CRONACHE DA 101 A 200

CRONACA N.200 (15.06.15)

Sempre più vecchi, sempre meno figli, sempre più emigranti, questo lo stato degli italiani.

CRONACA N.199 (14.06.15)

Europei si abbracciano felici perché hanno fatto una bella cosa assieme. Forse, prima della moneta, si sarebbe dovuto mettere assieme questo tipo di intenzione.

CRONACA N.198 (09.06.15)

Pare che al vertice europeo del 25 e 26 Giugno a Bruxelles, si proporrà una svolta nella costruzione del sistema europeo. Circolano, a proposito, due documenti. Il primo (citatoqui) è quello delle istituzioni (BCE, Commissione, Consiglio UE, Eurogrupo più Europarlamento), il secondo (qui) è quello dell’asse franco-tedesco. Una intenzionalità tecnica che ha effetti politici ed una politica che avrà effetti tecnici. Presto per dire qualcosa in merito, visto che i testi sono ancora provvisori e nel primo caso non direttamente noti. Si possono dire però due cose. La prima è che tanto agitarsi conferma che le cose o cambiano o crepano. L’attuale sistema non funziona come da i più segnalato ed ultimamente confermato dallo stesso Draghi. La seconda è che si conferma e si rafforza l’esistenza di una forte intenzionalità tecno-elitista (le istituzioni europee) e geo-politica (l’asse franco-tedesco) a conduzione di un processo complesso che richiede una accelerazione quando già le poche cose che riguardavano il modo che sin qui l’ha condotto, rimanevano straniere al grande pubblico (detto anche popolo, gente, moltitudini, demos etc.). L’ultimo G7 che ha ribadito la inderogabile necessità di chiudere le trattative del TTIP entro fine anno e confermato la strategia dell’isolamento forzoso della Russia diventato il nuovo nemico che ci rende tutti più amici, va nella stessa direzione.

Quindi, il mondo complesso richiede idee ed azioni sempre più complesse, queste sono condotte da élite sempre più ristrette ed i popoli coinvolti in queste dinamiche rimangono sempre più indietro occupandosi di uno spazio-tempo locale che ha il raggio minuto del loro immediato circostante. Questo è noto e da molti osservatori ripetuto. Il punto però potrebbe essere un altro. Fatta questa constatazione, quasi tutti gli osservatori critici, conseguono che si dovrebbe tornare alla dimensione locale contrastando la tendenza elitista, contando sul fatto che nel locale, sia possibile recuperare la dimensione democratico-partecipativa espropriata dalle élite. Ma le élite sono tali, perché si occupano di problemi elitari, poi ne danno soluzioni elitiste ma in prima istanza, tali problemi non li inventano le élite. Le élite si formano intorno alle soluzioni da dare a questi problemi che esistono a prescindere dalle élite.

Quale strategia opporre alle perdita delle condizioni di possibilità di dominio sul mondo che hanno garantito all’Occidente il suo tenore di vita, sino ad oggi? Domanda alla quale le élite anglo-sassoni ed eurocontinentali rispondono con la frattura euroasiatica e i trattati di accoppiamento strutturale giuridico-commerciale. Rinserrare le fila ed alzare le mura del castello accerchiato da torme di barbari. Verso quale forma far evolvere il piccolo-medio stato nazione europeo nato cinque secoli fa ed inadatto a reggere la competizione non solo economica e finanziaria ma anche sociale, culturale, militare, geo-politica del mondo complesso? Domanda alla quale le élite euro-continentali rispondono con l’accelerazione delle unioni bancarie, fiscali, normative e presto giuridiche che seguono quella monetaria che da sola non va da nessuna parte. Il tutto, oltreché elitista ha anche un drive ideologico ultra-capitalista e neo-liberale ma queste domande rimangono anche per coloro che rifiutano questo drive, rimane il dovere realista di dar loro risposta e negarle perché sottese a risposte la cui ideologia non condividiamo non porta che ad allargare la distanza tra realtà e la capacità democratica di stargli appresso.

CRONACA N.197 (06.06.15)

Nature is speaking: MainAcquaTerraOceano. Ottima iniziativa anche la traduzione di Pandora TV.

CRONACA N.196 (06.06.15)

La faccenda della verità è un po’ più complicata di come viene affrontata qui ma il video è sintetico e gradevole. In linea più generale, il bivio è tra le conferme di verità autoindotte dal pensiero umano e le conferme di verità date da ciò che è fuori di noi (anche se poi si aprono grossi problemi sul come noi recepiamo questo fuori di noi).

CRONACA N.195 (03.06.15)

Nell’ambito di questa intervista fatta da G. Floris a C. Rovelli (da 2:54 in poi) ad un certo punto, il giornalista sintetizza: “…se il tempo è la misura del cambiamento, diciamo che il cambiamento è più lento dove c’è più gravità (massa)?”. La cosa potrebbe portarci ad un ipotetico trasferimento d’analogia. Le cose cambiano più lentamente dove c’è più intensità di struttura, il nuovo compare dove ce n’è meno. Vi sono due possibili dinamiche del cambiamento, quella dell’ars inveniendi e quella dell’ars combinatoria. Lo sviluppo della combinatoria è possibile dove c’è più struttura (perché ci sono più parti da interrelare nei diversi modi combinati) ma, fatalmente, le possibilità della combinatoria sono limitate Diventano ancorpiù limitate dal fatto che solo alcune combinazioni funzionano e successivamente, dal fatto che l’inerzia di una struttura che ha trovato un precedente equilibrio ed una positiva funzione, frena la ricerca di nuove combinazioni. L’invenzione invece è decisamente più possibile dove c’è meno struttura. I tipi umani dediti all’invenzione sono in genere i giovani, i geni, gli artisti. I giovani sono senz’altro meno strutturati psichicamente degli adulti ed è noto ad esempio che in fisica, ci si aspetta l’emergere dell’intuizione del tutto innovativa, solo entro un preciso limite d’età. Ma il discorso vale anche per i filosofi ed altri creatori col pensiero. I geni, sono tipi umani spesso al limite della norma psichica, se le loro biografie intellettuali risplendono nei tempi dei tempi, quelle umane sono in genere assai penose. Gli artisti abbinano le caratteristiche mentali sia dei giovani, sia dei geni, fatto questo che li porta assai spesso ad essere dei marginalisti sociali. Diverso il discorso per la novità prodotta dalla combinatoria che potremmo dire anche “sistematica”. Qui sembra che la potenza del tenere assieme tante cose ed il poterle interrelare compiutamente, sia altresì una caratteristica integrativa anche se, come detto, il potere creativo della combinatoria è più limitato di quello dell’inventiva. Il discorso vale anche sul piano degli enti impersonali come i sistemi di idee, le immagini di mondo, le società, le civiltà. L’erratico baricentro ad esempio della civiltà occidentale, il tour partito da Atene e proseguito a Roma, poi nell’Italia rinascimentale settentrionale, poi nell’area Parigi-Belgio-Olanda, poi saltato in Inghilterra e da qui agli Stati Uniti freschi di costituzione, disegna sempre stazioni nuove lì dove prima c’era il margine sfrangiato di un centro potente che poi declina. Ogni vecchia stella deve infine esplodere per liberare le sue parti e dargli la possibilità di iniziare la formazione di un nuova stella. Ciò che giunge al massimo fulgore di struttura, quando termina le sue possibilità combinatorie, le sue condizioni di possibilità, declina. Il nuovo nasce lì dove prima c’era il poco e prima ancora il niente, ai margini delle strutture prima dominanti. Lo stesso concetto di “distruzione creatrice” questo sostiene, occorre smontare vecchie strutture perché possano crearsene di nuove. Così dice la negazione determinata nelle dialettica hegeliana che aveva di mira proprio intuire la struttura del divenire, del cambiamento sebbene la distruzione del vecchio sia solo una precondizione per il nuovo, non una legge generativa.

CRONACA N.194 (01.06.15)

Le lingue neolatine ovvero le lingue che condividono la comune origine latina, sommate assieme, con 741 milioni di parlanti, rappresenterebbero il secondo ceppo linguistico mondiale dopo il cinese e tale ceppo sarebbe il doppio di dimensione rispetto ai parlanti inglese. L’area dei parlanti una ipotetica neo-lingua di fusione dei rami portoghese, spagnolo, italiano e francese, coprirebbe Sud e Centro America con presenze importanti anche negli USA ed in Canada, l’Europa mediterranea ovviamente ed una parte di Africa. Per creare questa fusione dovrebbero ovviamente fondersi le quattro nazioni europee native dei principali rami. Non è cosa che avviene in due-tre anni ma sarebbe un magnifico progetto strategico di lunga durata per l’avvenire: una nazione federata di 200 milioni di individui (con greci e valloni), con un Pil tra il secondo ed il terzo mondiale, al centro delle relazioni est-ovest come sud-nord, con Africa e Sud America come terre di relazioni privilegiate primario e quello turco-arabo mediterraneo come secondario. Va da sé che rimarrebbero forti legami e relazioni anche con le varie Europe (germano-scandinava e balto-slava). Poiché le nostre menti sono colonizzate dal conservatorismo stato-nazionale tradizionale e dal falso progressismo dell’impossibile unificazione di tutti gli europei, nonché dominate da una sudditanza psicologica e culturale nei confronti della cultura anglosassone ed in più, prive di capacità costruttiviste, l’idea sembra balzana o quantomeno utopica. Noi pensiamo sia invece una ottima soluzione al problema del futuro dei nostri popoli, più o meno l’unica più che la semplice “migliore”.

CRONACA N.193 (28.05.15)

Sondaggio di Al Jazeera, sul proprio pubblico on line, sulla popolarità dell’Isis: positivo il giudizio dell’80% dei 38.000 rispondenti. Come commenta l’articolista della Stampa, nullo il valore scientifico del dato, però… . Innanzitutto, contrariamente a quanto riportato dalla confusionaria F. Nirenstein sul Giornale, il Qatar non è annoverabile tra gli sponsor occulti dell’Isis, supportando la linea salafita di una certa parte di al Qaeda e sopratutto i Fratelli Musulmani. Tra l’altro, essendo Isis un progetto arabo saudita ed essendo Qatar e sauditi in accesa competizione ideologica e geopolitica, si deve escludere ogni compiacimento qatariota. La posizione del Qatar però potrebbe influire ben poco sulla libera opinione del pubblico dell’emittente. Si consideri poi che il pubblico dell’on line ha un taglio diverso da quello del televisivo satellitare che a sua volta è solo un di cui dell’opinone pubblica generica. Infine si consideri di contro, che comunque questo pubblico ristretto è ad alto contenuto informativo e quindi ha una opinione abbastanza strutturata. Insomma, probabilmente si tratta di tendenzialmente “giovani – informati” di lingua araba. Che tra questo pubblico, l’Isis sia in grande spolvero non è novità. Tralascerei deduzioni specifiche come la condivisione della violenza generalizzata o un sunnismo in pieno delirio settario, violenza e settarismo che in genere, non sono comunque estranei all’impeto ideologico giovanile (si veda il caso dei due Hitlerjugend,qui). Propenderei più, come molti studiosi hanno sottolineato, sul carattere ben definito del progetto Isis (ben delineato, non compromissorio, idealistico) e sul caso di successo, che è una rarità nella storia araba degli ultimi decenni se non secoli. Questo fa “simpatia” che non porta alla totale condivisione concreta ma che indica una sensibilità, di massima, positiva. Del resto, l’Isis, investe molti soldi, energie e progetti pratici per creare questo effetto sul suo target allargato di riferimento. E’ questa una delle ragioni che ci hanno spinto, nelle nostre precedenti analisi, a dire che Isis è un progetto di lunga durata e non è primariamente un progetto occidental-sionista ma saudita (il che non esclude l’appoggio dei primi ai secondi, anzi). C’è un fondo ideologico sofisticato e di lungo periodo dietro l’Isis, intenzioni che lo fanno essere un progetto di cui, i più, non hanno ancora individuato il fine.

CRONACA N.192 (27.05.15)

Era il 31 Maggio 1983 quando l’allora presidente USA, Ronald Reagan in visita a Mosca,annunciò la rivoluzionaria smaterializzazione dell’economia, l’inizio dell’”economia della mente”. Da allora siamo stati giornalmente accompagnati da un coro greco di esaltazione del superamento della sostanza materiale, l’inveramento dell’ iSpirito Assoluto (made by Apple), la rivoluzione permanente di ogni modo di essere economico, dalla vile aristotelica materia alla nobile idea platonica. Trenta anni e passa dopo, secondo P. Krugman, siamo invece diretti verso un grosso “boh”. Effettivamente si è tentato l’aggiramento del limite materiale con la costruzione di una economia fatta di bit, magari codificanti vorticose partite di giro tra crediti e debiti basati sul iNulla ma la faccenda è durata il tempo che dura la magia di una favola. Nei fatti, l’iperinflazione info-tecnologica, la più annunciata e propagandata rivoluzione pre-confezionata della Storia, ha prodotto poco o nulla in termini di crescita e redditi.  In effetti, i fisiocratici pensavano che la creazione del valore fosse una prerogativa della Natura. Smith e Marx  si convinsero che la creazione del valore fosse nella trasformazione della materia compiuta dal lavoro umano. Il nuovo credo economico spiritualista voleva credere nella creazione del valore emancipando l’uomo da natura e materia ma non calcolando che l’uomo è natura e materia.

CRONACA N.191 (24.05.15)

E’ morto Beautiful Mind, John Nash. Premio Nobel 1994 per una sua teoria giovanile, -l’equilibrio di Nash- che è la situazione in cui si viene a trovare un gruppo se ogni componente fa quello che ritiene meglio per sé, ovvero agisce in maniera egoista. L’idea sviluppata matematicamente è interna alla teoria dei giochi non cooperativi. Secondo F. Schirrmacher, -Ego. Gli inganni del capitalismo, Codice edizioni, 2015-, è sintomatico che la teoria elaborata da uno schizofrenico paranoico, sia a fondamento di una ipotesi antropologica. Quella che ha portato a credere in un modello umano che è alla base dello sviluppo culturale che ha portato i principi psicologici della Guerra Fredda a diventare la base dello sviluppo dell’attuale economia dell’informazione, della finanza, dell’egoismo accumulatorio, degli algoritmi di Google e facebook che stanno costruendo l’enorme Data bank al quale attingono tutte le organizzazioni commerciali e militari che vogliono ridurci a calcolatori razionali del proprio tornaconto. E’ formattandoci giorno per giorno secondo questo modello che  l’assioma in base al quale fanno funzionare i loro algoritmi di previsione e controllo del nostro comportamento, si regge e regge tutto il sistema. Alla fondazione di questo assioma, Nash ha fornito la più metafisica delle caratteristiche della scienza moderna: la logica matematica. Questa la tesi, per altro contrastata in sede critica, di Schirrmacher, co-editor della Frankfurter Allgemeine Zeitung,  morto poco meno di un anno fa. Avranno quindi tempo per discuterne a fondo, quando s’incontreranno nell’oltremondo…

CRONACA N.190 (24.05.15)

Il sistema dell’euro sta prendendo coscienza della sua impossibilità? La formazione della consapevolezza è un processo a gradi in cui si modificano alcuni punti di una immagine di mondo. Alcune di queste modifiche non alterano l’assetto generale del sistema, altre si. Per voce del suo massimo sacerdote, il governatore del sistema (dal latino gubernator ovvero dal greco kybernetes: pilota, timoniere) M. Draghi, introduce il tema dell’eccessiva varietà strutturale delle parti che compongono il sistema; “In una unione monetaria non ci si può permettere di avere profonde e crescenti divergenze strutturali tra paesi, perché queste tendono a diventare esplosive“. Seguono ricette, ammonimenti, consigli ma anche un inquietato “ogni ritardo (nel processo organico di convergenza) può essere pericoloso” il che significa che il timoniere vede l’enorme massa di cose da fare ed il poco tempo a disposizione ed è preoccupato. Preparazione di una onorevole fine o pressione per accelerare processi persi nella loro inestricabile complessità? Vedremo… . Sta di fatto che la precedente sicurezza dell’ottimismo della volontà sulla “irreversibilità” del processo non c’è più, si affaccia il pessimismo della ragione.

CRONACA N. 189 (23.05.15)

Edipo scientifico. Lo scienziato vorrebbe uccidere il filosofo per rimanere da solo ad accoppiarsi con la realtà. Ci sarebbe parecchio da dire sull’argomento ma ci torneremo su forse più avanti in un articolo dedicato. Per il momento, questo buon articolo di Internazionale. Da considerare questo link contenuto nell’articolo, merita la visita.

CRONACA N. 188 (22.05.15)

Martin Ford ci dice quello che già sapevamo da tempo ma forse ripeterlo è utile visto che tra sordi e distratti sembra che la profezia annunciata ormai con certezza evidente, non sia recepita. Il lavoro umano tende a scomparire e lo fa velocemente. Che fare? Va molto il reddito garantito (di cittadinanza, d’esistenza) per altro previsto già dal canone neo-liberale. Io sarei anche d’accordo, sopratutto pensando che molti ancora tentennano pensando ad ipotetiche riprese impossibili o improbabili lotte radicali per uscire fuori dal capitalismo. Ma non son affatto convinto che basti. Secondo me, così come il capitalismo in vena di globalizzazione ha creato i nuovi affluenti emergenti che stanno schiacciando le condizioni di possibilità per il capitalismo occidentale, così con l’automazione sta realizzando il sogno del controllo totale della forza lavoro dimenticandosi che è poi anche la forza consumante e niente lavoro, reddito di sopravvivenza, consumi zero. Mi sa che stiamo andando a passi spediti più che verso il clash of civilization, verso il crash of civilization.

CRONACA N. 187 (21.05.15)

L’Italia continua la sua marcia indefessa verso l’acuirsi dell’ineguaglianza: l’1% più ricco ha il triplo del 40% più povero, il primo quintile (il 20% più ricco) ha il 61,6% della ricchezza totale (il 60% meno ricco , solo il 17,4%). Il tasso di povertà tra i lavoratori non standard tende molto più verso quello dei disoccupati che verso quello degli occupati (dovrebbe in teoria, approssimarsi al giusto mezzo) e strutturale sembra la permanenza in questo universo dell’incertezza ovvero la difficoltà a passare dall’instabile allo stabile. L’Italia e gli altri mediterranei sono tutti sopra la media OECD-OCSE per indice Gini (Italia 13a su 34) assieme ai paesi di cultura anglosassone (ma senza la loro ricchezza complessiva), così per la povertà relativa (12a su 34) e scandalosamente anche per differenza di ricchezza tra il 10% più ricco ed il 10% più povero (addirittura 8a). Ma nessuno reclama più tasse per i ricchi ed una bella patrimoniale, da noi non ci sono né Syriza, né Podemos, per cui vuol dire che ci piace così. Bah…

CRONACA N. 186 (21.05.15)

Il Rapporto 2014-2015 di Amnesty International (qui l’Introduzione) descrive un sostanziale peggioramento dei diritti umani nell’intero pianeta. Tra gli esempi scelti: il triangolo Siria-Isis-Iraq; l’operazione estiva di Israele a Gaza; il Boko haram nigeriano; i 5000 morti della Repubblica Centroafricana di cui, qui da noi, nessuno si è occupato; il Sud Sudan, lo Sri Lanka. L’introduzione sottolinea la diffusa falsa coscienza: “Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza“. Naturalmente ci sarebbero potute stare anche l’Ucraina o la Russia, la Cina o la Corea del Nord ma anche l’indifferenza europea per i morti del Mediterraneo. In pratica sono (siamo) tutti colpevoli. La prima conclusione che se può trarre è che le cose, nel mondo complesso, non funzionano molto bene e tensioni, conflitti, contraddizioni, esigenze imperative di metter ordine secondo unilaterali punti di vista, creano l’abuso del potere che alcuni hanno su altri, incluso addirittura il diritto di averlo il che è un abuso logico particolarmente assurdo e corrompente.

Ma poi troviamo questo articolo su Repubblica-Espresso. In esso, compaiono citati altri casi ma ad un certo punto compare una tavola-mondo con i paesi con rischio concreto si possano avere violazioni dei diritti umani. La tavola però non è di Amnesty International ma di una certa Verisk Maplecroft, una multinazionale quotata  al Nasdaq che fa consulenza di risk management. Il punto di vista Maplecroft è neutro? Ha la stessa garanzia di quello di Amnesty International? Costituisce un abuso d’informazione mettendo opinioni di parte dentro un contenitore su notizie super-partes? Il “L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane” del Rapporto, diventa un vago “…di fronte alla crisi a Gaza e in Ucraina nel 2014“. Seguono cinque messe a fuoco più specifiche: una su i paesi arabi già oggetto dei moti detti “primavere”; uno su gli USA presi solo per il conflitto interno razziale e non per gli abusi commessi in Iraq o l’appoggio sfrontato a macellai come i sauditi o gli stessi israeliani, i civili incolpevoli uccisi dai droni o l’uso disinvolto della tortura da dopo l’11 Settembre come denunciato ampiamente nel Rapporto A.I. e poi la “terrificante sequenza” di Russia, Cina e Corea del Nord. Da cui il problema del come viene usata e manipolata la categoria “Diritti umani” nell’ambito del conflitto d’opinione ed addirittura per preparare l’opinione pubblica ad accettare mirabili punizioni, conseguenza scontata di tanta efferatezza manifesta come si è visto di recente col ministro nord-coreano bombardato perché sbadigliava, notizia inesistente che diffusa con dovizia di particolari dal mainstream segue la costruzione del nemico che ha nella Corea del Nord l’obiettivo scontato. Questo utilizzo politico della categoria “violazione diritti umani” è ben nota ad Amnesty che appoggia il pronunciamento di 40 paesi (di cui non sono riuscito a trovare l’elenco) ai cinque permanenti (ed a gli altri) del Consiglio di sicurezza di ricorrere per principio all’astensione volontaria al ricorso al veto, quando si trattano le questioni di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da cui la seconda considerazione: bisognerebbe che tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani s’impegnassero di più nella battaglia per de-politicizzare il concetto. Fino a che qualcuno urla su Israele ma tace sulla Siria (o viceversa) e qualcun’altro urla sulla Russia ma tace su gli USA (o viceversa), quello che già sappiamo, e che è tanto, non si può trasformare in patrimonio umanitario. Diventando arma di pressione d’opinione come la usa Repubblica, perde il suo valore universale e diventa parte del problema stesso, perversamente.

CRONACA N. 185 (20.05.15)

Giorni fa in libreria, sono stato attratto da un volumone rosso di Fazi editore “Politics” diRobert Mangabeira Unger, un filosofo e politico brasiliano il cui libro ha una prefazione di un cinese, Cui Zhiyuan. Ho scorso l’indice mentre pensavo che un libro di politica di un brasiliano introdotto da un cinese partiva già con buone carte. Lo presi e mi sto apprestando a leggerlo anche se non sono del tutto sicuro che sarà tempo ben speso ma la ricerca comporta anche qualche investimento incerto. Unger è un filosofo politico con competenze giuridiche ed economiche, oltreché sociologiche. E’ stato anche Ministro degli Affari Strategici del Brasile con Lula nel 2007 e di nuovo nel 2015 con la Rousseff. Il prefatore, Cui,  professore a Pechino è anche uno dei fondatori della Nuova Sinistra cinese. L’ambito teorico di Unger sembrerebbe un liberal-socialismo con forte impegno allo sperimentalismo democratico. Sicuramente si tratta di pensiero nuovo e come tale merita attenzione. Qui una intervista BBC. Poco o niente in italiano se non una recensione di S. Maffettone, qui.

CRONACA N. 184 (20.05.15)

Non vorrei entrare nel merito del problema “riforma della scuola”. Mi limito a segnalare l’intervento di filosofo “liberale”, Corrado Ocone, qui. Ora, per carità, si conviene piena libertà a tutti di esprimere opinioni e giudizi tra i più vari ma come si può definirsi un filosofo ed esporre una struttura argomentativa “se A e B e non B allora A” ponendo il primo bivio come legge, quando è l’opinione specifica di un altro filosofo (non tra i più conosciuti e nella pagina Wiki del link assimilato alla tradizione dichiaratamente conservatrice che va da Edmund Burke a Roger Scruton?) secondo il quale esistono associazioni umane solo di due tipi: 1) associazioni d’impresa; 2) associazioni civili. Dopo lungo argomentare, Ocone giunge ad escludere che la scuola pubblica sia una associazione civile, quindi, è una associazione d’impresa. Tra l’altro, il “filosofo”, gioca evidentemente volutamente (quindi poco onestamente il che per un filosofo è peccato grave) sulla duplice significanza di impresa. Si può infatti fare una impresa per intraprendere nel senso dell’aspettativa del profitto quantitativo nel metter su una azienda  o si può fare una impresa per intraprendere nel senso del voler formare alla cittadinanza gli individui che ne andranno a fare parte, il che comprende il lavoro, la cultura civica, la cultura generale e tante altre cose. Qual è il fine della scuola? Quello che si sta discutendo in Italia è quello che si discusse più di venti anni fa in Gran Bretagna e che lì poi si applicò, una forte finalizzazione dell’istruzione alla formazione al lavoro. Oggi però, i britannici ma anche gli americani, scoprono di aver formato dei dotti ignoranti, persone che sembravano adatte a compiti che nel frattempo sono cambiati ed anzi, maggiormente specializzati in qualcosa di molto focalizzato, maggiormente disadatti al cambiamento veloce stante che cambiamento veloce è ormai lo standard di movimento del mondo del lavoro connesso la mondo economico connesso al mondo complesso in generale. Formare cittadini non è formare lavoratori a meno che non s’intenda possibile ridurre la società ad una azienda e la sociologia all’economia. Il primo insieme (la cittadinanza) è molto più ampio e generico del secondo (la professione), lo include ma non si esaurisce lì. Penso che sia utile discutere di una riforma della scuola e della formazione, sia vero che in Italia occorra riequilibrare ove possibile l’insegnamento umanistico con quello scientifico ma non sia per niente utile farlo partendo dal concetto di azienda e di mercato semplicemente perché questo confonde fini del tutto diversi. Ma anche perché si rende, tra l’altro, un cattivo servizio al mondo del lavoro recando in dote dotte ignoranze quando si è capito che una economia occidentale potrà sopravvivere solo se dotata di superiori doti di creatività, innovazione, flessibilità ed ampiezza delle conoscenze. Qualità queste ultime che per manifestarsi necessitano semmai di una quanto più plurale e diversificata formazione generale visto che il resto della vita verrà trascorso in qualche cubicolo della ossessiva divisione del lavoro. Forse può esser utile tornare al medioevo dove la formazione non specialistica era detta appunto “delle arti liberali”, il trivio (grammatica, retorica, dialettica ovvero filosofia) ed il quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), cultura umanistica e scientifica (secondo l’intendimento del tempo che non è certo quello moderno). Queste erano le Arti liberali, per il lavoro c’erano le Arti meccaniche. Oggi i liberali vorrebbero farci diventare tutti meccanici? Dobbiamo rimpiangere Marziano Capella? mala tempora currunt…

CRONACA N. 183 (20.05.15)

E’ un po’ che non ci occupiamo anche di Arabia Saudita e lo facciamo con una nota di colore (rosso sangue). Inserzione pubblicitaria per reclutare nuovi boia, addirittura otto. Già 88 le condanne alla decapitazione con sciabola nella pubblica piazza (sono state 85 in tutto il 2014). Il prode Molinari  da Gerusalemme, si chiede perché questa recrudescenza? Pià trafficanti di droga? Più terroristi jiahdisti da terrorizzare? Non sarà che wahhabita l’Arabia Saudita e wahhabiti quelli dello Stato islamico, i primi vogliono/debbono corrispondere allo standard dei secondi per non trovarsi indietro nella corretta applicazione della shari’a ?

CRONACA N. 182 (19.05.15)

E’ un po’ che non ci occupiamo di Isis. Linkiamo quindi una nota di Giannuli che commenta i presunti avvicendamenti al vertice dell’organizzazione. Che fine farà l’Isis? Noi ci siamo già espressi. Alla fine lo spazio siro-iracheno da loro controllato verrà normalizzato (meno macelleria coranica, più sano integralismo) e rimarrà anche se non ufficialmente, una dependance saudita.

CRONACA N. 181 (17.05.15)

Chi crea posti di lavoro? La classe media (la domanda) e per avere una congrua e potente classe media bisogna tassare i ricchi. Qui.

CRONACA N. 180 (16.05.15)

Canta che ti passa. Proponiamo un side by side: i rappresentanti nazionali dell’alleanza militare occidentale NATO salgono sul palco e cantano “We Are The World”. Il presidente indiano Modi e il presidente cinese Li Kequiang si fanno un selfie dopo una doppia esibizione di yoga e tai chi ma sopratutto dopo la firma di 22 miliardi di accordi commerciali.

CRONACA N. 179 (16.05.15)

L’ex legittimo presidente egiziano Mohammed Morsi è stato condannato a morte in prima istanza. Il fatto giunge dopo una lunga sequenza di pesanti condanne a tutti i possibili livelli organizzativi dei Fratelli musulmani, inclusa la donna a morte in seconda istanza della guida suprema Muhammed Badie. La leadership egiziana che è militare e laica, flirta con quella ultra sunnita saudita e farà piacere a questa che oltre a Morsi, la cui accusa è l’esser evaso dal carcere nel 2011 assieme a membri di Hezbollah ed Hamas (Morsi ha subito anche una accusa di spionaggio un favore di questi) siano stati condannati membri della qatariota Al Jazeera e il leader religioso Yusuf al-Qaradawi che risiede, appunto, nel Qatar. Notizia e commento (quest’ultimo interessante)  dal 24 ORE.

CRONACA N. 178 (14.05.15)

Ormai siamo a scrutare ogni segno, per quanto minimo, per confortarci. Internazionale annuncia l’arrivo della crescita in Europa con questa tabella (1° tr. 2015 vs 4° tr. 2014). A parte però la “locomotiva Cipro”, una discreta Spagna e Slovacchia, seguita dalla Francia, gli altri o ristagnano o segnano un 0,1% in più. Ma ci sono anche due -0,4% di Germania ed Olanda, un -1,3% della Lituania ed un -1,5% dell’Estonia a dire che questi paesotti dal peso delle foglie d’autunno, vanno secondo i refoli di vento e non fanno certo testo, né quando scendono, né quando salgono. Con il -0,1% finlandese è tutto il nord Europa a frenare pesantemente. Tenuto conto della pompata della BCE, non si capisce l’entusiasmo invero un po’ prematuro dell’articolista.

CRONACA N. 177 (14.05.15)

Ricorderete i simpatici finlandesi quando a fronte delle prime manifestazioni di gravità della situazione economica greca, se ne uscirono con l’invito a vendersi il Partenone. Altre volte, in seno alla Commissione EU, si sono distinti per il rigorismo neo-liberista di un freddezza ultra-teutonica, diremmo sub-polare. Ebbene, eccoli qui con lo spettro della messa in procedura di eccesso per deficit di bilancio. Altre volte ci siam occupati dei finlandesi, ad esempio nel caso della vendita della Nokia che avevamo letto proprio come l’annuncio della fine della nazione finnica o quantomeno della sua economia, il che, di questi tempi, è la stessa cosa. La Finlandia è l’ennesimo paesino a rimanere stritolato dall’inagibilità monetaria, avendo l’euro. Ma non è solo l’euro il problema, lo diventa quando sotto non c’è una struttura economica in grado di sopravvivere ai nuovi tempi. Con i suoi 5,5 milioni di abitanti, persa l’unica eccellenza che avevano, rimangono tanti boschi, tanti laghi e poco altro. La vendita di Nokia ha avuto un effetto sistemico di cui oggi, si cominciano a vedere gli effetti.

CRONACA N. 176 (14.05.15)

Continuano a piovere analisi e predizioni sulla dinamica per la quale l’automazione sostituisce e sempre più sostituirà, forza lavoro umana. L’argomento è in genere accolto da una percezione impressionata dalla fantascienza, più o meno distopica, nel senso che con l’argomento si ha un atteggiamento da spettatore, l’atteggiamento di chi è seduto in poltrona e il cui destino non è legato allo storia dello schermo se non per l’ora e mezzo del film. La previsione è che circa la metà della forza lavoro europea rimarrà progressivamente inoccupabile  nei prossimi trentanni per sostituzione da parte di macchine. Questo processo è già in marcia da diverso tempo ma è stato parzialmente occultato dalla svolta banco-finanziaria che ha prodotto ricchezza virtuale, sostitutiva di quella reale che andava contraendosi per varie ragioni. Una di queste è stata, appunto, la contrazione della produzione e l’erosione di posti di lavoro e quindi di salario per alcune fette di forza lavoro potenziale. Il sistema che chiamiamo capitalismo, preso non per la sua forma interna ma per il ruolo che svolge nell’organizzare la vita sociale, semplicemente non ci sarà più. Occorrerà trovare un nuovo modo di organizzare la società. Purtroppo, l’inerzia sistemica, l’abitudine a riferirsi ad un modo di organizzare la vita che ci sembra eterno solo perché così era per i padri ed i padri dei padri, l’attaccamento quando non la dipendenza che abbiamo sviluppato intorno al concetto di lavoro in sé, congiura a ché quasi tutti non vedano né quello che accade, né quello che sempre più accadrà. Più lavoro, sviluppare il lavoro, garantire il lavoro, sussidiare il lavoro sono le preghiere inutili di chi non comprende l’enorme ed irreversibile svolta a cui siamo sottoposti. Battaglie per guidare l’adattamento ai processi irreversibili cui saremo sottoposti sarebbero quelle della redistribuzione del lavoro con conseguente diminuzione progressiva dell’orario di lavoro; disaccoppiare lavoro dal reddito e capire come ed a fronte di cosa, redistribuire reddito; pensare a quali e quante attività sostitutive potrebbero prenderne il posto; muovere strategicamente gli investimenti pubblici per crearsi una qualche posizione nel settore di attività che rimarrà attivo. Ma siamo così affezionati a questa forma di servitù volontaria che continueremo a piangere per l’esser stati abbandonati dal nostro signore e padrone, piuttosto che pensare a come farsi finalmente una vita propria.

CRONACA N. 175 (11.05.15)

Serge Latouche ha compreso che il problema economico non è economico ma filosofico. In pratica, è il problema del come stiamo al mondo, la relazione Io-mondo. Il mondo immediato è quello interno, quello relazional-sociale, quello della terra in cui viviamo associati per i nostri scopi individuali e sociali. Il mondo-contesto è quello in cui il mondo immediato è immerso, le altre terre e gli altri popoli, l’insieme ambientale che chiamiamo ecosistema generale. La società ordinata dal principio economico è quella che è nata in Occidente, più di tre secoli fa. Il principio economico, a sua volta ordinato da quello del “libero mercato”, in Occidente, non produce più felicità, benessere, aspettative, sogni, fitness adattativa, dinamica sociale, pace, cooperazione, partecipazione alla costruzione del senso e del significato. E’ giunta allora forse l’ora di dismettere il concetto di decrescita che aveva un senso di negazione determinata (dialettica hegeliana), una de-quantificazione nell’imperio dei quantificanti e passare ad un nuovo concetto di qualificazione nell’imperio dei de-qualificanti. Lo abbiamo scritto più volte, il dopo della società ordinata dal principio economico è la società ordinata dal principio politico, dall’agorà del mercato, all’agorà della polis riunita nell’autogoverno. Il tipo di sistema economico riflettente questa sostituzione di ordinatori, sarà una conseguenza, non è necessario definirlo prima o quantomeno, non è dalla definizione di modo economico che parte il processo di cambiamento. Visto che la cultura dell’alternativa e del cambiamento, negli ultimi centocinquanta anni ha avuto come paletti l’aver prodotto miseri risultati e l’essersi basata sulla filosofia di Hegel e Marx, così ad occhio, forse un po’ meno Hegel ed un po’ meno Marx, potrebbe aiutarci a portare a casa qualche nuovo risultato.

CRONACA N. 174 (11.05.15)

260px-Suddeutsche_Zeitung_090520_MBene, a metà Aprile, la Suddeutsche Zeitung, ha espresso ragionevolmente un giudizio definitivo sul sistema dell’euro: lo smantellamento dell’unione monetaria o almeno la sua riduzione a un gruppo di stati omogenei . Il sistema non funziona, è mal costruito (ma si dovrebbe dire che con questi partner non è semplicemente costruibile) e come molti hanno notato con pacata lucidità ed al netto di ogni furia ideologica, entità tra loro economicamente disomogenee non possono condividere gli stessi principi e fatti di politica monetaria. Questo se si rimane dentro un punto di vista ordinato dall’economia. In realtà, poiché non esiste politica monetaria se non all’interno di una politica economica e non esiste questa se non all’interno di una politica in senso più in generale, ne consegue che si debbono mettere entità in interrelazione costruttiva e funzionale, se e solo se, queste hanno il progetto di una possibile unione politica. Da cui, la possibilità unica di cominciare a parlare di unione mediterranea, unione germano-scandinava, unione balto-slava etc. . Si noti che S.Z. è un serioso giornale di Monaco di Baviera (circa 430.000 copie al giorno). Qui da noi c’è qualche penna collegata ad una mente in grado di iniziare riflessioni concrete di tale portata o dobbiamo crogiolarci tutto il tempo rimbalzando tra Boschi – Salvini – barconi – maleducati di talento?

CRONACA N. 173 (08.05.15)

Elezioni UK: come sono andate in concreto lo sappiamo. Il demenziale sistema elettorale britannico (“spettacolo della democrazia” secondo i deliri di Mauro su Repubblica) permette di disaccoppiare i risultati che hanno effetto, con quelli che potremmo trattare come un “sondaggio dell’opinione manifesta”. Tratteremo cioè voti e percentuali in comparazione tra 2010 e 2015 e solo di sfuggita i seggi. I votanti sono aumentati di poco più di un milione, i conservatori guadagnano poco più di 600.000 voti e i laburisti poco più di 700.000. In termini di percentuali i primi segnano solo un +0,8% ed i secondi un +1.45%. Mentre la differenza percentuale tra i due è sei punti percentuali e mezzo, in seggi, ballano 99 seggi! Bah… . Tra le vere  novità, il crollo vertiginoso dei Lib.Dem., – 4.412.000 di voti, meno 15 punti percentuali e – 49 seggi. L’altra è l’affermazione indipendentista scozzese, quasi un milione di voti in più, +3 punti percentuali ma ben 50 seggi in più. Una terza è che un partito come l’UKP di Farage, sebbene guadagni circa 2,9 milioni di voti (grande parte dai LibDem) e 9,5 punti percentuali, si vede riconosciuto un misero deputato (le sigle che ruotavano intorno a Monti ne avevano 45 in Italia con due punti percentuali in meno). Così i Verdi in ascesa di 800.000 voti e di due punti percentuali e mezzo, si vedono solo confermato il loro solitario rappresentante. Rimane comunque il fatto che tra liberali-Farage e conservatori da una parte, laburisti-scozzesi-verdi, siamo 60% a 40%.

CRONACA N. 172 (07.05.15)

Le ricerche di cui do conto negli articoli principali di questo blog, passano periodi in cui mi tuffo in un qualche argomento o materia. Dopo l’islam, recentemente ho trascorso un po’ di tempo sulla biologia in generale. Sono così alle prese con il voluminoso “Il comportamento animale” un testo di riferimento dell’etologia (A. Manning, M.S. Dawkins, Bollati Boringhieri, Torino, 2015) che viene rieditato dal 1972. Arrivato a pagina 462, dopo peana sul senso dell’individuo e dei geni, sono scoppiato in una risata (io non sono un tipo che ride facilmente, tantomeno da solo) quando ho incontrato questa pensosa affermazione: “Sebbene gli ultimi vent’anni siano stati  testimoni di un grandissimo sforzo teorico da parte dei biologi evoluzionisti, ancora oggi non comprendiamo a fondo in che cosa possa consistere quel vantaggio“. Il vantaggio evoluzionistico che schiere di biologi pensosi non riescono a decifrare è quello che avrebbe sostenuto lo sviluppo della riproduzione sessuale, il sesso riproduttivo tra maschi e femmine. Quasi tutte le piante e gli animali lo fanno ma i biologi non capiscono perché si sia evoluta questa irrazionalità. Dal loro punto di vista, vale l’aforisma di Samuel Butler per il quale la gallina era l’espediente inventato dall’uovo per produrre un altro uovo. Butler era un autore satirico ma i biologi hanno preso sul serio la boutade e sono convinti (fortunatamente non tutti) che gli esseri viventi sono espedienti inventati dai geni per riprodursi. Ma se pensate che questo spieghi il sesso, non capite niente di biologia. L’equazione di Hamilton (rb – c > 0) sta a spiegare l’aiuto che si prestano tra loro i parenti. La “r” sta per coefficiente di parentela, un figlio ha in genere più o meno r=0,5 con padre e madre, cioè a metà del codice genetico dell’uno e metà dell’altro. I biologi allora si domandano: perché il codice genetico invece di riprodursi a r=1, cioè clonandosi ogni volta, ha inventato questa assurda procedura del sesso tra due individui, cioè due codici genetici diversi? Perché il gene che nella loro immagine di mondo è egoista, ha messo in piedi individui, peni, vagine e tutto il conseguente trambusto per mischiarsi con un altro gene egoista? Come dice il miticoCrozza-Zichichi: “…questa è sciienza!

CRONACA N. 171 (07.05.15)

Poco meno di due anni fa, qui, dicevamo che il PD, come l’euro, sono aggregati mal costruiti poiché si basano su fondamenti troppo eterogenei. La vecchia guardia bersaniana non lascerà mail il PD ma la nuova guardia della sinistra del partito, sì. S’intrecciano divisioni politiche e divisioni anagrafiche. Civati e Renzi, prima si uniscono per subentrare alle vecchie generazioni, poi il secondo prevale decisamente sul primo, il quale non ha altra scelta che dar per persa la scalata al sistema PD e speciarne uno nuovo. La vecchia generazione rimane invece attaccata al sistema di cui ha perso irrimediabilmente la leadership poiché, data l’età, la fedeltà al sistema è più importante del progetto di leadership che ad una certa età, alcuni, rassegnano a non coltivare più. Mi stupirei allora se a Civati non si unisse Fassina ed in base alla qualità e quantità di presenze nel nuovo soggetto, chissà chi altro. I processi di cambiamento sono più lenti di quanto vorremmo ma è comunque un bene che avvengano. In questo senso si può anche dire che non tutti i Renzi vengono per nuocere, nel senso che dopo i vent’anni della grande immobilità, è comunque un bene ci sia azione. Ogni azione può provocare una reazione e di reazione in reazione, si produce il cambiamento. Non è poi detto che il cambiamento vada nella giusta direzione ma se non c’è movimento, se non ci sono pre-condizioni, non c’è neanche la speranza e vivere questa fase storica senza speranza è condannarsi prima ancora che ci sia il giudizio.

CRONACA N. 170 (01.05.15)

1° MaggioRapporto ILO (International Labour Organization – ONU)  sulle prospettive occupazionali e sociali nel mondo – Tendenze 2015 prossimi 5 anni, dice che la disoccupazione aumenterà nel mondo. Secondo Ryder, d.g. “I dati sotto i nostri occhi sono preoccupanti, ma siamo in grado di migliorare il quadro economico generale se affrontiamo le debolezze di fondo, in particolare la continua mancanza di domanda aggregata, la stagnazione nell’Eurozona, le prospettive incerte per gli investimenti produttivi, soprattutto per le piccole imprese, e l’aumento delle disuguaglianze“. L’aumento delle diseguaglianze diminuisce la domanda aggregata e questo rende sempre più incerti gli investimenti produttivi deragliandoli in investimenti finanziari che aumentano le diseguaglianze. A ciò, l’Europa somma la scombinata ideologia dell’austerity e la dissenta costruzione dell’euro. Ma dice anche che la perdita di lavoro sarà sempre più sensibile nei lavori di routine, medio o poco qualificati, il che significa che l’automazione e l’informatica sostituiscono il lavoro persona. Forse l’ILO dovrebbe ricordare che oltre alla diminuzione delle diseguaglianze, se non si procede ad una energica e consistente riduzione progressiva dell’orario di lavoro, il sistema collasserà.

CRONACA N. 169 (30.04.15)

Interessante analisi sulle prossime elezioni britanniche (7 Maggio) su Micromega. Ne consegue l’impressione di: a) movimento di cambiamento; b) scricchiolio del complesso istituzionale e culturale. Che sia la nuova povertà, l’insofferenza per l’Europa, i problemi delle migrazioni, la compressione della middle class, l’asimmetria regionale che fa riemergere le vecchie linee di faglia (Scozia vs Inghilterra), è evidente che la società britannica è soggetta ad una torsione importante. L’istituzione bipartitica, nata del XVII° secolo per stabilizzare l’autogoverno di una nazione stabilmente espansiva ed in crescita, non coglie il fermento (verdi, UIKP, che saranno sottorappresentati nel nuovo parlamento, il fenomeno Russel Brand). Così le due culture politiche dominanti, tory e labour, stretti nella trappola dell’istinto della conservazione dei tempi andati. Ne conseguirà, probabilmente, l’assurdo per il quale gli indipendentisti scozzesi che non erano riusciti a vincere il proprio referendum locale, governeranno l’intero regno e quindi anche gli inglesi. Essendo soggetto a potente cambiamento, l’occidente, ed essendo le società anglosassoni quella leader del sistema occidentale è facile prevedere che queste stesse saranno soggette ai più decisivi fenomeni di mal-adattamento.

CRONACA N. 168 (30.04.15)

Articolo di Rampini su Repubblica, articolo di “colore” nel senso di impressionistico, su i fatto di Baltimora. Obama ammonisce l’America: “a scrutare dentro la propria anomia”, usando un  termine abbastanza tecnico in sociologia -anomia- (privo di norme) ma chissà quanto compreso dall’opinione pubblica. Proprio di ieri, i dati sulla frenata della crescita economica (ansa), meno ricchezza quindi da distribuire. A dati addirittura 2000, gli USA avevano un coefficiente di Gini, l’indice di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, che la posizionavano tra tra Camerun e Turkmenistan (75° posto). Dati più aggiornati, contenuti nel celebre Piketty (Il Capitale del XXI° secolo) dicono che tale diseguaglianza dovrebbe esser ulteriormente aumentata negli ultimi 15 anni. Secondo R.K. Merton (1910-1983), l’anomia si creava laddove il complesso sociale indicava scopi sociali precisi ma poi non rendeva disponibili i mezzi per perseguirli. Questo genera uno stato di dissonanza cognitiva, un doppio vincolo direbbe Bateson, una fonte di schizofrenia insopportabile. Su questa dinamica, si inserisce la convinzione che sia necessaria una polizia più militare e quella tipicamente americana, del potere della tecnica (controllo) e della violenza (armi diffuse). Poiché quindi: a) gli USA tenderanno non certo a crescere consistentemente nel prossimo decennio; b) non sembra all’ordine del giorno una revisione della distribuzione sociale fortemente ineguale; c) il senso di schizofrenia sociale tenderà a crescere; d) si insisterà sullo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate di controllo e repressione e la diffusa circolazione di armi seguita da una progressiva militarizzazione della polizia…

CRONACA N. 167 (28.04.15)

Baltimora, coprifuoco notturno (22.00 – o5.00) per una settimana. Gli USA vengono dipinti come il paradiso della libertà, l’incarnazione perfetta del sogno della libertà più liberata. Privare il cittadino della libertà di uscire di casa è una nuova forma di liberalismo? C’è grande confusione under the sky…

CRONACA N.166 (28.04.15)

Una nuova Katz-ata, qui. Il redattore di Repubblica dopo aver doverosamente riportato (male) le critiche a questa fonte (riportando solo l’indignazione delle donne musulmane quando invece il problema è che alcuni sospettano che la Katz sia embedded vari servizi segreti) se la cava aggiungendo: “Oggi la sua professionalità, per molti, resta comunque indiscussa”. Molti? Forse a Repubblica …

CRONACA N.165 (20.04.15)

La faccenda dei corpi umani che galleggiano sul mare e che non stanno facendo il morto, sono proprio morti, sono la famosa immagine che vale più di mille parole rispetto ad un problema, il nostro adattamento ai tempi. Quei morti sono lì perché fuggono da situazioni inumane che noi stessi abbiamo contribuito a creare, sono lì perché è ovvio che dal peggio si tenti di andare al meglio. Ma noi, che saremmo coloro che stanno nel meglio, non ci sentiamo tali, anzi ci sentiamo peggio di quando stavamo meglio ed oggettivamente, migliaia di nuovi aspiranti cittadini, ci creano più di un problema. Altresì, mentre i cercatori del meglio hanno una indistinta prefigurazione olistica che il loro meglio si trovi in Europa, l’Europa rimane una vaga entità geografico-monetaria, non certo una entità politica e così assistiamo al disgustoso “guarda che sono qui per te” “ma io non li voglio e poi sono lì da te”. Sul disordine cominciano a volteggiare i corvi e le colombe “è colpa vostra, siete troppo ospitali”, “sciacalli, non avete cuore”. Nei prossimi tre decenni, la popolazione africana raddoppierà e diverrà sempre più giovane, la nostra diminuirà ed invecchierà. I problemi aumenteranno di dimensione e frequenza, la nostra capacità di risolverli diminuirà.

CRONACA N.164 (18.04.15)

Metodo previsionale: il 26 Gennaio, nella Cronaca 86, a caldo dopo le elezioni greche, vaticinavamo che Tsipras si sarebbe trovato senz’altro con tanti guai ma anche con qualche opportunità, due nello specifico (ma forse quattro): Russia e Cina. Ci citiamo “Quanto al possibile isolamento del nuovo governo greco, gli analisti peccano di semplificazione. Tsipras ha possibili alleati nell’ortodossa Russia, nei cinesi hanno molto investito in Grecia facendola diventare perno strategico della loro penetrazione europea…” . Sono seguite cronache sempre più disperate sul fallimento greco, grafici dei dotti economisti, lamenti dei profondi analisti politici, sadici giornalisti che la facevano sempre più buia. L’ultima l’ho letta ieri, la Cina starebbe per mandare a quel paese la Grecia per non so quale motivo. Poi oggi, ecco qui, secondo lo Spiegel e fonti vicine al governo greco, potrebbero arrivare 15 miliardini nella casse di Atene, souvlaki e ouzo per tutti? Ci si domanda: cosa sapevo io che gli altri commentatori ben più noti di me non sapevano? Niente. Semplicemente non si dovrebbero fare previsioni partendo da quadri ideologici ma semplicemente mettendosi nei panni di colui o coloro dei quali vogliano immaginare il comportamento. Cosa farei io se fossi al loro posto? Un io che va ad abitare nel personaggio d prevedere, non un pazzo animato da volontà d potenza.  Ciò non vuol dire che Atene non uscirà dall’euro e certo 15 miliardi non risolvono d’un botto tutti i problemi. Però con 15 miliardi in cassa si ragiona meglio, non c’è dubbio. Perché vaticinavo quattro e non solo due? Perché il Regno Unito potrebbe esser interessato ad interessarsi a coloro che hanno problemi con l’UE e gli USA non staranno certo lì impalati a guardare che un membro NATO, dirimpetto i Dardanelli, diventi partner organico dei russi e dei cinesi. Vedremo… . Fonti questa volta personali, mi avevano indicato anche la nascita di possibili partnership con indiani, molto interessati allo sviluppo del proprio turismo d’élite nelle isole dell’Egeo. Se anche noi ci giocassimo in prima persona qualche carta sul tavolo del mondo anziché pietire qualche avanzo da Bruxelles, forse migliorerebbe la nostra condizione.

CRONACA N.163 (16.04.15)

Un tuffo nel passato. Se vi foste trovati dalle parti del Canada, con muta, bombole e pinne e vi foste tuffati per vedere cosa c’era sotto, 500.000.000 di anni fa, avreste trovatoquesto ( i video sono più d’uno). L’ultimo video mostra il probabile smottamento fangoso che seppellì quella fauna bizzarra preservandola come fossile sino alla scoperta avvenuta ai primi del ‘900. Ma questo patrimonio fossile venne letto con gli occhiali dell’immagine di mondo scientifica dell’epoca. Riletto a partire dagli anni ’70, è diventato il fondamento della teoria dell’evoluzione saltazionista di S. Jay Gould, il quale, racconta ‘intera vicenda nel suo famoso: La vita meravigliosa, Feltrinelli, Milano, 2007.

CRONACA N.162 (16.04.15)

L’impotenza del negativo. Digressione filosofica: è sintomatica la mancanza di consapevolezza di coloro che affollano le legioni critiche. Consapevolezza dell’assoluta sterilità della loro critica. Relativamente al modo occidentale di stare al mondo, quello che chiamiamo “capitalismo”, sono ormai due secoli che si svolge l’esercizio critico. Psicologi, antropologi, sociologi, economisti, storici, filosofi, non vi è pensatore interno ad una disciplina che ha l’umano come oggetto che non abbia trovato un nuovo punto di vista da cui criticare il sistema. Generazioni e generazioni di pensatori di ogni latitudine hanno rinnovato l’esercizio critico, hanno mosso il sistema critico per andare appresso al movimento ed al cambiamento del sistema oggetto di critica. Nel frattempo, l’intuizione anglo-olandese di organizzare la vita associata intorno alla produzione e scambio di ciò che dovrebbe soddisfare bisogni e desideri ha colonizzato l’Europa, le Americhe, il mondo. E’ arrivata ad una tale potenza pervasiva da indurre i più, addirittura ad introiettare i problemi che comunque ha nel suo meccanismo di funzionamento, come problemi propri non del meccanismo ma propri di chi ne fa parte. Tale è ormai l’identificazione ontologica, la mancanza della benché minima alternativa che il problema del sistema è introiettato come “mio-nostro” problema, il problema siamo noi. Il sistema è talmente sicuro di sé da aver cooptato le legioni critiche al suo interno. Sono professori universitari, dirigenti di partiti o sindacati, operatori della comunicazioni, intellettuali, persone che producono, ricevono l’equivalente monetario da spendere in acquisto di ciò di cui hanno bisogno e desiderano ma lo fanno, criticando l’intero processo da cui ontologicamente dipendono. Non debbono più scappare e nascondersi dalla polizia e dalla Legge come quando il sistema era giovane ed in via di incerta affermazione, sono stati cooptati come funzione interna, la funzione di sfogare l’impotenza al cambiamento nella funzione critica. Chissà, magari qualcosa della loro bulimia criticheggiante potrà addirittura esser utile all’imperfezione del sistema stesso, se non altro testimonierà della sua effettiva liberalità.

Purtroppo, non sono pochi coloro che credono che il negativo, il critico, abbia una sua intrinseca potenza, uno potenza addirittura produttiva. Pensare che dal destruensscaturisca il costruens è pensiero magico ed infatti, è questa una modalità del pensiero tipicamente medioevale. Purtroppo Hegel, diede forma razionale a questa convinzione magica, nella sua interpretazione della dialettica. Poco ha pesato l’ammonimento di Marx contenuto dell’XIa Tesi su Feuerbach e chi lo ha tenuto in conto, si è fidato del fatto che proprio Marx avesse trovato la via concreta per costruire mentre si distrugge. Ma la storia ha falsificato questa speranza.

La confusione generata dall’impotenza che ammorba i sistemi delle idee critiche ha oggi raggiunto un suo apice relativo. Capita così di credere con convinzione che siccome il capitalismo sta andando verso la mondializzazione allora la potenza della negazione ci indica le ragioni della nazione. Siccome il sistema liberaleggia sui generi sessuali allora ci arruoliamo nelle guardie svizzere. Siccome il sistema è trasvalutazione di tutti valori allora sai che i fondamentalisti almeno i valori ce li hanno? Se il sistema esalta la tecnoscienza allora porto sicuro sarà tornare alla semplicità medioevale. Fuggire dal paradigma dell’individuo diventerà buttarsi nella braccia della comunità. Capita così che poiché si sta solo facendo esercizio di parola, allora perché non farlo convintamente assieme a chi si riteneva dicotomico, destra? sinistra? che senso ha? mica stiamo a costruire qualcosa, qualcosa la cui natura concreta impone di discriminare tra progetti di mondo incommensurabili. Se si tratta solo di vociare, vociamo tutti assieme, hai visto mai che le onde sonore possano raggiungere i decibel delle trombe di Gerico e buttare giù l’odiato muro? Capita così che non potendo andare avanti, si torni indietro per fare almeno un po’ di movimento: a Marx ci si torna non appena usciamo dalla porta del sistema di idee che critica ma perché non fare due passi in più, torniamo ad Hegel ma allora perché non a Fichte? e Spinoza, dài Spinoza è forteee! C’è poi sempre l’archeologo miope che nei momenti di sbandamento rianima la Repubblica di Platone e la porge a gli smarriti come gli antichi sacerdoti porgevano i rotoli della sacre pergamene che ospitavano le parole della salvezza.  Nevrosi, lenitivi, farmaci, falso movimento, regressione, tutto pur di non farsi la tragica domanda: cosa pensiamo di aver capito che invece non abbiamo ancora capito?   

CRONACA N.161 (15.04.15)

Abbiamo già accennato ai nuovi studi sull’economia complessa, condotti dal CNR di Luciano Pietronero (cronache 116 e 117). Ci si torna su con questo articolo che segnala i nuovi attori in crescita, l’Africa equatoriale.

CRONACA N.160 (14.04.15)

Disgelo e prossima guerra freddissima. La partita intorno al polo, il Polo Nord su Limes.Non si sa quando il Polo Nord sarà ice-free ma quando accadrà si scatenerà la corsa ai presunti giacimenti di petrolio e gas sottomarino. Danimarca, Groenlandia, Canada, Russia e Stati Uniti della partita. Nel frattempo, potrebbe però aprirsi la partita della rotta di Bering, invitante sopratutto come alternativa alle due altre vie della seta per i cinesi. Ricordiamo che i cinesi con i russi già hanno festeggiato poco tempo fa, il primo riuscito viaggio di un cargo cinese (arrivato se non ricordo male ad Amburgo), scortato da un rompighiaccio russo.

CRONACA N.159 (13.04.15)

12 minuti di TED Conference con Lee Smolin su Universo relazionale e democrazia.

CRONACA N.158 (13.04.15)

Poutpourri di info e punti di vista: il fronte yemenita segna un impasse con gli houti padroni a terra ed i saudi-egiziani padroni in mare ed in cielo. Ma la guerra si fa lì dove vivono gli uomini, cioè a terra. Per altro, l’Iran ormai sdoganato, ha mandato proprie navi al largo dello Yemen, ha mandato missione diplomatica in Pakistan che si è detto contrario all’invio di truppe a fianco dei sauditi ed anche i turchi, per altro bombardati a sorpresa da papa Francesco, si sono intiepiditi. Nota giustamente Remondino che quando i soldati di paese con il 28° pil pro capite (Arabia Saudita) incontrano i soldati di un paese col 149° pil pro capite (se non c’è una decisiva differenza di armamenti) i soldati del paese con il pil più alto, sono morti.

Qui, un ottimo Nafeez Ahmed su IS.

CRONACA N.157 (10.04.15)

…un medico a gli albori della medicina che fu in grado di fare correttamente la diagnosi, ma non ancora la prognosi” così Alain de Botton, un tipo sveglio, presenta K. Marx in 9 minuti e 22 secondi. Qui.

CRONACA N.156 (10.04.15)

Interessante interpretazione di A. Giannuli in chiave psicologica dell’incommensurabilità tra mentalità occidentale e jihadismo. Sicuramente, la morte, esibita nella violenza con la quale la si commina e non respinta dallo stesso jihadista che crede nel premio di una bellissima vita eterna, è un punto cardine di questa incommensurabilità. Ma quelle che si contrappongono non sono solo due vissuti della morte bensì due complete e diverse immagini di mondo. Il jihadista e più in generale il musulmano ha una sola forma di ideologia (le immagini di mondo sono anche ideologie), l’occidentale ne ha parecchie di più. Quella dei primi è di tipo religioso, quella dei secondi dipende, per la gran parte è di tipo pragmatico-economico, per alcuni ha anche un corollario filosofico (la libertà, l’individuo, il progresso, la laicità, la tecno-scienza, la ragione), per una minoranza comunque presente, ha connotati politici (la liberal-democrazia, il social-comunismo e la lotta di classe, il contrappeso liberale dei poteri). Sopratutto, rispetto ai jihadisti, le ideologie occidentali sono passioni semmai intellettuali e comunque assai fredde mentre le loro sono assai calde ed esistenziali in un senso totalizzante. Tant’è che per un jihadista, val la pena addirittura morire per la sua affermazione di verità, la verità qui da noi è assai debole, assai relativa e merita forse un punto interrogativo, non certo un colpo di kalashnikov.

Cosa pensare di ciò? Personalmente, non m’iscrivo al partito dei nostalgici, almeno non nel senso di rimpiangere le ideologie per le quali val la pena di morire, penso che la morte non naturale, sia sempre uno scacco per l’essere umano. Credo che l’occidente sia in una fase di transizione, una fase senz’altro diversa da quella dell’islam che invece è in una fase di ritorno del furore ideologico e comunque in sostanziale continuità con il suo passato che è minore, in estensione, del nostro (quattordici secoli vs venticinque). Questa fase di transizione, come tutte le fasi di attraversamento del disordine e di continua mobilitazione al cambiamento, ci rende deboli. Debolezza acuita dalla nostra anzianità, storica ed anagrafica. Debolezza ribadita dal senso di fine di un modo di stare al mondo che fu glorioso e di generale contrazione della nostra demografia e della nostra potenza. E’ una biforcazione. Potremmo uscirne indeboliti al punto da rischiare l’estinzione (estinzione di civiltà, tutt’altro che improbabile) o potremmo uscirne con in dono l’accesso ad un nuovo livello di consapevolezza.

Vi sono molte variabili in gioco, troppe per azzardare una previsione. Quello che mi sembra certo è l’importanza della variabile tempo. Il nostro cambiamento non avviene in un contesto isolato, è sincronico a quello delle altre civilizzazioni, alla loro crescita ed affermazione (islam e Cina sopratutto). Questo significa che non abbiamo molto tempo, non abbiamo il tempo naturale dell’adattamento come se dovessimo rispondere solo ad un un fronte adattativo come ad esempio il problema ambientale. Chi rischia di più nella nuova sfida adattativa al mondo complesso, siamo senz’altro noi e dalla lentezza e dallo smarrimento afasico con la quale stiamo reagendo, proviene un inquieto senso di preoccupazione.

CRONACA N.155 (09.04.15)

Da qualche giorno, escono articoli preoccupati del fatto che, in prospettiva (ad esempio 2050) i musulmani cresceranno più dei cristiani nella popolazione mondiale. Ecco esattamente le proiezioni più affidabili (qui). I musulmani, i cui soli sunniti sono già oggi rispetto ai soli cattolici l’interpretazione religiosa maggioritaria, non solo andranno (quasi) a pareggiare i cristiani, ma diverranno il secondo gruppo con un peso demografico importante, in India, Europa, Stati Uniti d’America. Giocano i tassi di fertilità, l’età della popolazione e i tassi di conversione dalle religioni minori (Africa, Sud est asiatico).

CRONACA N.154 (08.04.15)

Editoriale di L. Caracciolo sull’ultimo Limes 3/2015: Chi ha paura del califfo?. Essendo il coordinatore, Caracciolo, non esprime mai una tesi precisa, più che altro tocca punti. Eppure nell’editoriale traspare un ironico disincanto, riguardo l’IS, letto più che altro come riflesso di una serie di nevrosi e di opachi interessi occidentali. Questa volta, in particolare e già dal titolo “E’ l’economia stupido”, insiste sul lato della circolazione allargata dei denari, circolazione a cui partecipa l’IS quale partner a cui non si chiedono credenziali. L’IS diventa così produttore di petrolio, spacciatore di droga, trafficante di esseri umani (e chissà forse di organi), archeomafia, venditore illegale di zanne d’avorio e pietre preziose. Un flusso di prodotti che vengono collocati qui da noi che diamo soldi con i quali comprano armi (da noi) per fare quello che fanno, ora lì e chissà, domani qui. Intanto, mantenendo vivo l’allarme provocato dalla loro trucida presenza, lasciamo aperta la porta a qualche possibile, improvvido, intervento anti-terrorismo che possa meritare qualche ulteriore investimento in armi. L’elenco della fantasmatica coalizione anti-IS. è in effetti agghiacciante, si sarebbero (in teoria) ben 15 paesi che starebbero bombardando, 3 con truppe di terra (curdi, iraniani, iracheni ma forse bisognerebbe conteggiare anche la Siria), 2 che starebbero dando sostegno militare (tra cui noi), 7 che armano i curdi, 3 per l’addestramento e ben 11 con imprecisati compiti di aiuti non letali. E’ evidente che c’è qualcosa che non va.

L’analisi sul progetto di statualità inerente la strategia IS e non solo, ha luci ed ombre. Colpisce infatti che a pg 15 si dia conto dell’organizzazione interna ad IS, seguendo più o meno, le informazioni della famosa brochure scaricata da Internet di cui anche noi parlammo qui (incluso l’errore zaqat-zakat in cui anche noi siamo caduti). Da Limes forse ci si aspetterebbe qualcosa in più in termini di fonti ed infatti non si capisce bene le info sul taglio dei fondi delle fondazioni wahhabite da dove l’abbiano prese. Così la defezione di molti foreign fighters che è ripresa dalla stampa mainstream che documentò qualche caso del genere (affidabile? quanto rappresentativi?). La verità è che dalla stampa generalista a quella specializzata, dalle fondazioni di analisi sulla politica estera a forse gli stessi servizi segreti, su IS in Siriraq, se ne sa assai poco o niente. Quello su cui Caracciolo insiste è andare appresso alla narrazione che vuole l’IS in rotta con l’Arabia saudita. Ma dove è questa rotta? Basta guardare la cartina dei confini IS, per vedere che il confine più ampio è quello appunto con l’AS, un confine quantomeno poroso visto che è in pieno deserto e due terzi di IS sono sauditi che magari ogni tanto fanno una capatina a casa così per salutare i parenti e vedere come vanno le cose in famiglia. Dove sono allora gli attacchi l’AS o almeno un attentato, chessò un piccolo pozzo fatto saltare almeno per “dimostrazione”. Niente di nulla vestito. E tutta la logistica dell’IS dove transita visto che certo non passa per l’Iraq o l’Iran o la Siria ? Tutta in Turchia e Giordania? E’ credibile? Mah…

Si chiude sulla Libia, dove le analisi sembrano più puntuali ed informate. L’analisi del caso libico occupa più del 40% del volume mentre l’altro 40% è investito su una ricognizione più ampia sul jihadismo (su cui torneremo nelle Cronache) ed un 20% chiude sul Mali.

CRONACA N.153 (06.04.15)

Il popolo che non doveva esistere. L’umana coscienza agisce spesso in differimento temporale, non ha registro del presente o meglio, c’è qualcosa nel presente che la soverchia, la intimidisce, l’annulla. Dopo, riemerge prepotente e ci stringe il cuore facendoci piangere lacrime che non servono più a nulla. Così per tutte le ingiustizie del mondo che vediamo al cinema o leggiamo nei libri. Così per le giornate della memoria, le autorità morali, politiche, etico-intellettuali pompose e nauseantemente retoriche che arrivano sempre dopo a giurare “mai più”. Proprio nel mentre si compie un “di nuovo ed ancora”. Così, tra cinquant’anni (forse) il giorno della memoria o l’inaugurazione di un monumento perché nessuno scordi e mai più si ripeta o la prima del nuovo film del famoso regista che ci mostrerà: i 5000 morti e 15.000 feriti  del ’39; i più di 700.000 uomini, donne bambini espulsi a forza dalla loro terra nel ’48 e quelli che decisero di andarsene dopo il massacro di Deir Yassin; i lunghi “anni perduti” in erratica ricerca di un posto dove vivere tra Giordania, Siria, Libano; la carcerazione sociale di quelli rimasti a Gaza e Cisgiordania; i 400 tra morti-feriti-catturati della Battaglia di Karameh del’68; i forse 15, forse 20.000 morti del Settembre nero del ’70-’71 e la parziale espulsione in Libano;  l’ipocrita istituzione del Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese del ’75 all’ONU; i più di 2000 morti della Prima Intifada, gli oltre 3000 della Seconda Intifada; i 200.000 uomini-donne-bambini espulsi dal Kuwait nel ’91; la diaspora in più di 30 paesi; Sabra e Shatila 3000 profughi uccisi uno ad uno all’alba, 2000 morti ed 11.000 feriti la scorsa estate ed ora, il rischio dei 150.000 profughi di Yarmouk, in Siria. Mani inglesi, sioniste, israeliane, ebree, giordane, siriane, cristiane, libanesi ed ora anche quelle dei tagliagole di Riyad, tutte strette intorno al collo palestinese. Come si chiamerà il film? Il popolo che non doveva esistere. (Qui un video su Yarmouk)

CRONACA N.152 (05.04.15)

A seguire la Cronaca precedente, mi viene da fare un commento più generale. In linea generale, il Medio Oriente, il  mondo arabo e quello islamico non sono sistemi lineari di loro natura, sopratutto quello arabo. A ciò si aggiunga, una certa presunzione occidentale che giudica i sistemi complessi a lui alieni, non preoccupandosi d’indagare le cose ma solo di giudicarle a priori. Non solo le si giudica senza indagarle ma le si giudica applicando categorie proprie del proprio sistema presupponendo che esso sia l’universale compiuto. Quando poi si arriva alla geopolitica la dissonanza cognitiva raggiunge picchi elevatissimi. Infatti, la geopolitica è una tipologia di sguardo che ha praticamente una sola versione accettabile: il realismo. La scienza (?) politica occidentale invece ma anche il semplice atteggiamento del pubblico informato (quello non informato non approccia proprio l’argomento) è per lo più ideologico. Provare a capirci qualcosa di geopolitica, leggendo i fatti del mondo con lenti ideologiche è come provare ad avere un rapporto sentimentale pensando di stare in un film o in un romanzo.

Ma come, l’Egitto antifondamentalista e che tesse relazioni coi russi scende in campo con l’Arabia Saudita contro gli houthi? Ma come, gli USA che dovevano bombardare domattina l’Iran ora fanno accordi di pace? Ma come Erdogan che anche lui tuonava contro l’espansionismo sciita dopo pochi giorni annuncia che va a far due chiacchiere a Teheran? Che contraddizioni…?  Le contraddizioni non sono nel mondo ma nella testa di chi lo interpreta. Costringere la trama complessa reale degli interessi compositi e dipendenti dai contesti nelle gabbie dell’ideologia semplificata (il che significa che non c’è un realismo puro, si è sempre dentro una immagine di mondo ritenuta quella giusta ed opportuna, cioè una qualche forma di idea dilatata a sistema, cioè una “ideologia”) è un letto di Procuste. Il realismo è una forma di pensiero di adattamento delle ideologie ai contesti che concretamente esistono, nei vari spazi e nei vari tempi. Il realismo è l’unico atteggiamento possibile di chi deve esercitare un potere sul reale (potremmo anche chiamarlo ideologismo relativo) ed infatti il simmetrico contrario, l’ideologismo assoluto, è proprio di chi non solo non esercita alcun potere ma così facendo, non lo gestirà mai.

CRONACA N.151 (05.04.15)

Qualche giorno fa, Erdgogan ebbe a dire che l’Iran doveva capire che il suo comportamento, presuntivamente terroristico ed espansionista nell’area comune mediorientale, stava “stufando”. Ora pare che glielo andrà a dire di persona se, come pare, ci sarà un vertice Iran – Turchia ai massimi livelli, il primo dopo quattro anni. In realtà, potrebbe trattarsi del primo tangibile effetto dell’accordo di Losanna. Ogni giocatore muove in ragione del possibile mutamento della composizione stessa del tavolo. La multi-polarità mediorientale (Egitto – Arabia Saudita – Turchia – Iran, si veda il nostro articolo) che l’accordo tende a formare, sarebbe un frattale, una realizzazione in scala, della possibile multipolarità planetaria. L’unico modo per dare stabilità al mondo complesso, pur nella continua fluidità che sarà caratteristica strutturale e permanente del nostro presente-futuro, è creare sistemi multipolari che compongono un macro-sistema multipolare complesso. Poiché i sistemi multipolari servono proprio a porre i limiti, tutti coloro che sono pervasi da volontà di potenza, si contorceranno come la dodicenne Regan nell’Esorcista.

CRONACA N.150 (03.04.15)

Seguiamo la cronaca 149. La notizia è data da al-Hayat (qui), edito in lingua araba ma pubblicato fuori dall’Arabia Saudita con un headquarter a Londra. Proprietà: Khalid bin Sultan, un al Sa’ud che così descrive wikipedia che riporta un link ad un cable wikileaks (nota 27) in cui si specifica che Khalid lascia abbastanza briglia sciolta ai redattori (al-Hayat ospita anche posizioni “liberali” o moderniste) ma solo fino a che non giungono a critica della famiglia reale saudita. Khalid è figlio di Sultan bin Abdulaziz Al Saud che il Comitato americano delle famiglie dell’11 Settembre, provarono a citare in giudizio presso un tribunale americano per i suoi finanziamenti ad al-Qa’ida tramite fondazioni benefiche, tentativo respinto. Ma Khalid è anche fratellastro dell’uomo nero, ovvero quel Bandar bin Sultan    che potrebbe esser stato tra i primi promotori del progetto Isis, poi passato in una zona nebbiosa. Bandar sarebbe anche il primo indiziato della strana connection che ordì l’11/9, Bob Woodward sostenne (Plan of Attack 2004) che Bush lo informò dell’invasione dell’Iraq prima di Colin Powell. Capire cosa ha voluto conseguire Khalid con la pubblicazione di questa notizia non è forse possibile data la complessità (imperscrutabile anche a noi che ci occupiamo attivamente dell’argomento) degli intrighi che percorrono la famiglia al Sa’ud. Sta di fatto quanto abbiamo già anticipato, la confluenza di al-Qa’ida in Is sta avvenendo nei fatti, un Is cacciato da Tikrit e quindi più forte in Siria mentre si aprono due mesi di finali trattative per chiudere il trattato con l’Iran. Due mesi di “effetti speciali”, c’è da giurarci.

CRONACA N.149 (03.04.15)

Largo ai giovani! Chissà quanto affidabile, questa notizia è comunque verosimile. Se non è vera potrebbe comunque testimoniare che c’è qualcuno che vuole mandare un messaggio e lo fa pubblicamente, ovvero davanti alla platea araba. Al-Qa’ida verrebbe a sciogliersi nell’Islamic state, una cessione per incorporazione, una fusione calda tra vecchio e nuovo jihadismo. Cosa per altro già operativa nei casi degli uomini bomba nelle moschee yemenite che ci siamo già scordati (150 morti), nell’offensiva di al-Nusra a sud di Damasco, nel massacro kenyota (altri 150 morti) organizzato da al-Shabaab somalo e forse dallo stesso attentato di Tunisi, tutte operazioni stile Is ma condotte da organizzazioni ufficialmente ancora affiliate ad al-Qa’ida. Abbiamo già e più volte sostenuto che Is era il progetto 2.0 e al-Qa’ida quello 1.0. Ora, come nei mercati del software, dopo una fase di appaiamento delle offerte per vecchi e nuovi fans, si ritira dal mercato il vecchio per far largo ai giovani. Questi hanno avuto successo, hanno piani precisi, hanno un futuro (ed un presente) ed evidentemente raccolgono tutto il flusso principale degli aiuti finanziari, economici e logistici. Al-Zawahiri, dopo aver resistito a lungo ( si ricordi la “scomunica” comminata dal vecchio leader all’Isis, di essere troppo violento ed al limite del kharigismo che dalla parti della purezza sunnita è quasi peggio che sciita), cede e va in pensione. Cento nuovi piccoli emirati sono pronti a nascere intorno alla famiglia al-Saud.

CRONACA N.148 (02.04.15)

Ci si domandava nel post precedente che succede in Turchia? Qui una notizia interessante, l’assoluzione dei 236 ufficiali dell’esercito turco che Erdogan aveva sradicato dalle forze armate per estirpare ogni rigurgito di kemalismo, ovvero di laicismo. Ora i 236 saranno liberi, probabilmente non reintegrati ma in grado di agire. Difficile non immaginare che dietro i 236 ve ne siano altrettanti se non di più anche perché, come abbiamo detto nel nostro Piccolo studio sull’islam le forze armate in generale (non solo in Turchia), sono la forza più strutturalmente avversa a forme di islamizzazione politica assoluta.

CRONACA N.147 (01.04.15)

Miss Marple diceva che “ un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi costituiscono una prova”. Si comincia con il sequestro del magistrato Mehmet Selim Kiraz ad opera di due militanti del DHKP/C, morti tutti e tre con conseguente arresto di 22 militanti di estrema sinistra. Poi, oggi, un tizio probabilmente islamico che pare ce l’abbia coi curdi, invade la sede del partito Akp, quello di Erdogan. Infine, un aereo della Turkish Airlines diretto a Lisbona, fa marcia indietro per un allarme bomba ma pare che sia il terzo in una settimana dopo uno che stava andando a Casablanca ed un altro che provava ad andare a Tokio. Il problema è capire, questi tre indizi, di cosa siano prova, su questo rimaniamo nel buio più totale (ah, c’è anche il misterioso black out di 49 delle 81 province dell’altro giorno…).

CRONACA N.146 (01.04.15)

Democrazia dell’ignoranza. La scienziata E. Cattaneo, eletta senatrice a vita da Napolitano, insorge (qui) contro l’ignoranza dei politici. Nel caso, si tratta dell’ignoranza scientifica che su vaccini, ogm e stamina, seguirebbe un vago ed infondato opinionismo di massa, strattonato dall’irrazionalità, il conservatorismo, la paura. “Nature” applaude e così le punte più avanzate di un sistema che si duole di non esser compreso e capito nella sue punte più alte ed avanzate di progettualità. Bene.

Il problema però è che il sistema che attraverso la coscienza infelice della Cattaneo si lamenta dell’ignoranza diffusa, si fonda su quella stessa ignoranza. I politici non sanno di ogm? Ma perché sanno di economia politica? o sanno di geopolitica? o si rendono contro di in quale immane e complesso travaglio storico siamo capitati? sanno di Storia o Geografia? La democrazia moderna si basa su questa ignoranza di base, sulla parcellizzazione dei saperi che rende ogni singolo un super-esperto dell’insignificante, sulla delega politica data in base a sensazioni che prescindono dalla competenza reciproca (del delegante e del delegato), su delegati che richiedono fiducia usando armi dell’arsenale della psicologia di massa (le stesse del marketing, degli imbonitori, dei chiromanti) per poi usare il ruolo politico per massimizzare le proprie opportunità di privilegio personale, su decisioni infine prese da ignoranti delegati da ignoranti ad ignorare la realtà e promuovere la più conveniente narrazione su cui si fonda il patto sociale o più spesso, la manipolazione che di questo fa, questa o quella élite. Una democrazia geneticamente modificata dal principio di delega non ha il suo più grande fallimento nell’ignoranza delle virtù salvifiche degli ogm. Anzi, è proprio ignorando il concetto di modificazione genetica (anche nel suo senso concettuale) che riesce a non rendersi conto di quanto abbia degenerato il concetto di democrazia. Se non si fondasse sull’ignoranza, non saremmo governati da enti impersonali come il mercato o da enti personali come le lobbies e le élite. Tra cui quelle che promuovono gli ogm.

CRONACA N.145 (31.03.15)

La guerra dei mondi. Il progetto SETI, Search for Extra-Terrestrial Intelligence(Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), è del 1974. Anni tutto sommato felici ed ingenui se comparati a quelli odierni. Sintomatico che invece, oggi, ci si domandi se sia proprio il caso di lanciare messaggi “ehi, siamo qui” lì nel buio cosmo pieno di…? Chissà magari alieni – Isis o extra terrestri che bevono vodka e scrivono in cirillico. La fantasia fantascientifica a guida americana oscilla periodicamente tra i perfidi omini verdi che ci inceneriscono e un contatto su basi musicali o aggrovigliandosi nello spazio-tempo. Di questi tempi, prevale la paranoia ?

CRONACA N.144 (29.03.15)

D’accordo ed in disaccordo. Parrebbe che si stia arrivando alla dirittura d’arrivo per l’accordo con l’Iran (USA, Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Cina). Netanyahu afferma che “la Repubblica Islamica iraniana sta cercando di conquistare l’intero Medioriente” (?), affermazione che fa il pari con quella di Erdogan espressa a voce mentre i sauditi si stanno esprimendo a fatti, in Yemen e non solo. Lo Stato islamico wahhabita-hanbalita ed ovviamente sunnita, presente in Iraq, Siria, Yemen, Libia e forse Tunisia, collegato con forze cecene, nigeriane, somale, indonesiane e pakistane, tagliatore di teste sciite, copto-egiziane, occidentali ed orientali, stupratore di donne yazide, massacratore di curdi, bruciatore di piloti giordani, va bene. Fare un accordo per reintrodurre i 77 milioni di iraniani nella comunità internazionale, no. Bisognerebbe notificare a israeliani, turchi e sauditi che, come dice Erdogan “debbono capire che cominciano a darci fastidio”.

CRONACA N.143 (29.03.15)

Sahra Wagenknecht (Die Linke) al Bundestag il 19 marzo 2015 fa un intervento (qui) che fa riflettere. Fa riflettere l’ampiezza di visione che i tedeschi hanno del problema, sia che agiscano in un senso (Merkel&Co), sia che critichino questo agire (Wagenknecht&Co). Fa riflettere amaramente pensando al livello del dibattito politico italiano sia per il versante cabarettistico di Renzi, sia per quello critico di un Landini perennemente in assemblea sindacale o del post-strutturalista Vendola o dell’amletico e soave pallore di Cuperlo.

CRONACA N.142 (27.03.15)

Fu Yixiang vede l’Italia come hub mediterraneo per gli interessi cinesi. Questa era una vecchia idea di R. Prodi che è Professore alla CEIBS (China Europe International Business School) in Shanghai e pare, l’economista-politico occidentale tra i più (alcuni sostengono “il più”) introdotti ed ascoltati nei meandri del potere dell’impero di mezzo. Sempre a proposito di cinesi, il Sole 24 Ore, commenta le inconsistenti riserve americane all’adesione già annunciate dei principali paesi europei alla banca d’investimenti cinese. Cioè le chiacchiere stanno a zero e gli annunciati 50 miliardi di dollari messi sul piatto dell’Aiib dai cinesi non sono chiacchiere, cioè non sono zero.

CRONACA N.141 (27.03.15)

A che punto è il TTIP? Mah, poco se ne sa. Si sa invece che in Italia il Comitato Stop TTIPha raggiunto il milione e mezzo di firme contro e punta ai due milioni, ha costituto ben 25 comitati territoriali e si prepara per la giornata di mobilitazione internazionale del 28 Aprile. 300 sono le organizzazioni europee che chiedono lo stop ai negoziati TTIP e TISA ed a suo tempo si appellò anche Joseph Stiglitz. Più fresca invece la notizia di un emendamento passato a sorpresa alla Commissione trasporti del Parlamento europeo per merito della piccola pattuglia M5s che toglie la possibilità di appello al tribunale delle multinazionali (l’ISDS). L’impressione personale è che il TTIP non vedrà mai la luce. Quila geo-economia dei trattati (solo per la cartina, fonte: Limes).

CRONACA N.140 (27.03.15)

E’ sempre così, si inizia in pochi poi arrivano altri, poi infine tutto diventa evidente. Un passo in questa direzione lo compie l’eterodosso James Galbraith a cui tocca la sorte di portare cotanto nome. Ebbene per JG vi sono quattro fattori che ci dovrebbero impedire di pensare alla crisi come a qualcosa di passeggero e dovrebbero invece spingerci a porci il problema dell’adattamento alle nuove condizioni del mondo. I 4 fattori sono: costi volatili dell’energia, caos geopolitico, innovazione tecnologica mangia-lavoro, finanza amorale. Mah, a me sembra sia uno solo: l’Occidente non è più nelle condizioni di sostenere il proprio sistema-tenore di vita. La finanza ha preso il posto dell’economia perché l’economia non funzionava più da parecchio tempo, che sia amorale non è una novità. Il caos geopolitico è esattamente ciò che si diceva, far guerre e guerrette per tamponare un verso del mondo che non ci viene più in favore. L’energia oggi costa poco e non sembra esser un vero problema, forse lo diventerà. Effettivamente il progresso tecnologico è un mangia-posti-di-lavoro come in tanti si sostiene da tempo. Ma di base, il nostro sistema si basava su tre punti: 1) materie prime a basso costo; 2) semi-monopolio in quasi tutte le produzioni; 3) controllo dei mercati terzi. Ora, i mercati non li controlliamo più né quelli esterni, né quelli interni; tutti nel mondo producono ed a prezzi più bassi dei nostri e con qualità in molti casi paragonabile se non superiore; tutti produciamo domanda di materie prime (con conseguenze su i prezzi) e nessuno ci regala più niente in cambio di specchietti e collanine. Infine, non inventiamo più nulla che possa trainare ed aprire nuovi consumi se non sistemi che abbassano i costi di produzione creando disoccupazione che fa calare la domanda. L’economia come perno delle nostre società, una economia basata su capitali, produzione e scambio ha finito il suo ciclo storico, almeno per noi.

CRONACA N.139 (26.03.15)

Meglio un  tedesco pazzo di una compagnia tedesca inefficiente? Il co-pilota sarebbe stato colto da raptus suicida (non avrebbe potuto sapere prima che il pilota lo avrebbe lasciato solo prima di iniziare l’atterraggio) ed avrebbe deliberatamente sacrificato la sua vita andando a spiaccicarsi contro una montagna, trascinandosi dietro altri 150 esseri umani? Mah…

CRONACA N.138 (26.03.15)

Piccola oscillazione in alto nel prezzo del petrolio. Si teme la presa di Aden da parte della fazione sciita degli houti. A quel punto, gran parte della produzione Arabia Saudita, Kuwait, Iraq, Emirati dovrebbe passare via petroliere attraverso lo stretto Golfo di Aden dando a gli houti un potere di interdizione. Così, l’Arabia Saudita, assieme a tutti gli altri stati del Golfo (ad eccezione del’Oman) ha deciso di iniziare i bombardamenti in Yemen contro gli sciiti. Già l’intera questione della guerra civile yemenita era condizionata dal petrolio, quel poco che rimane in Yemen, che gli sciiti ritenevano esser stata una risorsa sequestrata interamente dalla parte sunnita. Ora però si intravede un’accezione più ampia della definizione “guerra del petrolio”. Sembrerebbe configurarsi l’interesse di chi vuole mantenere il prezzo basso (Arabia Saudita) e chi lo vorrebbe alzare (Iran). E gli Stati Uniti? Non saprei dire. Certo il danno che il prezzo basso procura a Russia e Venezuela è certo benvenuto ma strategicamente, questo porta anche un danno irreparabile a tutta l’industria shale e modifica nel medio periodo l’assetto geo-strategico obamiano che voleva disimpegnarsi dal Medio Oriente per concentrarsi su Russia e Cina. Rimango convinto che, nonostante Washington abbia dichiarato di star offrendo supporto tecnico-logistico ai bombardamenti sunniti, in realtà spera che gli sciiti qualche fastidio lo creino davvero.

CRONACA N.137 (25.03.15)

Intelligente articolo sul manifesto a proposito dell’ennesima profezia sul crollo del potere cinese. In effetti, sopratutto studiosi americani, amano trasformarsi in catastrofisti ogniqualvolta osservano il gigante asiatico. Probabilmente sono mossi dalla voglia di dare buone notizie a Washington ed ognuno che da lì osserva preoccupato il main competitor. Ma come dice l’articolista, più in generale, i sinologi occidentali evidentemente stentano a capire come fa ha reggersi un affare del genere.  Non v’è dubbio che la società cinese sia una cosa molto grande e molto complessa che è lanciata ad una discreta velocità e l’insieme di queste peculiarità, rendono l’intero fenomeno, diciamo, “rischioso”. Ma per altri versi, si potrebbe dire che queste caratteristiche sono anche altrettante strutture che la reggono e che è molto improbabile che collassino tutte assieme. Solo il semplice computo degli stakeholders, cioè dei portatori d’interesse se non al benessere anche al semplice “essere Cina” (esercito, partito, funzionari, operatori economici e finanziari, la nuova classe affluente, il sentimento cinese dei cinesi e molto altro) dice che la Cina non è mai collassata in più di duemila anni di storia ed è molto improbabile che infranga il primato di resistenza (o resilienza) da qui a domani. Forse si fa prima a profetare il crollo della società americana che di storia ha solo poco più di sue secoli.

CRONACA N.136 (25.03.15)

Torniamo in Yemen. Qui un punto di vista sullo stato delle cose. Qui. un’altro. Nel frattempo, ufficiali fedeli all’ex presidente si sono detti del tutto contrari ad un ipotetico intervento esterno (cioè delle monarchie del Golfo) a dire che chi avesse tali velleità si troverà non in una operazione anti-ribelli ma in guerra, contro un esercito regolare. Gli sciiti houti che controllano il Nord e si stanno dirigendo a grandi falcate verso Sud dopo aver conquistato Taiz, terza città del paese, cioè ad ad Aden dove c’è il presidente Hadi. Nel frattempo hanno conquistato una importante base militare ad Al Anad, 40 km da Aden, piena di armi ed anche aerei.  Ma non è detto che Hadi sia ancora ad Aden, voci lo vorrebbero fuggito dal paese. Infine, pare gli houti abbiano catturato il ministro delle difesa fedele al presidente.  Il 28 si riunisce la Lega araba per discutere il possibile intervento armato esterno reclamato dal governo in carica. E’ probabile che gli houti vogliano arrivare ad Aden prima del 28 e creare così una situazione di fatto. Gli Stati Uniti se ne sono andati, lavandosene le mani e dal momento che hanno dichiarato di “essersi persi” 500 milioni di dollari di armamenti, chissà che non se li siano persi volontariamente.

Ora, se la scelta strategica di Washington è quella di sdoganare l’Iran per stabilizzare il Medio Oriente, Iran che supporta gli houti contro Arabia Saudita, al-Qa’ida e Stato islamico che supportano la presidenza e più in generale la maggioranza sunnita del paese, ci si domanda: cosa sa Washington che noi non sappiamo in merito ai rapporti tra sauditi e stati del golfo e la galassia fondamentalista che destabilizza la regione?

CRONACA N.135 (25.03.15)

Volano tanti aerei e ne cade, fortunatamente, uno ogni tantissimi altri che partono ed arrivano a destinazione senza alcun problema. Altresì è noto che, sebbene la percentuale di sicurezza del volare sia la più alta rispetto a gli altri mezzi di trasporto, gli esseri umani coltivano generalmente una esplicita o rimossa paura ad affidarsi a questo mezzo ed è anche nota la sindrome bizzarra per cui si manifesta una maggior paura, spesso proprio nelle persone che volano di più. Infine, non è elegante far perno su una disgrazia per infilare una qualche nostra opinione gratuita e magari del tutto infondata. Eppure nella disgrazia del Germanwings c’è un dato che stona; perché almeno trenta piloti della compagnia, in seguito all’incidente, si sono rifiutati di volare chiedendo consultazioni con i responsabili dell’azienda? La compagnia, nel dare notizia del fatto, ha paternamente detto di “comprendere” la decisione dei piloti, mossa tesa a giustificare la loro decisione come affetta da shock. Ma è credibile che piloti esperti siano preda di shock da incidente? O forse i piloti sanno che tra crisi della domanda e la pressione della concorrenza, molte low cost stressano i tempi tanto dei turni, quanto della manutenzione per rientrare nel bilancio e nel profitto? Che il colpevole del disastro sia la “mano invisibile”? Che i 150 morti siano l’ennesimo fallimento del mercato lasciato a se stesso da una fede che è decisamente irrazionale tanto quanto la paura di volare?

CRONACA N.134 (24.03.15)

Le recenti elezioni di primo turno in Francia dicono alcune cose: 1) complessivamente, la Francia mostra un riflesso conservatore, segno di paura; 2) addirittura viene premiato Sarkozy, precedentemente ritiratosi dalla politica per manifesta bocciatura delle sue qualità politiche; 3) la sinistra è sempre più residuale, una testimonianza, è evidente che non ha un programma politico concreto e rimane come residuo ideologico; 4) FN è stato premiato più che per le sue posizioni anti-UE, per la sue posizioni sull’immigrazione (si trattava infatti di elezioni amministrative) e più in generale di contestazione della vecchia politica. Complessivamente, il Paese non ha un progetto di futuro, è ripiegato sulle sue contraddizioni, sa solo cosa non vuole ed in questa disperata difesa è addirittura disposto a lasciarsi andare nelle mani di una figura usurata, l’unico presidente uscente ad esser stato sconfitto dallo sfidante già al primo turno.  La metà degli elettori non è neanche andata a votare.

CRONACA N.133 (23.03.15)

Premesso che non ha alcuna simpatia per Heidegger e la sua filosofia di cui continua a sfuggirmi la grandezza, si pone una questione. Secondariamente premesso che tra israelismo, sionismo, ebraismo, giudaismo vanno fatte le debite distinzioni, verso l’etnia ebraica, il popolo degli ebrei o meglio verso una certa ideologia esplicita o implicita che sprigiona da questo popolo, si potrà mai trovare una strada di critica, liberamente appuntita, senza incorrere nell’accusa di razzismo, di neo-nazismo, di apologia di sterminio? Esiste un popolo endogamico, cioè un popolo che in prevalenza si riproduce per accoppiamento di discendenti di genitori della stessa genia, genia che ha più di duemilacinquecento anni e che, caso unico al mondo, non risiede neanche continuativamente su un dato pezzo di terra. Questo popolo, conta approssimativamente poco più dello 0,2% del totale planetario, poco più di 16 milioni di individui ma sembrerebbe che il suo peso, nel senso di visibilità delle questioni che lo hanno variamente in oggetto, sia ben maggiore. Che sia la loro presunta ed antica presenza nei vertici delle istituzioni banco-finanziarie o quella nel mondo della cultura e della scienza (l’articolo offre un piccolissimo esempio della quantità di filosofi che hanno -a viario titolo- una relazione con quella discendenza) o la questione delle persecuzioni cui sono stati oggetto o la loro pretesa di tornare nella terra che il loro Libro sacro dice che gli appartiene per decreto del loro Dio (cioè quello da cui il loro Libro sacro) e che fonda quei monoteismi in cui si riconoscono circa la metà degli abitanti del pianeta, non mi sembra peregrino dire che esiste, nei fatti, un eccezionalismo ebraico.

Questo eccezionalismo ebraico potrebbe essere anche solo un tentativo di tesi, una tesi che poi di riveli falsa o vera, positiva o negativa o una via di mezzo. Si dovrebbe indagare. Il problema è solo il poterlo fare liberamente, senza incorrere nel fuoco di sbarramento preventivo, nell’accusa di oltraggio all’etica intellettuale e non solo. Esco provato da una full immersion nell’islam per cui non ho alcuna voglia di pianificarne un’altra nelle profonde e perigliose acque dell’ebraismo. Però in futuro chissà…

Intanto un elenco tutto da verificare di pensatori filosofici o influenti sull’epistemologia ossia sul pensiero occidentale che parrebbero avere a che fare con la questione (già “aver a che fare con la questione” è una affermazione problematica in questo campo minato. Si ha a che fare con la questione perché uno dei due genitori è di origine ebraica? anche se non è credente? se lo sono tutti e due? credenti o non credenti? o credenti in un’altra religione? si ha a che fare con la questione perché si eredita il patrimonio genetico o perché si respira un certo ambiente, una certa cultura? perché si leggono certe cose? perché si ha un certo credo religioso?):

Franz Rosenzweig ,Walter Benjamin, Martin Buber, Simone Weil, Hannah Arendt, Emanuel Levinas, Henri Bergson, Edgar Morin, Jacques Derrida, Hans Jonas, Vladimir Jankélévitch, Ernst Cassirer, Edmund Husserl, Max Scheler, George Simmel, Gyorgy Lukacs, Ernst Bloch, Alexandre Kojeve, Alfred Tarski, Max Black, Nelson Goodman, Karl Popper, Alexandre Koyré, Lévi-Strauss, Raymond Aron, Ludwig Wittgenstein, George Cantor, Thomas Kuhn, Karl Marx, Hilary Putnam, Sigmund Freud, Albert Einstein, Noam Chomsky, Niels Bohr, Isaiah Berlin, Alfred Ayer,  Theodor Adorno, Franz Boas, David Bohm, Erich Fromm, Ernst Gombrich, Leo Strauss, Edward Sapir, Ilya Progogine, Norbert Wiener, Otto Neurath, John von Neumann, Ernst Nagel, Imre Lakatos, Alfred Adler, David Chalmers, Emile Durkheim, Richard Dworkin, Jerry Fodor, Andre Glucksmann, Theodor Gomperz, Douglas Hofstadter, Max Horkheimer, Hans Kelsen, Saul Krpike, Bernard Henry Levy, Lucien Levy-Bruhl, Karl Lowith, Isaac Luria, Karl Mannheim, Herbert Marcuse, Marvin Minsky, Ludwig von Mises, Thomas Nagel, Robert Nozick, Martha Nussbaum, Michael Polanyi, Richard Popkin, Ayn Rand, Wilhelm Reich, Hans Reichenbach, Herbert Simon, Alfred Tarski, Eugene Wigner…

CRONACA N.132 (23.03.15)

Tempo fa, avevamo dato notizia e commento della vendita della finlandese Nokia, qui. Oggi abbiamo invece questo articolo che ci dice che le cose economiche della Finlandia, volgono al peggio. La cosa stupefacente degli economisti è la loro capacità di mischiare le pere con le mele ed entrambe coi kiwi cioè di prescindere completamente dall’analisi complessiva dei fattori per analizzarne solo uno alla volta. Nell’artico infatti, c’è una tabella di uno studio condotto per WB che classifica i paesi che offrono le migliori condizioni per facilitare il business. La Finlandia per altro è nona, prima dell’eurozona e quindi l’articolista ha gioco facile per dire che, sebbene il mondo dei cambiamenti e delle riforme migliorative sia quasi infinito, non si vede cosa altro dovrebbe fare un paese già così ben messo e sopratutto non si capisce perché se è così ben messo, l’economia stenti. Ma il bello di quella tabella è che “modelli” da prendere ad esempio sarebbero Singapore, Hong Kong, Regno Unito (1°, 3°, 8° posto). Ma che modelli sono? Sono tre città-stato dedite all’intermediazione banco-finanziaria. La Gran Bretagna sembrerebbe non esserlo ma poiché quasi tutta la sua vivacità economica deriva dalla City of London, in pratica lo è. Allora? Qual è il modello? Fare città stato dedite alla banco-finanza? Questo sarebbe un modello? E che dire poi dell’astrattezza? Facciamo un città-stato banco finanziaria nel Sahel? o nella Terra del fuoco? Non avrà anche una qualche rilevanza la storia pregressa e la geografia in cui queste entità si collocano? E che dire della Nuova Zelanda e dell’Australia (2° e 10° posto)? avrà mica una qualche rilevanza la collocazione nel Pacifico o la dotazione di risorse naturali? E la Norvegia (6° posto) non avrà qualche leva in più state che ha una rendita petrolifera? o la Sud Corea che è il termine medio tra un gigante come la Cina ed un peso massimo come il Giappone? No, ho capito, dobbiamo fare come gli Stati Uniti, basta dotarsi della valuta di scambio mondiale e proteggerla col più potente esercito del mondo è voilà, eccoci diventati l’eldorado della sviluppo economico!

Il punto, ci sembra, è che un paese di cinque milioni di individui sempre più prossimi alla terza età, senza piani precisi di politica economica supportati da investimenti pubblici, non va da nessuna parte e come, conclude l’autore dell’articolo, con lei tutta la nostra demenziale eurozona.

CRONACA N.131 (22.03.15)

Gli USA si sono persi 500 milioni di dollari di armi in Yemen. Sbadati…

CRONACA N.130 (21.03.15)

Grande successo della missione ONU di pace in Libia. Mentre si tessono i fili della riconciliazione tra governo di Tobruk e governo di Tripoli, quelli di Tobruk bombardano l’aeroporto di Tripoli. Il fatto è che in Libia, come a Tunisi, come dovunque nello scacchiere arabo o si stanziano pacchi di miliardi di una qualche valuta internazionale da recapitare urgentemente in loco sotto forma di investimenti pubblici e privati che diano lavoro, speranza e futuro o contro i pacchi di miliardi qatarioti e sauditi trasformati in armi e milizie, le chiacchiere stanno a zero.

CRONACA N.129 (20.03.15)

Notizia surreale: dopo USA ed Arabia Saudita, l’Italia prende responsabilità nel gruppo internazionale che dovrebbe ricostruire i flussi dei finanziamenti all’Isis-IS. Probabilmente, l’Italia sarà il terzo escluso, nel senso di dare una parvenza di serietà alla diarchia (USA-AS) che mentre “controlla” i finanziamenti dell’Isis-IS probabilmente dall’altra scopre come farli arrivare non lasciando tracce.

CRONACA N.128 (19.03.15)

Sunniti vs sciiti: dopo la primavera del Bahrein soffocata dall’intervento saudita, dopo la guerra civile irachena e siriana scatenata dalle milizie islamo-totalitarie organizzate e finanziate dall’Arabia Saudita, c’è ora la guerra civile yemenita che si svolge ai confini con l’Arabia Saudita. Aggiornamenti qui.

Postilla (20.03.15): massacro di sciiti a Sana’a.

CRONACA N.127 (19.03.15)

Gilles Kepel è uno dei massimi e più lucidi orientalisti. Rispetto al suo articolo di commento ai fatti tunisini uscito oggi su Repubblica, sentiamo però di dover fare qualche aggiunta. L’attentato tunisino ha un obiettivo chiaro: far fallire la Tunisia. Per farlo, si stringe un cappio intorno all’unica arteria che porta sangue all’asfittica economia del paese: il turismo. E’ chiaro che da oggi, si cancellano tutte le prenotazioni estive, si cancella il paese dai tour, si stacca l’unico condotto che porta denaro dentro il paese (20% del Pil) e ci si domanderà anche quanto è opportuno tenere in piedi joint venture e maestranze occidentali, in loco. Perché farlo? Perché così di destabilizza l’unica forma, per quanto incerta, di diverso sistema politico oltre quello dominante l’islam (nella doppia versione élite militare o élite politica, entrambe più o meno islamizzate ed islamizzanti), una alternativa che va in direzione esattamente opposta al progetto di stato islamico. Altresì per metter sotto pressione al-Nahda. Al-Nahda è un partito politico islamista che, per quanto provenga dalle stesse radici ideologiche (S.Qutb, al-Mawdudi) degli islamo-totalitaristi, rifiuta la violenza, la costituzione basata solo sulla shari’a ed accetta la presenza politica pluri-partitica di tipo democratico. Quanto abbia sposato questa linea per realismo politico stante l’attuale fase politica tunisina o quanto ne sia profondamente e definitivamente convinta, è da vedere. Comunque,  al-Nahda è risultato il secondo partito politico tunisino alle elezioni dello scorso Ottobre ed è probabile che ci sia chi voglia condizionarne l’autonomia politica, mettendo in tensione il contesto in cui opera. Si segnala infine, il grande significato simbolico che avrebbe una Tunisia in via di islamizzazione. Abbiamo già segnalato a suo tempo ammassi di jihadisti al confine libico-tunisino, con l’intenzione di coinvolgere la Tunisia nella nuova ondata di jihad interna al mondo arabo-islamico. In Tunisia c’è la moschea di ‘Uqba (Qayrawan) che è la più antica dell’Africa (690), uno dei luoghi santi più importanti dell’islam ed un simbolo della rapida e vincente conquista omayyade che fa da modello a quell’utopia retrospettiva dei tempo d’oro (il termine è del prof. M. Campanini) che gli islamo-totalitaristi hanno come proprio paradigma progettuale. A suo tempo, la Tunisia divenne il centro-base dell’inarrestabile espansione califfale in tutto il Maghreb.  Il progetto islamo-totalitarista ha grande cura del registro simbolico com’è ormai noto ed ha un gran bisogno di riprendere la propria “inarrestabile” storia di successi visto che in Iraq sembra scontare una inarrestabile storia di insuccessi (da Kobane a Tikrit), la Siria è in stallo e forse prossima a venire a patti con Asad e se gli USA effettivamente dovessero sdoganare l’Iran, si metterebbe molto male per il progetto “Iddio vuole lo stato islamico sunnita (hanbalita o meglio wahhabita) per tutti”. Ci si domanda allora: chi c’è dietro questi fatti? Chi tiene davanti a sé lo spartito complesso di una strategia così ampia ed articolata? C’è un solo indirizzo a cui rivolgersi: citofonare Riyad.

Per i più interventisti, per gli occidentali che non resistono a rimaner con le mani in mano mentre il jihad giunge alle coste del Mediterraneo, si consiglia di evitare con cura ogni velleità di intervento militare (basta uno scadente manuale di strategia militare per capire che la guerra asimmetrica di truppe scoperte contro cellule al coperto è destinata a fallire prima d’iniziare) e di prendere tutti i soldi che s’intendono investire per armare l’Europa dell’Est contro un “nemico” che in realtà sarebbe ben felice di sottoscrivere trattati di libero scambio (energia vs tecnologia) e bombardare di investimenti la Tunisia, di modo che nuova occupazione, giustizia sociale, progetti e futuro desertifichino le condizioni di possibilità per il progetto islamo-totalitarista e magari ci mostrino la via della necessaria, reciproca convivenza, in un mondo sempre più complesso.

 

CRONACA N.126 (18.03.15)

Bank assualt: abbiamo già dato news della nuova corsa a far banca coi cinesi ma ci ritorniamo perché l’occasione è troppo ghiotta per non farci su un aforisma: “Mentre i governi centrali dell’Europa davano l’assalto alla nuova banca cinese, gli europei davano l’assalto alla banca centrale dell’Europa.“.

CRONACA N.125 (17.03.15)

Secessioni occidentali 2, la valanga: adesioni a valanga all’AIIB di cui abbiamo parlato nella Cronaca 123. Occorre vedere se FT comunica dati di fatto o anticipa fatti per farli diventare tali anche per dare le cattive notizie a gli USA tutte insieme. Se comunque confermate, queste notizie seppelliscono TPP e TTIP e danno una diversa prospettiva anche alla guerra ucraina. Il mondo multipolare è irreversibile.

CRONACA N.124 (16.03.15)

La crescita ristagna? Ecco la soluzione: l’economia della paura.

CRONACA N.123 (16.03.15)

Secessioni occidentali. Ecco i britannici che entrano nell’Asian Infrastructure Investment Bank, l’alternativa cinese a WB, Fmi, Banca asiatica dello sviluppo a capitali giappo-americani. Non solo, entrano anche due candidati al fantasmatico TPP, il cugino pacifico dell’atlantico TTIP, sono il Vietnam e la Nuova Zelanda. Se ne parlava già loscorso Agosto, ipotizzando una defezione alla chetichella prima dal TPP e poi da TTIP. C’è poco da fare, la Cina ha soldi e prospettive ed il numero due, pacifico, sorridente, ha ancora bisognoso di molte cose. L’America ha sempre meno soldi veri, ha sempre meno prospettive perché la multipolarità, in un mondo di 7,3 mld di persone, non ha alternative, è il numero uno ma con outlook negativo, è aggressivo e sempre meno razionale, vuole sempre fare e decidere tutto lei ed ha sempre meno dividendi da distribuire alla sua corte. Inevitabile un progressivo declino. Avevo scommesso che il TTIP non sarebbe mai andato in porto, vediamo se vinco la scommessa…

CRONACA N.122 (16.03.15)

Antropocene: l’idea che per la prima volta nella storia del pianeta Terra, non è più solo la logica intrinseca dell’insieme dei fenomeni naturali a determinare il divenire planetario ma c’è anche e sopratutto l’impatto delle attività umane. Da cui questa agghiacciante collezione di foto della NASA. Da cui il problema: quale mentalità bisognerebbe evolvere affinché questo impatto oltreché inevitabile sia almeno dotato di autocoscienza? Ovvero sappia l’uomo cosa sta facendo, cosa succederà a catena in conseguenza di queste azioni, cosa quindi modificare del proprio essere nel mondo, affinché rimangano sufficienti condizioni di possibilità sia per l’essere, sia il per mondo? Che è poi ciò di cui ci occupiamo in questo diario di studio in forma di blog: il problema della complessità.

Postilla: c’è ahinoi qualcosa di peggio della sequenza di foto della NASA ed il furore ideologico di chi nega l’evidenza, qui ad esempio a cui si risponde qui.

CRONACA N.121 (15.03.15)

Interessante spunto di A. Giannuli di cui spesso apprezziamo i ragionamenti. Si tratta della c.d. lingua veicolare, la lingua di medio intendimento in comune a vaste porzioni di mondo in cui si trovano eterogenee popolazioni diversamente parlanti. Una prima considerazione è che il riassetto complessivo della geo-cultura e geo-politica mondiale tenderà a procedere per gradi, non come si è ipotizzato nella retorica del villaggio globale, ma per aree. Dalla interrelazione tra aree sorgerà poi un assetto del mondo ulteriore ma parlarne è forse spingersi un po’ troppo in là. L’idea del latino però sarebbe assai interessante per quella unione dei paesi mediterranei di cui abbiamo parlato. Italiano, francese, spagnolo e portoghese, sono tutte lingue neo-latine o romanze. Questo sistema linguistico conterebbe su tutta la tradizione secolare che dall’impero romano arriva fino al Medioevo ma più che altro su una oggettiva condivisione del vocabolario. La questione della lingua è assai complessa e non v’è dubbio che per intendersi appieno si debbano condividere sistemi grammaticali, fonetici, idiomatici ma nell’ottica della gradualità, il primo livello è nominare le cose nello stesso modo o comunque in modo reciprocamente intellegibile. Così, col mio amico francese vicino di casa in quel di una isoletta greca di cui siamo entrambi frequentatori, dopo qualche bicchiere di vino, saltiamo l’inglese veicolare ed ognuno parla la sua lingua. Il risultato non è esente da larghi buchi di comprensione ma non è neanche completamente inintelligibile. Ripassando entrambi un po’ di base latina, cosa che non sarebbe per entrambi poi così difficile, faremmo passi da giganti. Lo stesso vale per lo spagnolo. Una unione mediterranea di 200 milioni di parlanti una qualche forma di neo-latino, come influirebbe sull’ecumene delle lingue romanze? Ed un ecumene del genere che già conta un miliardo e mezzo di parlanti, come influirebbe sulla geografia linguistica planetaria?

CRONACA N.120 (14.03.15)

Interessante l’iniziativa M5S sulla possibilità di creare una unione monetaria mediterranea. Di Battista, da tempo, si occupa sia dei contatti con l’ALBA Sudamericana, sia di quelli con Syriza e Podemos in Europa. Nasce così questa idea di una possibile ALBA mediterranea. Ci sono vari livelli che motivano questa possibilità. Il primo e più inconsistente e fare finalmente “qualcosa di sinistra”, inconsistente perché non è detto che ciò che ci piace poi funzioni come la sinistra dovrebbe ormai aver capito dopo decennale depressione. Alcuni commenti in fondo al’articolo linkato dimostrano che tale comprensione è ancora lungi dall’affermarsi.  Il secondo appena più consistente è quello di certificare almeno due europe, quella del Nord egemonizzata dai tedeschi e quella del Sud che al momento è semplicemente succube dei tedeschi. Il terzo, che è quello che prediligiamo, è la necessità di far questa unione e non solo monetaria. Come segnalato da L. Vasapollo, a cui va il merito di aver presentato l’ipotesi nel mentre certa sinistra si divideva tra una maggioranza union-europeista senza criterio e una non meno scriteriata sinistra neo-nazionalista che agognava il ritorno alle svalutazioni competitive della Lira, si deve uscire dall’euro per entrare in un altro sistema, non nello stato nazione isolato, facile preda della speculazione e dell’accerchiamento dei sistemi forti. Il libro di Vasapollo infatti è del Settembre 2011 (Il risveglio dei maiali, Jaca Book, Milano, 2011 con R.Martufi, J.Arriola). Aggiungiamo noi che il mondo è troppo complesso per far decidere una strategia a gli economisti e quindi non si tratta solo di pensare ad una unione monetaria poiché come abbiamo capito dall’euro, una moneta deve andare in capo ad un sistema unitario ordinato politicamente e sperabilmente democratico. Si tratta quindi di fare quello che con l’euro non si è fatto, basarsi su elementi di omogeneità strutturale economica ma poi mettere la moneta nelle mani della politica, quindi di una democrazia, quindi di un unico sistema politico, la federazione dei popoli mediterranei, una vera unione di un nuovo soggetto socio-cultural-geo-econo-politico. Ne parlammo qui.

CRONACA N.119 (14.03.15)

Ciò che spiega il post precedente, qui.

CRONACA N.118 (13.03.15)

Avevamo già accennato (CR.115) al fatto che l’Arabia Saudita, era diventata il primo importatore di armi al mondo, superando coi suoi 28 milioni di abitanti, un gigante come l’India che di abitanti ne ha 1,252 miliardi. Pare che i sauditi abbiamo incrementato di più del 50% il proprio spending ma lo avevano incrementato di un altro 50% l’anno precedente. Nella parole dell’eccitato  senior analyst dell’IHS che ne da notizia (qui): “When we look at the likely export addressable opportunities at a global level for the defence industry, five of the 10 leading countries are from the Middle East,” Moores said. “The Middle East is the biggest regional market and there are USD110 billion in opportunities in coming decade.”. Quindi i sauditi sono in buona compagnia, tutta l’area si sta armando fino ai denti. Farà caldo nel Vicino Oriente…

CRONACA N.117 (13.03.15)

Qui, un interessante sito sulla complessità in economia. Il sito ospita anche un Atlante della complessità economica (2011), (che si può scaricare, qui). L’intero progetto risulta essere una collaborazione tra MIT ed Harvard, promosso da economisti della complessità linkati ad altri scienziati della complessità ed economisti tra cui spiccano  Albert-Laszlo Barabasi tra i primi e Dani Rodrik tra i secondi. La complessità di una economia è da loro definita come molteplicità di conoscenze (esplicite ma più decisivamente implicite) incorporate in essa. Quante diverse cose è necessario sapere e fare per produrre tutto ciò che fa quella data economia. I prodotti o i servizi a più alta intensità di conoscenza sono ovviamente i più esclusivi, quelli che danno alta remunerazione ed una invidiabile posizione di mercato (essendo poi anche quelli che è più difficile copiare o ai quali far concorrenza). Più sono e meglio è ma più in generale, par di capire, più tanti e diversi sono e tanto meglio è per una economia-nazione. Poiché tali conoscenze ed esperienze sono disperse e frazionate in altrettanti individui, cruciale risulta la diversità cultural-esperienziale e sopratutto la capacità di mettere assieme questo patrimonio disperso, fare rete, networking. Ne consegue un analogo dell’ecologia, lì la biodiversità, qui la cultural-esperienziale diversità interconnessa, più una economia nazione ne ha, più è versatile, resiliente, competitiva. Ho appena cominciato a leggere il report quindi non posso dire di più. Ci torneremo su.

CRONACA N.116 (11.03.15)

Vi sono almeno due approcci alla complessità, quello fisico e quello bio-filosofico. Quello fisico è proprio della cultura anglosassone e maggiormente di quella americana. Deriva dai parametri della scientificità “numero-peso-misura” cioè di ciò che delimita il regno della quantità. La cultura della complessità moderna deve molto all’ambito fisico-matematico stante l’apporto originario di N. Wiener, di von Neumann-Morgenstern con la loro Teoria dei giochi, di Murray Gell-Mann e del Santa Fé Institute. Come si sa, la matematica di riferimento per enti complessi è di tipo statistico e le predizioni del comportamento di un sistema sono limitate dall’esatta conoscenza delle condizioni iniziali ma anche dalla perfetta conoscenza delle variabili e delle interrelazioni che compongono il sistema. Più trascurato in questa descrizione standard, la conoscenza del contesto e della interrelazioni tra sistema e sistemi e tra tutti e il loro ambiente (contesto) di riferimento. Qui, la segnalazione di un nuovo modello per le predizioni economiche. Noi siamo piuttosto scettici verso la modellistica economica, per principio. Gli enti non coscienti (l’universo chimico-fisico) sono una cosa, gli enti coscienti e viepiù autocoscienti, sono un’altra. L’economia è un fenomeno tessuto da interrelazioni tanto materiali, quanto immateriali ma dietro entrambe, ci sono esseri umani. Inoltre ci sono aziende, classi sociali, mode, enti privati e pubblici, stati, relazioni tra stati, geografia e demografia, il buco nero dell’aleatorietà che è il mercato finanziario e tante altre cose che la modellistica economica non prende minimamente in considerazione. Da cui il fallimento sistematico della predizione economica. Ma il Santo Graal del sapere prima quel che succederà poi anche per trarre le chiavi della decisione che favorisca eventi positivi e minimizzi quelli negativi è un richiamo, per quanto mitico, troppo irresistibile. Quindi, continuiamo a produrre modelli convinti che l’economia è l’analogo della termodinamica. Questo è comunque un sito italiano (english speaking) di economia della complessità, interessante.

P.S. del 15.03: comunque il modello italiano che abbiamo segnalato, pare avere farsi strada. Se ne parla qui.

CRONACA N.115 (10.03.15)

Confusion de confusiones. Obama annuncia che sono in via di conclusione le trattative con l’Iran per limitare il programma nucleare e reintrodurre l’Iran nella comunità internazionale. Netanyahu vola a Washington ed infiamma il Congresso repubblicano mostrando schemini che spiegano quanto è facile passare, nel nucleare, dal civile al militare. 39 volte interrotto da applausi, 23 standing ovation. Una larga parte di democratici non era andato in aula e pare che Obama  non abbia preso bene la performance dell’israeliano. A Parigi intanto, la resistenza moderata siriana pare convertirsi ad un possibile agreement di transizione morbida con Asad che nel frattempo, decapita i vertici di al Nusra (al-Qaeda) con un bombardamento mirato. Ma il Qatar si dice pronto a lanciare una nuova organizzazione a metà tra moderati e jihadisti per riprendere la guerra contro il presidente alawita (sciita). Nel frattempo, il governo dell’Iraq coadiuvato dall’Iran, sferra l’attacco di terra contro l’IS a Tikrit, senza avvertire gli americani. Fonti irachene ed iraniane sostengono prima di aver abbattuto aerei britannici che paracadutavano armi all’IS, poi di aver arrestato consiglieri militari americo-israeliani ed un saudita, pizzicati dentro il fronte jihadista. L’Arabia Saudita intanto registra l’invidiabile primato del primo paese al mondo per importazioni di armi (supera l’India che ha quasi 1.3 mld di persone mentre i sauditi sono solo 28 milioni) ma gli rimangono 28 miliardi di spiccioli che il nuove re decide di regalare a pioggia ai suoi sudditi (altro che 80 euro!) mentre concede il permesso di sorvolo ad Israele nel caso questi intenda far visita a gli iraniani. I sauditi però s’arrabbiamo quando un franco-algerino seppellito a Guantanamo decide di rivelare ai giudici americani, il patto israelo-saudita per far fuori l’Iran ed il fatto che i sauditi finanziassero al-Qaeda e Osama bin Laden fosse un succube del “clero” saudi-wahhabita. Allora gli americani mandano il Gen. Dempsey a Baghdad che si felicita per i successi sul campo degli iracheni-iraniani chiedendo come può rendersi utile. Così, 47 senatori repubblicani prendono carta e penna e scrivono direttamente a gli iraniani dicendo di non farsi illusioni, che l’accordo con l’Iran promosso da Obama, loro non lo firmeranno mai, non lo rispetteranno mai e comunque gli Obama passano, loro restano. In base alla legge Logan che vieta corrispondenza tra privati cittadini e governi stranieri al fine di sabotare la legittima politica estera del governo, sono passibili di tre anni di carcere. Lunedì prossimo si vota in Israele e i sondaggi danno testa a testa tra Likud e centro-sinistra. Chiudiamo con una nota sorridente: uno sceicco kwiatiano, emana una fatwa ordinando di radere al suolo Sfinge e Piramidi.

CRONACA N.114 (09.03.15)

Storditi dalle troppe notizie sull’Isis? Ecco due salutari guide all’approccio scettico, qui equi. Quest’ultimo sito, ha anche opinato sulla questione del depliant in italiano dell’Isis di cui noi abbiamo parlato qui. Noi stessi ci siamo resi colpevoli riportando nell’articolo l’errore del compilatore la brochure-fai-da-te che chiama zaqat, la zakat (l’obolo obbligatorio, uno dei c.d. “cinque pilastri dell’islam”). Rimane il fatto che le notizie riportate nel lavoro di quello che viene definito un jiahdista-fai-da-te e che noi stessi avevamo definito “una iniziativa individuale (dal basso) di un qualche supporter italiano” sono presi da originari materiali IS. Sul fatto che non conosca l’arabo va segnalato che gli arabi sono solo il 20% dell’islam. Visto che ci siamo, mettiamo anchequesta curiosa notizia sul social-amici-dell’IS, andato in crash non appena on line.

CRONACA N.113 (09.03.15)

Robert Parry, una di quelle rare figure di giornalista investigativo che ficca il naso dove sente puzza di bruciato (vedi il suo scoop internazionale sull’affaire Iran-Contra per AP), riferisce dell’esplosiva testimonianza di Zacarias Moussaoui su i rapporti Arabia Saudita – Al Qaeda – Israele. Nulla di particolarmente nuovo per noi che ne abbiamo scritto ripetutamente senza essere giornalisti investigativi, semplicemente usando dalla nostra remota postazione la logica e pezzi di informazione mainstream che già da tempo circolavano per chi voleva trovarli. Ecco l’articolo nel completo (ITA o ENG). In breve, Al Qaeda era finanziata dai sauditi, Osama era eterodiretto dal clero wahhabita-saudita ed i sauditi avevano ed hanno un accordo con Israele per espellere dalla zona ogni influenza sciita-iraniana. Il tutto risale ai tempi di Al Qaeda ma prosegue sino ad oggi, cioè ai tempi dello Stato islamico. Il prode The Guardian dà notizia della deposizione di Moussaoui ma è in bilico sul giudizio di affidabilità. Ma perché mentire per un condannato a vita, comunque senza speranza di veder riconsiderata la sua condanna e chi avrebbe potuto suggerire al super-controllato Moussaoui la spifferata e con quali finalità? I britannici se la cavano con un improbabile “per uscire dal tedio della prigionia”. Ma poi la pulce rimbalza nell’orecchio del giornalista inglese ed ecco ritornare in auge le famose 28 pagine del Rapporto 9/11 mai de-secretate anche se nella campagna elettorale per la sua prima elezione, Obama si era formalmente impegnato a divulgarle. Che dicono quelle pagine? Quello che scrive Parry. Lo ha già riportato il NYT se ben ricordo nel 2003. Deputati del Congresso avevano ovviamente accesso a quelle pagine e quello che pare contenessero e che essi riferirono informalmente ai giornalisti del NYT, erano le notizie sul famoso Bandar bin Sultan e la casa reale saudita, organizzatori (assieme a certi israeliani ed a certi neocon americani) degli attentati per spingere gli americani in Afghanistan per esigenze di copione ma poi in Iraq per esigenza primaria dei mandanti. Ed allora,  Moussaoui s’è svegliato tutto-a-un-tratto da solo o qualcuno gli ha chiesto una cortesia? Magari qualcuno che l’ha presa a male per il recente discorso di Netanyahu al Congresso, i giochetti dell’Arabia Saudita con l’ISIS e la claque dei repubblicani in festa? A pensar male…

CRONACA N.112 (09.03.15)

L’economista francese J.Sapir, vede prossima una rottura del sistema euro. Le fratture che potrebbero portare alla rottura sarebbero la Grecia, l’ipotetica vittoria di Podemos in Spagna e forse anche l’Italia. Mah. La vittoria di Podemos in Spagna mi sembra ancora prematuro darla per probabile, l’Italia poi, a parte il rinforzo costante ma lento delle posizioni anti-euro (incluso l’outing di Fassina) non mi sembra prossima al raggiungimento di nessuna soglia critica. Il PD di Renzi mi sembra abbia un radioso futuro davanti a lui ed è al momento assai improbabile che il toscano piloti una uscita dal sistema che gli dà la scusa di imporre l’adeguamento al mercato della scombinata struttura socio-economica italiana. Il centro-sinistra europeo è ancora saldamente accoppiato al centro-destra ed entrambi, oltre a gli USA, hanno tutto l’interesse di far fallire oggi Syriza, domani Podemos. In aggiunta, con i QE della BCE si è aggirato almeno uno dei tre limiti del sistema euro, la circolazione di liquidità. Il secondo che è quello dei cambi è sensibilmente cambiato ultimamente ed in favore di tutte le economie esportatrici (Italia e Francia su tutte), almeno rispetto al dollaro. Rimane certo lo stretto disciplinare dei tetti di bilancio e dei rapporti debito/PIL ma bisognerà vedere se pur tra strepiti ed urla minacciose di Schauble, non si sviluppi una politica più accomodante come già, in parte, si sta facendo con la Francia. Proprio la Francia è il secondo perno della questione, il primo è la Germania. Fino a che la Francia può sopportare le condizioni dell’euro e rimane agganciata (subordinata) alla Germania, il sistema probabilmente andrà avanti. Almeno fino a che non si incrocino le difficili condizioni strutturali con qualche decisivo appuntamento elettorale. Una altra corrente perturbativa o altrimenti coesiva del sistema potrebbe esser la situazione geopolitica. Vi sono almeno due punti in agenda, critici: la questione ucraina ed i rapporti con la Russia e il TTIP. Sul primo, non è un mistero che Germania, Francia ed Italia non abbiano alcuna voglia di inasprire la situazione con  i russi, voglia che invece pervade gli americani, i baltici e gli inglesi. Sul TTIP, nel senso dell’andamento delle trattative poco o nulla si sa e comunque, alla fine, la decisione sarà politica. Vista la parziale divergenza di interessi geopolitici sarebbe quantomeno bizzarra la decisione di accoppiarsi strutturalmente a gli USA sotto il profilo giuridico-economico. Infine, c’è la questione dei rapporti con l’islam ed il Nord Africa che potrebbe spaccare i mediterranei dai baltici. Tutto ciò per dire che quello che dobbiamo revisionare prioritariamente è il modo col quale trattiamo fatti e problemi. Non ci sono le monete, l’economia, la geopolitica, la geo-storia ognuna rinserrata nel proprio perimetro disciplinare in cui esperti sacerdoti vaticinano il bene ed il male. Tutte queste cose impattano contemporaneamente gli stessi soggetti, che siano popoli o governanti nonché coloro che usando la ragione, cercano di capire e giudicare.

CRONACA N.111 (06.03.15)

Di W. Streeck, l’ultimo dei francofortesi, avevamo recensito il bel libro qui. Oggi invece proponiamo un articolo da poco uscito su Le Monde, riguardo il disastro dell’euro (qui). Riportiamo altresì un pezzetto della parte finale: “Lo smantellamento deve avvenire sulla base di un accordo, prima che l’atmosfera non ne risulti troppo avvelenata. Come farlo: questo è ciò di cui dobbiamo discutere. Dobbiamo permettere ai paesi del Sud un’uscita regolare, forse entro un euro del sud che non richieda da parte loro le “riforme” che distruggono le loro società.”. Una vecchia idea quella dell’euro nostrum su cui prima o poi torneremo a scrivere.

CRONACA N.110 (05.03.15)

Questa notizie surreale ci dice del nuovo shopping del Qatar che ruba maestranze ad Al Qaeda in Siria (Fronte al-Nusra) per formare una nuova compagine iperstrutturata di armi e tecnologie. Il fine? Far concorrenza allo Stato islamico, distruggere la pseudo resistenza moderata appoggiata dagli USA e conseguire finalmente l’agognato titolo regionale di “abbattitore di Asad”. Ora, il Qatar, ospiterà il massimo evento mondiale del campionato di calcio del 2022, possiede già il Paris St. Germain, Harrods a Londra, Al Jazeera in patria e di recente s’è comprato un intero quartiere a Milano e 1000 mq con 12 ingressi livello strada a Piazza di Spagna-Roma in cui pensa di collocare un’altra sua proprietà: la maison Valentino. In Italia, per altro, ha una jont venture con Cassa Depositi e Prestiti e molte altre proprietà. Possiedono anche ingenti pezzi di Barclays e Credit Suisse, nonché di Wolkswagen Group e molto, molto altro. E’ surreale la tranquillità con cui i giornali danno notizia di quello che ormai è l’annuncio dichiarato di joint venture tra quelli che altrove chiamiamo terroristi e quelli che altrove chiamiamo interessanti investitori stranieri che rilanceranno la nostra economia. Così, come nulla fosse. Altresì è interessante notare il rilancio della feroce lotta che oppone Qatar ad Arabia Saudita e visto che la nuova entità nasce rubando maestranze ad Al-Qaeda e promette una guerra all’ultimo sangue a Stato islamico, se ne dovrebbe dedurre per proprietà transitiva quello che già sapevamo ovvero che Al-Qaeda è il progetto 1.0 e Stato islamico quello 2.0 di una peculiare strategia saudita. Infine, bisognerebbe segnalare a tutti coloro che ci tediano con il problema dei terroristi medio-orientali che sbarcano infreddoliti ma non meno inferociti a Lampedusa che uno dei loro sponsor si è già comprato mezzo paese, chissà, forse anche quegli stessi che starnazzano “al lupo-al lupo” mentre il lupo gli paga lo stipendio.

CRONACA N.109 (03.03.15)

La faccenda IS-Isis è connotata da due fatti: 1) è l’evento storico forse più rilevante della nostra contemporaneità (risveglio dell’islam? terroristi che possiedono uno stato? inveramento dello scontro di civiltà? ri-disegno dei confini Sykes-Picot); 2) è totalmente privo di controllo media e inflazionato di informazioni da fonti quantomeno problematiche. Ne consegue una certa confusione oltretutto ambientata in uno scenario di totale incertezza. Pochi o nessuno hanno notato che le esecuzioni video degli occidentali, avevano il ben chiaro intento di sconsigliare a chiunque di andare a ficcare il naso lì dove si formano gli eventi. Consiglio recepito. Risultato: gli eventi non hanno racconto diretto. Le inferenze del SITE, il laboratorio informativo della famosa Rita Katz, sono diventate sostituti della Reuters. I servizi segreti di mezzo mondo lanciano in proprio, via web, via giornalisti embedded, indirettamente via siti di contro-informazione ignari di star rilanciando notizie distorte ad arte, tonnellate di veline e la contro-informazione arranca. L’Isis-IS è figlio degli USA, dei britannici che mandano aerei-cargo che depositano casse di armi nel deserto, degli israeliani, degli iraniani, dei turchi, degli stati del Golfo, dell’intrinseca violenza irrazionale di una religione maledetta. Recentemente  ho visto dei replay su facebook in cui onesti contro-informatori rilanciavano la notizia che il famoso video dei copti decapitati in Libia, era un fake. La notizia era della Fox news (!) e il giudizio di fake era di stimati registi Hollywood (?). Leggendo poi si scopriva che più che un fake integrale, qualche scena era stata forse girata in green(blue)-back (ed allora?). Altresì, proprio in questi giorni, si è alzata una risata critica conseguente la notizia che le statue distrutte a Mossul, erano in realtà di gesso. Ma i 12.000 volumi antichi bruciati sempre a Mossul (fonte reuters-UNESCO nella persona di Irina Bokova, russa) e le mura di Ninive dinamitate? E che differenza fa sul piano culturale delle intenzioni e di ciò che le muovono, se le statue erano di gesso o di marmo? E il pubblico interno all’islam a cui il video era diretto, che messaggio ricevevano al netto del fatto che certo non erano al corrente della diversa natura materiale degli oggetti profanati? Oggi, abbiamo Anonymous che qui ci dice ciò che da tempo circola in rete: al-Baghdadi, il califfo, in realtà è una diade. Un onesto teologo iracheno le cui ultime tracce scompaiono a San Francisco ma anche un agente del Mossad che ora dovrebbe trovarsi a Mossul.  Perbacco! Chiudo segnalando che sto finendo di leggere Patrick Cockburn, il cui Ascesa dello stato islamico (Stampa Alternativa, 2015) è stato segnalato da il manifesto e non solo, come un vero faro di analisi e di informazioni per correttamente interpretare il fenomeno così misterioso ed inquietante dello Stato islamico. Sarà… . Io confesso il mio preventivo e sistematico disincanto verso qualsiasi fonte britannica. Forse Cockburn non è Cantlie (il giovanotto rapito in Siria e miracolosamente scampato al taglio della testa che presto ha dismesso il camicione arancione simil-Guantanamo per diventare un convinto speaker simil-Alberto Angela che ci spiega quanto sono bravi e buoni quelli dello Stato islamico) e molte delle sue notizie e delle sue interpretazioni sono apprezzabili. Ma anche Cockburn sembra credere che lo Stato islamico sia una covert operation arabo-turca, poi sfuggita di mano, tesi che chi scrive ritiene ridicola (ridicola la tesi che sia sfuggita di mano). Insomma, i fatti rimangono impastati di nebbia. Vediamo, secondo il controverso analista T. Meyssan, dopo che gli USA avranno firmato il famoso accordo con l’Iran, ci potrebbe essere qualche movimento sul campo. Chissà, potrebbe diradare un po’ di nebbia o alzare una tempesta di fitta sabbia, vedremo… .

CRONACA N.108 (01.03.15)

Meritorio segnalare un bel programma televisivo: Scala Mercalli (tutti i sabati, alle 21,30, RAITRE). Mercalli, climatologo, ha una diffusa competenza su quell’insieme di questioni che attengono al grave problema dell’adattamento umano alle condizioni planetarie che gli stessi umani stanno determinando. Ieri si sono avuti i contributi del prof. Ugo Bardi (ASPO Italia) che segue le faccende relative al peak oil e più in generale quelle relative all’eccessivo sfruttamento dei minerali, dell’economista Tim Jackson autore tra l’altro del celebre “Prosperità senza crescita” [Edizioni Ambiente, 2011] ed addirittura una raro filmato di A.Peccei, il fondatore del Club di Roma da cui il famoso rapporto su i Limiti dello sviluppo (1972). Assieme, documentari su l’Australia in cui ormai si vive a 50°, lo sfruttamento minerario di Cile e Perù, le transition town britanniche ma anche italiane. Il tutto, confezionato come si conviene a gli standard di una trasmissione televisiva scientifica ma senza banalizzare eccessivamente.

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Veramente meritorio lo sforzo e incoraggiante vedere tali questioni finalmente trattate non nel ghetto dell’intelligenza alternativa. Ci si domanda perché l’enorme volume di programmi informativi sia ripiegato su questioni del tutto inessenziali quando temi come questo o quello geopolitico, condizionano e sempre più condizioneranno le nostre vite. Grande Mercalli quindi e non perdete le prossime puntate!

CRONACA N.107 (26.02.15)

Che anno è? Beh, dipende…per gli ebrei è il 5776, per i cristiani è il 2015, per i musulmani è il 1353. Ogni religione ha posto il suo anno zero in coincidenza di qualcosa di decisivo che regge la loro narrazione: la creazione nella Genesi nel Vecchio Testamento, la nascita di Gesù Cristo nel Nuovo, l’Egira ovvero la migrazione da Mecca a Medina di Muhammad e la prima comunità di credenti, per il Corano. Ne consegue logicamente che tutti e tre i monoteismi, debbano svalutare tutto ciò che sembra esser successo prima che loro definissero l’inizio del tempo. La tradizione ebraico-cristiana insorse nella prima metà del XIX° secolo, quando i geologi, prima di Darwin, ipotizzarono cautamente che la Terra poteva avere centinaia di migliaia di anni. Ancora Darwin, dovette condurre gran parte della difesa della sua giovane teoria, contro la diffusa convinzione che il mondo, secondo i precisi calcoli di un arcivescovo anglicano irlandese (calendario Ussher-Lightfoot) non poteva avere più di 4004 anni. I creazionisti si sono progressivamente arresi all’evidenza temporale ma hanno mantenuto il punto decisivo anche se mal si comprende perché mai Dio abbia atteso 10 miliardi di anni per fare la Terra e 4,4 miliardi prima di fare l’uomo. Un Dio pigro? Comunque, nel tempo, silenziosamente, si è dovuto accettare il dato di fatto scientifico ma è rimasto l’atteggiamento come alone. In paleoantropologia ed in archeologia sono decine di anni (da quando si è resa stabile ed affidabile la radio-datazione) che si deve periodicamente retro-datare ogni nuova scoperta. E’ sempre tutto più antico di quanto ipotizzato. Alcuni siti, come Gobekli tepe, realizzazione magalitica di 12.000 o forse più anni fa, sfidano l’assioma per cui forme di civilizzazione e complessità umana non potevano essere di molto anteriori la Rivelazione. Perché altrimenti Dio avrebbe atteso così tanto? Che fine faranno il Giorno del Giudizio tutti coloro che non sapevano neanche che erano qui per merito Suo? Anche i musulmani hanno lo stesso problema, forse anche più grave perché il loro Dio si è deciso a parlare solo ai primi del 600. Nell’Islam, il periodo pre-rivelazione è detto -Jahiliyya- ovvero -età dell’ignoranza-. Quelli prima erano dei barbari ignoranti perché non sapevano. Ciò è forse sostenibile per gli arabi beduini pre islamici ma già nella Siria ellenizzata o addirittura nell’Egitto delle piramidi la faccenda è più spinosa. Imbarazzante poi scoprire che nella Mesopotamia irachena che i musulmani son convinti di aver civilizzato loro con la fondazione di Baghdad (762-767), c’erano stati popoli antichissimi che avevano avuto una fiorente civiltà, a livelli che l’islam raggiungerà solo dopo più di uno o due secoli con più di tremila anni di ritardo. E’ questo, credo, il motivo della distruzione dei reperti assiri di Mosul, non la furia iconoclasta ed aniconica che dotti commentatori portano a spiegazione del fatto. Distruggere fisicamente la testimonianza che altri uomini, migliaia di anni prima, si erano emancipati dall’ignoranza prima che Dio-Uno si decidesse a donare loro la Verità. L’irrazionalità della credenza ha sempre una sua razionalità nascosta.

CRONACA N.106 (26.02.15)

Lo Zhejiang è una “piccola” regione orientale cinese con una popolazione di poco inferiore all’Italia ma è anche sede della città di Hangzhou, una delle città più industrializzate ed all’avanguardia del mondo e Wenzhou, la città da cui provengono la maggior parte dei cinesi che vivono in Italia. Tutta la regione è una delle più ricche ed avanzate della Cina e significativa è la penetrazione del cattolicesimo e dell’islamismo anche se la performance migliore è quella dei protestanti. L’amministrazione regionale ha da tempo intrapreso una lotta contro i segni della cristianità, distruggendo più di 400 croci e qualche chiesa. Ecco allora che il comitato locale del partito comunista cinese, ha decretato che per diventare quadro dell’organizzazione sarà tassativo sia la professione di comunismo, sia quella di ateismo. La Cina ha un rapporto preciso con le religioni. Tutte le religioni sono di fatto riconosciute ma si è sempre attivamente evitato che una di esse possa prevalere e sopratutto che esse rimanessero intatte nella coerenza del proprio canone, delle proprie pratiche, del proprio simbolismo e delle funzioni del proprio clero. La credenza storica cinese ad esempio, è un sincretismo di confucianesimo, taoismo e buddhismo (cinese). Sincretizzate, le religioni vanno bene, coerentizzate no. I cinesi mostrano di conoscere molto bene il principio dell’immagine di mondo. Se dovesse prevalere una immagine di mondo diversa da quella cinese (un misto assai peculiare di tradizione e modernità, rispetto delle gerarchie interne e precisa etica), una immagine di mondo coerente nel proprio sistema di credenza, logica, pratiche, clero di riferimento, si creerebbe motivo di dissidio e conflitto interno e se si dovesse propagare il dissidio ed il conflitto interno, l’intero sistema cinese che è assai complesso e massiccio (1,3 mld di persone stipate in una unica entità statale), imploderebbe. Spesso di sottolinea il rischio di scontro di civiltà tra Occidente ed islam ma i due sistemi più reciprocamente e strutturalmente incompatibili, in realtà, sono l’islam e la cinesità. Ne sanno qualcosa gli uiguri

CRONACA N.105 (25.02.15)

Incontro tra civiltà. Sembra che esista un medium che a discapito delle religioni, delle concezioni sul diritto umano, delle differenti storie sociali e politiche, delle divergenti traiettorie geopolitiche, può unire chi altrimenti tenderebbe a divergere: il denaro. Uno dei più importanti sacerdoti di questa credenza incarnata è (non a caso) uno svizzero, il presidente dell’organo di governo del football planetario J. B. Blatter, regnante da diciassette anni. La FIFA ha assegnato i mondiali di calcio del 2022 al Qatar, un paese del Golfo che ha la popolazione di Bucarest e dove in primavera-estate la temperatura percepita supera i 50° di giorno ed i 40° di notte con una umidità pari ad un sauna finlandese. Luogo ideale per far correre 23 giovanotti in mutande appresso ad una sfera di cuoio, tant’è che si sta pensando di organizzare il torneo d’inverno, bloccando campionati e coppe internazionali che, a loro volta, andrebbero a sconfinare verso l’estate. I qatariti propriamente detti sono meno di 300.000, il resto sono schiavi immigrati. Il Qatar è variamente sospettato di appoggiare in vari modi, molti movimenti fondamentalisti. Per quale ragione portare avanti una idea così irrazionale come organizzare i campionati mondiali di calcio in un posto del genere? Semplice, il Qatar è il primo paese al mondo per PIL pro capite e con ciò può comprare ciò che vuole. Se ne parla qui.

CRONACA N.104 (24.02.15)

Sondaggio sul sentiment Europa-euro, condotto in sei paesi da Demos (Ilvo Diamanti) e Pragma per una fondazione e interno ad un più ampio rapporto, in cui è coinvolto l’Osservatorio di Pavia, che viene presentato proprio oggi alla camera dei Deputati. Risultato? Nella parole finali del commento di Diamanti: “Non credo proprio che l’Unione Europea possa proseguire a lungo il suo cammino “confidando” sulla “reciproca sfiducia” e sulla “paura degli altri”. In nome di una moneta impopolare. Io, europeista convinto, penso che non sia possibile diventare “europei per forza”. O “per paura“. Gli italiani, un tempo euroentusiasti sono oggi i principali eurocritici, non piace affatto l’euro ma non piace più neanche l’Europa e non va meglio dalle altre parti. Il sistema non regge, è evidente. Altrettanto evidente è che l’antitesi a questa struttura pericolante è incarnata dalle destre che hanno gioco facile a rifarsi alla propria vocazione nazionalistica, recentemente riscoperta anche da certa sinistra alternativa. I partiti di centro-sinistra ed anche a certa sinistra, rimane il compito di presidiare il bidone pieno di buchi metafora perfetta di quella che era una storica capacità di ideare, far progetti, immaginare il futuro migliore. Oggi quella capacità si è persa, si è persa la capacità ed il desiderio di avere idee.

CRONACA N.103 (24.02.15)

Maurizio Molinari, giornalista de la Stampa, ci dà qui notizia dell’offensiva ideo-teo-logica che egiziani e giordani avrebbero intrapreso coinvolgendo sauditi ed emirati (usando l’autorità dell’Università di Al Azhar) contro le posizioni interpretative dello Stato islamico. Molinari è noto per un occidentalismo ma ancor più un americanismo talmente schierato da far dubitare su quali siano veramente i suoi datori di lavoro. Nell’articolo però, in apparenza, si limita a dar notizia di fatti. “In apparenza” però perché verso la fine apprendiamo due cose. Il senso politico dell’operazione -scomunica dei fondamentalisti- è rivolto a due aree islamiche che fiancheggerebbero i “cattivi”. La prima è l’asse turco-qatarino che è noto per la sua simpatia salafita nei confronti dei Fratelli Musulmani sterminati in Egitto da Al Sisi, il secondo sarebbe (e qui Molinari paga con la penna qualche debito probabilmente contratto sotto forma di bonifico in entrata) niente-pò-pò-di-memo-che: l’Iran. E sì, checché se ne dica, l’Iran starebbe compiendo uno sporco doppio-gioco per il quale mentre invia uomini ed armi al governo iracheno alle prese con le invadenti ondate degli incappucciati, sotto-sotto, userebbe i fondamentalisti per rompere l’unità del fronte dei sunniti. Ci vuole veramente una dose invidiabile di faccia tosta a sostenere le veline del ministero della disinformazione saudita con cotanta seriosa serenità.

CRONACA N.102 (24.02.15)

Il ministro dell’economia Padoan, qui, afferma che se dovesse muovere una critica alla Germania, questa sarebbe rimproverabile di non capire che per quanto importante, forse decisiva, essa è pur sempre parte di un sistema: “…c’è una dimensione sistemica in aggiunta alla dimensione nazionale”. La differenza, secondo Padoan, passerebbe tra il ritenere che un semplice set di regole impersonali (il mercato, “mettere a posto a casa propria”, trattati) possa coordinare il sistema ed una forma di intelligenza complessa come auto-governo di un insieme fatto di parti, la differenza che in genere intercorre tra un ente ingegnerizzato ed un ente biologico. In termini europeisti, la differenza tra avere una cosa assieme (la moneta) ed essere una cosa insieme (un ente sistemico). In effetti, in termini di mentalità, ancora oggi, non c’è questa gran differenza tra europeisti e nazionalisti poiché certo i secondi ma in fondo anche i primi, non hanno la minima reale intenzione di transitare dalla dimensione nazionale a quella aggregata. Se si discutesse sul serio della necessità e della condizionalità (le cose necessarie per accedere a questo secondo livello di dimensione) inerenti la dimensione pienamente sistemica, ci si accorgerebbe che i contraenti il sistema euro non sono e non vogliono essere tra loro aggregabili. L’inutilità e quindi la dannosità di tenere in piedi il sistema “euro” è tutta qui, esso è pre – sistema che non ha alcuna possibilità di diventare veramente tale. E’ un binario morto, una strada che non porta da nessuna parte.

CRONACA N.101 (23.02.15)

Qualche giorno fa, il segretario al Tesoro USA, Jack Lew, ha telefonato al ministro delle Finanze greco Yannis Varoufakis, avvertendolo che in mancanza di un accordo sulle questioni della trattativa Grecia-EU sul debito greco, ci sarebbero state “immediate difficoltà”. La notizia è stata riportata da tutti i giornali ma non sembra aver colpito più di tanto. E’ sembrato forse normale che un paese terzo, che nulla a che vedere con l’euro e le questioni interne all’Europa, chiamasse l’anello debole della catena per dare un messaggio mafioso in cui tra il consiglio tecnico e la minaccia ritorsiva, si comunicasse che il Grande Fratello Atlantico osserva e giudica. Abbiamo già segnalato che la Grecia avrebbe qualche possibilità teorica di divincolarsi dalla morsa dei ricatti euro-tedeschi, magari rimbalzando su la Russia o la Cina che avrebbero, entrambe, buoni motivi per aiutare gli ellenici. Beh, sembra che la telefonata dell’amico americano, volesse proprio avvertire di non farsi venire strane idee in testa, a riguardo. Il che ci dice dell’enorme difficoltà che un eventuale cambiamento dello stato delle cose occidentale, incontrerebbe semmai vedesse la seppur minima volontà di esprimersi. La volontà di un cambiamento, non solo dovrebbe attrezzarsi in termini di teoria economica, monetaria oltreché, come è scontato, politica, dovrebbe anche porsi il problema di entro quale sistema geopolitico ambientarsi. A dire che coloro che propugnano l’eventuale uscita della Grecia dall’euro, idea basata su una certa logica di “tecnica monetaria”, hanno forse una  loro ragion pratica ma non una ragion complessa ovvero un quadro di condizioni di possibilità che includa tutte le variabili in gioco. Del resto, questa constatazione, non porta ad acquietarsi sullo stato delle cose perché lo stato delle cose non funziona o funziona in modo insoddisfacente per tutti coloro che hanno un pur minimo senso di giustizia sociale. Semplicemente, se ne dovrebbe trarre la conclusione che il dilemma dentro l’euro + dentro l’Europa – fuori l’euro + ritorno alla nazione va superato in direzione di una posizione terza, una fuori dall’euro + dentro un nuovo sistema. Ma di questa eventuale direzione, non c’è ancora traccia nel dibattito teorico.

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