pubblicazione sulJournal of archeological science del ritrovamento di un monolito di 12 metri di umana fattura, datato con certezza al -7000, nel Canale di Sicilia (qui). A Gobekli Tepe – Turchia, se ne trovò uno (qui) scavato ma poi fratturato durante lo scavo, di 9 metri, (-9600. -7300).

CRONACA N.276 (07.08.15)

Si va sviluppando una prima forma di idea di risistemazione radicale del sistema euro, l’idea che parte dalla constatazione del divorzio oggettivo e necessario, tra la Francia e la Germania. Ne parla il Fatto (qui), rilanciando una intervista di Shahin Vallée al NYT (qui). Vallée è stato consulente del governo francese e del Presidente del Consiglio Europeo, quindi è persona addentro il circolo pensante su euro ed Europa. Il NYT ha non solo ospitato ma anche dato rilievo all’intervista. Vallée è stato anche visiting fellow al Bruegel, think tank brussellese presieduto da J.-C. Trichet, dove Ashoka Mody, ex IMF, batte da tempo la strada che indica la soluzione del pasticcio eurista nella Dexit (uscita della Germania). Di Dexit si comincia apertamente a parlare anche in Germania, secondo il Fatto ma da quello che si può intuire anche dal sibillino “Anche i mercati finanziari sembrano apprezzare l’uscita di Berlino dall’euro come l’unica soluzione alla crisi.” riportato dal giornale italiano, anche in ambiente internazionale (leggi banco-finanza anglosassone). Del resto, se ne ha parlato Prodi su Le Monde (qui) il 20 Luglio, pur lamentandosi dell’inerzia con la quale i francesi stanno prendendo lentamente atto dello stato delle cose e ha ritenuto utile ribadirlo su Le Monde, vuol dire che l’argomento è sul piatto e se è nel piatto vuol dire che è nel menù.

C’è qualcuno tra i verbosi commentatori di sinistra critica-critica, in grado di distrarsi un momento dal conteggio delle piaghe e ferite subite da Syriza e pensare con la propria testa se una ipotesi del genere convenga o meno? Se cioè non convenga come obiettivo di minima sostenere una spaccatura tra Europa teutonica ed Europa mediterranea e poi giocarsela solo contro il neo-liberismo e non anche contro l’ordo-liberismo, due partite che non siamo assolutamente in grado di giocare? O siamo solo Nottole di Minerva, destinati a commentare eventi solo molto dopo che questi sono avvenuti?

CRONACA N.275 (05.08.15)


Questo articolo
, che non condividiamo quanto a tono ma che contiene interessanti informazioni, segnala che il centro molle di quella parte di Europa che è oggettivamente lontana dalla matrice neo-ordo-liberista che informa il progetto euro, è la Francia. Sembra riecheggiare l’ultima intervista di Varoufakis, il quale segnalava che non è la Grecia ed in fondo neanche la Spagna o l’Italia, l’obiettivo ultimo di Scaheuble, ma la Francia stessa. Questo risulterebbe anche dalla attiva consulenza prestata dalla Francia al governo greco per resistere alla “Schaeuble-exit”, come se la Francia sapesse che tale processo, prima poi sarebbe giunto anche da loro. La Francia non è stata solo il promo agente attivo del progetto euro ma si è posta come condirettore del condominio, accanto alla Germania. Quella della Francia però, era più un “vorrei” che non un “posso”. Nei fatti, nella comparativa per items tra Germania, Italia e Francia, quest’ultima risulta quanto di piùfigura2_1lontano si possa immaginare dal credo liberista. Se questa è la fotografia dell’opinione, quella dei parametri duri della struttura economica (flessibilità-competitività-libertà di mercato-innovazione e ricerca) non è diversa.

Potremmo cominciare a prevedere un “France-drame”. L’auto-percezione dei francesi è quella di una potenza che ha segnato la storia mondiale ma tale potenza è oggi del tutto evanescente. Come insisto a segnalare da tempo, se scorporiamo l’apporto di potenza economica, militare e politica che la Francia eredita dal suo passato coloniale e che perde e continuerà a perdere sino all’estinzione totale, rimane qualcosa di non molto diverso dall’Italia. Il dramma dei francesi, sarà allora resistere all’allineamento tra potenza oggettiva e potenza percepita o auspicata, un disallineamento incolmabile.

Come consigliava loro, nel 1947, Alexander Kojève che oltre che filosofo era un alto funzionario del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i francesi piuttosto che diventare l’ultima colonia dell’impero anglosassone o una dependance dell’ordine teutonico, avrebbero dovuto mettersi a capo di un Impero latino. Quello che noi chiamiamo USE, Unione del Sud Europa.

[Posto nuovamente l’articolo di G. Agamben che riesumava quello di Kojève – qui – ]

CRONACA N.274 (03.08.15)

Occupandomi di complessità, quindi di sistemi, ho una sensibilità particolare al concetto. Quindi mi ricordo molto bene di una dichiarazione dell’allora presidente della BCE, J-C. Trichet il quale, con aria smarrita ed invero assai preoccupata, in sincronia con la crisi del 2008-9, rilasciava dichiarazioni allarmate ma con con la consapevolezza che non sarebbe stato capito: “Dobbiamo capire che questa è una crisi sistemica”. Forse Trichet l’aveva capito ma nessuno era in grado di capire di cosa stesse parlando. Di nuovo, oggi, ci troviamo con un altro dei molteplici aspetti della crisi sistemica, i migranti. Ed ecco che alle prese con l’irrisolvibile problema di Calais, i ministri degli interni francese e britannico, prendono carta, penna e calamaio e scrivono alla UE dicendo che loro sono nei guai ma non è giusto lasciarli soli a gestire ciò che non sono in grado di gestire, perché questo “è un problema sistemico”. Come italiani, ci viene il sorriso … ma come, due mesi fa quando eravamo noi a chiedere a loro di fare sistema per affrontare il problema sistemico, loro non si sentivano sistema, oggi però sentono la mancanza di un sistema. La crisi ontologica dello Stato-nazione europeo è anche qui, ci sentiamo tutti parte ma non ci sentiamo parte di qualcosa. Quando scopriamo quanto siamo fragili, inutili ed impotenti, vorremmo avere un sistema in grado di gestire problemi complessi ma noi per primi, noi che dovremmo costruire questo sistema, non abbiamo nessuna intenzione di farlo. Anzi, rifiutiamo sdegnati le difficoltà di costruire sistemi e rivendichiamo orgogliosi la nostra identità di parte.

CRONACA N.273 (02.08.15)

Lo scorso Marzo, in tempi quindi lontani dall’ultima buriana estiva sulla Grexit, si davano queste informazioni:

In Germania il sentimento antieuro sta montando. “La Grecia dovrebbe essere solo il primo paese a lasciare l’eurozona – ha sottolineato il leader di Alternative fuer Deutschland, Bernd Lucke – anche Italia e Francia dovrebbero trarre le conseguenze del fatto che non non possono attenersi alle regole e sono sempre più segnate da difficoltà nell’industria e duratura forte disoccupazione”. Secondo il leader antieuro, l’addio alla moneta unica sarebbe “nell’interesse dei cittadini e nell’interesse degli stati che ritengono indispensabile una moneta forte”. Locke accusa chiaramente sia il presidente Francois Hollande sia il premier Matteo Renzi di non essere in grado di fare le riforme: “L’euro non è una comunità stabile e non potrà mai esserlo”. Da qui la proposta di usare la prevedibile uscita di Atene dall’euro per “regolare definitivamente la situazione per risolvere i problemi dell’Eurozona”.“La valuta comune è sensata soltanto se limitata ai paesi competitivi e orientati alla stabilità – conclude – Francia e Italia chiaramente non appartengono a questi”. (fonte, qui)

CRONACA N.272 (02.08.15)

Anche il prode Fassina, sostiene che l’unica strada percorribile è la Grexit offerta da Schaeuble e quanto allo stato delle cose, come da Cronaca 271, sembra proprio che l’unica via, allo stato attuale, sia quella. Poi magari non finirà così ma è d’uopo domandarci: come dovremmo giudicare questa via? Una posizione pensa che la Grecia abbia tutto da guadagnare da un ritorno alla dracma ma a parte qualche commentatore improvvisato, questa idea è scarsamente condivisa, sopratutto da persone concrete e realistiche, a prescindere da come giudichino l’euro ed il suo eventuale superamento. C’è poi una posizione Fassina che s’immagina una Grexit cooperativa ed assistita ma non risultano dichiarazioni pubbliche di nessun eurocrate e di nessun tedesco a riguardo. Inoltre, non si vede perché si dovrebbe aiutare finanziariamente la Grecia a sopravvivere al default. C’è poi chi pensa, al contrario, ad esempio Varoufakis, che la Germania forzerebbe in tal senso per: a) dimostrare a Spagna, Italia e Francia cosa succederebbe se uscissero dall’euro (si presuppone quindi che la Grexit sarebbe lacrime e sangue per i greci); b) ottenere da Spagna, Italia e Francia o una supina sudditanza al disciplinare tedesco o una chiarificante defezione (Iberexit?,  Italexit?, Francexit?). Ma c’è anche un’altra possibilità.

L’idea che mi son fatto nella vicenda greca dell’ultimo mese è che i tedeschi abbiano un piano chiaro, uscire dall’euro assieme alla galassia del Nord. Questo è l’obiettivo ma non è perseguibile in maniera così dichiarata poiché creerebbe non pochi sconquassi con perturbazione non solo europee, bensì mondiali e farebbe precipitare sulla Germania una colpa indelebile (che si sommerebbe alla loro già discreta collezione storica). Bisogna dunque farlo, senza farlo. Berlino sa che Spagna, Italia e Francia sono irrecuperabili. Io non credo che Berlino pensi realisticamente che dopo tonnellate di riforme strutturali fatte sul corpo vivo di stati-nazione complessi, le cose andrebbero come dovrebbero andare. Credo sappiano che tutto ciò, se prima non porterà a punti di rottura interni (Podemos, M5s-Lega, FN), porterà una insostenibile recessione e nessun vero vantaggio. I tedeschi hanno i loro punti ciechi ma non credo siano così deficienti da far tutto questo casino per comprarsi qualche azienda qua e là a prezzi di realizzo e dato che Spagna, Italia e Francia sono anche clienti, non hanno poi questo grande interesse ad avere clienti sul lastrico.

I recenti pronunciamenti di Schaeuble sulla ulteriore tecnicizzazione dell’UE con emarginazione perfino della Commissione Juncker, dicono che i tedeschi continueranno a rendere invivibile l’eurozona a dosi costanti ed incrementali. Lo faranno per invitare con discrezione, Spagna, Italia ed anche Francia, ad uscire. Un po’ come quando nelle coppie uno fa di tutto perché l’altro se ne vada senza prendersi la responsabilità dell’abbandono, tra cui gli alimenti.

Quindi, a proposito dell’ipotesi Varoufakis che mi sembra comunque la più probabile, non credo che esista l’alternativa del ricatto “o fate così…o exit”. Formalmente e pubblicamente così sembrerà ma credo che i tedeschi (e gli alleati del Nord) faranno le cose in modo che, alla fine, ci sarà sul tavolo una sola strada -exit, please!-.

Forse l’euro a 19 è già nel regno dei morti ma molti non se ne sono accorti. Più che subire una espulsione dilaniante, gli Stati mediterranei dovrebbero organizzare una secessione organizzata ma le loro classi politiche che rispondono ad opinioni pubbliche di pari incompetenza ed inadeguatezza, non sono in grado di far attivamente quello che subiranno passivamente.

CRONACA N.271 (31.07.15)

RIMANERE ATTACCATI AI FATTI: La scia del commentario greco continua a fiorire ma la situazione è ancora quella che abbiamo lasciato, ormai, giorni fa: Fmi non caccia i soldi1280px-Mexican_Standoffse gli europei (GER.-FRA-ITA) non tagliano il debito e gli europei i soldi che dovrebbe cacciare l’Fmi non ce li hanno e non sono in grado di tagliare il debito senza rivedere profondamente le regole dell’Eurozona. Non si tratta di una posizione negoziale rivedibile è un “o così-o pomì” le cui ragioni affondano nelle critiche che il Resto del mondo, socio ormai alla pari dell’Occidente, ha fatto internamente all’Fmi. Forse interviene anche la posizione USA in base a possibili accordi Obama-Tsipras. Se Fmi non mette i soldi, se l’EU non accetta l’haircut, rimane solo Schauble e la Grexit. Questo, il nodo fondamentale che determina il mexican standoff. Quell’accordo firmato pochi secondi prima dell’apertura dei mercati del lunedì mattina, non ha risolto nulla, in effetti, non c’è alcun accordo ma uno stallo la cui soluzione non si vede. (qui).

CRONACA N.270 (30.07.15)

Ultimamente, ho manifestato una certa sensibilità alle vicende della sinistra italiana. Debbo dire che periodicamente, mi sorge la speranza. Poi declina. Dopo questo video, appunto, declina (qui). Non vedo nulla a cui aggrapparmi. Non il linguaggio, non le categorie, non il permanente idealismo fuori dal concreto. Non mi sembra ci sia neanche la vera intenzione, noi non crediamo che quello che diciamo sia possibile (ed infatti non lo è) però continuiamo a dirlo, come la mosca di Wittgenstein nella bottiglia. Le uniche cose sensate, le ho sentite dalla signorina del teatro Valle ma con molta buona volontà nel voler salvare qualcosa.

CRONACA N.269 (30.07.15)

Qui ci occupiamo spesso di politica internazionale e molto meno di politica interna. Non ho intenzione di fare una eccezione ma come appunto per una possibile agenda di intervento nella ormai disperante situazione italiana, senz’altro occorrerà partire da qui. E’ il rapporto Svimez sulla situazione drammatica del nostro Mezzogiorno. Consiglio di dare un’occhiata alle cifre impietose che disegnano la totale decadenza strutturale di un terzo della popolazione italiana. Nulla si potrà fare in Italia, se non partendo almeno dal riequilibrio di questo terzo alle medie del resto della penisola. Quando un sistema ha un suo terzo del tutto fuori equilibrio, quel sistema resterà in disequilibrio qualsiasi cosa si farà eventualmente di positivo su gli altri due terzi.

CRONACA N.268 (28.07.15)

Leggendo il libro di Kupchan di cui uscirà presto una recensione sul blog, ho trovato una idea interessante. L’idea è sollecitata da fatti che non conoscevo (quindi da verificare). Pare che Francia e Gran Bretagna (su iniziativa britannica mossa da “spendiamo meno nel militare” e risolviamo lo storico conflitto tra i due inquilini della Manica) abbiano discusso di usare le proprie portaerei in multiproprietà, sviluppare una brigata assieme, aprire laboratori comuni sul nucleare ed addirittura unire i due arsenali. Ora, l’interesse per l’idea è che quando si dice che uno dei primi moventi del progetto unionista europeo era il mettersi nelle condizioni di non potersi più fare guerra reciprocamente, la soluzione poteva, e potrebbe ancora essere, questa: uniamo gli eserciti. Se uno stato nazione non ha il controllo del suo esercito, certo non può fare guerra all’altro. Non c’è alcun motivo per risolvere il problema della guerra mettendo assieme la moneta e non gli eserciti, si doveva mettere insieme gli eserciti e non la moneta. Dovremmo riappropriarci della logica.

CRONACA N.267 (28.07.15)

Fa rumore il documentino su i consigli per l’Italia dell’IMF (una veloce presentazione qui). Ecco allora Filippo Taddei, professore alla John Hopkins University e responsabile economico del Pd: “L’intero mercato è destinato a cambiare e con esso anche la mentalità dei lavoratori italiani. Dobbiamo abituare la gente che l’istruzione sarà molto più lunga e costosa, le assunzioni a tempo indeterminato molte di meno, i tempi di lavoro più lunghi, i pensionamenti verranno posticipati. Le riforme non hanno solo un fine economico, ma anche e soprattutto sociale perché servono a modificare la mentalità lavorativa degli italiani“. L’articolo dell’Espresso da cui è presa la dichiarazione di questo individuo, segnala che l’IMF ha segnalato con forza di implementare lo “wage supplementation scheme” (salario decorrelato dal lavoro). Alla fine aggiunge: “Secondo la rivista americana The Atlantic, è inevitabile, infatti, dover iniziare a pensare che si andrà sempre di più verso una situazione in cui il numero di lavoratori “umani” diminuirà e quindi minori saranno anche le assunzioni. Una ricerca di economisti americani recentemente pubblicata sulla rivista mostra come la diffusione sempre maggiore di macchinari automatici nel mercato globale stia drasticamente abbattendo i costi del lavoro e limitando di conseguenza lo spazio per gli uomini , che sono destinati ad occuparsi di mestieri più flessibili e a breve termine.“. Visto che a Taddei piace tradurre l’IMF, ci dica come traduce “wage supplementation scheme”.

CRONACA N.266 (28.07.15)

In questo articolo, si cita uno dei tanti, inutili, warning che la comunità scientifica dà ai politici sulle cose da non fare. Nel caso specifico, lo sviluppo dei sistemi d’arma basati su AI. Il punto è che l’evoluzione dei sistemi d’arma, da quando si è inventato l’arco, è quello di mettere sempre più distanza tra il colpitore ed il colpito. Il processo è arrivato a mettere una distanza tale che alcuni ragazzotti esperti in videogiochi, in qualche sotterraneo refrigerato nel sottosuolo USA, guidano droni che fanno stragi al torrido sole del Medio Oriente. Non si vedono gli occhi del nemico, non si sentono le urla, l’altrui morte non lascia tracce emotive ed anzi rappresenta uno score. Le vittime collaterali (i civili), neanche quello. Poter avere sistemi d’arma privi di coscienza ma intenzionalità, sarebbe il massimo. Il rischio paventato è che, una volta che la macchina non è più legata ad una interfaccia umana, una volta che può “decidere da sé” il rischio di perderne il controllo diventa esiziale. La nostra precedente Cronaca 256 chiudeva la notizia sul protrarsi costoso ed inconcludente del programma F35, chiedendosi cosa mai avesse dato il via ad un progetto “apparentemente” così dissennato. La risposta è che solo gli ingenti investimenti militari permettono l’esplorazione dell’ignoto, nel caso, la digitalizzazione di tutte le funzioni uomo-macchina ovvero pilota-aereo, ovvero grandi passi in avanti nello sviluppo dell’AI delle macchine da guerra. Tra l’altro, è facile che alcune ricadute di questa ricerca empirica, ce le ritroveremo a casa come fedeli robot di assistenza domestica. Non so se avete notato la perdurante operazione simpatia compiuta su i droni. Oggi svolazzano su concerti, danno vedute panoramiche, ci porteranno i libri di Amazon bussando alla nostra finestra, servono anche a controllare incendi o incidenti dall’alto. Si potranno anche fare selfie da più in là che di là non si può immaginare quando usciranno le versioni pocket. Quanto a gli scienziati, la loro cattiva fede e mancanza di etica è ben nota. “Noi volevamo solo creare qualcosa di utile per l’umanità“, già magari la propria. Qualche stipendio fuori-scala, notorietà, partecipazione a gli utili di qualche scoperta, magari una cattedra, consulenze, macchine, belle donne, vacanze di sogno… . Aristotele non avrà capito un tubo di cosmologia ma queste cose, un filosofo, non le avrebbe fatte. Vale il noto slogan dei pneumatici: La potenza (intellettuale) è nulla senza controllo.

CRONACA N.265 (28.07.15)

Effetti dell’inversione di potenza e turbamento delle condizioni iniziali. La Grecia aveva posto il problema dei danni di guerra subiti dalla Germania. Ora pare che anche l’India stia discutendo di chiedere al Regno Unito i danni per la colonizzazione. Chissà se vero o no, anche la Duma russa, starebbe discutendo di aprire una procedura verso la Germania per via dell’invasione nazista. Siamo costretti ormai ad avere a che fare estensivamente e continuativamente gli uni con gli altri. Questa è  relazione. La relazione tra stati si basa secondo K.Waltz su unità del tutto omologhe quanto a diritto, in un ambiente del tutto privo di regole sistemiche, una anarchia. Tradotto, il mio diritto vale il tuo, siamo in una relazione orizzontale. Quelle che erano nazioni subalterne, non solo stanno crescendo in potenza relativa ma in alcuni casi, stanno anche superando la posizione dei vecchi padroni. Collante di nazioni in rapida crescita e trasformazione è spesso il nazionalismo. Ci si accorge, inoltre, che l’aver subito un qualche stupro storico non è solo un danno da riparare in sé in base al semplice principio della giustizia di reciprocità, è anche una precisa distorsione delle condizioni “in potenza”, delle condizioni iniziali da cui parte ogni successiva evoluzione. Ne consegue che la moda di eccitare i nazionalismi interni o anche solo giustificare alle proprie popolazioni che si farà il possibile ma bisogna ricordarsi che si parte danneggiati per colpa di cause esterne, potrebbe diffondersi. Al di là degli effetti pratici che saranno nulli, non nulli saranno invece gli effetti culturali. Gli occidentali hanno un voluminoso registro di stupri storici da scontare. Quale sarà, sul piano culturale e politico, l’effetto di questa possibile vasta “imputazione” di colpe? Cosa penseranno del proprio modello di sviluppo gli occidentali qualora fossero estensivamente chiamati a dar conto delle basi di violenza, rapina e stupro su cui si è costruito ed affermato?

Ad esemplificazione di quanto detto, allego questo esempio di argomentazione indiana (qui). Segnalo la fine: “Two hundred years of injustice cannot be compensated for with any specific amount.I, for one, would be happy to accept a symbolic pound a year for the next two hundred years, as a token of apology.” Immaginatevi allora che ogni anno, con trombe e fanfare e davanti a tv satellitari con copiosi rilanci su Internet, l’emissario britannico, a capo chino, venga ricevuto dal Presidente dell’India (che sarà immagino su una pedana che ne eleva lo status) per consegnare il suo pound riparatore. Per duecento anni.

CRONACA N.264 (28.07.15)

Fassina scrive sul blog di Varoufakis e questo è già un bel segnale. Alle élite eurocratiche va opposto qualcosa di contrario che però dovrebbe avere anche una certa simmetria relativa. Nel senso che le élite si coordinano a livello sovranazionale e così dovrebbero fare coloro che a loro si oppongono. L’europeizzazione della crisi greca è uno dei meriti chissà se voluti intenzionalmente o meno, della scelta referendaria e di tutto ciò che ne è conseguito. Secondo il nostro bisogna andare verso “il superamento concordato della moneta unica“. Come? “...dobbiamo costruire un fronte ampio a partire dalle forze progressiste della “periferia” mediterranea dell’eurozona per il superamento concordato della moneta unica.”. Fronte delle forze progressiste della “periferia” mediterranea europea? Questa direzione ci piace.

CRONACA N.263 (27.07.15)

La Cronaca 260 è stata pubblicata qui, a commento dell’articolo originario di Berardi che i più anziani conoscevano come “Bifo”. Ora, il nostro commento o l’originaria cronaca non erano specifici sul problema della riduzione oggettiva del lavoro in quanto riduzione oggettiva delle necessità di avere lavoratori in carne ed ossa (ma la questione è più ampia come si dovrebbe evincere dal mio articolo linkato di un po’ di tempo addietro), bensì sull’atteggiamento che si ha nei confronti del problema. Sintomatici allora appaiono i commenti che ad ora (12.00 del 27.07) si trovano su Megachip: 1) argomento ad hominem (chi dice a,b,c è cattivo, malvagio, stupido, sciocco etc., quindi ciò che ha detto non merita considerazione). Ora, io non sono Berardi che vedrà se difendere la sua onorabilità di commentatore o meno. Nel mio caso, iniziai a lavorare a 20 anni come fattorino di una impresa privata di circa 35 persone. Rispondevo ad una segretaria-capo che dirigeva un reparto di segreteria di altre 5 ragazze. Eravamo quindi in 7. Andavo in banca, alle poste, compravo cose di cancelleria etc. Le segretarie battevano a macchina, con carta velina per produrre diverse copie, archiviavano la corrispondenza ed i documenti, facevano lunghi telex etc.. Oggi il mio vecchio lavoro non c’è più, c’è l’home banking, le mail e direttamente con il computer o con il telefonino, manager e dipendenti si fanno le cose da soli, anche il consumo di cancelleria si è fortemente ridotto (con conseguenze su i produttori di cancelleria). Non c’è più neanche il telex e la carta velina e neanche le macchine da scrivere (con relativo impatto negativo su queste aziende produttrici) sostituite dal word processing, non ci sono più grandi archivi materiali e non c’è più il lavoro almeno di 4 di quelle sei segretarie. Bilancio, -5 posizioni di lavoro. Anche il bar in cui io e quelle ragazze andavamo a mangiare alla pausa pranzo ha cinque clienti quotidiani in meno. Nella contabilità generale del lavoro italiano, sostituite con quali nuovi tipi di occupazione in Italia? Nessuno. 2) argomento il lavoro socialmente utile può sostituire il lavoro alienato che scompare. Non dubito della necessità di aumentare il primo ed anche a prescindere dalla diminuzione del secondo. Dubito che la contabilità generale delle ore lavorate per quanto sopra detto (che può trasferirsi a molti campi e settori) richiederà di nuovo 8 ore giornaliere per cinque giorni per 48 settimane l’anno. C’è qualche mezza tonnellata di statistiche in merito su cui basarsi prima di esprimere libere opinioni, libere anche dall’ancoraggio con la realtà concreta. La nevrosi della Sindrome di Stoccolma è inesorabile… .

CRONACA N.262 (27.07.15)

downloadwDal 4° capitolo di Nessuno controlla il mondo, di Charles A. Kupchan (2013): Primi cinque paesi per Pil – 2010: USA, Cina, Giappone, Germania, Francia – 2050: Cina, USA, India, Brasile, Russia (fonte Goldman Sachs, IMF). Pil BRICS pari al Pil di tutto l’Occidente entro 2030. Popolazione mondiale in crescita, popolazione europea e giapponese in decrescita. Mano d’opera India+Cina 2025, 1.800 milioni di individui. Percentuale di stranieri che consegue il dottorato negli USA: 60% ingegneria, 48% fisica. Primo paese per pubblicazioni scientifiche oggi: la Cina. Enjoy the future!

CRONACA N.261 (27.07.15)

L’adattamento all’era complessa richiederebbe almeno due cose, importanti ed entrambe molto difficili. La prima è l’allargamento, cospicuo, della platea delle persone che sanno di ciò di cui stanno parlando. La media conoscenza è rappresentata dallo scambio di concetti irrelati ed irrealistici e questo non giova né alla presa di coscienza, né allo sviluppo del discorso pubblico, condizioni preliminari affinché la democrazia possa essere veramente il modo migliore per prendere le comuni decisioni. La seconda è proprio la vigilanza consapevole sulla natura dei concetti. I concetti sussumono mondi molto complessi in un unico termine, ad esempio, in economia, “stato” o “mercato”. Continuare a discutere se è meglio lo stato o il mercato è come discutere se il mondo è bianco o nero. Il mondo è policromo, così ci sono faccende economiche che non possono che essere condotte secondo logiche pubbliche o comuni ed altre che non possono che esser condotte secondo logiche di mercato. Dovremmo discutere quali nel caso A e quali nel caso B e poi dettagliarne le condizioni: pubbliche o comuni? pubbliche come? comuni come? e per quelle di mercato, mercato come? e con quali protezioni sociali per i naturali fallimenti del mercato? Le idee vanno relate alle cose altrimenti si crea uno strato di chiacchiere simboliche (io sono “socialista”, io sono “liberista”, io sono “bene-comunista” ovvero il gioco dell’esibizionismo identitario) distante e irrelato dallo strato delle cose che sono, che continuano ad essere secondo loro inerzia, indifferente al trambusto del chiacchiericcio.

CRONACA N.260 (26.07.15)

F. Berardi (qui) non è il primo e non sarà l’ultimo (solo negli ultimi giorni, ad esempio, P. Mason – qui) a parlare della “fine del lavoro”. Noi, che non siamo cool come Berardi, lo facemmo tre anni fa (qui) e più volte ci siamo tornati su. Ma anche noi non siamo stati i primi e come si  è verificato, gli ultimi. Nel nostro articolo, ricordavamo che, forse il primo fu Keynes, che non leggeva fatti ma in base ad un potente e razionale impianto cognitivo, faceva previsioni, previsioni a cento anni, previsioni che si sono avverate prima dei cento anni. Il punto della questione che ci preme sottolineare non è però la cosa in sé che per noi è scontata, quanto la reazione alla cosa in sé. L’ordinatore delle nostre società, il nostro contratto sociale, è il lavoro. Sul lavoro si fa profitto, col lavoro si producono cose da vendere-acquistare, il lavoro è retribuito in modo da acquistare le cose prodotte. Questa triangolazione di posizioni, struttura il nostro vivere associato. Quando, come si verifica ormai da tempo, questa triangolazione non funziona più, si fa sempre meno profitto (tant’è che alla economia produttiva subentra l’economia finanziaria); si producono sempre più cose in meno persone e si producono sempre più servizi invece che cose (si disintegrano le catene distributive e si aggirano i limiti delle forniture materiali necessarie alle produzioni, smaterializzandole); si compra con sempre più difficoltà (perché i poteri d’acquisto scendono mentre la disoccupazione sale); si manifesta la reazione che c’interessa. La reazione si compone di: a) rimozione ovvero tutto ciò è solo un momento passeggero, tornerà la crescita e l’ordine dinamico che ha da sempre (in realtà solo da due secoli scarsi) organizzato il nostro vivere associato; b) razionalizzazione intellet-tualizzazione ovvero è tutta colpa dei banchieri che hanno espropriato l’economia produttiva del suo ruolo (quindi fede nella reversibilità dei processi); c) negazioneovvero è possibile tornare alla piena occupazione magari con le produzioni di stato (va molto anche la sovranità monetaria). Ve ne sono anche altri ma tutti convergono in quel paradigma psicoanalitico che è l’individuazione dei meccanismi di difesa che spesso portano a diagnosi di nevrosi. Il punto è che tanto l’ideologia dominante positiva (la varie formazioni ideologiche aggregate intorno al concetto di capitalismo) quanto quella dominante negativa (le varie declinazioni del socialismo – comunismo), con la perdita del triangolo, perdono la loro stessa consistenza, quindi negano attivamente questo fatto che pregiudica la loro stessa ontologia. Colpisce, non tanto le reazioni dei profeti della crescita (reazione scontata), quanto quella di coloro che invece dovrebbero sentirsi felicemente liberati dal dovere del lavoro. Certo, si pone il problema del reddito o più che altro della soddisfazione dei bisogni primari, ma invece che affrontare questo (dal reddito di cittadinanza alla più strutturale e necessaria redistribuzione del minor lavoro a tutti o altro), accendendo un vivace dibattito sulle possibili soluzioni e conseguenti lotte per metterle in pratica, si dileggiano i profeti di sventura. Reddito di cittadinanza, redistribuzione a tutti del minor lavoro, decrescita, sono ostracizzate da sindacati, comunismi vari, giuslavoristi, aedi del proletariato, cultori del dogma antropologico dell’homo laborans (hegeliani e marxisti, in genere), economisti anche non conformisti, molti sociologi,  inconsci devoti della fede nel “lavoro rende liberi”. Tutte posizioni esistenziali coinvolte nell’identificazione con l’aggressore (Sindrome di Stoccolma) o dipendenti socialmente dall’oggetto che sta scomparendo. La cosa in sé, invece, è un fatto, un semplice fatto sempre più auto-evidente ma tanto più si tarderà a prenderne coscienza, tanto più si patiranno gli effetti del suo venire meno.

CRONACA N.259 (25.07.15)

Nuova puntata del film “E’ sempre tutto più antico di quanto pensavamo” che tiene da tempo cartello nel cinema della paleoantropologia. I Lomekwiani (lago Turkana – Kenya) di 3 milioni di anni fa sarebbero i primi homo habilis? (qui)

CRONACA N.258 (25.07.15)

Due brevi ma interessanti articoli dal blog dello storico ed analista geopolitico indipendente, Florian Pantazi: (qui) sull’Unione dei paesi euro-latini e (qui) sulla ipotesi di una Dexit invece di una Grexit. In queste secondo si segnalano sei link ad altrettanti articoli che hanno variamente argomentato questo punti di vista.

CRONACA N.257 (25.07.15)

A proposito del nostro main article della settimana, “Tra l’Europa impossibile e la nazione impotente” (che trovate anche qui), in cui si prospetta una “unione dei latini”, in una intervista al corrispondente da Roma di Le Monde, Romano Prodi, ha dichiarato: “

Le couple franco-allemand peut-il être encore le moteur de l’Europe ?

Non. Non, parce que ce moteur est complètement déséquilibré. L’Allemagne dispose de plus de puissance, de plus de cylindrée ; en comparaison, la France paraît bien plus faible. Or, les moteurs ne peuvent pas fonctionner de cette manière. Il y a un an, j’ai proposé une plus grande collaboration entre l’Italie, la France et l’Espagne, dont les intérêts sont identiques. Mais cette idée n’est pas encore politiquement mûre. Malheureusement, la confiance manque. Chacun veut se croire le maître de l’autre !

In traduzione approssimativa:No. No, perché questo motore è completamente sbilanciato. La Germania ha più potenza, più capacità; in confronto, la Francia sembra molto inferiore. Ora, i motori non possono operare in questo modo. Un anno fa, ho propostouna maggiore collaborazione tra Italia, Francia e Spagna, i cui interessi sono identici. Ma questa idea non è ancora politicamente matura. Purtroppo, la fiducia (reciproca?) manca. Ciascuno vuole credersi il maestro dell’altro ! (qui, l’intera intervista).

CRONACA N.256 (25.07.15)

Il programma Lockheed F35, si presenta come un clamoroso fallimento da complessità (qui). Con un software da 30 milioni di linee di codice, il caos da numero di variabili in interrelazione è praticamente certo. Chissà quali dinamiche hanno portato alla creazione di un progetto così dissennato…

CRONACA N.255 (25.07.15)

Segnali. Il governo indiano vorrebbe sottomettere la propria banca centrale (qui) per coordinare la politica monetaria alle necessità economiche del Paese. Quando i metasistemi (banco-finanza-sistema economico internazionali) non funzionano a dovere, i sotto sistemi (le nazioni) tendono a riacquisire autonomia. Il Villaggio sarà sempre più globale ma le tribù hanno ripreso a far feste per conto loro.

CRONACA N.254 (24.07.15)

Questo spazio tratta raramente questioni di politica interna italiana. Recentemente, in qualche post, qui o su facebook, ho citato Renzi come “l’incompetente di Firenze” e sottolineando la pericolosità delle false analogie quale quella che ha promosso lo stesso Renzi con lo slogan del “Sindaco d’Italia”. Le stesse accuse sono oggi mosse da Della Valle sul Fatto (qui). Della Valle ha le sue intenzioni e motivazioni e non lo cito certo perché lo ritenga un maitre à penser, sebbene, ad esser onesti, mi sia trovato più di una volta, in passato, d’accordo con sue espressioni. Il fatto però è che Della Valle esprime in genere pensieri largamente diffusi in una certa élite e questa élite dice, tramite Della Valle, che è preoccupata non solo della sua bulimia di potere ma ancorpiù della sua manifesta incompetenza a gestire cose più grandi lui. Il Renzi invisibile di Bruxelles, quello che fa tardi perché doveva salvare l’Europa, quello che sbrodola davanti a Netanyahu, quello che adesso si re-inventa la detassazione della prima casa, quello che non ha una benché minima idea di politica economica, quello che non affronta il problema del mezzogiorno e della delinquenza organizzata, quello che si circonda di belle statuine, quello tutto tattica e battute, il Renzi che armeggia coi Verdini. Questo Renzi preoccupa ormai un po’ tutti ed il tasto dell’incompetenza è forse quello che perfora meglio la sua debole corazza d’immagine.

CRONACA N.253 (23.07.15)

Torniamo ad occuparci di mondo. Nel mentre i jap stanno facendo contorsioni costituzionali per rivedere l’articolo 9 che è quello che impedisce all’esercito giapponese di uscire dai propri confini, si sono comprati il Financial Times. Si può dunque prevedere che, in un modo o nell’altro, renderanno sconsigliati gli investimenti in Cina?

CRONACA N.252 (20.07.15)

Cosa ne pensa un economista indiano (l’indianità, trattandosi di faccende europee è quantomeno pre-requisito di posizione super-partes), ex membro influente dell’IMF, della crisi dell’euro? (qui)

CRONACA N.251 (20.07.15)

Non c’è più l’euro di una volta….: ieri sera, andando sul Sole24, sulla main page, ho contato: un articolo breve ma significativo di Guido Rossi che nota quello che avevamo già sottolineato ovvero che il Trattato di Maastricht è del 1992. Già inchiodare una moneta (che di per sé è concettualmente un elastico) ad un pezzo di carta è scriteriato, quando poi il pezzo di carta è stato scritto ventitrè anni prima, finiamo fuori dei requisiti minimi del buonsenso. A prescindere poi dal contenuto che, dice Rossi, ha creato “una sorta di bazar amministrativo, centralizzato e dominato sia da qualche Stato membro, sia soprattutto dalle opache strutture del Mercato finanziario globale“. Segue un Luca Ricolfi che argomenta in favore di una riscrittura dei trattati che almeno preveda l’ovvio, ovvero una clausola di rescissione concordata. Un certo Paolo Pombenii si domanda se la Germania è in grado di portare fino in fondo il suo ruolo di egemone o se con il “merkiavellismus” è giunta al suo massimo livello di incompetenza. Nel trionfo del punto interrogativo, s’infila furtivo Fassino (Anci) che lancia l’idea di stracciare i Patti di stabilità. Insomma, gli amici che in questi anni hanno condotto solitari ed a volte derisi, la battaglia contro il totem monetario, possono sorridere. Il concetto -euro- e quello assai più nebuloso di -Europa- sono entrati in una crisi ontologica. Ogni sonno dogmatico porta al brusco risveglio. E’ il momento di discutere il “che fare?”.

CRONACA N.250 (19.07.15)

Qui si nota, giustamente, la “strana” dichiarazione di Obama sulla serietà e spirito fattivo di collaborazione, riconosciuti pubblicamente ai russi sulla questione iraniana e non solo. Ho più volte sostenuto che, ad esempio nel caso del casino medio-orientale-Isis, l’amministrazione Obama forse non era né del tutto informata, né del tutto d’accordo con quello che stavano facendo servizi, militari, amici di McCain e varie lobbies repubblican-sioniste. Più difficile immaginare lo stesso schema per la faccenda Ucraina e del tutto improbabile riproporlo per la scia di piccole tensioni con la Cina. Eppure, forse, decisioni prese sotto una certa forzatura e con relativa convinzione (nonché mancanza di un Piano B, concetto che oggi va tanto), forse, oggi possono rivelarsi a gli occhi dell’amministrazione come dei potenziali errori. La Russia non se la passa poi così male, ha stretto alleanza di ferro con la Cina, i BRICS vanno avanti coi loro piani di banche-fondi alternativi, né il Tpp, né il Ttip verranno firmati prima della fine della presidenza attuale e forse non verranno firmati mai, gli europei si stanno dimostrando un tale casino incoercibile che la strategia di isolarli dai russi suona un po’ come wishful thinking di qualche ragazzotto analista di think tank washingtoniani e tra l’altro hanno tutti aderito in massa alla nuova banca per lo sviluppo cinese. Insomma, il progettino del Risiko per il futuro del mondo, disegnato dagli strateghi USA sembra far acqua da tutte le parti. Caso di fallimento per incompetenza oppure oggettiva mancanza di alternative?

CRONACA N.249 (19.07.15)

Da qualche parte o in queste cronache o negli articoli, dovrebbe esserci una mia ipotetica scommessa sul fatto che il Ttip non sarebbe mai stato firmato. La rilancio oggi, per aggiornamenti, qui.

CRONACA N.248 (19.07.15)

Cresce la pressione da doppio vincolo a cui è soggetta l’unità del sistema euro. Portavoce di Schaeuble è costretto a smentire possibili dimissioni del ministro (qui), dopo che la fronda contraria all’accordo con i greci è cresciuta nella CDU (qui). Simmetricamente, dopo che Varoufakis (il simmetrico-contrario di Schaeuble) si è dimesso, la minoranza di Syriza si pone ai margini della coalizione, forse, con l’intento di uscirne e scontando l’eliminazione dei suoi ministri. Su posizioni no euro, in Germania c’è poi un altro poco meno del 5% di AfD (ma il dato è 2013, alle Europee del 2014 ha preso poco più di 7%) così come c’è un poco più del 5% in Grecia (KKE+Antarsya).

CRONACA N.247 (19.07.15)

Continuano ad emergere prove del modello paleoantropologico c.d. a cespuglio ovvero fasi iniziali di grande pluralismo di specie che poi, nel tempo, si sfoltiscono fino a convergere in una corso principale. Questo modello, si riscontra come logica, come struttura della espressione naturale, in molti casi (dalla genetica, al funzionamento cerebrale) e può esser compendiato con l’idea che la natura agisce tramite una dialettica che in un primo tempo propone molto ed in un secondo dispone scegliendo un corso principale scegliendolo da una vasta offerta. Concettualmente, questo inverte la credenza logico-matematica per la quale dall’Uno proviene il Molteplice. Sembrerebbe cioè, l’esatto contrario.

CRONACA N.246 (18.07.15)

Il dibattito “Tsipras traditore del voto referendario o no?” si basa sull’interpretazione del significato del voto. Finalmente possiamo basarci su una indicazione un po’ più concreta che non le nostre proiezioni di opinione su i fatti, possiamo cioè farci una idea intorno ai fatti. Ecco infatti una ricerca ex-post sulla composizione del voto referendario condotta da un istituto greco (qui).  Si potrebbero fare delle considerazioni di rifinitura del giudizio finale su metodo di ricerca, affidabilità delle dichiarazioni spontanee, vergogna e dissimulazione delle dichiarazioni ma, come vedremo, il risultato finale della nostra deduzione è talmente largo che le rifiniture non ne sposterebbero il significato.

I risultati: la ricerca espone percentuali assolute e non indici di concentrazione. Ciò significa che sappiamo che, ad esempio, che hanno votato NO il 20% degli elettori del Gennaio 2015 di Neo Demokratia (centro) ed il 87% degli elettori del KKE (comunisti). Ma attenzione, se pensate di trarne l’idea che i NO sono stati molto più comunisti che non centristi sbagliate perché l’universo dei primi è cinque volte più grande di quello dei secondi, per cui i primi sono circa 350.000 mentre i secondi sono stati 294.000. Vediamo allora cosa dicono questi risultati a grandi linee.

– Il pacchetto istituzionale (CD-CS) ovvero gli elettori di Neo Demokratia (C/CD), to Potami (C) e PASOK (CS) ha pesato per un 8,4%. Quindi del 61% di NO, 8,4% è pervenuto da elettori partiti istituzionali. Non è certo, ma molto all’ingrosso si potrebbe escludere che costoro volessero dare un significato radicale al proprio voto. “Radicale”, qui, sta per “fuori dall’euro”. Tolti loro rimangono gli altri 53%.

– I due partiti di destra, Alba dorata (D) ed ANEL (D/CD) (al governo con Syriza), hanno portato un 9.1%. Non abbiamo analisi sulla composizione sociale di questi elettorati però possiamo dedurre con slancio ipotetico-empirico che sia nei primi che nei secondi, grossomodo, le fasce basse equivalgano a quelle medie (escludendo quelle medio alte ed alte). Le posizioni distinguenti dei primi sono infatti nazionalistiche/anti-immigranti etc. mentre quelle dei secondi sono nazionalistiche-euroscettiche sommando quindi il disagio di fasce basse e medie/medio-basse (piccoli commercianti, agricoltori et varia). Molto ipoteticamente, solo la metà dei rispettivi elettorati (con molta generosità) potrebbero esser conteggiati come radicali (fuori dall’UE, euro). Se così fosse, saremmo ad un 49%.

– Da questo 49% andrebbero ancora sottratti quegli elettori di Syriza che non possono dirsi radicali. Syriza ha vinto le elezioni di cinque mesi fa con il 36.3 % dei voti. Un exploit incredibile che ha aggiunto un terzo in più alle stime di voto di meno di un anno prima (Aprile 2014). Molti analisti addebitano in questo terzo in più, l’affluenza di grande parte dell’elettorato storico socialista (PASOK). Questo non ci permette di dare cifre ma con metodo ipotetico-deduttivo si può dire che tra il 10 ed il 15% non seguirebbe, forse, una eventuale posizione “fuori dall’euro”.

– L’ultima affermazione riscontra con un’altra ricerca PI (qui) del Febbraio 2015, in cui i favorevoli all’euro erano 73% contro 20%. Questo dato è un po’ aleatorio ma ha anche una sua consistenza storica (opinioni oscillanti ma non molto sin dal 2011) sebbene sia solo una opinione. Alla prova concreta dei fatti e sotto il diluvio della guerra dell’informazione che accompagnerebbe una simile campagna elettorale è da vedere come si ricomporrebbe l’elettorato.

– Concludiamo ricordando che la formazione di sinistra alternativa a Syriza, Antarsya, formazione che potrebbe unirsi alla sinistra di Syriza qualora questa uscisse dalla coalizione, ha raccolto lo 0.7% alle ultime elezioni di Gennaio 2015 sebbene sia composta da una collezione di ben dieci formazioni di vario genere. Sul peso della sinistra di Syriza, Piattaforma di sinistra, si possono solo fare ipotesi. E’ mia opinione, potrebbe -al momento- pesare tra il 10 ed il 15% dell’elettorato nazionale, con una certa generosità.

Conclusione: non sembra proprio possibile interpretare il voto referendario come una indicazione chiara di volontà radicale di rottura con il sistema dell’euro e dell’Europa. Con una certa approssimazione si può dire che euro sì sia 66% vs 33% con euro no. Tsipras che è un politico di una certa consistenza ed intuizione e stante che dirige la litigiosa e multiforme coalizione di Syriza dal 2008 (da quando aveva 33 anni), sa quale siano i margini di manovra dei grandi numeri degli elettori e della società greca. Ricordo che in linea generale, il politico ha una certa elasticità per cui se ci fosse una solida maggioranza in senso contrario non faccio fatica ad immaginare un Tsipras improvvisamente barricadiero, così come non faccio fatica ad immaginare un Tsipras riformista. Concludo, segnalando ai meno giovani che hanno avuto esperienza politica che buona parte di Antarsya e della sinistra Syriza è trozkista (chi sa, capirà…).

> La ricerca in oggetto l’ho tratta da questo articolo – Stavros Mavroudeas is a Professor of Political Economy in the Economics Department of the University of Macedonia riportato dal blog Politica & Economia del prof. Sergio Cesaratto. Le percentuali esposte potrebbero essere inesatte di qualche 0,x poiché i dati di voto politico sono riferiti alle elezioni Gennaio 2015 che aveva un universo di voti validi di 6,1 milioni mentre quello del referendum era di 5,8 milioni. Un’altra ricerca dello stesso istituto a Giugno 2015 su i temi “euro-dracma” (qui). L’universo votante è circa due terzi della popolazione, è quindi da vedere cosa succederebbe in un possibile referendum “euro si – euro no” perché la questione potrebbe mobilitare più che non voti “politici” e non è detto che le percentuali di coloro che di solito si esprimono corrispondano proporzionatamente a quelle di coloro che non si sono, finora, espressi. 

CRONACA N.245 (17.07.15)

Lunga e molto interessante intervista su Jacobin a Stathis Kouvelakis docente di political theory at King’s College London, membro del comitato centrale di Syriza e della Piattaforma di sinistra che sta meditando la rottura con Tsipras (qui). Ai lettori, si ricorda che la formazione politica Antarsya, citata nell’articolo come possibile partner nella costruzione di un nuovo soggetto politico di sinistra è a sua volta una coalizione di una decina di sigle che ha ottenuto 40.000 voti alle ultime elezioni (o,64%). Sulla consistenza invece di Piattaforma di Sinistra (interna a Syriza) non si hanno dati se non il voto recente contrario all’accordo di Bruxelles che ha raggiunto poco più del 50% dei rappresentanti dell’organizzazione. Ma l’organizzazione potrebbe, a sua volta, non riflettere precisamente l’elettorato dello scorso Gennaio.

CRONACA N.244 (17.07.15)

Euclid Tsakalotos, il Ministro delle Finanze greco che ha sostituito Varoufakis, nel dibattito parlamentare dell’altro giorno ha citato il famoso scambio tra Nixon e Zhou Enlai dove il primo chiedeva all’altro una valutazione sulla Rivoluzione francese sentendosi rispondere dal cinese “…è presto per dirlo”. ET ha forse esagerato nell’analogia poiché non sembra che Tsipras abbia preso alcuna Bastiglia e se c’è stata una testa che ha rischiato di rotolare, questa è stata proprio la sua ma può esser interessante provare a dargli credito e domandarci: cosa voleva dirci?

Il dato forse più interessante tra i molti, della vicenda greca, è il già segnalato ed inedito portare in piazza gli arcana imperii del potere (l’espressione che dice dei -misteri del potere – è ripresa da Bobbio che vi fece su molte interessanti considerazioni). Faccende al solito seguite da pochissimi e con scarne informazioni, oggi sono di pubblico dominio e ciò comporta che gli attori sono più vincolati nel loro agire perché giudicati dalle opinioni pubbliche, così come il loro combattere pubblico dà molte più informazioni.

Scopriamo così, l’importanza della variabile tempo, in politica. I cinque mesi di inconcludenti trattative, il cappio dell’interruzione dei flussi BCE per far premere il tempo contro la libertà di trattativa del governo greco, la necessità dell’eurocrazia di uscire con un accordo un minuto prima dell’apertura dei mercati di lunedì, l’imprevidenza di Tsipras ad andare ad una trattativa del genere senza il fatidico “piano B” per comprare tempo, il congelamento della crisi di Syriza che si screpola ma, al momento, non si spacca, l’allusione di Tsakalotos al “ride bene chi ride ultimo”. Il vincolo valido per tutti della scadenza del prossimo lunedì. Sebbene i giornali facciano una grande confusione su tutta la vicenda, il default greco sarebbe scattato sempre e solo il 20 Luglio perché sarebbe stata la non restituzione della rata del prestito BCE a farlo scattare.

Già segnalammo che uno degli effetti del referendum greco, sul piano interno, è stato la desertificazione dell’opposizione. Il vero fronte alternativo al governo, ND-Pasok-To Potami, nonostante il controllo degli ambienti che contano e del quarto potere, ha avuto un violento impatto contro un duro muro eretto da quasi due terzi del Paese, banche ed economia paralizzata incluse. In assoluto, il primo obiettivo della strategia eurocratica era quello coltivato dalla coalizione PPE-PSE che domina ovunque e che si sente insidiata da sinistra, da destra e dai “populismi” ovvero distruggere la prima esperienza concreta di una possibile alternativa politica. Il togliere dal gioco ogni possibile alternativa al governo di Syriza (poiché l’alternativa a Syriza non c’è), ha invalidato ogni possibile esito di quella volontà. In questi giorni, la stampa greca e leader quale quello di To Potami, convengono che l’unico vero leader politico del Paese è e rimane Tsipras. L’alleato di governo, ANEL, che sembrava ritirarsi sdegnato ci ha ripensato ed ha votato compatto per il SI all’orrendo accordo.  Tsipras quindi ha segnato nel primo tempo respingendo i potenti avversari ma ha poi dovuto subire pesanti rovesci nel secondo tempo laddove ha firmato l’accordo. Ma questo secondo tempo, per gli avversari, ha portato solo un pareggio, Tsipras è ancora lì e non sembrano esserci alternative. Per quel che conta, anche la stampa e la politica europea sembrano aver mutato atteggiamento dopo il “pagliaccio” ed i sorrisetti di superiore comprensione che tributavano al parvenu scravattato di Atene.

Si spiega così anche l’atteggiamento della minoranza della pattuglia parlamentare (maggioranza del comitato politico) di Syriza. Sempre e solo parole di miele per Tsipras, “comprensione” per le condizioni che ha subito, certo anche critica politica ma abbastanza onesta e più che motivata ed alla fine la più che comprensibile decisione di non apporre la firma all’obbrobrioso accordo. Ma ora che succede? Tsipras sta prendendo tempo perché molti tra coloro che pur hanno votato contro non ha rimesso il mandato, hanno solo detto che “sono a disposizione”, cioè deve essere Tsipras a decidere.

La minoranza parlamentare (il centro destra-sinistra greco) è costretta, per evidenti ragioni, a votare le misure dell’accordo prendendosene tutte le colpe e nessun beneficio. La minoranza di Syriza sa che se dovesse cadere il governo, il nuovo che sarebbe “tecnico” avrebbe magicamente un’ammorbidimento delle condizioni imposte dimostrando così che ciò che i greci e tutti gli altri non si possono davvero permettere, non è il debito ma un governo alternativo all’asse PPE-PSE. Né la minoranza, né la magggioranza di Syriza, né possibili futuri alleati per la guerra d’Europa (Podemos), avrebbero più prospettive politiche concrete per molto tempo a venire.

Ma potrebbe esserci anche dell’altro. E’ chiaro a tutti il disastro politico che la Germania ha combinato rispetto al concetto d’Europa, della sua governance, dell’euro stesso, delle alleanza di potere fratturate tra nord e sud. Comincia ad essere anche chiaro a molti il nuovo ruolo dell’IMF ed è palese l’interessamento concreto mostrato dagli USA per la vicenda. Analoghe considerazioni possono valere per il più remoto interesse dell’establishment internazionale. La stessa BCE sembra assumere posizioni proprie. Con facilità verrà concesso il raddoppio del periodo di grazia, trattasi solo di “tempo”, i crediti-debiti rimangono in bilancio e quindi non c’è problema per nessuno, si farà. Molto più complicato il nodo del taglio (non ristrutturazione) del debito, taglio su cui si è espresso addirittura Draghi che vede la concreta possibilità di accrescere i poteri della banca centrale (naturalmente i vermi di Repubblica-Corsera hanno arruffato nei loro articoli un o periodo di grazia o ristrutturazione ma nei documenti IMF non c’è “o-o” ma “e-e” e non c’è “ristrutturazione” ma “taglio” (haircut)). L’unica soluzione possibile è infatti portare il debito nel bilancio BCE e far assorbire a questa il taglio. Non c’è alcuna soluzione furbetta come quella ipotizzata da Schaeuble (cambiali greche che diventerebbero, nei fatti, una pre-dracma), non c’è alcuna “ristrutturazione” che possa fare quello che deve fare un taglio e senza taglio l’IMF non ci mette i soldi perché i suoi soci sono inviperiti per come è stata condotta la faccenda fino ad oggi, Lagarde scade l’anno prossimo e se gli USA e l’Europa non vogliono vedere una diaspora di massa dal fondo in favore della nuova banca dei BRICS è meglio che si diano una regolata (da cui le vicende di cui abbiamo già dato conto,qui). Quindi, -o- Germania, Francia ed Italia svalutano il 30% dei loro crediti (se basta) trovandosi con voragini di bilancio non spiegabili ai propri cittadini; -o- si svapora il tutto nel bilancio BCE che non ha i problemi che hanno gli stati. Ma ciò sarebbe la rottura fragorosa ed irrimediabile dell’impianto ordoliberista germanico che regge i trattati, quindi la convenzione e tutto l’impianto.

Infine, una parte, dei voluminosi più di 80 miliardi di aiuti alla Grecia previsti dall’accordo (con la domanda di difficile soluzione su chi li tirerà fuori), saranno disponibili per il governo ed un governo con i soldi è un governo potente. Così come non si possono escludere manovre sociali, patrimoniali, giustizia fiscale, un attacco deciso alle oligarchie che in Grecia hanno un potere straordinariamente longevo. Il governo greco, se rimane in carica, potrebbe ritorcere il “ce lo chiede l’Europa” contro coloro che usavano questo strumento logico contro il popolo scaricando solo su questo i costi della loro storiche malefatte.

Non è tutto qui, c’è ovviamente la complessa dinamica interna della Grecia, i tedeschi non staranno con le mani in mano, trucchetti e trabocchetti spunteranno come lumache dopo l’acquazzone, nuove elezioni saranno evocate, pretese e promesse ma forse Tsakalotos ha ragione a ricordare che i conti si fanno alla fine, del resto lui sa certo cose che noi non sappiamo. A titolo di esempio sull’incasinamento della fase politica che si è aperta riporto chiacchiere che circolano nell’ambiente politico greco. “Alcuni” sostengono che Varoufakis avesse un accordo con Soros per far uscire la Grecia dall’euro, Grecia che sarebbe poi stata aiutata da “amici americani” interessati a dimostrare che senza l’euro si sta meglio. C’è una famosa credenza che circola nelle élite banco-finanziarie e nei think tank di Washington a riguardo del fatto che il dominio assoluto del dollaro va difeso e ripristinato in ogni modo nei turbolenti tempi a venire ed è ormai chiaro a tutti che la NSA spia i tedeschi non perché spia tutti ma proprio perché i tedeschi, come tutti color che seguono seriamente geopolitica sanno, sono a rischio di unione con russi e cinesi perché lì porta il loro oggettivo interesse. A dire che la chiacchiera è sicuramente tale, è puro veleno e gossip infamante che sono strumenti tradizionali della lotta politica. Però è apparentemente credibile e nella lotta politica, a volte, il credibile conta più del vero.

Insomma è presto per i bilanci. La fretta con la quale in Italia si sta cercando di chiudere la faccenda dimostra che continuiamo a non capire nulla di ciò che accade. Ciò che accade ci dice di usare analisi  e considerare la profondità del tempo mentre da noi è l’orgia del giudizio frettoloso. Forse è per questo che noi l’alternativa al governo PPE-PSE non l’abbiamo ed i greci e forse gli spagnoli, si. Certo è una alternativa piccola, sbiadita, più di tono che di sostanza dicono i critici-critici ma i cinesi pensano che ogni viaggio di mille miglia inizia con un passo (Lao Tze) e per percorre lo spazio ci vuole il tempo. Stay tuned…

(Anche qui)

CRONACA N.243 (15.07.15)

Questo blog è detto anche “spazio di ricerca”. Vi riporto gli esisti dei miei studi e ricerche man mano che si compiono. Avevo promesso una indagine sulla morte ma adesso sono deviato dalla politica internazionale. Nella seconda metà dell’estate studierò meglio la materia ed ho un carretto di libricini in cui tuffarmi. In politica internazionale, sposo la posizione realista (Tucidide, Machiavelli, Hobbes) sviluppata nello scorso secolo ad esempio da K. Waltz e H. Morgenthau (Kissinger). Realismo è – per atterrare sulle faccende odierne- capire che gli USA hanno forti interessi a disinteressarsi del Medio Oriente, a stabilizzarlo e perciò firmano un accordo con l’Iran, così Israele ed Arabia Saudita si danno una calmata. Lo fanno perché hanno altro di più importante da fare come schierare missili contro la Russia e rompere le scatole nel Mar della Cina. Realismo è capire che Tsipras ha un accordo con Obama per il quale il primo firma un accordo apparentemente capestro perché il secondo gli ha garantito che farà quanto in suo potere (che non è poco) affinché IMF obblighi la Germania a tagliarli il debito. Che la Cina è d’accordo e la Russia, prudentemente, si astiene ed in fondo le va bene sia che la Grecia stia nell’euro, sia che no (ma con preferenza per la prima strada). Realismo è analizzare i fatti nella loro contorsione mossa dagli interessi materiali e strategici delle nazioni e non le opinioni fondate su specialismi miopi o su passioni ideologiche. Se il mondo diventa sempre più complesso, occorrerebbe aumentare la nostra dose di realismo perché altrimenti non sapremo interpretarlo e se non lo interpretiamo non potremo cambiarlo.

CRONACA N.242 (15.07.15)

Attenzione all’Fmi ! So che molti, a leggere questo nome, vengono presi dall’orticaria ma invito a fare uno sforzo, la realtà è più complessa. L’Fmi è un fondo a cui partecipano 186 Paesi del mondo (che in tutto, nel Mondo, sono 200) che, fino ad oggi, è stato certo una longa mano degli USA e di un certo tipo di interesse occidentale. Ma dalla settimana precedente il referendum in maniera clamorosa sebbene ignorata da mainstream, Fmi è entrato in rotta di collisione con EU. La ragione è di ribilanciamento dei pesi interni al fondo, cosa che ha a che fare con la nuova banca BRICS e gli equilibri geopolitico-economici. Lunedì (due giorni fa), Fmi o qualcun’altro, ha mostrato un rapporto riservato a Reuters, rapporto inviato a tutti i membri dell’eurogruppo e compilato dopo aver letto la bozza d’accordo fatidica, in cui ripete ciò che aveva già detto il giovedì prima del referendum nel gaudium magnum di Varoufakis: 1) dovete raddoppiare il periodo di grazia per la Grecia (da 15 a 30 anni); 2) dovete tagliare non un pochino, non abbastanza, ma t-a-n-t-o il debito perché il debito è tecnicamente i-n-s-o-s-t-e-n-i-b-i-l-e-. Non ristrutturarlo, t-a-g-l-i-a-r-l-o (haircut). Questi sono i due punti sostenuti da Varoufakis e Tsipras nella trattativa durata cinque mesi. Il perché spero sia chiaro. Ora, pare che Fmi abbia detto a chiare lettere (fonte Financial Times) -o- fate come abbiamo detto ed allora noi vi aiutiamo coi soldi, -o- ve la spippate da soli. Da soli significa che ci mettete voi i soldi, soldi che non avete (i famosi 83 miliardi dell’accordo). Ieri, qualcuno dell’eurogruppo ha cominciato a dire che il prestito ponte alla Grecia lo si fa coi fondi europei (non dell’eurozona a 18 ma dell’UE a 27). Inglesi e svedesi hanno fatto gentilmente sapere che nel caso sono pronti ad uscire dall’UE 0,1 secondi dopo. Insomma, la faccenda è più complicata di quanto a molti appare ma è la natura della faccenda. Seguiamo la faccenda perché la faccenda promette esiti sconvolgenti ma non solo per i poveri fratelli e sorelle ellenici…ricordo solo che nel marasma pre-referendum, forse ai più è sfuggito che il perito agrario Dijsselbloem dopo aver letto il rapporto di quel fatidico giovedì ha detto “al Fmi (Blanchard) non sanno quello che dicono”. Spero sia chiaro a tutti cosa significa se Germania, Francia, Italia, dovessero cuttare del 50 o anche solo del 30% i loro crediti vs i greci…

Qui una nota importante.

CRONACA N.241 (14.07.15)

Nella conferenza stampa appena conclusa, Tsipras ha affermato: «Ho incontrato Cina, Russia, Usa. Nessuno mi ha detto “tornate alla dracma e vi aiuteremo”. Non avevamo scelta»Tradotto, Russia, Cina ed USA gli hanno detto che era “meglio” se restava nell’euro, la Cina perché ha già da tempo deciso ed investito per far della Grecia il suo terminale della Via della Seta, la Russia perché in Grecia passerà il Turkish stream che porterà il gas russo in Europa e perché la Russia è da tempo molto attenta a non compiere atti ostili nei confronti degli USA, gli USA perché una Grecia de-eurizzata sarebbe stata inevitabilmente attratta nella sfera d’influenza russa.

CRONACA N.240 (14.07.15)

Al CERN, dopo cinquantanni di ricerche, hanno pizzicato l’elusivo pentaquark, già ipotizzato dal papà dei quark, Murray Gell-Mann (Nobel 1969), tra i padri nobili del pensiero della complessità. (qui)

CRONACA N.239 (14.07.15)

L’on line di uno dei principali quotidiani greci (qui), rilancia un’altro scoop Reuters, un documento molto riservato (ma non tanto da non arrivare nelle mani di Reuters) di ieri sera, inviato ai 18 paesi negoziatori, in cui si ripete quello che avevano già detto giovedì prima del referendum: a) guardate che dovrete far un taglio molto pesante del debito greco; b) guardate che sarete costretti a concedere il raddoppio del periodo di grazia da 15 a 30 anni. Ma guarda un po’, questi sono i due cavalli di battaglia di Tsipras. Tsipras è capitolato perché aveva garanzie di ottenere soddisfazione su questi due punti in modo da ribilanciare la sua posizione politica? La partita si avvia ai supplementari? Vedremo…

CRONACA N.238 (14.07.15)

Giglioli (qui) è, in questi giorni, tra le poche cose che riesco a leggere senza farmi venire i bruciori di stomaco.

CRONACA N.237 (14.07.15)

Soft power alla russa (qui).

CRONACA N.236 (14.07.15)

Essere la Germania. Così come nel campo anti-euro, anti-Europa è corrente principale mettere in croce Tsipras (dopo che funzionari europei hanno spifferato che nelle 17 ore di trattativa, Tsipras è stato “letteralmente crocefisso” dagli aguzzini eurocratici), nel campo simmetrico contrario, quello degli euro-entusiasti e degli “Stati Uniti d’Europa”, si accusa la Germania di cieca stupidità. Bisogna sempre diffidare quando noi che siamo qui ad osservare vediamo compiere atti di estrema stupidità da parte di decisori che dovrebbero essere al comando dei processi complessi ed importanti, quella apparente “stupidità” potrebbe nascondere delle variabili nascoste.

A commento dei fatti sul mio facebook, ho scritto il 12 Luglio: “Più seriamente, la surreale ipotesi Scheuble dei cinque anni di espulsione della Grecia, l’alzata compatta di scudi di Olanda, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Estonia e Lituania, mostra l’evidente. L’euro del nord si staglia luminoso nell’alba brumosa del Valhalla.”. Giulio Sapelli è un economista che ha il pregio di ragionare con la sua testa, l’11 Luglio scriveva questo (qui). Non si capisce il comportamento dei tedeschi se non si subordina il ragionamento non a fattori economici o valutari, ma a fattori geopolitici. Schaeuble potrebbe, sia star insidiando la leadership di Merkel, coprendosi con l’ala più filo AfD della CDU-CSU, sia fare gioco di squadra con la Merkel per inscenare una divisione che però siccome rimane unita indica che. appunto, occorre rimanere uniti nonostante gli spiriti animali tendano a far divergere. Sta di fatto che, sommando i risultati delle elezioni europee, la sfida AfD, il sentiment della pancia germanica, le intercettazioni della NSA, il TTIP che è mia idea i tedeschi non abbiano alcuna intenzione di arrivare a mettere in pratica sul serio, l’obbligo a divergere da russi e cinesi quando l’interesse dei tedeschi è oggettivamente puntato in quella direzione, ed infine, l’assoluta entropia e verificata indisciplina dei partner europei tra cui l’evidente divergenza strutturale con la Francia, io, se fossi Merkel, uscirei dall’euro. Farei una Grande Germania economico-geopolitica con l’Europa del nord e me la giocherei.

Coloro che obiettano che con un nuovo marco, le esportazioni crollerebbero, sono colti dal virus ottundente del monetarismo. La storia economica dice che, poiché i tedeschi prima dell’euro sono stati a lungo alle prese con una moneta forte, hanno strutturato una economia altrettanto forte. Tradotto, non è che nel mondo, i nouveau riche arabo-asiatici compreranno meno Mercedes, BMW, AUDI o Porsche (ma vale anche per molti altri settori) perché costeranno un po’ di più. Certo, qualche contraccolpo ci sarà ma i tedeschi pensano di poterlo assorbire poiché “il gioco vale la candela”.

L’euro è un processo morto. La Germania sta costruendo (la Germania non è Tsipras, il piano B lo studia da tempo, operativamente almeno da dopo le elezioni europee di un anno fa) il suo futuro strategico. Noi faremmo bene a cominciar a pensare il nostro.

CRONACA N.235 (13.07.15)

Essere Tsipras. Un buon esercizio di ricucitura tra ciò che pensiamo ed il mondo fuori della nostra testa è l’immedesimazione: “cosa fare io se fossi…”. Perché l’esercizio abbia senso e produca effetti benefici, si dovrebbe essere fondamentalmente onesti ovvero dirci la verità sul mondo lì fuori, incluso tutto ciò che non ci piace, che non condividiamo, che detestiamo, il che non significa affatto abiurare le proprie preferenze ideali. L’esercizio serve proprio a riconnettere le une all’altra in modo da ottenere il miglior allineamento tra ciò che pensiamo giusto e ciò che realisticamente ottenibile nella realtà. Non ci sconforti, inizialmente, il fatto che le nostre aspettative sono sideralmente lontane dalla realtà, non è colpa nostra se siamo radicali e se il mondo fa schifo. Facciamo l’esercizio allora immedesimandoci in Tsipras, preso al venerdì precedente l’annuncio del referendum. Tagliamo quindi d’arbitrio le condizioni iniziali che sono fondamentali per l’esercizio in quanto altri modi di condurre le trattative nei cinque mesi precedenti, avrebbero -forse- portato ad un altro punto di inizio. Ma tant’è…

Quel venerdì si sarebbe potuto: a) accettare 7 miliardi in cambio di pesanti riforme e senza le altre due condizioni (allungare il periodo di grazia, darsi la prospettiva di ridiscutere il debito, condizioni senza le quali si rimane eternamente sotto ricatto ed ogni sacrificio è semplicemente a fondo perduto) con l’esito di perdere il governo del Paese, spaccare il partito, desertificare il futuro della possibilità di cambiare la Grecia; b) dire che non solo non si accettavano quelle condizioni ma che si smetteva di trattare con l’esito di dover uscire dall’euro; c) prendere tempo, indire un referendum, contare di vincerlo (in alternativa verificare che non si ha dietro la maggioranza del Paese e dimettersi indicendo nuove elezioni) e tornare a giocare la partita avendo schivato la trappola principale che era quella di far fuori Syriza. Questa terza mossa, quella fatta da Tsipras e Syriza (Varoufakis afferma che il cerchio magico ha bocciato la sua idea di valuta parallela 4-2) aveva, come già detto altrove, anche altre prospettive: 1) portare la trattativa privata in pubblico; 2) stanare l’opposizione interna al partito ed al Paese; 3) contare su qualche possibile nuovo alleato per quanto tirato a malavoglia nella tenzone, magari preso dall’ambito internazionale.

Tutto ciò si presta ad una considerazione. La politica è detta l’arte del possibile. Questo “possibile” è da intendersi però in due modi: x) il primo “possibile” è quello di mediare continuamente per rendere reale quello che era ideale, perdendo certo un po’ (o un tanto) di valore del ciò che avevamo in mente; y) il secondo “possibile” è da intendersi come “condizioni di possibilità”, cioè come ciò che si può materialmente ottenere visto che nel mondo non siamo soli, c’è l’attrito, ci sono i nemici, c’è la confusione, c’è la tendenza ad avere aspettative esagerate (sopratutto a sinistra dove i volumi delle chiacchiere eccedono il volume di ciò che si è riuscito concretamente a fare come dato storico), sulla proprie idee si deve creare un consenso di massa tale da superare l’inerzia, la paura ed il disagio del cambiamento. Tenendo a mente questo secondo significato, vorrei togliere subito dal campo l’illusione di una Grexit voluta dai greci. Questa idea non è voluta dai greci e in percentuali molto alte (minimo il 70% ma all’atto pratico credo anche di più). Ho letto commenti che dicono che era giusta la posizione del KKE appunto a favore di una uscita dall’euro e dal capitalismo. Non giudico l’idea, rilevo solo che il KKE ha raccolto, cinque mesi fa, il 5% con questo programma. Se avesse raccolto il 40%, pur non essendo la maggioranza politica (che è maggiore di quella numerica) si sarebbe potuto discutere quanto sarebbe valso un appoggio di Syriza o di parte di essa,   ma trattandosi del 5% il discorso non può neanche iniziare. Personalmente credo che in Grecia, quella posizione, intesa in senso “vago” (un senso che ha più dell’opinione che non della concreta consapevolezza di ciò che comporta, di quanto “costa”) valga più del 5% ma, ad occhio, non credo superi massimo-massimo il 20%. Siamo quindi in una situazione in cui l’uscita dall’euro può rimanere una prospettiva di medio-lungo periodo, tutta da costruire e sviluppare. Non capisco coloro che ne parlano come di una scelta “possibile”, il solo fatto che qualcuno insista, ora, opponendola a quanto poi successo è il segnale d’allarme che anche dalla parte radicale, agiscono dinamiche ultra-ideologiche quali siamo soliti denunciare nel milieu culturale neo-liberista.

Solo chi è in aperta malafede (che è comunque preferibile alla stupidità che è l’altra possibile spiegazione), chi vuole torcere i fatti della realtà per farla a forza corrispondere con le proprie idee in cerca di qualche like su facebook, ha potuto interpretare il 60% del NO greco come un NO al capitalismo, all’euro, all’Europa e come un SI ad una svolta rivoluzionaria. Solo chi sfoga la propria frustrazione per il fatto che non ha mai costruito un nulla di politico concreto, può coprire d’insulti acidi, il primo Primo ministro di un Paese reale alle prese con 18 nemici più il quadro geopolitico planetario, più esercito, polizia, tessuto economico, opposizione e chi più ne ha più ne metta. Credo Tsipras si sia trovato in una situazione “non c’è soluzione” ma la situazione era già così il fatidico venerdì di partenza: a) la Grecia vuole divincolarsi; b) la Grecia ha bassissimo potere negoziale; c) la Grecia non vuole uscire dall’euro e dall’Europa; d) la Grecia -non può- per motivi economici, finanziari e sopratutto geopolitici, uscire dall’euro e dall’Europa (sulle possibili conseguenze la Cronaca 227). Se, in questo quadrilatero, trovate un pertugio d’uscita, segnalatemelo. Si scrive e si ragiona anche perché il discorso collettivo arriva molto più in là di quanto arrivi quello individuale.

Quando tutti andavano appresso alla sbilenca versione ufficiale delle dimissioni di Varoufakis, noi scrivemmo: “E’ mia opinione, che Varoufakis, si sia dimesso per tanti motivi ma uno decisivo, forse, è stato proprio quello sul come gestire il dopo-referendum. Stampare una valuta parallela, poteva essere l’unica soluzione per annullare il vantaggio tempo che mette i creditori su un piedistallo a molti metri sopra i debitori. Non occorre il folklore sulla Teoria dei giochi ed il neo-machiavellismo per capire l’asimmetria fatale che questo spread sul come diversamente le due parti vivranno il concetto di tempo, condizionerà la trattativa. Purtroppo, la seconda moneta, non sarebbe stata affatto facile farla, è espressamente vietata dai trattati ed avrebbe rappresentato un atto di secessione implicito. Il punto è squisitamente politico: chi si prenderà la responsabilità di mettere la Grecia alla porta?” (Cronaca del 7 Luglio, n° 223, il martedì del dopo referendum) Gli stessi che oggi accusano Tsipras di non aver previsto un piano B, allora si beavano della grande e storica vittoria referendaria, essi stessi non prevedendo cosa sarebbe successo “dopo”. Prevedere -oggi- cosa sarebbe successo “dopo” è il fatidico senno di poi  di cui son piene le fosse…

Comunque, Sansone certo ha preso un sacco di botte e graffi ma è ancora in piedi. I filistei, però, non vedo che se la passino poi molto meglio. E’ stato reso di pubblico dominio tutto l’impianto del sordido gioco che ci veniva presentato ammantato di melassa retorica e quinta di Beethoven. Francia e Germania si guardano in cagnesco. Renzi ha fatto non una figuraccia non è proprio figurato. Abbiamo sentito Schaeuble urlare in faccia a Draghi, gli eurocrati litigare con i fondisti monetari, tutti correre come pazzi per uscire con l’agognato “habemus papam” alle 8.59 perché un minuto dopo c’era il responso dei mercati, il che rivela ex-post che nessuno veramente poteva permettersi un Grexit. Vedo circolare su Internet commenti o battute che fanno capire come la visione dell’euro e dell’Europa si sia spostata (in direzione della maggior chiarezza) e non di poco. I miliardi che erano 7 sono diventati più di 80, il periodo di grazia si è promesso di allungarlo, si è promessa anche una conferenza per studiare la ristrutturazione del debito. Certo poi c’è l’umiliazione del fondo con le privatizzazioni ma almeno non è in Lussemburgo e le riforme draconiane. Molti si preoccupano adesso del parlamento greco ma poi scopriranno che dovranno preoccuparsi anche di quello tedesco e finlandese e del cosa succederebbe se questi non ratificassero gli accordi. Molto importante è capire cosa succederà dentro Syriza.

Non credo sia ancora tempo di bilanci relativamente a questa faccenda ma consiglierei molti a riconciliarsi col concetto di possibile, non solo nel senso della necessaria mediazione ma in quello più imperativo di “ciò che può esser fatto accadere nel mondo reale”. L’utopia è bella ma l’utopia concreta è meglio. E comunque…voi cosa avreste fatto nelle condizioni date?

CRONACA N.234 (13.07.15)

Alex Andreou sulla faccenda greca, qui.

CRONACA N.233 (13.07.15)

Osservando le cose euro-greche nel contrasto tra la percezione di massima che l’opinione pubblica europea ne aveva un paio di settimane fa e l’oggi si notano alcune differenze profonde. I greci ora sanno che o diventano schiavi o diventano ancora più poveri ed il merito di questa poco allettante alternativa è di chi li ha governati sino a poco tempo fa, il che significa di loro stessi che hanno permesso, votato ed invocato quei governi con il piccolo opportunismo, l’ignoranza, l’ottusità tipica della sonnacchiosa e stordente “democrazia” elettiva liberale. Spagnoli, italiani e francesi, ora sanno di essere membri di una fila di fronte alla porta dell’ufficio del Preside che sta espellendo da scuola con ignominia, il simbolo di tutta quanta la rilassatezza euro-mediterranea alla quale loro stessi appartengono. La via Rasella europea mostra l’inossidabile fedeltà ai principi: punirne uno per educarne dieci, i tedeschi seguono sempre la stessa precisa pedagogia. Tutta Europa ora sa che la Germania non è un leader egemone, non è un primum inter pares ma un punto rigido che accetta di avere relazioni solo con chi si sottomette alle sue inderogabili regole. Altresì, si riconferma il fatto che l’intera costruzione dell’euro è totalmente priva di elasticità, il che, dati i tempi, è garanzia di fragilità. Tutti sanno che l’euro-nord terrà in piedi l’euro, solo e soltanto, fino a che questo sarà conforme ai loro interessi e funzionerà alla loro condizioni ma che è pronto, in men che non si dica, ad andarsene per conto proprio finalmente liberato dalla zavorra dell’euro-inutilità, non appena si scheggino le inderogabili condizioni d’ingaggio. Il concetto Europa, ha perso irrimediabilmente quello scarso residuo di aurea che alcuni, a dispetto dei fatti evidenti, volevano continuare a vedervi. Draghi a capo chino sgridato da Schaeuble (foto Reuters), Juncker sparito di scena, il parlamento come farsa posticcia, hanno reso evidente lo stato delle cose. Renzi ha meno peso politico mediatico del primo ministro maltese, l’Italia è semmai una provincia della Francia. I tedeschi hanno dilapidato tutti gli ingenti sforzi di cancellare la loro antipatica (eufemismo) leggenda di popolo cupo, rigido, rancoroso, tra il testardo ed il cocciuto. La “democrazia” europea si è mossa apertamente prima, dopo, durante e financo in questi ultimi sgoccioli del finale di partita, per rovesciare un governo liberamente eletto rendendo chiaro quanto era già stato fatto in favore della stagione dei governi tecnici di cui anche noi sappiamo qualcosa.

So che molti non noteranno la novità clamorosa di questi fatti che ai bene informati risultano noti da tempo. Ma si deve tener conto del numero di persone che oggi sanno queste cose, dell’irreversibilità di certe prese di coscienza, della rottura d’ingenuità. I TT che parlano di colpo di stato sono notizia sul Corsera, “il catalogo delle crudeltà” è titolo del Der Spiegel rilanciato in tutto il mondo, lo scandaloso spettacolo degli ultimi venti giorni è oggi stato visto da tutti. Solo lo spara-flash di Men in Black potrebbe sanare lo shock a cui le opinioni pubbliche sono state esposte.

CRONACA N.232 (13.07.15)

Tsipras è un pagliaccio, un cretino, un piccolo opportunista, non vale niente, è uno zero assoluto, disonesto, incompetente assoluto, è un truffatore. Questo il giudizio di A. Giannuli con cui spesso mi trovo d’accordo mentre in questo caso, sono in profondo disaccordo.

CRONACA N.231 (12.07.15)

Per rassicurare i generosi frequentatori di questo spazio di riflessione sul fatto che non sempre buttano via il loro prezioso tempo, segnalo questo articolo scritto appena noti i risultati delle elezioni europee di poco più di un anno fa. In esso si sosteneva che Merkel si sarebbe trovata ad un trivio di forze divergenti, le stesse che avrebbero separato le posizioni nella relazione Germania – Francia. Se ne deduceva una previsione: Ne consegue la previsione negativa, il possibile scioglimento concordato dell’euro, da qui a non molto. In questo articolo più recente invece, si sosteneva che il referendum greco (l’articolo era del sabato che precedeva il voto) avrebbe potuto bloccare ogni possibilità di movimento a chi dirige i processi della moneta unica. Il tutto derivava da una idea espostaqui due anni fa, in cui si sosteneva in beata solitudine, la necessità di separare l’Europa latina da quella barbara. Mi rendo e rendevo conto che una simile idea (la stessa scelta, voluta, dei termini desueti “latino” “barbaro”) nello spazio delle opinioni traboccante di “Europa dei popoli”, “Europa delle banche”, “Stati Uniti d’Europa”, “solo la nazione è sovranità e democrazia”, “complotto neo-liberista”, “torniamo alla lira”, risultava del tutto eterodossa. Ma il motto di questo spazio di ricerca è il kantiano “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza.” e nell’onorarlo con puntigliosa devozione, non ci siamo mai curati dei like (che però fanno piacere in quanto tutti abbiamo bisogno di “riconoscimento”) o dei silenzi per ciò che scrivevamo, poiché scommettevamo sul fatto che, prima o poi, il tempo avrebbe reso omaggio a certe idee. Oggi, forse quel tempo ha il suo inizio.

CRONACA N.230 (12.07.15)

Il referendum greco non è servito a niente? Questo video, mostra il contrario. Il referendum ha portato a convergere l’attenzione pubblica su una questione, al solito trattata nel chiuso di stanze con impenetrabili muri. La democrazia è anche interessarsi alla cosa pubblica, farsi un’opinione, prendere posizione, partecipare a gli eventi.

CRONACA N.229 (11.07.15)

Sarei tentato di annunciare (per altro con gioia) la fine dell’euro e di questa Europa ma bisogna esser prudenti ed evitare che i desideri ci facciano vedere realtà ancora immature. Sta di fatto che in questo momento (23.51, Italia), l’Eurogruppo che tentava una mediazione per sbloccare i fondi per i greci in settimana è bloccato perché il ministro finlandese ha scoperto che non ha il mandato a trattare. Non ce l’ha perché una commissione parlamentare finnica ha escluso di sottoporre al parlamento l’ipotesi di sblocco di nuovi fondi per la Grecia. Minaccia infatti di uscire dal governo e portare il paese a nuove elezioni un partitino -I veri finlandesi- di destra, euroscettico, nazionalista, che conta ben 500.000 voti. Lo sprezzo del ridicolo ormai non ha più limiti.

Più seriamente, la surreale ipotesi Scheuble dei cinque anni di espulsione della Grecia, l’alzata compatta di scudi di Olanda, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Estonia e Lituania, mostra l’evidente. L’euro del nord si staglia luminoso nell’alba brumosa del Valhalla. Prima lo fanno e meglio è per noi tutti.

CRONACA N.228 (11.07.15)

Mettersi contro i cinesi? Grandi azionisti avranno vendite bloccate per sei mesi, fichissimo. Voglio vedere ora cosa faranno “i grandi azionisti” a coloro che osano far scendere le quotazioni dei titoli che non possono vendere….

CRONACA N.227 (09.07.15)

Esercizi previsionali. Continuiamo il nostro personale corpo a corpo con la ostica previsionalità del comportamento dei sistemi complessi, facendoci una domanda: cosa succederà “dopo”, quando e se la trattativa Stato (greco) – Mafia (eurocrazia) dovesse giungere al probabile esito di una Grexit?

Coloro che rimangono nel sistema euro, avranno l’interesse e mostrare ciò che succede, di molto negativo, a coloro che intendono uscire dal sistema. Si può allora prevedere che “alcuni” stati-economie europee, condurranno vere e proprie operazioni di embargo nei confronti dei greci. Certo un embargo non dichiarato ma sostanzialmente agito in termini diplomatici, legali e giuridici, economici e finanziari. La Grecia dovrà diventare il buco nero d’Europa, lì dove l’alternativa all’euro collassa nella propria insostenibilità. Si mobiliteranno ovviamente tutti i governi (PPE-SD) che hanno nelle forze alternativeGrecia1all’euro una minaccia personale di concorrenza e tutti i governi che hanno appoggiato l’intransigenza tedesco-olandese. L’economia greca, dipende al 44% per l’export e per il 44% per l’import dalla Unione europea, Italia e Germania sono secondo e terzo partner per l’export, Germania, Italia ed Olanda sono secondo, terzo e quarto partner per l’import. Si consideri la problematica logistica ovvero quanto le consuetudini di consumo ma anche di produzione (si pensi ai pezzi di ricambio ad esempio, sia dei prodotti che dei sistemi di produzione o alle reti di assistenza), leghino questo paese sopratutto all’Italia. Ma una politica meno decerebrata, da parte ad esempio della stessa Italia o la Francia (le posizioni meno dure nell’attuale quadro) potrebbero far immaginare conveniente il percorso inverso ovvero dimostrare alla Germania e ai nord-europei che in fondo non se la passano poi così male i greci e che quindi conviene loro essere meno severi nella gestione di un sistema che in fondo una alternativa, per quanto turbolenta, ce l’ha.

Amici della nuova Grecia saranno certo i vecchi amici, la Russia primo tra i partner fornitori (certo in Grecia non mancheranno i combustibili) e la Turchia, già oggi, primo tra i clienti. La Russia potrebbe, assieme alla Cina, far da protettore per l’inserimento nel nuovo mondo BRICS e tutti i BRICS potrebbero esser interessati ad aver partnership amichevoli con i greci. Ma non si deve dimenticare l’astuto mondo britannico che storicamente ha sempre avuto un debole per i nemici dei suoi nemici laddove l’eurocrazia, intesa in senso forte, è vissuta dai brit se non come vero nemico non certo come amico. Decisivo, anche il ruolo degli USA per motivi simmetrico contrari a quelli russo-cinesi ma anche per appoggiare quanti, nella stessa Europa, potrebbero esser interessati a mostrare che l’uscita dall’euro (da questo euro, da un un sistema che è riluttante ad usare la banca centrale per come qualsiasi altro paese al mondo la usa) non è poi così drammatica. Altresì, non è detto che gli otto paesi europei non euro siano così propensi ad espellere la Grecia dalla UE ed un voto spaccato tra i 27, tra chi vuole l’espulsione e chi no, sarebbe un ulteriore, inutile, drammatizzazione.

Messa così, sembrerebbe che la somma delle probabilità positive sia superiore alla somma di quelle negative ma il tutto deve esser filtrato in termini di concretezza. L’intenzionalità geopolitica dei paesi non occidentali è ancora giovane e malferma, non c’è tradizione a riguardo. L’India potrà apparire simpatica perché non è la Germania ma che già mi risulti, è da tempo che studia le opportunità di investimento nel turismo greco sebbene secondo lo stile tipico delle multinazionali estere che distruggono il tessuto micro-produttivo (osterie-taverne-piccole pensioni-residence locali-affitto di camere-agroalimentare locale) locale. La Russia non ha poi molto di più da offrire se non ortodossa simpatia e gas. Meglio la Cina ma si ricordi gli scioperi del Pireo che non voleva assolutamente finire sotto padrone cinese che, quanto a tutela del lavoro, non è più tenera degli USA e tantomeno degli europei. Infine, lo storico accoppiamento strutturale con economie-parenti (è il caso specifico dell’Italia) è teoricamente rimpiazzabile solo dopo molto tempo e molto disagio.

Il tutto a dire, che il vero perno che può spostare il destino ellenico post-euro, dalla tragedia ad una commedia, per quanto travagliata, è proprio l’Italia e la Francia. Se dovessero prevalere le posizioni oltranziste (si ricordi che l’Italia già fa sacrifici per andare appresso alle irrazionali sanzioni contro i russi, ci manca solo di privarci anche dei greci e poi il nostro tafazzismo diventa un caso da studiare clinicamente) la Grecia potrebbe effettivamente sprofondare in se stessa, se dovesse invece prevalere del sano realismo ed anzi una pizzico di abilità nel gestire pesi e misure della complicate relazioni continentali, i fratelli e le sorelle dell’Ellade potrebbero continuare a pensare che abbiamo la stessa faccia e ciò che ne consegue… .  Rasserenati da quest’ultima considerazione ci rabbuiamo subito dopo al pensiero di mettere questo delicato gioco nelle mani dell’incompetente di Firenze.

CRONACA N.226 (09.07.15)

Impredicibilità. Qui si sottolinea la catastrofe della statistica previsionale che ha fallito, e di tanto, l’obiettivo di pre-vedere l’esito del referendum greco. Nell’elenco, manca un sondaggio effettuato da un team di Scienze politiche (suppongo con l’aiuto di statistici) dell’Università di Salonicco che, unico, prevedeva la vittoria del NO ma al 70% invece che al 61% come poi è stato. C’è stato senz’altro un uso manipolatorio dei sondaggi ma va detto che anche gli exit-poll, quando cioè non c’era più motivo per non dire il vero ed anzi, quando rispettabili società che operano sul mercato avrebbero potuto correggere la propria fallacia almeno di un po’, continuavano a proiettare il testa a testa sebbene in favore del NO e non del SI come era stato prima del voto. Cosa può essere successo?

Non si è trattato di un errore del campionamento poiché il voto ha mostrato la non rilevanza delle discriminanti geo-demografiche o psicografiche. Si è trattato, probabilmente, di false dichiarazioni degli intervistati. Da una parte ha agito la diffidenza verso gli indagatori d’opinione poiché, in Grecia, era evidente che l’establishment premeva non poco per un certo esito. C’è sempre l’eventualità che qualcuno si ricordi di ciò che hai affermato di pensare. Dall’altra, credo che la componente più importante sia stata una forma di conformismo sociale. Tutte le televisioni commerciali e grandissima parte della stampa, tutti gli opinion leader economici, gli esperti, la Grecia che conta, era non solo schierata per il SI ma attiva nel criminalizzare l’opinione avversaria. Ieri leggevo Travaglio che giustamente, segnalava la copertina di Panorama che dava dei “pagliacci” con tanto di pallina rossa sul naso, a Tsipras e Varoufakis. Quella copertina, ad esempio, è stata pubblicata nella -last news- che seguivano gli avvenimenti di domenica (giornata del voto) dal principale sito di informazioni greco. La criminalizzazione del NO, era talmente pervasiva che solamente i più costruiti nell’opinione avevano il coraggio di esibire l’onta dell’ostinata contrarietà.

Questo dice due cose. La prima è che la manipolazione informativa ha un certo margine di efficacia solo quando ci si muove in un range di opinione incerta e confusa. Non è onnipotente, quando si scontra con dati duri del reale, le chiacchiere vanno a zero. La seconda è che le svolte sociali sono sotterranee prima di manifestarsi pubblicamente, nel senso che l’inerzia del conformismo continua diritta mentre nella sottostante contrarietà concreta si formano le precondizioni per l’inversione di marcia. Tecnicamente, le società di forecasting, dovrebbero correggere le metodologie affiancando alla sociologia statistica dura, tecniche morbide come la sentiment analysis. Il lettore si starà domandando “sì ma a noi…?”. A noi arriva l’insegnamento che il cambiamento sociale non è scientificamente prevedibile, la precisione perde in verità. Di nuovo, si manifesta la forbice logica alla base del principio di intedeterminazione: se vuoi sapere precisamente A non avrai la più pallida idea di B e viceversa.  La previsione nei sistemi complessi, si fa “ad occhio”. Il problema è a quante regioni cerebrali diversamente informate è connesso il giudizio.

CRONACA N.225 (08.07.15)

Caduti anche noi nella trappola ombelicale europea, seguiamo però a distanza anche la faccenda cinese. Guarda un po’, proprio mentre si vara la banca dei BRICS, crolla Shanghai. G. Vaciago (qui) che alla fine trae conclusioni discutibili, illustra però sinteticamente cosa è successo. Il QE ha continuato ad inondare il mondo di liquidità, la liquidità eccessiva crea bolle, le bolle si creano e si sgonfiano (quello che rimane non detto è che a volte si sgonfiano da sole, a volte c’è qualcuno che fa il forellino per primo, sapendo che poi verrà giù tutto), i mercati che ne hanno beneficiato crollano e quelli che sono stati snobbati perché ritenuti meno competitivi tornano ad essere porto sicuro. Tradotto, banco-finanza prevalentemente occidentale, rimpinzata di denaro facile, specula sulla Cina, poi al momento debito, si ritira più o meno in sincronia e riporta tutto a casa, cioè negli USA. BRICS, accordi CINA-Russia, isole Sprartly, bolla immobiliare, tutte sotto- categorie di quella principale: vederemo cara la pelle (firmato “lo zio Sam”).

CRONACA N.224 (08.07.15)

Riflessione sull’Europa. Una parte del fronte critico al modello di Europa in vigore, ama contrapporre l’Europa dei popoli a quella che si ritiene, l’Europa delle élite. Il punto però è che le élite sono elette dai popoli. Questa “elezione” è fortemente condizionata da diverse forme di potere che le élite hanno per farsi eleggere e si fonda sulla sostanziale ignoranza diffusa della complessità dell’intero quadro delle decisioni e loro conseguenze. Per parafrasare Shakespeare, sono tempi dannati quelli in cui i folli guidano i ciechi. Questo ci dice che da una parte va bene mettere a fuoco la distanza e l’asimmetria tra élite e relativi popoli seguendo la metrica classista o elitista, dall’altra però bisogna anche porre la diade élite-popolo come un tutt’uno che vince o perde la sfida adattativa alla complessità come fosse (poiché è anche) un unico sistema. Detto altrimenti, certo ci fu Hitler ma ci furono anche i tedeschi, ci fu Mussolini ma ci furono anche gli italiani, ci fu Stalin ma ci furono anche i russi.

Il punto è che l’Europa dei popoli non è una categoria politica ma una categoria geografica. Nel senso che praticamente nessuno (nelle élite e nel popolo), in Europa, vuole unirsi a qualcun’altro. Non lo vuole perché non capisce proprio perché dovrebbe volerlo. Si notano, ad esempio nel dibattito italiano, posizioni che puntano al fiero ripristino dell’autonomia nazionale come alternativa al progetto eurocratico che sta sta cedendo davanti ai colpi delle contraddizioni greche. La posizione non è parametrata al mondo, è parametrata alla negazione della tesi. La tesi è che l’Europa è un progetto delle élite, l’antitesi è che i popoli dovrebbero volere (e forse vogliono) la nazione. Volendo immaginare un possibile parallelo, stante i problemi della Francia ed Inghilterra del XV° secolo, c’era chi voleva un più alto livello di unità (lo Stato nazione a costruzione monarchica) e c’era chi voleva mantenere il libero frazionamento feudale con l’”ognuno padrone a casa sua”. Si sarebbe potuto continuare a discutere per secoli il problema perché il pensiero sul reale non ha possibilità di decidere se non parametrando il giudizio al reale stesso, al concreto. Fu infatti il concreto a decidere. Il concreto era la Guerra dei Cent’anni tra francesi ed inglesi, entrambe unioni incerte di poteri decentrati che nella loro somma inorganica non riuscivano a prevalere l’un sull’altra. Decise la stanchezza per l’indecidibilità, la stanchezza per una guerra in cui nessuno poteva prevalere e tuttavia, nessuno voleva cedere al nemico la vittoria. Si fece l’unione dei francesi, un re, un sistema di tassazione centralizzata per pagare un esercito proprio della “nazione”. Simmetricamente fecero altrettanto gli inglesi. Poi fecero altrettanto gli spagnoli non coinvolti nella guerra specifica ma coinvolti nella relazione tra poteri dell’Europa occidentale.

La posizione “torniamo allo stato nazione, alla moneta nazionale” è allora una posizione “populista”? Vaga è la categoria “populismo”, però sì, in effetti lo è. E’ la posizione che parla alla pancia del popolo che però, non sempre ragiona al meglio. Sopratutto perché tende a centrarsi su se stesso quando il problema non è “dentro” il sistema ma “fuori”. L’autonomia monetaria è solo un aspetto dell’autonomia politica e questa si basa su intenzioni politiche, economia nazionale sufficientemente forte nell’ambito dell’economia planetaria, un esercito. Non mi ricordo chi diceva che una nazione è una moneta con l’esercito o già di lì (se parla qui) Nel senso che il frazionamento dei saperi non rende immediatamente chiaro (non solo al “popolo” ma anche a molti “intellettuali”) che per avere il massimo di autonomia possibile non occorrono solo le chiavi della tipografia che stampa le banconote ma una complessa integrazione di forze e qualità che rendono quella moneta-nazione forte nelle relazioni tra nazioni-economie-monete-eserciti.

L’attuale Unione europea, tra muri ungheresi, paranoie antirusse euro-orientali, disfacimenti dell’euro, referendum britannico, possibile referendum austriaco, pressioni americane, flussi migratori e destabilizzazione economico-finanziaria planetaria, va a finire il suo ciclo d’esistenza. Sarebbe il caso di cominciare a riflettere su cosa fare dopo perché ritornare allo stato-nazione in competizione con gli altri stati-nazione del continente mentre la megafauna (Cina, India, USA, Russia ed altri) guarda interessata la piccola Europa dilaniarsi nel suo eterno l’un contro l’altro armato, è la nostra fine. Ne parlammo qui e continueremo a farlo mentre economisti forbiti e filosofi della semplificazione, continuano a litigare dentro la trappola dialettica se è meglio farsi del male con l’improbabile tutti uniti o con l’ognun per sé.

CRONACA N.223 (07.07.15)

[CRONACHE sulla  GRECIA VI]. Ogni giorno che passa, la situazione in Grecia, s’aggrava. Operatori turistici chiudono, lavoratori rimangono  per strada, merci estere non vengono più acquistate per mancanza di credito, anche la produzione interna si blocca, blocco dei pagamenti, ovviamente blocco degli acquisti da parte dei greci stessi, commercio in ginocchio, industria piegata, i condizionatori si spengono, insomma “sangue sudore e lacrime”. Questa è la garrota greca, non i bancomat. Ogni giorno che passa, la posizione negoziale greca perde forza perché il laccio di cuoio si stringe lentamente ed inesorabilmente, al collo. Al fronte del “Nein” basta rimandare appuntamenti, alzare il sopracciglio, dire con aria sufficiente”no, non ci siamo, riprovate”. Qualcuno sussurrerà “dài, riprovate così o cosà, cambiate questo o cambiate quello” come nel gioco poliziotto buono – poliziotto cattivo,  lasciar viva la fiammella. Ma la commissione d’esame sarà sempre insoddisfatta come in incubo à la Kafka. E’ mia opinione, che Varoufakis, si sia dimesso per tanti motivi ma uno decisivo, forse, è stato proprio quello sul come gestire il dopo-referendum. Stampare una valuta parallela, poteva essere l’unica soluzione per annullare il vantaggio tempo che mette i creditori su un piedistallo a molti metri sopra i debitori. Non occorre il folklore sulla Teoria dei giochi ed il neo-machiavellismo per capire l’asimmetria fatale che questo spread sul come diversamente le due parti vivranno il concetto di tempo, condizionerà la trattativa. Purtroppo, la seconda moneta, non sarebbe stata affatto facile farla, è espressamente vietata dai trattati ed avrebbe rappresentato un atto di secessione implicito. Il punto è squisitamente politico: chi si prenderà la responsabilità di mettere la Grecia alla porta? Il fronte del “Nein” può arrivare, di rimando in rimando, sino al 20 Luglio e dopo sarà tecnicamente default. Tsipras può mostrare internamente che lui ci ha provato in tutti i modi, non è stata colpa sua, può tentare -come ha già fatto- di compattare il Paese in una resistenza tanto eroica quanto inutile. Ma è da vedere, fra due settimane di lenta ed impotente agonia, come e quale sarà l’umore del Paese, quale il prezzo politico che dovrà pagare il governo, prezzo che Varoufakis ha visto bene di non condividere. Come retroattivamente si leggerà tutta la vicenda e come verranno ricordate nei libri di storia le giornate felici e festanti di piazza Syntagma. L’unico soggetto che può sparigliare la sceneggiatura è l’IMF ma anche l’IMF ha le sue gatte da pelare e deve ulteriormente evitare di dar l’impressione ai suoi variegati soci non europei, di spendersi troppo per l’ Europa ed i suoi antichi grovigli. Inoltre, mai come adesso, se tira fuori soldi deve farlo con la certezza di riprenderli cosa francamente improbabile se il fronte del “Nein” rimane passivamente contrario a far da sponda. Certo, si dirà che Obama ha chiamato la Merkel, che Putin ha chiamato la Lagarde, che Renzi ha chiamato Hollande, che Hollande ha chiamato la Gayet ma intanto, a parte il fatturato delle compagnie telefoniche, il tempo passa e l’ossigeno manca, la logistica di un Paese con più di 1500 isole va in pezzi, la crisi sfuma i connotati economico-monetari che sembrano tanto appassionare i pianisti da tastiera e mostra quelli crudamente umani. Le uscite tedesche su l’approntamento appunto di “aiuti umanitari” forse non erano una boutade ma una indicazione precisa di come andrà a finire. La “lezione greca” sarà il monito scolpito che verrà additato a tutti coloro che si faranno venire grilli per la testa in futuro. Sempre che rimanga qualcuno a cui additarla perché com’è noto, Sansone a quel punto si porta appresso tutti i filistei. Possibile?

CRONACA N.222 (06.07.15)

C’è un neuroscienziato coreano (spero di ricordarmi bene, forse era giapponese…) che sostiene che ogni tanto dovremmo scuotere energeticamente la testa come si fa con i frullati che tendono a depositare la polpa in basso ed il liquido in alto. Dopo, i pensieri, potrebbero essere più lucidi. E’ forse quello che sta succedendo alle élite. Dopo lo schiaffone che ha scosso la loro testolina, ecco qualche riflessione più saggia, qui. (C’è un errore nel segnalare il terzo peccato, quello dell’arroganza. Si parla di sostenitori del NO ma è da intendersi del SI. Evidentemente, nulla può il consiglio del coreano contro l’inconscio degli agit-prop dell’HP.)

CRONACA N.221 (06.07.15)

Non d’accordo su tutto ma su alcune cose un punto di vista eccentrico è spesso pre-condizione di maggior chiarezza: qui.

CRONACA N.220 (06.07.15)

Varoufakis, è chiaro che aveva già deciso di uscire dal gioco. Non si rilascia una intervista come quella di sabato ad El Mundo, pensando di avere un futuro politico. Il professore ha fatto il suo, ha forzato e tenuto il punto, forse aveva anche idee diverse su come gestire questo dopo-voto. E’ chiaro che a questo punto la ragione teorica e quella politica divergono e tornano ognuna a far il proprio lavoro, che è intrinsecamente di natura diversa. Comunque, una bella presenza per lucidità e stile, onore al greco che esce imbattuto da un gioco che avrebbe potuto stritolarlo. Avercene…

Da parte nostra, l’ammissione di aver sbagliato le previsioni di voto. Pensavamo ad una vittoria di 1%-2% e quindi le nostre lenti erano distorte da qualche bias che dovremmo trovare e spiegarci. Penso di aver sottostimato la stanchezza del popolo greco per le dissennate politiche degli ultimi anni. In Grecia, c’è chiara consapevolezza del rischio che ci si è assunto con questo voto, tutti sanno che non sarà facile e che alte probabilità ci sono, di dover tornare ad una valuta diversa. Molti conoscenti, insospettabili quanto a classe sociale o professionale, mi hanno detto “non sarà peggio di così, peggio di quello che hanno fatto in questi anni”. Due terzi della popolazione (non in una regione, non in un distretto ha perso il NO, qui) significa sostanzialmente “la” popolazione, tenuto conto che si è votato con banche chiuse e prime difficoltà logistiche nelle forniture, tenuto conto il dominio delle televisioni commerciali tutte schierate per il SI, la pressione internazionale, i giochi sporchi in termini di ricatti e persuasione più meno occulta, lo zoccolo duro dei partiti storici tutti euristi. Di contro, lo stesso concetto di “popolazione”, va ricordato, presenta una enigmatica bassa percentuale di votanti (due terzi) come se, un terzo della popolazione avesse delegato a gli altri due terzi di decidere, dato non positivo.

Si può dire però, con ragione, che i greci forse non sanno cosa accadrà ma ben sanno che cosa non dovrà mai più accadere. Ora, lo sappiamo anche noi.

CRONACA N.219 (04.07.15)

Lo scoop Reuters sul tentativo degli europei di censurare il report IMF, qui.

CRONACA N.218 (04.07.15)

Contro Zeus e tutto l’Olimpo, contro Omero, contro Talete ed Eraclito, Platone ed Aristotele, Pitagora ed Euclide, Epicuro e Democrito, contro Pericle, Sofocle, Euripide, Eschilo, contro i Trecento di Sparta e contro la flotta di Salamina, contro Alessandro, Polibio e Plutarco. Contro Theodorakis e la Callas. Contro le nostre vacanze giovanili (e non), contro l’ouzo e il souvlaki. Contro l’etimologia di una buona parte del vocabolario fondamentale delle principali lingue del continente, la politika, la demokratia, la philosophia. Contro Zorba (qui).

Penso che all’ufficio immagine dell’Unione europea si siano bevuti il cervello e se qualcuno ai piani più alti ha pensato “chi se ne frega dell’immagine” (presumo un tedesco, dato che nell’ultimo secolo, dell’immagine se ne sono fregati assai spesso, a parte Speer), allora è lì che si sono bevuti il cervello.

CRONACA N.217 (03.07.15)

Il Fatto riporta da fonte Reuters che le cancellerie europee hanno fatto il diavolo a quattro per non far uscire il paper IMF di cui abbiamo parlato nella Cronaca dalla Grecia IV. Si aggiunge lo scomposto commento del presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem; “”Le cifre fornite dal Fondo Monetario Internazionale sulla Grecia sono obsolete, e non corrispondono ai parametri reali, non sanno ciò che stanno dicendo” (!?). La faccenda è semplice, il raddoppio del periodo di grazia (da 10 a 20 anni) non è un vero problema. L’IMF ha detto che ci mette i soldi per finanziare la ripresa (certo se si accetta buona parte del documento Juncker). Il problema vero è l’haircut perché l’haircut dovrebbero pagarlo i creditori europei, Germania, Francia, Italia. Certo, si potrebbe risolvere tutto facilmente spostando i crediti/debiti in BCE ma alla Merkel gli prenderebbe uno stranguglione e, a quel punto, sarebbe la Germania ad uscire dall’euro. 

CRONACA N.216 (03.07.15)

[CRONACA dalla GRECIA V, in attesa termini il Consiglio di Stato sull’ammissibilità del referendum]. Considerando che un voto politico è un voto generico d’opinione mentre il voto al referendum è un voto esecutivo su una precisa scelta gravida di conseguenze che i greci stanno già vivendo (con estrema dignità) sulla loro pelle, usando come parametro indicativo le elezioni politiche greche di appena cinque mesi fa, se si mantenessero gli stessi schieramenti proporzionali stante che lì gli elettori furono solo il 67% mentre per domenica ci si aspetta una affluenza maggiore, la somma dell’elettorati integrale di Syriza + KKE + Alba dorata fa 48%. Si potrebbe annettere anche almeno metà dell’elettorato di AN EL il partito di centro-destra (indipendentisti) al governo e si arriverebbe a qualche decimale sopra il 50%. AN EL si può conteggiare solo al 50% perché il suo elettorato è di fatto composto da quella piccola borghesia che non è detto sia in grado di prendersi la responsabilità concreta dei rischi del NO. Non è neanche detto,  per gli stessi motivi, che si possa sommare al NO, come abbiamo fatto, tutto il 6,28% di Alba dorata, radicale quanto a migranti ma molto meno quanto ad interesse dei bottegai che ne sono buona parte dell’ elettorato. Tra i precedenti non votanti, non sussistono motivi per credere che questa divisione 50-50 sia alterata sensibilmente in favore dell’una o dell’altra posizione. Probabilmente,  tra i nuovi votanti si può prevedere qualche anarchico (in Grecia ce ne sono parecchi) ma pareggiato da qualche conservatore precedentemente schifato dal sistema ND-Pasok. Questo è il motivo per cui “politicamente”, che vinca il SI o il NO, sarà sostanzialmente pareggio. Lo sarà anche nei numeri con un 1-2%, poco più o poco meno, di differenza anche se è maggiore la probabilità  di anti-austerity che cedono alla paura per i rischi di altro tempo con banche ed economia bloccata che non qualcuno della paurosa classe media  che ha un sussulto di orgoglio greco anti-troika.  Su una questione del genere, con le conseguenze che vi sono allegate, né si potrà pensare ad una nuova stagione lacrime e sangue senza prevedere la caduta del nuovo governo che dovrebbe succedere a Syriza (nuovo governo che a sua volta, verrebbe successivamente sostituito da Syriza 2 la vendetta), né si può pensare ad uno strappo significativo di Syriza senza tener conto che metà del paese è di altro avviso. Poiché tutto ciò era ben noto a chi fa politica in Grecia anche prima di indire il referendum, forse la ragione della scelta di Tsipras è da giudicare con un minimo di intelligenza di giudizio maggiore di quanti: a) non hanno capito perché fare un referendum e non direttamente la rivoluzione; b) giudicano Tsipras un vigliacco che non ha le palle per uscire dall’euro, dall’Europa, dal capitalismo, dall’Occidente (salvo l’indomani mattina trovarsi l’esercito in piazza Syntagma); c) favoleggiano di mondi che coltivano nel privato del loro giardino cerebrale senza curarsi affatto dell’intricata foresta greca che è nella dimensione della realtà dura e concreta. Prima di cambiarlo, il mondo va interpretato.

CRONACA N.215 (02.07.15)

[Cronaca dalla Grecia IV] La notizia del giorno è senz’altro il paper IMF. Uscito oggi, risulta datato 26 June, il che è strano visto che il 26 era venerdì e nulla nel comportamento negoziale dell’IMF ovvero nel comportamento della Lagarde, era in sintonia con quanto contenuto. Il contenuto specifico, tra l’altro, parla di estendere il periodo di grazia(periodo in cui non si richiede la restituzione del debito) da 10 a 20 anni, una haircut (sostanzialmente un “taglio”, l’abbuono di una parte del debito) e massicci investimenti a tassi di favore. In sostanza, era quanto aveva chiesto (anche qualcosina di più) Varoufakiscome contropartita per accettare una parte delle amare medicine del paper Juncker, che è l’oggetto del referendum. Ci si domanda: cosa è successo? Il Guardian riporta come interpretazione di un funzionario delle Finanze greco che il rapporto trasuda una decisa critica alla UE (e forse anche qualche autocritica) per come è stato gestito il problema sino ad oggi. L’Home page di IMF apre con nove Q&A sull’affaire greco, rivolte, sembra, all’opinione informata ed agli stessi membri dell’IMF (186 Stati) dicendo che va tutto bene, la Grecia è solo “in ritardo” con il pagamento di una rata, rimane membro con diritto di voto, solo, non può accedere ad ulteriori finanziamenti. L’IMF è ben in grado di aiutare la Grecia a risolvere i propri problemi strutturali in modo da rendersi di nuovo solvibile, l’IMF sa che in questi casi, ci vuole “tempo”. I toni sembrano molto concilianti. Tsipras, stasera, in una intervista televisiva, ha detto che l’aver posto il passaggio referendario ha obbligato l’IMF ad uscire allo scoperto.

L’idea che mi sono fatto in questi giorni, seguendo soprattutto la stampa internazionale ed avendo una qualche visione di questi ambienti, è che quanto successo è stato vissuto come un piccolo terremoto. Lungi dall’essere un monolite compatto, questo “ambiente internazionale” è formalmente unito quando va tutto bene ma diventa cannibalico quando scoppiano problemi. Far crollare le borse lunedì, alterare il valore dell’euro, mostrare la possibilità della reversibilità dell’appartenenza all’euro di un paese, far finire nelle piazze e nelle cabine elettorali le delicate questioni economico finanziare che più contano, è proprio ciò che non va fatto. La scomposta reazione eurocratica, durante il weekend, all’idea del referendum come se si temesse il giudizio democratico e l’ipotesi la Grecia potesse de-occidentalizzarsi debbono aver fatto infuriare Obama. Ma anche la Russia per via del Turkish stream e la Cina che qui ha molto investito, vogliono la Grecia in Europa.

E’ iniziato allora un balletto con Juncker che ha riaperto la trattativa e la Merkel che l’ha chiusa prima ancora che si sviluppasse. E la cosa non ha fatto che peggiorare le cose.

Credo allora che l’uscita dell’IMF significhi qualcosa di preciso nel senso di riprendere il boccino in mano e dire “se dobbiamo risolvere davvero questo cavolo di problema, allora si fa A e B e C”. Questo abbecedario, è bene notarlo, va  in direzione parzialmente opposta a quello della Merkel. La Merkel spera di vincere il referendum ma se lo perdesse avrebbe una qualche scusa per pararsi internamente dalle critiche dei rigoristi. E’ bene ricordare che la minaccia più forte per CDU non è SPD ma AfD ovvero coloro che vorrebbero che fosse la Germania ad uscire dall’euro. Sono ancora piccoli ma il loro elettorato “viscerale” e “nazionalistico” è tutto elettorato sottratto alla CDU. Altresì, si ricordi che Lagarde scade l’anno prossimo e molti sono i malumori su come è stato condotto l’affaire greco, un paese che, se fallisse ed uscisse dall’IMF, sarebbe in compagnia di Sudan, Somalia, Zimbabwe, il che, per una economia “europea” è impensabile. Una sconfitta che mostrerebbe limiti enormi nel ruolo del fondo internazionale, la sua debolezza eurocentrica, proprio mentre si vara la banca BRICS. Il problema di cassa (il vil denaro) è che secondo il capo economista IMF Blanchard, l’haircut dovrebbero assorbirlo gli europei. Se venisse scaricato su IMF, cioè anche su i paesi non occidentali, l’esodo verso i BRICS sarebbe biblico. Da cui le dichiarazioni allineate a coperte di Renzi a Berlino di ieri che si sommano al terrore di Rajoy di dar spazio a Podemos.

Insomma, il cetriolone vola basso, la comunità e gli interessi internazionali sono nervosi perché il problema va risolto, presto e bene e giunge così il momento in cui si calano le carte e da poker si passa a telesina.

= 0 =

Poco altro da aggiungere, se non il disconoscimento pubblico della società greca che avrebbe svolto il sondaggio che dava il SI in vantaggio sul NO. La guerra che si gioca sul piano dell’informazione è cruenta e mostra tutto il nervosismo degli eurocrataci. Il comportamento del Corsera è semplicemente indecoroso, quello di la Repubblica, appena un gradino sopra. Si salva decisamente il Sole24ORE che come voce degli interessi concreti, è spesso decisamente critico nei confronti dell’establishment europeo.

Nessuno sa come andrà, neanche io che pur vivo diversi mesi l’anno e da diversi anni proprio qui, in Grecia, da dove Vi scrivo. Qui il problema è solo in parte il bancomat e le pensioni. Le aziende sono bloccate nei pagamenti e nel temere il proseguo del blocco (difficile che la prossima settimana si concluda la faccenda, forse a meno di una squillante vittoria dei SI che però non sembra probabile, come non lo è quella dei NO), c’è già chi invita all’accaparramento delle merci. Cancellazioni nel turismo anche se, sono i  turisti più paranoici dei greci. Vivo in una isola, non ho visibilità del sentiment nazionale ma posso dire che, in genere, il greco si sente più europeo di molti europei. Il referendum ovviamente ha avuto solo una settimana per esser preparato e chissà se il Consiglio di Stato, venerdì mattina, lo riterrà costituzionale. Molta gente, ovviamente, non sa su cosa sia. Purtroppo l’alternativa semplificante euro-dracma, è quella che è per lo più passata anche perché nessuno si legge il documento Juncker che è poi l’oggetto specifico su cui si dovrebbe decidere. Il paese è comunque molto spaccato, i fautori del sì, vedono Tsipras come l’ultimo dei bolscevichi e serpeggia un odio di classe tinto di disprezzo, profondo. Di contro, i fautori del NO non hanno bisogno di esser convinti visto che hanno pagato di persona le disgraziate politiche di questi anni. Decideranno quelli in mezzo combattuti tra due paure che però in entrambi i casi, portano disgrazia.  Vedremo…

CRONACA N.214 (02.07.15)

Nelle analisi sul mondo occidentale, di solito s’inquadrano: i capitalisti (produttivi o finanziari), i neo-liberisti, le generiche “élite”, la diade conservatori-progressisti, vari poteri più o meno “forti” ed altri soggetti. Da tempo, noi usiamo anche la definizione “anglo-sassoni” ma quasi nessuno segue questa categoria, quasi che l’identificazione etnico-culturale, sappia di razzismo inverso.

Nelle ultime rivelazioni Wikileaks pubblicate da Espresso (qui), ad un certo punto troviamo citata l’esistenza dei partner di secondolivello dell’NSA americana, i “2nd party British” ovvero, oltre a gli USA, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i “five eyes”. Se ci sono cinque occhi ci dovrebbe essere implicitamente anche una unica testa e se c’è una unica testa c’è un unico soggetto, un soggetto di circa 450 milioni di individui che si muove condividendo una unica cultura, basata su una unica lingua ed una comune storia (una simile antropologia che influenza anche la psicologia individuale degli appartenenti). Non ce ne accorgiamo nemmeno quando incontriamo qualche innocente maglietta con la bandiera americana o qualche gadget con la bandiera inglese o qualche zaino con la bandiera canadese ma questa esibizione di orgoglio anglosassone è la dichiarazione di appartenenza all’etnia che domina l’Occidente ed il mondo (almeno fino ad oggi). Sapere che esiste è già un passo verso la chiarificazione delle dinamiche del quadro in cui viviamo. Se non sappiamo ritagliare il mondo correttamente individuandone le parti, non sapremo mai come cambiarlo.

[Un nostro articolo sulla antropologia anglosassone, qui]

CRONACA N.213 (01.07.15)

[Cronaca dalla Grecia III] Grande è la confusione sotto il cielo greco. Hanno mandato avanti Juncker con una nuova proposta per simulare una trattativa che rasserenasse i mercati che si erano shockati lunedì. In realtà non avevano la minima voglia o mandato a trattare alcunché. Tsipras oggi ha ricondizionato la sua disponibilità a due fattori strutturali che i giornali hanno del tutto ignorato facendolo sembrare quello che ci ripensa. Tsipras ha di nuovo chiarito al popolo greco che non si tratta di un referendum per l’uscita della Grecia dall’euro, men che meno dall’Europa. Se così inteso, il referendum sarebbe stato perso, cosa che molti “no-euro” non comprendono avendo più sensibilità per le proprie opinioni che per la complessità della realtà. Tutto rimane sospeso fino a lunedì. Il primo timore è certo quello che prevalgano i SI ma se sarà, sarà di molto poco (e per altro potrebbe essere l’inverso ma sempre di non molto). Il secondo è che la Germania faccia la ritrosa a lungo trascinando la trattativa fino al tempo massimo che scade più o meno il 20 Luglio. Il problema è che la Grecia non può rimanere col circuito bancario chiuso fino al 20 Luglio, impensabile. Per come si sono messe le cose, qualcuno dovrà perdere e qualcun’altro dovrà vincere, molto difficile che la Germania accetterà di interpretare il primo ruolo. Il Wall Street Journal (qui una ripresa del Sole24ORE che in questi giorni si distingue per il maggior equilibrio dell’informazione e dei toni) ipotizza soluzioni fantasia, tra cui la famosa valuta parallela. Tsipras può darsi che pagherà il suo prezzo politico ma anche il sistema euro lo pagherà. L’immagine che sta dando di sé l’Europa, non a me o a te che leggi ma al mondo inteso come opinione informata internazionale (europea e non) èsemplicemente imbarazzante.

[Aggiunta 02.07 h.11.58. Limitandoci al solo “oggi” abbiamo letto rimbrotti sconfortati per come si è gestita la situazione da parte di: Monti, Letta, Prodi mentre questo articolo Sole24ORE fa onestamente il punto sul crollo di credibilità delle presunte “istituzioni europee”. Significative anche le perplessità della stampa europea, qui e qui.]

CRONACA N.212 (01.07.15)

Segnaliamo l’articolo della M. Mazzucato uscito stamane su Repubblica. Lo facciamo non tanto perché siamo d’accordo con la sua analisi in sé per sé quale interpretazione e comprensione del problema dell’economia greca, ma perché qui come nel suo libro e nelle sue ricerche, la Mazzucato è l’esempio di una che ragiona con la sua testa. Il punto che rovella l’italo-americana è che lei (ed anche noi) non capisce perché non si voglia notare l’evidente. Dall’ Arpanet militare da cui discende Internet al biotech, da tutta l’elettronica ed il digitale alla Kreditanstalt für Wiederaufbau tedesca citata nell’articoloè lampante il ruolo dello Stato come agente strategico dell’economia. La favola del mercato perfetto autoregolato ed autoregolante l’intera complessità economica è una narrazione stereotipata del tutto irrealistica, nel senso che non esiste e non è mai esistita una economia sana e prosperante, che non avesse dietro uno Stato. La Mazzucato è per uno Stato che guidi l’innovazione e gli investimenti strategici (ma si potrebbe aggiungere anche l’export ed il continuo adattamento legislativo e fiscale d’accompagno alle trasformazioni). Anzi, più che esprimere una opinione di preferenza, la professoressa del Sussex, esprime un dato di fatto poiché così sono conformate ed agiscono le economie principali del pianeta anche se poi, quando queste stesse si raccontano o si idealizzano in narrazioni, lo Stato si eclissa e viene fuori una visione tanto onnipotente quanto irrealistica del Mercato.

CRONACA N.211 (30.06.15)

Dall’orgia dell’opinionismo sfrenato, traiamo questa lucida e pacata riflessione. Siamo ancora lì, dopo due secoli: « L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo. ». Le considerazioni di Burgio sono opportune: dove sono gli interpreti dell’epoca? Dove sono i modelli che mostrino il dovere di usare il proprio intelletto senza la guida di un altro? Plauso.

CRONACA N.210 (29.06.15)

[Cronaca dalla Grecia II]: L’impressione della giornata è che se i greci e Tsipras se la passano male, tutti gli altri non stanno meglio. Ho idea che la telefonata di Obama a Merkel non deve esser stata sorridente e che ce ne possa esser stata una ancor meno sorridente da Merkel a Schaeuble. La pressione è forte. Tutti i mercati del mondo, borse (con i bancari in prima fila)  e materie prime, registrano come sismografi il colpo. Nel tutto-è-connesso finanziario, gli effetti farfalla sono la norma e la farfalla greca che sta agitando velocemente le sue ali, preoccupa. Qualche miliardo di dollari se ne è andato e siamo solo a lunedì. Domani si vedrà se ci sarà il rimbalzo ma se non dovesse esserci, e ci fosse una seconda giornata “rosso sangue”, ci si domanda: come si arriva a venerdì o addirittura cosa potrebbe succedere lunedì se dovesse prevalere l’ όχι? Tutta la precaria costruzione dinamica della circolazione delle speranze di profitto che agita il mercato mondiale, vibra e cigola e sono certo che tutti, da Tokyo a New York, quando vedono che la causa sottostante è un paesino di 11 milioni di anime a cui un gruppo di fanatici rigoristi nega l’ossigeno, cadono prima nello sconcerto e poi s’attaccano al telefono e non per farsi quattro risate.

Ecco allora che Junker e Dijsselbloem si discolpano (quindi c’è una colpa di tutto ciò), Merkel riscopre il taumaturgico valore del “compromesso”, apre a nuove trattative dopo il 5 e convoca tutte le forze politiche tedesche a far due chiacchiere per non trovarsi troppo esposta, tutti si mostrano improvvisamente rispettosi del “momento democratico greco”, Moscovici fa sapere che lui era dei “buoni”, l’Europarlamento chiede un vertice straordinario per capire cosa stanno combinando quelli di Bruxelles, Lagarde tace ed intanto l’Italia perde qualche decimale di spread sebbene l’andamento giornaliero dica chiaramente che BCE ha sostenuto i titoli a piene mani. Tsipras vede il casino e s’infila con la richiesta di un ulteriore mese di aiuti-proroga. Insomma, portare la faccenda dalle chiuse stanze vetrocemento di Bruxelles, alla pubblica piazza, si sta rivelando uno mossa astuta. Anche la sensazione epidermica sull’umore greco dice che dopo l’uscita di un paio di sondaggi fatti chissà come già domenica, che davano un certo margine ai SI’ vs i NO, la questione potrebbe non esser così scontata. Quando l’informazione sulle paginette Junker che molti siti pubblicano, arriverà ai diretti interessati, si pensi a modesto titolo esempio al ritiro dei vantaggi fiscali in tutte le isole (che sono le meno di sinistra del Paese), forse molti SI potrebbero mutarsi nel contrario.

Il bookmaker inglese William Hill, intanto, sospende le puntate sulla Grexit perché non più in grado di quotare le probabilità.

CRONACA N.209 (28.06.15)

Questa non è esattamente una cronaca ma una breve nota su un link ripreso dall’amico S. Ulliana, relativo alla biblioteca personale di Immanuel Kant. Si contano: 28 titoli su Linguaggio e Letteratura, 25 di Storia e Geografia, 33 di Descrizioni naturali e Medicina, 17 di Astronomia, 33 di Fisica e Chimica, 8 tra Architettura e Fortificazioni, 28 di Matematica, 17 di Giurisprudenza, 13 di Teologia, 124 di Filosofia e Pedagogia. Molti sono in più volumi. Quelli che mi piaceva sottolineare era solo la varietà delle discipline.

CRONACA N.208 (28.06.15)

[Cronaca dalla Grecia]: I primi sondaggi danno  in vantaggio i SI (accettazione del piano della troika) rispetto ai NO. Chi conosce un minimo la Grecia già sapeva e sa che così poteva essere, quindi lo sapevano e lo sanno Syriza e Tsipras e lo sapevano e lo sanno tutti gli euro-tiranni. Perché allora fare un referendum e perché mostrare bava verdognola colare dalle “arcigne bocche acide” da parte di tutti quei politici, burocrati e giornalisti che già quattro anni fa si contorsero come la dodicenne Regan nell’Esorcista, alla sola idea si potesse chiedere al popolo cosa voleva fare del suo destino?

Tsipras e Syriza si trovano in un double-bind un doppio vincolo. In termini non contabili ma di sfumate grandezze politiche, si può dire che più o meno metà del paese (poco meno) accetterebbe le gravi conseguenze di una battaglia che prevede anche il fattivo rischio di secessione dall’euro e dall’Europa, l’altra metà o qualcosa di più, assolutamente no. In termini di alone psichico-culturale, per costoro, è addirittura più importante lo spavento di uscire dall’Europa che dall’euro. Vi sono ragioni storiche profonde alla base di questo sentimento che è di gran lunga (anche tra coloro che correrebbero il rischio) maggioritario. Hanno a che fare con la storia (dominazione turca) e con la geografia che ne è la base (propaggine continentale rivolta verso la penisola anatolica-Medio Oriente), incluso un senso di unicità che distanzia anche dai vicini balcano-euro orientali. Entrambe le due impostazioni che ripeto, hanno confini sfumati, sono presenti come un frattale tanto nella popolazione greca, quanto in Syriza, creano il problema della scelta. Il politico, si trova così nella scomoda posizione di chi sa che scegliendo sceglierà male e le gravi ripercussioni della scelta (o altro sangue sudore e lacrime o altro sangue sudore e lacrime), retroagiranno sulla sua posizione annullandolo dalla Storia, spaccando il partito, il governo, il paese. L’idea di tornare alla fonte del politico [πολιτικός (politikós), cioè relativo alla πόλις (pólis)] allora, è l’idea -saggia- di far specchiare il popolo in se stesso, in modo tale si “renda conto” della sua condizione di soggetto unico con due, opposte, opinioni. L’opinione politica occidentale prevalente che è di matrice fondamentalmente antidemocratica ed elitista, con una visione del politico “forte” (il condottiero, il leader, il pifferaio magico, l’uomo del destino, il padre della nazione, l’illuminato, l’unto dal Signore, il carismatico), arriva a giudicare questo “tornare alle fonti del politico”, una debolezza. Come ha detto un leader dell’opposizione greca “Tsipras è un vigliacco perché non decide e si fa scudo col popolo” senza che questa affermazione, rivelatrice di questa concezione tanto “forte” quanto scriteriata, destasse il benché minimo imbarazzo.

Questo è anche il motivo per il quale, dato che qui non sono in ballo gli spicci che variano tra le proposte del governo greco e la contro proposta della troika, né i sofismi monetari, né tutto l’ambaradan economico e geopolitico che pur gravano oggettivamente sulla scelta, gli euro-tiranni sbavano e si contorcono roteando gli occhi e proferendo minacce apocalittiche con voce roca e pur sapendo che il referendum, probabilmente, lo vinceranno. Quello che è in gioco infatti è il principio base del politico occidentale, la versione che usa un nome nobile (democrazia) per una prassi molto più prosaica (il dominio degli oligoi (ὀλίγοι) = pochi, da cui oligarchia) vs la versione antica e dimenticata del nome nobile che corrisponde alla prassi nobile: il darsi da sé, la propria legge, l’auto-nomia del popolo che governa se stesso (pur tramite un “interprete”). Quando l’interprete, non sa come interpretare, visto che non è autore, è conseguente vada a prendere indicazioni dalla fonte del politico.

Il longevo trucco delle oligarchie occidentali, chiamare democrazia un sistema di oligarchie elette, trucco stabilito già dal 1689 dagli inglesi, ribadito dallo svizzero Constant nel famoso libricino del 1819 (La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni) e accettato supinamente lungo tutto il secolo scorso, corre oggi qui, non a caso nella terra dell’ecclesia, della Pnice e di Pericle, il suo più grande rischio, rivelarsi quello che è: una truffa. Noi, non siamo mai stati “democratici”.

[Aggiungo l’opinione di L.Canfora, uscita in giornata, anche qui]

CRONACA N.207 (27.06.15)

Geopolitica vaticana. Libera Chiesa in libero Stato tra Vaticano e Palestina (qui).

CRONACA N.206 (27.06.15)

The Blues “Big” Brother.

CRONACA N.205 (27.06.15)

Non ci occupiamo dell’affaire greco da un po’ di tempo. Ammiro chi ha tanta pazienza e intenzione nel seguire le cose politiche nel loro altalenante svolgersi quotidiano anche se, temo che, con lo sguardo così ravvicinato, si perda la visione delle dinamiche essenziali.Avevamo detto (quasi cinque mesi fa) che la Grecia si sarebbe trovata certo con molti problemi ma anche con qualche opportunità (accordi con i russi e/o cinesi) e così è stato. Il problema greco ha tre livelli, uno geopolitico, uno europeo, uno nazionale. Quellogeopolitico riguarda principalmente gli USA da una parte, Russia e Cina dall’altra, lasciar la Grecia diventare una testa di ponte per l’asse orientale o tenerla ben stretta all’interno della frontiera occidentale. Quello europeo è ben noto: paesi con la minaccia di una loro Syriza interna, paesi orientali schierati con gli USA nel gioco geopolitico e diffidenti verso un governo di “sinistra”, burocrazie eurocratiche, buona parte dei tedeschi, che non vogliono cedere alcunché nella “trattativa” per non creare precedenti (i “precedenti” fanno norma) e che vogliono mettere in difficoltà Tsipras nella speranza di poterlo sostituire con un governo di allineati. L’IMF che prima si mostra compiacente ad una soluzione, poi s’irrigidisce chissà se per ordini superiori o per interessi tattici nella rielezione della Lagarde come dicono alcuni giornali. Ma questi due giochi sono livelli esterni intorno all’arena principale e questa arena è la Grecia, col suo popolo, i suoi interessi conflittuali, la sua dialettica interna. Sopratutto nell’area “alternativa” ho letto di tutto ed il suo contrario. Tsipras fa bene, no fa male, dovrebbe trattare ma rimanere, dovrebbe rovesciare il tavolo, dovrebbe stampare dracme, valute parallele, rubli, figurine panini e chissà cos’altro. Il problema è che Tsipras e Syriza non sono enti che vivono su facebook o nel mondo immaginario dell’on line, governano un paese di 11 milioni di anime con tutti i relativi attriti, scontri, divergenze, un universo che non è liscio come i pensieri dei picchiettatori di tastiera. Ora Tsipras fa quello che personalmente ritengo la cosa più giusta, la cosa più onesta, coerente, efficace: chiede al popolo cosa pensa.

Qualche giorno fa,  un conoscente greco, mi raccontava (spero sia così) che il governo ha imposto nelle scuole la lettura ripetuta del famoso discorso di Pericle, quale si trova nella Guerra del Pelopponeso di Tucidide, che in Italia è conosciuto nella versione manipolata da Paolo Rossi mentre consiglio vivamente l’originale (qui, Ia e IIa parte). Non è solo una preferenza ideologica, la democrazia (diretta) è l’unica forma di trasmissione della volontà politica -immediata e non distorta-,  tra tutte le parti di una comunità. Cosa farà il popolo greco lo dirà il popolo greco. Ridurre la complessità al più semplice possibile è questo: collegare, tra loro, tutte le parti in modo che le parti prendano a muoversi in maniera coordinata, senza passare per un centro, una élite, un capo, una minoranza, un illuminato, un condottiero. I greci ci provarono già quattro anni fa (ne parlammo qui) ma l’intenzione non era così forte. Oggi forse si riuscirà  a dare la parola al popolo: che i Molti prevalgano su i Pochi, qualunque cosa decideranno.

CRONACA N.205 (24.06.15)

Leonardo Boff rivendica (qui) il ruolo di ispiratore teorico dell’impianto della nuova enciclica papale di cui abbiamo recentemente scritto (qui). Boff richiama espressamente i concetti da noi messi in luce (tutto sta in relazione e niente esiste fuori della relazione), apparentemente un prestito culturale dalla fisica quantistica (l’interpretazione relazionale che per altro è solo una della dozzina di interpretazioni di questo strano mondo dello micro-fisica), di certa cosmologia così come della biologia sistemica, l’ecologia e più in generale della cultura sistemica e della complessità. Non sono un vaticanista ma sarebbe interessante ricostruire la dinamica dell’adozione di questo paradigma all’interno dell’enciclica papale.

Non v’è dubbio che l’enciclica abbia qualcosa proveniente direttamente da Benedetto XVI eppure lo stesso Benedetto presiedette la commissione (voluta da Giovanni Paolo II) che impose a Boff il silenzio poiché ritenuta fuori linea la sua predicazione che si rifaceva alla Teologia della liberazione. Altresì, Bergoglio presiedette la conferenza dell’episcopato sud americano di Aparecida (2007, Brasile), in cui si sancì definitivamente che le basi della teologia fuori-linea, essendo di matrice dichiaratamente marxista, la ponevano decisamente fuori dall’orizzonte della ermeneutica della Chiesa. Ma altri segnali dicono che forse lo stesso Ratzinger e decisamente di più Bergoglio, non erano poi del tutto contrari a molti dei contenuti di quella visione (essere d’accordo con i contenuti ma non con il paradigma fondante non è una contraddizione quando si ha a che fare con sistemi di pensiero complesso). La faccenda riguarda anche le errate attribuzioni di presunto comunismo al pensiero del papa. Non mi stupirei se la questione avesse nuove puntate.

Ipotizzo, infatti, che i pensatori della Chiesa (non tutti ma senz’altro il papa e chi lo ha eletto) abbiano intravisto uno spazio di marketing delle idee molto promettente. Il comunismo realizzato è andato come è andato ma l’ispirazione originaria non era poi né sbagliata, né aliena a certe predicazioni cristiane. Forse qualcuno ha pensato di raccoglierne l’eredità restaurando l’impianto in modo da renderlo omogeneo o quantomeno compatibile con quello cristiano dando a questo una vitalità che da tempo mancava. E che l’operazione potesse transitare tramite il principio olistico del gesuita Teilhard de Chardin e del francescano Boff, stando attenti a non finire nel panteismo, nel biologismo, nel socialismo sarà apparso rischioso ma senz’altro promettente. Del resto, le prospettive della Chiesa cattolica sono tutte concentrate nei paesi non occidentali, in Occidente Dio è morto e non sembrano esserci speranze di resuscitarlo, l’Occidente si fonda sulla cultura riduzionista, determinista, antropocentrica superomistica, sul sistema economico che si fonda sulla circolazione e manipolazione di quello che il compianto Le Goff ricordava essere “lo sterco del demonio”,  in quel Medioevo in cui l’ordinatore era appunto la religione cristiana e la sua Chiesa. Chiesa che, al potere sebbene lungo la strada che la portava alla definitiva sconfitta nello scontro con la Modernità, rifiutò quell’umanesimo (si veda il neo-platonisno fiorentino ad esempio Giovanni Pico della Mirandola) in cui l’olismo era ispirazione fertile. Gli indizi ci sono tutti, sarei curioso di sapere come sono stati cucinati, da chi e quali altre pietanze prevedono. (ringrazio l’amico P.Bartolini della scuola ASPIC di Ancona che mi ha segnalato l’intervista a Boff).

Aggiungo che se il pensiero di sinistra, il pensiero che ha molte fronde ma le cui radici affondano al XIX° secolo, copiasse la capacità di reinventarsi che sta dimostrando un sistema di pensiero che ha due millenni di storia, forse avrebbe qualche speranza ancora di non esser ricordato come quel pensiero che durò solo due secoli. Due, il concetto della relazione, appunto…

CRONACA N.204 (21.06.15)

21 Giugno, giornata mondiale degli umanisti. Qui.

CRONACA N.203 (21.06.15)

[Segue la cr. 202] Il paragrafo III del terzo capitolo dell’enciclica Laudato si’, affonda la critica sull’antropocentrismo moderno. La faccenda dell’antropocentrismo è assai complicata. Il termine è unico ma come certe superfici cambia colore a seconda dell’illuminazione ovvero prende significati a seconda dei contesti discorsivi. Di per sé, l’antropocentrismo, risponde alla domanda: nella situazione mondo e uomo, qual è la posizione di quest’ultimo? Se ne danno tre possibili risposte (potrebbero essere anche di più ma vogliamo riferirci a quelle più rappresentative). 1) l’antropocentrismo forte è quello ad esempio per principio cosmologico detto -principio antropico-. Qui l’uomo è al centro di un universo fisico quale suo massimo compimento. 2) all’opposto, si introduce l’ipotesi dio per cui egli avrebbe posto il mondo, poi l’uomo, per vedere come quest’ultimo avrebbe fatto uso di sé in rapporto all’altro. Questa rimane la posizione della Chiesa che nell’enciclica è ribadita a pg. 91 con l’espressione “…l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile“. Si noti che, in pratica, nel primo caso l’uomo occupa la posizione centrale perché emerge dalla natura fisica ed evolutiva dell’universo, nel secondo caso occupa la posizione centrale perché lì l’ha posto dio anche se l’enciclica specifica che tale opportunità è stata travisata in un impeto di hybris dagli stessi cristiani, retrocedendo il padrone ad amministratore. Non a caso l’enciclica, che parla dal punto di vista 2), nei confronti del punto di vista 1) parla di “antropocentrismo deviato” perché in fondo sono entrambi antropocentrismi. 3) la terza posizione, vede come contesto il mondo inteso come universo e l’uomo come sua emergenza ma essendo l’universo acentrico, per l’uomo non si pone il problema della posizione assoluta (il centro) ma di quella relativa ovvero che posto ha nella relazione col mondo?

Attenzione perché a questo punto la faccenda tende ad aggrovigliarsi. L’enciclica a questo punto ha da dire anche su questa terza posizione ed afferma che “non si può proporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella le altre persone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell’immanenza“. Qui si mischiano i mazzi. Una linea dice che il rapporto uomo-mondo non è da intendersi individualmente ma socialmente, l’altra dice che non è da intendersi come immanenza (c’è uomo e mondo e basta) ma sempre all’interno di una immagine di mondo trascendente (ci sono uomo, mondo e dio, geometria triangolare). L’uso dei termini che sin qui è stato abbastanza giudizioso, attinge a gli aggettivi (che sono sempre una pericolosa coloritura del discorso) e quindi compaiono “romantico” e sopratutto “asfissiante”. Mischiando la due linee si fa la tipica confusione affabulatoria di chi maneggia la retorica da secoli con evidente maestria sofistica. Il mischiamento tende a confondere la possibilità che pur logicamente c’è, ed è evidente, di concordare con l’idea che la relazione uomo-mondo è un di cui di un sistema più ampio in cui c’è anche quella uomo-uomo-mondo ma di non concordare con l’idea che debba comportare anche quella uomo-uomo-mondo-dio. Questa ipotesi, l’ipotesi immanente, non si dà perché è “asfissiante”. Ecco infatti che con consecutio logica deduttiva, quindi inappellabile, il successivo paragrafo 120 deduce quindi che la difesa delle natura è incompatibile con l’aborto e con il rifiuto dell’accoglienza degli esseri deboli (malati, migranti etc.). Segue nel paragrafo “Il relativismo pratico”, la riconduzione del punto di vista 1), l’antropocentrismo deviato, alla filosofia del relativismo pratico. In realtà però, il punto di vista 1) non è affatto relativista ma assolutista, né più, né meno che il punti di vista 2) che però è mitigato da un assolutismo umano subordinato all’Assoluto primo che è Dio. E’ il punto di vista 3) a rifiutare ogni centrismo ed ogni assolutismo e quindi ad essere relativista nel senso proprio di relazione: relazioni uomo-uomo, uomo-mondo, umanità-mondo ovvero il punto di vista immanentista, quello “asfissiante”.

Qui, la sfiducia nell’umano da parte di chi crede che l’umano sia e debba riconoscere di essere una creatura subordinata al creatore come altri la pensano subordinata alla provvidenza impersonale del mercato. Attaccando chi crede necessario e financo giustificato… (segue elenco degli orrori tipo pedofilia, deismo dell’economia di mercato, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, cosificazione dell’umano, schiavitù del debito etc.) si riduce il discorso al modello manicheo (Ratzinger sappiamo quanto sia agostiniano e sappiamo quanto Agostino fosse manicheo): o con 1) o con 2)…poiché 3) è asfissiante. Iltertium non è mai datur da questi meccanici del principio di non contraddizione.  Ma il pastrocchio logico-linguistico non deve ingannarci. L’etica kantiana o quella di Jonas, quella marxiana e quella democratica che è decisa dalla maggioranza degli uomini riuniti in comunità, non ha bisogno di dio per respirare e fintanto che preti e padroni ne negheranno la possibilità, il mondo andrà come è andato nel Medioevo e come sta andando nella Modernità. E’ proprio il tertium che va datur , il principio di un uomo che viva prendendosi in prima persona e associandosi alla volontà comune, la responsabilità di sé e della sua relazione con mondo, decidendo con consapevolezza informata, a maggioranza, quali responsabilità prendersi, quali cautele adottare, quali rischi correre.

Quest’uomo che non è interessato alle geometrie platoniche del centro e dell’Uno, della gerarchia e del potere dei sacerdoti del mercato o di dio, è l’uomo per la cui libertà di respiro, qui ci battiamo.

CRONACA N.202 (21.06.15)

Dopo aver segnalato l’impianto decisamente positivo dell’enciclica papale Laudato si’, segnaliamo un punto di deciso disaccordo che testimonia come si possa condividere un sistema di pensiero (ordinato da una forma complessa) e non condividere i pensati che scaturiscono da questo impianto analitico. A pg. 135 dell’enciclica, si ripropone l’idea già avanzata in Caritas in veritate (2009) da Ratzinger, a sua volta riprendente simile spunto da Giovanni XXIII di una “Autorità politica mondiale“. Il ragionamento è che a problemi globali debba corrispondere un potere politico di gestione altrettanto globale. Come s’intenderebbe tratteggiare questa Autorità politica mondiale però non è chiaro, se cioè spingere forme di interrelazione coordinata permanenti o se immaginare un governo unico dell’unico mondo, se cioè strutturare una democrazia planetaria o una monarchia. Non è detto che sul punto, Ratzinger e Bergoglio abbiano lo stesso punto di vista per cui il testo allude ma non specifica.

CRONACA N.201 (21.06.15)

Chi è Hans Joachim “John” Schellnhuber, fondatore e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, principale riferimento tecnico-scientifico per gli estensori dell’enciclica Laudato si’? Qui e qui.

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