CRONACHE DA 591 A 615

CRONACHE N. 615 (1-10 Dicembre 2017)

L’OCCIDENTE ORIENTALE. Qui abbiamo dato notizia del nuovo accordo di libero scambio UE-Giappone [ 1 ], mentre nel link riportato si dà notizie di una apertura sempre dei giapponesi, alle BRI cinese, già qui anticipato [ 2 ]. Qui invece [ 3 ], si dava notizia di una nuova ipotetica via di terra che collegherebbe la Russia al Giappone, previa definitiva chiusura del vecchio contenzioso sulle isole Curili e quindi firma del trattato di pace Russia-Giappone che è in sospeso dalla fine della seconda guerra mondiale (!). A cui si deve aggiungere i colloqui che vanno avanti da tempo tra russi e giapponesi per l’allaccio di questi ultimi alla rete gasifera russa.

Insomma, il paese orientale accumunato all’occidente per modello economico, ora che questo non è più esclusiva occidentale, torna alla sua natura cultural-storico-geografica. Il ritiro degli USA dagli accordi di libero scambio, la pretesa di riequilibrare le proprie bilance commerciali, l’uscita dalle istituzioni multilaterali e la politica di ripiego per un restauro della forza interna a gli Stati Uniti, stanno lasciando libero il mondo non americano di auto – organizzarsi secondo l’asse euroasiatico.

Ad un anno dall’inizio della presidenza Trump, il mondo sta cambiando in maniera abbastanza radicale. Ma ci metterà ancora tempo a stabilizzarsi in un Nuovo Ordine e bisognerà vedere che tipo di reazione si avrà dentro l’intestino americano perché non c’è dubbio che il trauma Trump sta agendo ben nel profondo della Prima potenza.

Infine, il nuovo mondo multipolare, potrebbe organizzarsi e stabilizzarsi con reti di doppia/tripla appartenenza. Sistemi economici – valutari e alleanze militari potrebbero vedere diverse iscrizioni da parte dello stesso soggetto, se l’istinto economico spinge verso l’Asia, quello militare potrebbe spingere dall’altra parte. (QUI)

[1] http://www.lastampa.it/…/uegiappone-accordo-di-…/pagina.html

[2] https://asia.nikkei.com/…/Nippon-Express-climbs-aboard-Chin…

[3] https://www.bloomberg.com/…/putin-treads-where-stalin-faile…

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IN OGNI EPOCA, LE IDEE DELLE NAZIONI DOMINANTI, SONO LE IDEE DOMINANTI. Argomento apparentemente laterale, vien fuori ora che la CIA finanziò e sostenne, in pratica impose come fatto, il pregio artistico dell’espressionismo astratto di Pollock e De Kooning, contro il realismo sovietico. In effetti, essendo il realismo comprensibile immediatamente da tutti, risulta un po’ troppo democratico e popolare, meglio l’esoterismo del segno che divide chi sa da non sa e neanche può sapere se non cooptato nell’élite della setta che -a sua volta- è una élite della massa. Nelle società piramidali, tutto deve esser piramidale, il gusto, il sapere, la capacità di esprimersi e di comprendere …

Praticato sin dal dopoguerra e concettualizzato o meglio pubblicizzato solo nel 2004 (chi ne parlava prima rientrava nell’ignominiosa categoria del complottista), il soft power predispone le anime al controllo che l’hard power fa dei corpi.

Se ne dovrebbe trarre una teoria che pur includendoli, superi la vecchia diade dell’idealismo vs materialismo storico, ma di questi tempi di menti smarrite, è forse chiedere troppo.

Simpatico però che i tedeschi abbiano organizzato una mostra in un edificio costruito a Berlino dalla CIA negli anni ’50, per render nota la faccenda … (QUI)

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IL FRONTE ATLANTICO. L’espressione può voler dire sia che c’è una alleanza che fa fronte, sia l’esistenza di un fronteggiarsi tra due parti, in entrambi i casi il luogo dell’espressione è l’oceano Atlantico. Con “atlantismo” si intende l’esistenza di una comune postura geopolitica tra le due sponde, quella americana e quella europea, alleanza stretta e solida che ha segnato gli ultimi settanta anni. Ieri, sulla faccenda di Gerusalemme, si è verificata la prima rottura di questo fronte inteso come alleanza e quindi si è venuta a creare l’inedita situazione di un fronteggiarsi tra due.

Ma uno dei due, l’Europa, non può più intendersi tale, deve intendersi come Europa occidentale, poiché non si sa se i cugini orientali seguiranno gli occidentali o gli americani. Del resto, la geopolitica dei cugini orientali verte sul fronte orientale, quindi la Russia mentre quelli occidentali hanno (a volte) a cuore gli equilibri mediterranei.

Neanche gli americani, invero, possono dirsi esenti da spaccature. E’ noto esista negli Stati Uniti, qualcosa di più di una “zoccolo duro” di atlantisti liberal globalisti in perfetta sintonia con gli euroccidentali ed in perfetta contrapposizione col loro Presidente. Ed esiste anche una spaccatura nei palestinesi tra Hamas ed Autorità, ed esiste anche una doppia spaccatura tra gli arabi sunniti e gli sciiti, ma anche tra gli amici di Washington (Golfo e Giordania con l’Egitto un po’ a lato) e gli altri che vanno verso un compattamento forse promosso dalla Turchia.

Novità importanti quindi sullo scacchiere occidentale in attesa Trump decida come rispondere ai missili di Kim o forse in attesa di verificare l’ipotesi che -non sapendo come rispondere ai missili di Kim- abbia deciso di spostare la canizza su Gerusalemme che torna sempre utile nei momenti di confusione, essendo essa stessa il prototipo del concetto di confusione.

Concordata la Brexit ed in attesa di trattare i particolari dei rapporti economici che si presume rimarranno cordiali tra gli autonomi britannici e gli euro unionisti, il nucleo occidentale senza un governo in Germania e con prossime elezioni in Italia che eccitano Biden&Co, ormai distinto dall’area orientale, viene così invitato dagli eventi a domandarsi chi è, cosa vuole, come intende fare ciò che vuole. La mancanza di una idea geopolitica per il nostro Paese specifico, comporterà l’abbandonarsi al flusso da altri gestito. Di contro, gli euroccidentali mostrano di esser sul pezzo quando si tratta di geoeconomia (http://www.lastampa.it/…/uegiappone-accordo-di-…/pagina.html).

Infine, vorrei far notare lo spiazzamento di due opposte categorie. Quelli che non hanno per nulla capito di cosa trattava la Brexit, lasciandosi trasportare da una ridda di giudizi infondati su cataclismi economico-finanziari che né ci sono stati, né ci saranno. Quelli che hanno tardivamente scoperto il concetto di sovranità pensando che il concetto ruotasse intorno alle valute..

L’ultima spaccatura che si produce quindi è quella tra chi legge il mondo usando occhiali monocromatici di tipo economicista e chi usa i nuovi occhiali che lasciano filtrare le frequenze economiche, finanziarie, politiche, militari, culturali, demografiche, storiche e geopolitiche (ah, la geografia!). Voi, avete un Atlante a casa? Lo sapete leggere? Avete gli occhiali giusti? Perché arriva il mondo 3D, non perdetevi lo spettacolo, anche perché ne sarete parte!

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VIVERE IL PIU’ A LUNGO ED AL PEGGIO POSSIBILE. Chiamo il “vivere più a lungo ed al meglio possibile” imperativo ontologico. Tutto della conformazione stessa di qualsiasi ente biologico tende a questo doppio imperativo. Il principio di sopravvivenza, evitare anche solo di pensare alla morte, il principio di piacere e dispiacere che orienta i nostri comportamenti, ma anche quelli della singola cellula primigenia che nuotava negli oceani primordiali, tutti questi meccanismi della nostra complessione biologica, seguono questo doppio imperativo.

In Occidente e noi italiani assieme ai giapponesi più di altri, viviamo molto a lungo, sempre più a lungo, il che ottempera la prima parte dell’imperativo. Ma noi non siamo solo enti biologici, siamo anche sociali quindi politici, economici e culturali. Ecco allora che si pone il problema di come faremo socialmente, biopoliticamente e soprattutto economicamente a vivere così a lungo. Ci penserà l’industria farmaceutica, ma i suoi prodotti costano. Chi li pagherà? Fortunatamente c’è l’industria assicurativa. Ma ecco che l’industria assicurativa ha saputo dall’industria farmaceutica che per assicurare il rischio morte che per loro è lunghezza della nostra vita (mors nostra vita loro), c’è oggi la fantastica opportunità di obbligarci a dargli la nostra mappatura genica. Ci diranno poi loro a quali “condizioni” ci assicureranno una vecchiaia lunga anche se non necessariamente felice visto che passeremo la nostra vita a pagarla.

Questa estate ho letto un interessante libricino sull’argomento, Sharon Moalem (è solo un caso che proprio oggi che ho scritto un post su gli ebrei se ne citi qui uno 🙂), uno dei massimi esponenti della nuova frontiera delle biotecnologie (L’eredità flessibile, Feltrinelli, 2015, 10 euro). Se volete saperne di più, lo consiglio, Moalem è un guru sia scientifico che divulgativo, imprenditore e scienziato di fama planetaria, collabora col NYT.

Vivremo più a lungo, ma solo a condizione di dargli il nostro codice di controllo generale. “Ci alleveranno amorevolmente….dalla culla alla tomba con il nostro fondo mutualistico” come ha scritto un mio contatto, che mi ha gentilmente (e lo ringrazio) segnalato questo articolo. Mezzo imperativo ontologico al prezzo dell’altro, non si può avere tutto, no? (Qui)

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UN POPOLO, DUE STATI. Due cose respingono il parlare degli ebrei e degli israeliani. La prima è una storia complicatissima che scoraggia lo studioso che non voglia dedicare buona parte della sua vita ad un solo argomento. La seconda è la forza organizzata con cui gli ebrei, israeliani e non, difendono se stessi da ogni considerazione critica, difesa che parte dall’offesa grave, quella di “anti-semitismo” che non è una semplice accusa di razzismo ma qualcosa che si avvicina al Male assoluto. Uno stigma che retrocede lo studioso all’inferno degli emarginati del pensiero, il che è un problema esistenziale grave per coloro che vivono del lavoro della propria mente.

Eppure c’è un fatto evidente che dovremmo considerare nelle nostre analisi sul mondo, soprattutto il mondo occidentale: la presenza “influente” di questo popolo a lungo senza terra ed oggi con uno Stato. Un popolo che è sopravvissuto alle tormente della Storia per tremila anni, forse proprio grazie al fatto di non avere un territorio. Questo popolo è stimato avere -oggi- circa 15 milioni di appartenenti, di cui 6,3 milioni in Israele. Ma tra 6,9 – 7,2 sono stimati gli ebrei che vivono in America, quindi si può ben dire che questo popolo ha due Stati. Ma al contempo questa dichiarazione è imprecisa poiché mentre gli ebrei israeliani detengono e governano il proprio Stato, gli ebrei americani non detengono lo Stato americano di cui rappresentano solo il 2%. La domanda è: pur essendo solo il 2% del popolo americano, gli ebrei, quale influenza esercitano sul governo americano?

Giusto stamane sentivo Rampini su Repubblica il quale diceva ciò che tutti sanno ovvero che Trump ha, con l’ufficializzazione della decisione su Gerusalemme (decisione già presa dal governo USA nel 1995 e con molta ambiguità, tenuta sospesa per ben 22 anni), pagato un suo debito di riconoscenza elettorale all’influente lobby ebraico-israeliana, giudicata la prima o seconda -a seconda degli analisti- più potente d’America. Ma in che senso “più potente”? Ad occhio, tutti gli ebrei americani, peserebbero il 10% dell’elettorato di Trump che si può retrocedere con l’altro occhio ad uno 5% (in realtà meno ad esser precisi, forse un 3- 3,5%) visto che molti votano democratico o non votano. Non è quindi credibile dire che l’importanza della lobby ebraico-israeliana americana derivi dal suo peso quantitativo, deve esserci qualcos’altro, qualcosa di qualitativo che “pesa” nella relazione politica che, come tutte le relazioni politiche, è relazione di potere. Qual è allora il “potere” di questa minoranza attiva?

Dovemmo forse pensare che c’è un gruppo ultraminoritario in grado di etero-dirigere la più grande potenza mondiale attraverso un sofisticato dispositivo egemonico culturale? O finanziario-culturale? Un gruppo che in parte è indigeno, in parte straniero? C’è dunque uno stato straniero che non è Putin e la Russia, in grado di etero-dirigere non solo l’esito di una elezione democratica ma lo stesso comportamento del governo? Come dovremmo giudicare queste presunte enormità e come dovremmo giudicare il silenzio e l’ostracismo violento che accompagnano questa “mucca nel corridoio occidentale”? Sassoni, angli, latini, ebrei, arabi, russi, cinesi, indiani, c’è una geo-etnia alla base della geopolitica? Onestà intellettuale obbliga alle domande, anche a quelle scomode.

[John J. Mearsheimer, è oggi il più influente rappresentante della scuola neorealista in International Relations in USA. Diciamo che è -non linearmente-, per peso e standing, l’erede di H. Kissinger. Solo a quei livelli puoi sperare di uscire (quasi) indenne dal trattamento critico di questo problema]

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AGISCI COME PENSI, PENSI COME PARLI. Nel mentre il mondo, nel Novecento, subiva la più vasta, potente e profonda trasformazione delle sue forme interne, la cultura alta occidentale si è dedicata per lo più a studiare il linguaggio. Era il 1916 quando uscì il Corso di linguistica generale di De Saussure ma dall’ermeneutica, all’indoeuropeistica da cui nasce la moderna linguistica, dallo strutturalismo alla decostruzione, alle nuove scienze cognitive, vasto e ramificato è stato il movimento di indagine che si è accorto dell’importanza della parola, del linguaggio, della lingua e dei suoi rapporti con la mente, le persone, le storie. A mio avviso si trattò di una gigantesca rimozione -ovvero di un fallimento cognitivo- il fatto che a fronte di cataclismi senza pari (tipo 80 milioni di morti per due guerre, il nazismo in Germania, la rivoluzione in Russia, la bomba atomica etc.), ci si dedicò con cotanto unanime impegno ad un tema così laterale. Comunque le vie della conoscenza hanno geografia complessa e quindi, anche se per sfuggire all’ansia di una presa di coscienza che si voleva evitare (e si continua a voler evitare), è stato comunque bene scoprire quanto la forma dello strumento espressivo condizioni lo strumento cognitivo aspettando di scoprire altrettanto meglio quanto lo strumento cognitivo influenzi l’agire umano.

Ne consegue questo articolino in cui il britannico (l’antico “partner in crime” della guerra dei Cent’anni da cui nasce il concetto moderno di Stato e poi nazione) si sente minacciato dall’idea francese di far valere nel tempo la massa critica dei parlanti francesi per addirittura scalare l’egemonia linguistica mondiale, che poi essendo tanto i britannici che i francesi un po’ in ritardo col mondo, sarebbe da intendersi come “parte” di un mondo, essendo anche forte, più forte invero, il cinese. Certo l’inglese e parzialmente il francese sono diffusi come lingua franca mentre i numeri del cinese vengono dalla massa cinese ma poiché la Cina ha i suoi programmi di espansione egemonica, staremo a vedere.

Rilevo a latere che una lingua neo-latina o neo-romanza, se esistente e diffusa al pari delle sub-lingue componenti, sarebbe oggi la lingua maggioritaria, con presenza in tutto i continente americano (inclusi gli Stati Uniti), l’Europa latino-mediterranea, l’Africa e qualcosa pure in Asia, oltreché in vario modo nella “cristianità”. Che questa lingua sia il francese, con diverso areale e peso decisamente inferiore, è idea di Macron che parla a nome dell’élite francese che non si vuole arrendere al relativismo del mondo complesso, ma queste idee c’è chi ce l’ha e chi no. Noi -ad esempio- no.

Infine, inviterei coloro che si sono persi appresso la mito dell’One World (globalisti, internazionalisti ed i materialisti storici in genere) a tornare a casa perché -guarda un po’- all’uscio della Storia, si è ripresentata Babele e la sua antica metafora, con tutti lo strascico di entità quali etnie, popoli, nazioni, identità, tradizioni, culture, sistemi di pensiero e relativo conflitto per l’egemonia e la prevalenza di questo o di quello. Conflitto che si agisce per massa, cioè che si vince (si domina o si evita di esser dominati) in base al peso materiale ed immateriale del soggetto o dei soggetti che promuovono il proprio desiderio di potenza. Desiderio di potenza che -ahinoi-, esiste di default quando ci si trova uno tra tanti, ovvero nello stato di natura, anche solo per difendersi da quello altrui. (QUI)

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AUTOCOSCIENZA MEDITERRANEA. Si è aperta ieri la terza edizione del Forum Rome Med 2017 – Mediterranean Dialogues, promosso dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale e dall’ISPI, dal simpatico titolo: “Oltre il –tumulto, agitazione, trambusto- Un’agenda positiva”(Beyond turmoil. A positive agenda). Ci son l’UE e vari Stati europei, la Lega araba, l’Organizzazione per la cooperazione islamica, il Libano, l’Iraq, l’Iran, la Turchia, l’Egitto, la Libia, la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, il Qatar, l’Arabia saudita, il Kuwait, l’Oman, il Niger, Lavrov (Russia) e la Cina ma anche l’India, aziende italiane (ENI-Leonardo) ed estere, università e think tank americani, varie testate internazionali, l’ONU, la NATO, qualcuno che parla di sport anche a nome della Siria e dei palestinesi. Spicca l’assenza di una delegazione ufficiale americana e delle sue istituzioni globaliste IMF, WB, nonché della Gran Bretagna (lo scorso anno c’erano Johnson e Kerry), ed Israele.

EY (Ernst & Young), ha di recente pubblicato la seconda edizione del suo BAROMED – Analisi di prospettive e opportunità di investimento, crescita e sviluppo per quello che ormai si considera un sistema connesso, ovvero Mediterraneo, Middle East e Gulf region. http://www.ey.com/…/ey-baromed-20…/$FILE/ey-baromed-2017.pdf

Si intersecano quindi linee economiche e finanziarie, con quelle politiche e geopolitiche, con quelle culturali e religiose, demografiche, ambientali, guerra e pace, cooperazione e competizione, insomma “tumulto, agitazione, trambusto” in quel grande spazio che è opportunità e problema al contempo. Per passare dal disordine all’ordine, ci sarebbe bisogno di un soggetto ordinante in quanto il conflitto degli interessi tra gli invitati ed i non invitati al forum, non può autorganizzarsi in ordine ma solo produrre disordine. La condizione economica, finanziaria, culturale, migratoria, demografica, il futuro del nostro Paese che per tre quarti è immerso nel sistema Mediterraneo, dipende dalla soluzione d’ordine di questo “turmoil”. Ma non può essere il nostro Paese a rappresentare questo soggetto ordinante per evidenti ragioni di insufficiente potenza.

Ci vorrebbe quindi un nuovo potente soggetto politico nel Mediterraneo ma metà dei potenziali interessati pensa non si necessario e si possa andare avanti così facendo “affari”, mentre l’altra metà segue altri mondi, europeisti, globalisti, internazionalisti, neo-nazionalisti. Quindi rimarremo nell’al di qua del turmoil ovvero nel casino. Il fatto Mediterraneo è ancora alla ricerca della sua interpretazione. http://www.ispionline.it/…/med2017_programme_30.11_ore_16.0…

CRONACHE N. 614 (Novembre 2017)

SI POTREBBE TUTTI ANDARE A BRUXELLES A GOVERNARE, “VENGO ANCH’IO … NO TU NO!”. Corsera e non solo, si stanno accorgendo che l’UE è una diarchia franco-tedesca. Ne fanno una questione di quote rosa, dove noi siamo penalizzati per ragioni di debolezza, di lingua, di razzismo, di mancanza di furbizia o programmazione. E’ necessario dare questa interpretazione perché -per quanto amara-, è rimediabile. La faccenda invece non è rimediabile perché l’UE e l’euro che ne consegue, sono uno strategico trattato di pace a due, perché è tra i due che c’è sempre rischio di guerra come sostenuto nella prima parte del mio recente studio [https://pierluigifagan.wordpress.com/…/il-che-fare-di-carl…/] .

Si noti il pezzetto in cui si racconta come esistano una ventina di funzionari tedeschi stabili a Parigi ed altrettanti a Berlino. Qui non c’entra Bruxelles. Questa diarchia ha un senso strategico non è lì perché è solvibile con un po’ di p.r.. Se l’UE e l’euro sono una trattato di pace a due che tenta di governare il grande spazio sub-continentale, non è piagnucolando che si risolve il problema, perché ad ogni “Vengo anch’io?” seguirà sempre e solo il fatidico “no, tu no!”. Ma perché? Perché no! L’UE e l’euro hanno un apriori, più tardi lo capiamo più male ci facciamo. (QUI)

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ATOM EARTH MOTHER. Il titolo del noto disco dei Pink Floyd “Atom Heart Mother” (1970), nasceva dalla notizia di una signora dotata di pacemaker atomico che stava gestendo una gravidanza. Con la voglia di stupire dei tempi, al momento di decidere la copertina, si optò per una spiazzante mucca frisona. Più tardi Nick Mason, disse che giocando sull’assonanza Heart – Earth, si voleva creare un senso alone che dalla madre umana, arrivava alla Madre Terra.

Noi e la Terra come qualsiasi cosa dell’Universo siamo fatti di atomi ma dal 1945, noi siamo anche in grado di manipolare gli atomi per fare bombe che potenzialmente potrebbero distruggere tutto ciò che Madre Terra ha creato, noi inclusi. L’arma atomica è stata per poco tempo quel principio di differenza (io ce l’ho, tu no) che permette ad uno di dominare tutti gli altri. Poiché il principio di differenza traina quello di eguaglianza, piano-piano, anche altri si sono dotati dell’arma nucleare. Ora, Kim Jong un, aiutato chissà da chi e perché (già discutemmo le varie ipotesi ma non si può venirne a capo), porta a nove i detentori della differenza. A questo punto si formano tre nuovi giochi.

Il primo è quello per il quale l’atomica, essendo un’arma dissuasiva e non offensiva, dota il possessore di una sorta di intangibilità che nello stato di natura hobbesiano, è un potere. Potere che si suole usare anche per offrire ad altri la protezione detta “ombrello nucleare”, potere che genera potere quindi.

Il secondo è quello per il quale tutti coloro che non ce l’hanno si procurano mezzi di difesa, in genere sistemi missilistici i cui due più efficienti oggi sono quelli USA e quelli russi (che poi sono anche i primi detentori dell’arma).

Il terzo deriva dal secondo e dal primo. Se volete smarcavi dalla minorità che vi obbliga a sottostare all’ombrello di Tizio o ai missili forniti da Caio che chissà poi quanto sono davvero una assicurazione sulla vita, ve ne fate una vostra. Certo c’è da segnalare anche l’innesco della classica corsa a gli armamenti per cui le bombe traino missili non intercettabili (ora siamo ai missili ipersonici a testate multiple rilasciate a pioggia) e quindi lo sviluppo di sistemi che intercettano l’intercettabile, ma questo potrebbe anche essere solo un gioco parallelo.

Il corso principale della faccenda è stato invece accennato da un signore americano che ho visto qualche giorno fa in un documentario su Kim e la Corea del Nord sulla 7, in un programma che assieme alla questione, faceva pubblicità a gli F35. Il signore veniva presentato come esperto sulla Corea del Nord ma senza appartenere al giro di tutti gli altri che comparivano nel documentario, analisti di think tank o della CIA. Mentre questi secondi era palese facessero parte del gioco delle parole che accompagnano i fatti per sortire un qualche effetto, il signore in questione sembrava seguire freddamente più i fatti che la guerra delle parole. Il signore con uno sbieco sorriso e fissando l’intervistatore con molta calma, accennava che con la loro rete commerciale mondiale, i coreani sono già in grado (tradotto, lo hanno già fatto) di dislocare le loro atomiche ovunque. Si parla di affari di 60-70 cm2 (ma anche poco più grandi, stante che più sono grandi più sono potenti) che tutti i già otto detentori dell’arma hanno sviluppato e probabilmente già recapitato a casa dei potenziali nemici. Su i giornali, quella atomica è detta “testata” il che fa pensare necessario un missile ma se la mettete in uno scatolone e la inviate su un container che passa nei confini porosi dei porti globalizzati e da lì con un camioncino la portate in uno scantinato, sempre atomica rimane.

Ne consegue che mentre si sbuffa e si litiga sulla legittimità di che può averla, mentre si sviluppano missili che portano e missili che abbattono quelli che la portano, mentre si fanno i giochi geopolitici d’area e di egemonia, è molto più probabile che al fondo, molti altri cercheranno di averla per partecipare a questo gioco di reciprocità dissuasiva.

Il mondo multipolare sarà multi atomico, non c’è dubbio.

E’ questa una notizia buona o cattiva? Dipende dai punti di vista e dalla predicibilità -invero assai scarsa- di quanto il cuore atomico aiuterà a sostenere lo sviluppo della vita o la morte, di quei strani esseri prodotti dalla Terra che nel frattempo stano discutendo se Dio è padre, stante che sicuramente Terra è madre e che “Mater semper certa est, pater numquam” . Figli che prima o poi, speriamo più prima che poi, diventeranno adulti. Speriamo …

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LA COLPEVOLE MINORITA’ DELLA SERVITU’ VOLONTARIA. Cos’è l’Illuminismo? si chiedeva a Kant. “… l’uscita dell’uomo dalla minorità (della subordinazione intellettiva) di cui lui stesso è colpevole, colpevole perché mancante di decisione e coraggio nell’ usare il proprio intelletto”. Ora, di questi tempi oscuri, uno non è che pretende che si manifestino giornalisti indipendenti, ma almeno copia-incollisti in grado di digitare una chiave di ricerca su Google ed usando il traduttore on line, farsi un’idea di cose che magari non si conoscono bene.

Mi sono fatto una spazzolata di articoli sulla crisi tedesca. Secondo la stampa italiana (dal Foglio al manifesto!) si tratta di: 1) problema dei migranti (legge dei ricongiungimenti); 2) nucleare (dissidio interno alla ipotetica colazione tra Verdi e liberali); 3) narcisismo di Lindner (capo del FDP); 4) vendetta ed antipatia personale nei confronti della Merkel; 5) teatrino dovuto all’incumbent AfD che con il germanismo duro e puro, polarizza anche liberali e CSU (ed in parte CDU) che pescano nello stesso bacino elettorale di classe media disagiata. Non una singola parola di un singolo articolo sul problema della gestione politica che il/la cancelliere/a tedesco/a deve fare dell’Unione europea (Brexit, Visegrad+Austria, Stati Uniti/Trump, paesi mediterranei, nuovi regionalismi et varia) e dell’euro (Unione bancaria, debiti, Ministro della Finanze, piano Macron-Merkel). La Germania va in crisi dopo quasi due mesi di segrete trattative perché litigano su una leggina su migranti ed il giovane e rampante Lindner vuole rottamare la “vecchia culona”. Bene.

Poi digiti su Google la chiave “Lindner europa” e tra i primi risultati hai questo articolo del Die Zeit, tre giorni dopo le ultime elezioni, il cui titolo recita “Macron. Quest’uomo aveva un piano per l’Europa. Poi venne Christian Lindner”. Tre paginette nette e chiare sul punto: FDP non accetterà mai di dare mandato di manica “larga” (per i tedeschi è larga, per noi è stretta come il tallone di ferro dell’occupazione nazista, relativity at glance) nella gestione dei dossier UE e soprattutto euro, dando un po’ di respiro a Macron che per altro dovrà far gocciolare lacrime e sangue ai poco propensi francesi che come diceva il buon P. Conte, tendono un po’ all’inca..atura facile e non solo per Bartali.

Europa? Euro? Non c’è alcun problema, l’unico problema è che i tedeschi stanno diventando italiani. Decisione e coraggio? Proprio intelletto? Naaaaa, pizza e fichi per tutti e nel paese dei ciechi, beato chi c’ha un occhio. Miope.

[Premio malafede dell’anno al mal polarizzato Fubini che ieri ha massacrato la Merkel dandole tutte le colpe sul Corsera parlando del nulla ripieno di niente quando era uno dei tre autori dell’articolo uscito in Germania. Un grande!)

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GEOPOLITICA DELL’EURO. Mitteleuropa, teoria dello spazio vitale (Lebensraum), teoria del grande spazio (Grossraum), teoria dell’impero, la Germania è un potenza che tende -come qualsiasi altra potenza- ad espandersi. Ogni potenza tende ad espandersi per due motivi: perché deve alimentare il suo benessere interno controllando un esterno; perché vuole interporre quanto più spazio è possibile tra il suo cuore e la sua periferia (quindi tende ad allargare progressivamente la sua periferia).

Francia e Gran Bretagna sul modello impostato ad inizio della modernità da portoghesi, olandesi e spagnoli, si espansero off shore, come poi faranno anche gli USA. Inizialmente però, gli Stati Uniti, al pari di Russia e Giappone (verso la Cina e la Corea), si espansero on land. Questo è quello che tende a fare anche la Cina con la BRI. La dottrina Monroe (1823) ed il corollario Roosevelt (1904) teorizzavano questo diritto di espansione in tutto il continente americano ed i due oceani antistanti, quando terminò questa prima fase, iniziò quella off shore, la fase mondialista inaugurata da prima guerra mondiale/Società delle Nazioni.

La Germania non pensò mai di espandersi off shore perché arrivò tardi alla corsa coloniale (abbiamo “una” Germania solo dal 1871) e perché non ha naturale prospezione al mare. A differenza però di Usa, Russia, Cina, non ha veri territori circostanti facili da annettere al controllo se non verso est che infatti è la direzione standard del suo conato espansivo. Oltre all’est,non potendo andare a nord o a sud, l’unica altra direzione che gli è possibile è ad ovest, verso la Francia.

L’euro è l’assicurazione sulla vita della Francia con cui i francesi hanno bloccato i tedeschi in una alleanza valutaria il cui costo è scaricato su chiunque altro non sia Francia o Germania. La Francia ha spinto la Germania a nutrirsi cercando espansione da qualsiasi altra parte che non sia l’ovest. L’euro è un trattato di alleanza e di pace franco-tedesco (sull’asse inverso al Molotov-Ribbentrop) che consente alla Germania l’espansione anche a sud che in geografia, non gli è naturale.

Per smontare l’euro, la cui essenza è geopolitica prima che economica, occorre agire sulla Francia, non sulla Germania.

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LA QUESTIONE ITALIANA. Il pensatore politico che volesse darsi in oggetto l’Italia, non potrebbe che rilevare l’esistenza di una “questione italiana”, una diagnosi problematica e specifica del Paese latino-mediterraneo. L’Italia che ospitava al suo interno una “questione meridionale” è diventata essa stessa una “questione meridionale”, al che si potrebbe dire che non avendolo risolto, è stata trascinata tutta intera nell’area delle questioni problematiche dallo stesso problema irrisolto.

L’origine di quel problema che diede da pensare da Massari a Villari, da Jacini a Sonnino, da Croce e Nitti, da Salvemini a Gramsci, da Sylos Labini a Putnam, è stata dai più rilevata nelle complesse vicende storiche che affondano radici nella lunga durata storica che risale alla Magna Grecia e per certi versi alla bio-geografia, fino al ruolo fratturante dello Stato Pontificio. L’Italia è l’unico Stato al mondo che ha al suo interno un altro Stato che oggi non ha più poteri temporali ma mantiene forte influenza spirituale, il che gli dà comunque poteri temporali indiretti.

Più di recente, nel Novecento, al pari della Germania, all’Italia si applicò lo scorporo della causa fascista (in Germania, nazista) ovvero non si permise una travagliata riflessione del perché e del cosa era successo nel Ventennio, ma si segnò in tutta fretta un confine nel tempo prima del quale si confinò il cosa era successo, dedicandosi così al più avvincente problema del cosa si poteva far succedere. Lo scorporo storico, già di suo mosso dalla pulsione di rimozione, venne avvallato dagli americani che avevano bisogno di annettersi Italia e Germania nel nuovo segmento del conflitto che ora opponeva americani e sovietici, liberali e comunisti, occidentali ed euro-orientali.

Che la sovranità italiana sia tutt’oggi limitata dalla doppia tutela vaticana ed americana si vede dal necessario pellegrinaggio che ogni leader politico rappresentante una forza politica che ipoteticamente potrebbe ambire ad una posizione di governo, deve compiere per “rassicurare” i tutor sul fatto che non metterà in discussione la loro tutorship. Le mosche cieche del politicismo italico, individui che non si sognano minimamente di affrontare seriamente le questioni di fondo e speculano sulla superficie degli avvenimenti hanno ad esempio gioco facile oggi a notare Di Maio in pellegrinaggio a Washington ma basterebbe scorrere le notizie del giorno per trovare lo studio dell’Atlantic Council che ammonisce sulle infiltrazioni russe nel M5S e nella Lega, per capire che certe cose sono un po’ più complesse di come appaiono . Aldo Moro ci rimise la pelle per aver pensato possibile il tentare un divincolo da quella tutorship, non certo per entrare nel Patto di Varsavia ma almeno porsi in una via di mezzo più indipendente, e non fu né il primo, né l’ultimo a pagare con la vita il conato indipendentista. Se hai una questione complessa da risolvere e non hai l’autonomia decisionale, certo che non potrai mai neanche provare a risolverla.

L’elenco dei punti che compongono la questione italiana a livello di diagnosi è lungo. Si va dalla fotografia OCSE allegata alla questione della natalità e della demografia, dalla questione ambientale a quella della legalità particolarmente grave dal momento che già debole di suo, la sovranità italiana non si applica interamente ad almeno ad un terzo della sua popolazione. Chiaramente, questa fotografia già molto problematica, peggiora inserendo questa accozzaglia di precarietà che si tengono assieme a stento dentro un sistema forte come quello dell’UE e dell’euro.

Questa oggi è la questione italiana. Il pensatore politico che non c’è e senza il quale non c’è ovviamente alcuna possibilità sorga una risposta politica, partitica o di movimento, tanto quanto culturale, dovrebbe partire da qui. Ma visto che tanto certo non ti danno una cattedra o uno stipendio per trattare questo terrificate elenco di problemi cercando almeno nel pensiero di trovare una quadra, e visto che neanche più ti incarcerano dandoti un tetto e del cibo di modo tu possa passare le tue giornate a riflettere e scrivere su i tuoi quaderni utili almeno a quelli che verranno dopo, nessuno si candida all’immane compito. Meglio scrivere un articolo contro Di Maio o promuovere una nuova lista elettorale che magari di manda in parlamento risolvendo così almeno il problema personale della tua vecchiaia. Magari puoi farti eleggere sull’onda dello sdegno contro quelli che vanno in Parlamento solo per risolvere il problema della loro vecchiaia …

Rimanendo impensata, la questione italiana seguirà la sua lenta ma inesorabile degenerazione progressiva. “… siam pronti alla morte …” ? Par proprio di “sì!”.

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IL MONDO MULTI-POLANYI. K.Polanyi, per chi non lo conoscesse, è forse l’unica vera alternativa teorica all’economicismo, la convinzione cioè che il gioco principale tanto all’interno delle società quanto nel complesso del pianeta-mondo, è quello economico. Va detto che l’economicismo è comune tanto alla visione liberale che a quella marxista, le quali si disputano due diversi modi di intendere l’organizzazione interna dell’economico.

Polanyi, sostenne (nel 1944) che la caratteristica saliente delle società occidentali moderne era una gerarchia atipica tra l’ordine economico e tutti gli altri. L’atipicità che Polanyi rilevava, in quanto al contempo sociologo-economista (e storico dell’economia)-antropologo-filosofo, era che mai nello spazio e nel tempo complessivo delle forme di vita umana associata, l’economia risultava il primo ordinatore, ovunque e sempre, risultava uno degli ordini che componevano la società e la sua logica rispondeva all’insieme di disposizioni che tessevano i regolamenti sociali. La notazione sulla formazione dell’ungherese è interessante. Polanyi infatti, in quanto economista parlava di economia con la dovuta competenza ma in quanto anche sociologo non dissociava all’origine l’una dall’altra ed era quindi in grado di leggere quanto dell’una e quanto dell’altra. L’una e l’altra non le conosceva fotografate nel qui ed ora ma nel registro storico, quindi con una vasto catalogo di diversi casi. In più come antropologo, era in grado di leggere sia il fenomeno sociologico, sia quello economico, non solo nel caso occidentale moderno ma nella prospettiva del tempo lungo nello spazio grande andando alla base della natura dei rapporti umani-sociali. Infine, in quanto anche filosofo, era in grado di maneggiare concetti che sono poi l’unica cosa che ci permette di ridurre la complessità delle entità che sistematizziamo nel pensiero che è sempre una riduzione della realtà. Fu quindi tra i pochi in grado, di discutere l’intero che secondo Hegel è l’unica forma di vero.

La visita di Trump a Xi Jinping viene raccontata in molti modi. Tra questi potrebbe essere interessante adottare quello secondo il quale Trump invidia a Xi Jinping il sistema per il quale il politico, per certi versi, gestisce l’economico e non il contrario. La Cina, rispetto ad esempio alla globalizzazione, è aperta e chiusa a seconda dei casi specifici di cui si compone il vago termine “globalizzazione”. E’ finanziariamente del tutto aperta in entrata ma non in uscita, la stretta su i finanziamenti esteri privati originati dal capitalismo cinese dice che lo sarà sempre meno, anche ai livelli micro dell’esportazione di capitali del semplice turismo individuale. E’ produttivamente semi-aperta alle delocalizzazioni produttive dal momento che il più delle volte, è il caso delle infrastrutture della BRI o dell’edilizia in Africa, esporta anche il personale di lavoro. E’ altresì semi-aperta a gli investimenti esteri produttivi poiché impone società fifty-fifty con rilascio di know how al socio locale. E’ di nuovo aperta alla piena esportazione ma in fondo semi-aperta all’importazione di merci poiché oppone una serie di barriere non formali ma sostanziali. Non ha problemi di migrazioni in entrata in quanto nessuno si sogna di migrare in Cina e per altro sarebbe poco probabile vi riesca se non come tecnico altamente specializzato in qualcosa. Così e con molti altri particolari di gestione dei flussi in-out, sottomette l’economico al politico.

In fondo, è quello che vorrebbe fare Trump con l’America e gli inglesi con la Brexit che è poi quello che fanno anche russi e per molti versi anche gli indiani. Il mondo multipolare, sembra voglia andare verso una revisione dei rapporti, dall’economico che domina il politico ed ogni altro aspetto della vita associata, all’inverso.

Premetto che l’obiezione secondo la quale, a quel punto, l’economico funziona peggio che non in regime di totale anarco-libertà non tiene conto del -secondo quale punto di vista si definisce “funziona”-. Dal punto di vista astratto dell’economico certo che funziona un po’ peggio, dal punto di vista socio-politico certo che funziona un po’ meglio. E’ insensato discutere l’inversione della funzione ordinativa tra economico e politico e non invertire anche l’ordinatore del giudizio. Altresì è del tutto infondata la credenza del fatto che se funziona bene l’economico funziona bene anche il politico ed il sociale. Funziona bene e meglio per alcuni (in genere una minoranza a volte molto esigua) ed a tratti. La questione è complessa, improprio discuterla per grandi generalizzazioni se non per fare propaganda ideologica.

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PRAGMATISMO. Gli americani siamo soliti giudicarli male per molti aspetti derivanti dalla loro posizione di potere sul mondo, quindi anche su di noi. Ma -ovviamente- questo sentimento non può ignorare il fatto che alla base di questo potere, oltre a cause contingenti, casualità, utilizzo spregiudicato della forza, deve pur esserci una qualche forma mentale che li ha spinti a comportamenti in qualche modo efficaci ed efficienti.

La loro immagine di mondo, intesa in senso propriamente antropo-filosofico, si distingue per l’unica vera forma di filosofia che ha lì avuto origine. Questa forma è il pragmatismo o pragmaticismo ma andremmo lunghi a fare un post su questo. In realtà volevamo tornare su una cosa già detta e più volte, a suo tempo.

Nel mezzo del casino militar-geopolitico aizzato da Trump e Kim Jong-un in quel dell’Oriente, nel mentre si dislocano i sistemi THAAD in Sud Corea e si sdogana il riarmo giapponese, Trump ci tiene a ricordare che non va bene ci siano barriere (non formali ma sostanziali) all’importazione di auto americane. Nella vantata precedente strategia americana, il Pivot to Asia, non si forzavano i fatti militari ma si costruiva un’area di libero scambio formalizzata in un trattato, il TPP. Trump -invece- mentre forza i fatti militari, annulla il TPP ma a ciò non fa conseguire la stupida idea presentata da certi commentatori sprovveduti di una impossibile chiusura commerciale degli USA (da cui lo sprezzante giudizio “Trump è pazzo” invece di quello più idoneo del “il commentatore è scemo”), bensì si mette pragmaticamente a discutere tutte le specifiche bilance commerciali con i singoli paesi che stavano nel teorico TPP.

Le aree di libero scambio erano strategia a grana grossa: tu sei mio amico geopolitico ed io ti do non solo accesso al mio mercato ma chiudo anche un occhio sulla reciprocità. Trump promuove strategie a grana fine: tu sei mio amico perché ti conviene usufruire del mio ombrello militare (oltretutto dopo che sto facendo di tutto per creare una atmosfera di paranoia dalle tue parti) ma guarda che amico significa anche che se io ti do libero accesso al mio mercato (e non è detto) tu mi devi dare altrettanto libero accesso al tuo, altrimenti come dicono a Roma “amico-amico, amico ar ca..o”.

Secondo James è nel vocabolario della pratica e dell’azione, piuttosto che della teoria e della contemplazione, che si può dire qualcosa di utile sulla verità, questo è il pragmatismo. I concetti non sono veri in astratto ma per le conseguenze pratiche che portano quando applicati alla realtà concreta (la più antica formulazione di questa idea -sembrerà strano- è la Seconda tesi su Feuerbach di Marx). Le pratiche economiche non sono vere perché così le pensano i teorici ma perché a fine anno, la fatidica “bottom line” del bilancio segna in nero e non in rosso.

“La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teoretica, ma pratica. È nella prassi che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non – realtà di un pensiero isolato dalla prassi è una questione puramente scolastica.” K.Marx, IIa Tesi su Feuerbach, 1845-1888 (QUI)

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TUTTI I CRETESI MENTONO. Conosciuto come paradosso di Epimenide, egli stesso cretese che con questa dichiarazione creava un rimbalzo di auto confutazioni irrisolvibile.

Mi sono già occupato del libro di questo signore, già recensito con entusiasmo dal Sole24 Ore (e uscirà in Italia solo l’anno prossimo!). Il tema è quello del crollo di credibilità degli “esperti” con successiva esondazione di fake news, complottismi, mancanza di rispetto per il sapere, verità fatte in casa ed altri esecrabili fenomeni. Il tema, al succo, sarebbe quello nientemeno dell’episteme e della doxa, problema che risale a Platone ed Aristotele. Se ne potrebbe poi anche sviluppare una versione da sociologia della conoscenza con ricadute sulla scuola, l’educazione, il dialogo pubblico, i media ed infine la democrazia. Il punto è che questo libro, un libro che affronta un tema il cui expertise specifico dovrebbe trovarsi nella conoscenza filosofica o sociologica o comunque molto “alta” tanto quanto “vasta”, è stato scritto da un tizio che insegna al Collegio navale di guerra di Harvard, al CSIS ed al Carnegie roba di armi, strategie di guerra e conflitto, geopolitica e relazioni internazionali imperiali. Ha inoltre capeggiato il movimento “repubblicani per Hillary, alle ultime elezioni. Il tipo, ha fatto bei soldi vincendo ripetutamente ad un grande quiz televisivo tipo “Rischiatutto”, un tipico caso di bassa cultura generale, cioè a-specialistica.

Quindi, l’esperto che dovrebbe sgridarci sul fatto che non crediamo più a gli esperti è esperto di tutto tranne che del tema che tratta. Ma Epimenide 2 “Il ritorno dell’aporia” ha deciso di fare le cose in grande e quindi non si limita a contraddire se stesso sul piano dell’enunciato ma anche su quello performativo. Già perché si capisce che il nostro, in fondo, si occupa anche di gestione e controllo della pubblica opinione al fine di legare popolo ed élite americana al diritto alla guerra, ruolo dell’arma atomica, guerra preventiva, guerre civili a cui aggiunge una ulteriore golosa specializzazione in sovietologia. Egli stesso è quindi causa del suo male ma invece che piangere se stesso, viene a dirci che siamo degli ignoranti presuntuosi ed impenitenti e con lui, verranno tutti coloro che lo citeranno come testimone di questa piaga che porta inevitabilmente al populismo o alla tecnocrazia dove lui -è evidente- si presenta come tecnocrate, quindi soluzione al dilagare dell’opinione falsa.

II tizio è un sintomo, il male è la sottostante incapacità di accettare la realtà e la realtà è che quasi tutte le narrazioni dominanti hanno fallito al seguito delle élite che hanno continuato a somministrare strategie fallimentari per le società occidentali. Epimenide 3 “La vendetta”, si candida a manifesto di coloro la cui colpa è non aver rispettato le antiche verità delfiche del “conosci te stesso” e del “so di non sapere”. La mosca continua a sbattere la testa contro le pareti di vetro della sua prigione ed allora che fa? sbatte la testa ancora più forte! Continuate a farvi (e farci) del male … (QUI)

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CONTRADDIZIONI? Ecco che le agenzie governative americane sostengono unanimi che il cambiamento climatico ha origini antropiche e il Rapporto viene approvato alla pubblicazione della Casa Bianca che però sembra … ? cosa sembra? Sembra dire il contrario o sembra non tenerne conto?

In effetti, Trump non sembra si sia mai veramente impegnato a sostenere il contrario opponendo chessò studi contrari ben piantati . Addirittura Tillerson, nella sua precedente funzione di Amministratore delegato della Exxon-Mobil aveva pienamente accettato questa evidenza che pare abbastanza innegabile (sebbene su facebook capiti ancora di incontrare qualche sprovveduto che posta Zichichi o Rubbia per sostenere il contrario). Al di là di qualche modesto tentativo negazionista, poco convinto e francamente inutile, il punto sembra un altro. Il punto è che stante l’evidenza del fatto, i responsabili di governo USA, non hanno alcuna intenzione di conseguirne un comportamento. C’è il cambiamento climatico, c’è la responsabilità umana come causa o come peggiorativo ed acceleratore ma c’è l’interesse nazionale e questo non solo va in direzione contraria ma ha precedenza. Non si tratta quindi di una contraddizione ma di una cosciente riformulazione delle priorità. Questo atteggiamento, ha il merito di render chiara la questione. Gli USA hanno un loro egoismo nazionale per cui non si sentono parte di una umanità ma aristocrazia del mondo. Riproducono in grande l’assetto su cui è fatta la loro società che è matrice di quasi tutte le altre società che vi ruotano concettualmente intorno: privatizzazione dei vantaggi per i Pochi e socializzazione degli svantaggi con i Molti. Questa è propriamente l’essenza di ciò che chiamiamo “democrazia liberale” o “democrazia di mercato” ovvero la subordinazione del politico (democrazia) al mercato (economia), l’econocrazia occidentale, modello forgiato dagli inglesi in quel del 1688-9.

I sistemi sono complessi ma proprio per questo hanno bisogno di un ordinatore che mette in fila le priorità di funzionamento altrimenti caotico. Il punto che semplifica molte delle nostre chiacchiere sul funzionamento delle nostre società è tutto qua: o le facciamo ordinare dall’economico o dal politico. Tertium non datur. Infatti, è per questo che si chiama “Principio di non contraddizione”. Non ci sono contraddizioni, ci sono solo priorità. Tocca solo decidere quale comanda su quali. La contraddizione è solo quella che sussiste tra ciò che facciamo realmente e ciò che ci raccontiamo di star facendo. (QUI)

            CRONACHE N. 613 (ottobre 2017)

A NEW ERA. L’annuncia Xi Jinping per la Cina, l’annuncia l’erede al trono MbS per l’Arabia Saudita e di contorno, ci mette il riconoscimento della cittadinanza a Sophia. Chi è Sophia? un robot umanoide. L’AS ha circa 30 milioni di abitanti di cui il 33% cioè circa 10 milioni, stranieri. Di questi, dopo 10 anni e senza alcuna garanzia di esito positivo, solo i musulmani possono richiedere la cittadinanza.

Annosa è la questione sulla condizione semi-schiavile in cui versano molti migranti, soprattutto asiatici, parliamo di percosse e varie violenze, abusi, maltrattamenti, sequestro del passaporto per non farli scappare, arresti ingiustificati, condanne non appellabili, addirittura esecuzioni. Di recente, si è arrivati a vere e proprie tensioni diplomatiche con Pakistan, India ed Indonesia sulla questione. Ma Sophia ha qualcosa in più. Il riconoscimento di personalità giuridica ad un info-elettro-meccanismo permette a chi produce questi aggeggi, di avere in AS una nuova land of opportunities.

Mentre in Occidente si discute come atteggiarsi con queste innovazioni, l’AS mette a disposizione un’intera nazione con una giurisprudenza a dir poco opaca (chissà se i giurisperiti troveranno qualcosa nella sharia del Corano per giustificare questa fuga in avanti del giovanotto saudita), una non legge che però prevede per decreto reale, il riconoscimento di molti diritti probabilmente amministrativi, più che civili. Potrete produrre i vostri umanoidi e mandarli in giro per strada e vedere l’effetto che fa, come si comportano, dove sbagliano, se ammazzano qualcuno o se danno di matto, insomma la necessaria sperimentazione che qui da noi sarebbe impedita e molto costosa.

Un classico richiamo per una de-localizzazione offerente un diritto ospitale e di manica larga. Magari, se funziona, avrete già almeno 10 milioni di pezzi da piazzare, non male per una start up, no? Nuovi investimenti, ricerca e produzione, per la nuova era saudita. Interessante il filmato linkato, e come ad un certo punto dice Bair “in un mondo che cambia, tutto e tutti debbono cambiare”. Si notano anche giovani saudite kajal e capelli al vento, davvero una new era! Enjoy!

> La notizia su Sophia: https://www.dezeen.com/…/saudi-arabia-first-country-grant-…/

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NEUROBIOLOGIA DELLA THATCHER. “La società non esiste. Esistono uomini, donne e famiglie”, questo il celebre detto della Thatcher. Questa estate ho letto un libro molto interessante sulla neurobiologia delle emozioni, Jak Panksepp, scienziato a lungo ostracizzato dall’élite delle comunità scientifica del suo campo di studi perché le emozioni sono “fatti fuori teoria” laddove la teoria è un di cui della più generale meta-teoria basata sull’uomo maschio, bianco, non animale (mammifero), conscio e razionale.

Ma come abbiamo visto nel caso del Nobel per l’economia, il fronte sempre più allargato delle ricerca scientifica sulla mente, magari solo ai fini di dotare l’economia (e da qui la politica e i pianificatori dell’egemonia culturale) di nuove armi di condizionamento, ne sta scoprendo di tutti colori.

Una, ad esempio, è questa notizia che è poi passata come scoperta dei neuroni della gelosia. Ma non esistono neuroni delle gelosia, questa è una semplificazione per chi non sa come funzionano le cose della mente. La gelosia testata negli esprimenti è un processo che parte dalla corteccia cingolata anteriore per arrivare al senso di unione della coppia che è nel setto laterale. Nella corteccia, ci sono i neuroni che si attivano a livello inconscio, un sistema d’allarme generale che provoca uno stato di dolore angoscioso, che è spesso legato al senso di esclusione sociale, solo dopo si precisa nel senso di coppia. Poiché quella regione cerebrale è di chiara origine mammifera pre-umana, va da sé che si è evolutivamente fissata in ragione del senso sociale che connota la maggior parte degli animali della nostra classe di appartenenza.

Non è un caso che la più antica e diffusa punizione che la collettività imponeva al reprobo individuale, fosse l’ostracismo. La stessa prigione che passa per un ingabbiamento del criminale per non fargli commettere altri reati è un ostracismo, una dolorosa privazione del senso sociale, tant’è che tanti programmi di recupero o di detenzione ri-formativa, cercano di portare la società nelle prigioni (teatro, dibattiti, da ultimo addirittura ristoranti gestiti dagli imprigionati) perché il reprobo non diventi un a-sociale definitivo, cosa che lo fisserebbe nel suo comportamento lesivo delle convenzioni sociali. Ma certo, non c’era bisogno della prova scientifica per capire che la Thatcher aveva detto una emerita stupidaggine, allora perché parlarne?

Per due motivi. Il primo è quante stupidaggini sono incluse in un certo modo di vedere il mondo della cultura dominante occidentale che è a sua volta dominata da quella di origine anglosassone che ha i suoi meriti ma anche i suoi demeriti, tra cui una spiccata sociopatia di origine barbara? Le società gerarchiche, razziste, classiste, quanta sofferenza psichica producono generando continuamente esclusione sociale? Il che può confluire in una unica domanda: come si cambia una società di modo non tanto da creare benessere che è già un punto di alta ambizione ma più basicamente, di modo da almeno non creare inutile sofferenza psichica intra-umana? O qualcuno pensa che sia utile e nel caso, a cosa?

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AGGREGARSI, DISGREGARSI. La geografia politica europea si sta muovendo. Questo è un fenomeno assai raro poiché le formazioni geo-storiche hanno una dinamica piuttosto contenuta, diciamo di tipo geologico, per cui quando iniziano a muoversi è in genere difficile si arrestino e se continueranno a muoversi, vorrà dire che vivremo eventi importanti, epocali. Il sistema oggetto di terremoto è lo Stato-nazione oggetto di una doppia trazione. Da una parte esso tende a superarsi verso il macro, nel processo conosciuto come globalizzazione/Unione europea/euro. Dall’altra sembra tendere ad un movimento opposto ma complementare, il regionalismo più o meno autonomista o indipendentista.

Dovremmo -credo- cercare di leggere questi movimenti come dinamiche impersonali. Ci sono certo soggetti, élite, interessi, organizzazioni formali ed informali che agiscono in favore dell’un movimento o dell’altro ma questi non si sono inventati le ragioni delle dinamiche sottostanti, semplicemente le sfruttano. Esattamente un secolo fa, si facevano 23 milioni di morti e molti più feriti per affermare la potenza delle nazioni, certo a nessuno sarebbe venuto in mente di puntare alla loro aggregazione o disgregazione.

Il movimento verso l’aggregazione macro ben lo conosciamo, trainato da due forze, l’una animata dalla spinta mercantile e finanziaria, l’altra animata dalla competizione tra pesi massimi che si disputano le condizioni di possibilità sul tavolo da gioco planetario. Il movimento verso la disintegrazione micro segue per reazione. Regioni oggi, domani forse città, rivendicano autonomia amministrativa visto il fallimento della funzione centrale, fallimento aggravato dal movimento all’aggregazione macro ma non del tutto riducibile a questo.

In Italia, ad esempio, se non si ripropone la questione meridionale, se cioè non ci si ripropone di portare avanti l’incompiuta omogeneizzazione relativa dei territori componenti lo Stato, va da sé che si troverà sempre qualcuno pronto a cavalcare il sentimento di reazione allo stato di oggettiva disunione tra parti del tutto disomogenee tra loro. In tempi di ristrettezze delle condizioni di possibilità, ciò che non serve e consuma energie senza ragione, viene accantonato e poi superato. Se non funziona più il collante dell’unione, c’è separazione e poi divorzio.

Abbiamo quindi tre livelli: macro di tipo sub-continentale o comunque post nazionale, meso di tipo storico Stato-nazionale, micro di tipo regionale o addirittura cittadino per le metropoli. Questo il triangolo in cui dovrà muoversi l’ingegneria politica. L’ingegneria politica dovrà misurarsi con questi tre livelli ma soprattutto con le istanze sottostanti: mercati generali sempre più grandi del perimetro nazionale, agenda di problematiche da mondo complesso che chiamano attori massivi o molto piccoli, agili e specializzati; identità nazionali storiche geografiche costruite da processi che in Europa sono però reversibili, potere amministrativo a contatto con i territori (gente e problematiche ravvicinate del vivere associato). La prima e la terza forza, tendono a squartare la seconda che più che una forza sta diventando una debolezza.

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STERMINIO. I meno giovani ricorderanno, se hanno mai affrontato in macchina la Roma-Milano, il parabrezza dell’auto diventato un cimitero di insetti spiaccicati che si faceva fatica a pulire nella fermate alle aree di servizio. Bene, ora ci siamo tolti anche questo impiccio. Pare infatti che siamo riusciti a sterminare ben due terzi delle specie volanti. Infatti, il mio gatto che non ha più da cacciare come i suoi avi, è diventato obeso. Ma più che altro, fra un po’, non avremo più chi ci impollina i fiori il che è ottimo per chi vende semi come la Monsanto. Meno bene forse per l’equilibro ecologico che è una catena di interdipendenze funzionali in cui, se cede una parte -prima o poi- cede tutto. “Primavera silenziosa” era il titolo di un libro del 1962 scritto da Rachel Carson che inaugurò la nascita del pensiero ecologico, alla base assieme ad altri della moderna cultura della complessità. Il libro fu l’inizio della battaglia sul DDT che sterminando gli insetti, sterminava gli uccellini che nella catena alimentare vengono subito dopo. Vabbe’ gli insetti ci fanno anche un po’ schifo e gli uccellini cinguettanti li possiamo sostituire con le registrazioni come fanno nei parchi di Seul. Vedremo come andrà con la seconda parte della ricerca, quella con gli insetti non volanti, inizio di catena alimentare che arriva fino a noi. Ma che problema c’è? come ho sentito dire ieri sera in un film americano “la civiltà inizia dalla scienza”. E finisce dal come la si utilizza. (QUI)

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VILTA’ E PIGRIZIA. Capita nella vita di dover prendere posizione in questioni magari non poste direttamente da noi stessi ma da altri. In genere, ci si trova con grossomodo due posizioni quelli che la pensano A capitanati da A1 e quelli che la pensano B, capitanti da B1. Si rimane un po’ in dubbio poi si sceglie o A o B spalleggiati da Aristotele che ti ricorda che “tertium non datur”. Ma può capitare che, talvolta, nonostante si continui ad oscillare tra A e B non si sia propriamente convinti né di A, né di B.

E’ lì che sarebbe il caso di pensare a C. Ma non c’è nessuno in C, saresti da solo. Ecco, allora quello è il momento di insistere, pensare a C al punto da diventare tu C1. Quello significa “mettersi in proprio” o come rispondeva Kant alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?”: “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza.”. Vale per C o per D o per E etc.,insomma seguire il proprio interesse e le proprie convinzioni significa defezionare da qualche gruppo precostituito e pensarne uno proprio.

Il cappellotto ci serve per introdurre due notizie. La prima è questo ragionamento ( https://it.businessinsider.com/go-west-se-fallisse-laccord…/ ) che scopre che una UK senza accordi specifici con la UE per la Brexit, potrebbe aderire al NAFTA, una circolazione di ricchezza pari al 30% del Pil mondiale (per gran parte fatta da americani che sono di cultura socio-storica anglosassoni come te), contro un 22% di UE, non male, no? La seconda è questa ( http://www.repubblica.it/…/ue_tusk_detta_l_agenda_avanti_…/… ) che dice che visto che quelli di Visegrad (ora probabilmente da V4 a V5 cioè con l’Austria) storcono il naso su questo o su quello, gli euroccidentali a guida franco-tedesca faranno l’Europa a più velocità dove la loro velocità sarà la più veloce in termini di integrazione. In Italia, molti sbavano per essere “accettati” in questo gruppo di “testa” e sarebbero disposti a far da servi pur di rimanere al calduccio della casa padronale.

A, ovvero stare con gli anglosassoni? B, stare con i franco-tedesch? C, stare addirittura con gli “europei per caso” dell’est anche se poi per molte cose potresti finir con lo stare con A visto l’influenza che gli USA hanno su i polacchi ed i baltici? D, starsene per conto proprio da soli con una ostile e minacciosa unione franco-tedesca a Nord, quella anglosassone ad Ovest, gli “amici di Putin” ad Est e gli islamici a Sud e la Cina che ruota attorno a tutti? Quanta autonomia avresti da solo, ci hai pensato concretamente? Che fare?

Cosa potrebbe significare in questo quadro “mettersi in proprio”? D’istinto diresti -stare da soli- ma potresti sopravvivere da solo in questo contesto? Se non vuoi stare con gli altri così formati e non puoi stare da solo, allora è il momento che tu t’inventi un nuovo gruppo, un gruppo in cui tu possa non essere il servitore di qualcuno più grande, grosso e forte di te. Ma questo imporrebbe di servirti della tua propria intelligenza e questo è rischioso, non è da tutti. Non ti va? Va bene, allora spremiti le meningi e pensa bene a quale corte andare a fare da servitore volontario perché quello è il massimo che potrai fare nel futuro: prendere ordini ed obbedire.

>> La pubblicazione delle CRONACHE, sì è interrotta ad ottobre, la riprendiamo oggi 10 marco 2018, aggiornandone i contenuti con una selezione dei post pubblicati sulla mia pagina facebook. <<

CRONACA N. 612

LA CITTA’ PROIBITA. Agostino, scrisse La città di Dio, distinguendola dalla città degli uomini. Perfetta ed eterna l’una, imperfetta e transeunte l’altra. “Città”, stava per società.

Nel filmato allegato (qui), si è ricostruita una struttura della Città proibita di Beijing, che è rimasta intatta per secoli nonostante abbia subito più di 200 terremoti e poi la si è sottoposta ad un terremoto simulato di magnitudo 10. La struttura ha ovviamente barcollato paurosamente ma è rimasta intatta, perché?

1) Ciò che sostiene la struttura è poggiato ma non fissato per terra. Questa è la nozione di relazione, c’è vicinanza ma non ancoraggio.
2) La struttura è fatta di materiali duri ma flessibili come il legno. Questa è la nozione per la quale la materia deve accompagnare la forma.
3) Il peso strutturale è distribuito su molti punti, così, la perturbazione strutturale viene distribuita (ripartita) e la sua forza è divisa in molti effetti minori. Questa è la nozione di equità.
4) La forma della pagoda crea un contrappeso al movimento. Il tetto è incredibilmente pesante, così quando tutto si nuove, il tetto ondeggia in senso contrario, compensando. Questa è a nozione di equilibrio.
5) Il “dougong” è lo snodo che demoltiplica la forza che sale dalle colonne, prima di arrivare al tetto. Questa è la nozione di struttura intermedia (intermediante i rapporti interni).

Ne conseguono gli effetti di resilienza, equilibrio dinamico, adattamento alle perturbazioni del cambiamento. Il tutto è stato previsto intenzionalmente, visto prima che accadesse. Non è frutto di inconsapevole auto-organizzazione.

All’ingegnere (forse americano) che commenta alla fine l’esperimento, il tutto sembra incredibile perché pensato e fatto secoli e secoli fa. In realtà, è proprio la presenza di saperi nati in altri contesti e poi estesi indebitamente per analogia a creare la cecità adattiva per la quale molti pensano che per resistere a gli scossoni occorre essere duri e compatti. Magari va bene essere duri e compatti in altri casi, non nel caso di terremoti. E’ l’assenza di questa estensione analogica ad aver permesso a gli antichi di imparare, per prove ed errori, ad accompagnare il movimento pur restando stabili, senza confondere stabile con fisso.

La città degli uomini ideale, la società resiliente ma non resistente con ostinazione al cambiamento, è la società che ha relazione ma non dipendenza, che è fatta di parti e relazioni stabili ma flessibili, equa e distribuita, in equilibrio dinamico, con snodi che producono feedback negativi demoltiplicanti le perturbazioni.

Questa società ideale è proibita. Da chi? Da tutti coloro che vogliono scaricare il disagio adattivo su gli altri, da tutti coloro che non accettano la loro parte di oscillazione per rimanere tutti intatti, da coloro che pensano egoisticamente ad assicurarsi il proprio angolo di tranquillità, che non accettano il disagio da eguaglianza, da tutti coloro che ragionano per parti e non per sistemi, da tutti coloro che non considerano i contesti e l’esperienza storica.

Per questo certe società umane hanno avuto una loro parabola gloriosa ma poi sono crollate nel collasso di complessità, sempre. Nessuna élite, nessun dio, nessuna verità eterna ci salverà dal cambiamento. L’unica cosa che ci può salvare è un contratto sociale equo, flessibile, dinamico ma ordinato, intelligente ed adattativo. O quel contratto lo scrivono i Molti che sono le parti del Tutto o la pagoda malfatta crollerà al prossimo scossone. Come è sempre crollata, nei secoli dei secoli.

CRONACA N. 611

DA DOVE VENIAMO? Chi segue il mio diario di ricerca (il blog) sa che da tempo indago su una contro-storia delle origini. Non lo faccio per amore di storie fantastiche ma perché su questo argomento si incontrano alcuni tic tipici del nostro modo di ragionare e condividere ragionamenti. Inoltre, capendo come e perché siamo finiti ad ammassarci gli uni con gli altri nelle proto-città e poi proto-Stati, potremmo forse capire meglio cosa succede oggi che -di nuovo-, siamo sull’onda di un incremento demografico potente che ha lavorato negli ultimi cinquanta e più anni.

I due libri segnalati da New Scientist, uno dei due in particolare, mettono assieme gli ultimi tasselli antropo-archeologici raccolti negli scavi degli ultimi decenni. E’ questo il tipico caso alla Khun di collezione di anomalie, la cui somma ad un certo punto, porta alla sovversione del paradigma di ricerca e spiegazione dominante in precedenza, messo prima in crisi e poi falsificato dalla collezione di anomalie. Da anni s’è scoperto che l’agricoltura è più antica di almeno 8000 anni del ritenuto, aveva solo una piccola funzione complementare ad una dieta ben variata, alcune popolazioni si erano stanzializzate ben prima del ritenuto ed avevano sviluppato specializzazioni e quindi società complesse. Complesse ma non statali, centralizzate e gerarchiche e soprattutto non fondate dalle mani invisibili dell’innovazione tecnica e produttiva e dai modi di produzione, una convinzione che ha a lungo unito mentalità liberali e marxiste in un modello proto-storico-materialistico, che proiettava nell’universale il particolare della Rivoluzione industriale. Come già noto, gli scheletri degli stanziali agricoli che poi daranno presto vita a gli Stati e le società centralizzate, mostrano carenze nutritive di vario tipo, malattie, alta mortalità. Insomma “ti guadagnerai da mangiare col sudore della fronte” ed il paradiso precedente in cui bastava allungare la mano per nutrirsi (idealizzazione o come l’ha definita Baumann in altro contesto -retropia-) era perduto. Se non costretti da qualcosa, nessuno avrebbe scelto quel tipo di vita. Quindi “costretti” da cosa?

Si tratterebbe, come sempre, di un complesso di fattori e non della fatidica e sempre erronea causa unica. Una relativa abbondanza figlia di ottimali condizioni ecologiche aveva fatto aumentare le popolazioni prima del 6-4000 a.C., un successivo e repentino peggioramento, nonché un certo disordine delle ecologie dovuto all’arrivo delle onde disordinanti della de-claciazione, spinsero alcuni a valle, in Mesopotamia e lì l’agricoltura sostituì la dieta variata, attivando tutti i successivi processi tra cui la conflittuale relazione tra i nuovi stanziali massificati e coloro che erano rimasti in libertà (i barbari da cui poi discendono i liberali, ovvero le tribù germano scandinave da cui discendono gli anglo-sassoni).

La Storia, almeno questo tratto, è quindi da leggere come dinamiche di adattamento ai contesti che di loro natura cambiano decisivamente ed apparentemente a strappi.

Così oggi che i contesti son cambiati repentinamente e in maniera davvero decisiva (aumento della popolazione planetaria di quasi quattro volte in un secolo!), ci ritroviamo di nuovo con un grave problema adattivo. Trema il concetto di Stato, l’economia va fuori registro, si paventano guerre, migrazioni di massa, disordine ambientale, nessuno sembra avere una bussola funzionante. Questo è ciò che intendo con l’espressione “problematico adattamento all’Era Complessa”. Buona lettura.

Qui

CRONACA N. 610

COSA HA IN TESTA TRUMP? Un gatto morto diranno alcuni, un decadimento neuronale diranno altri. Ma, più seriamente, è ormai argomento planetario capire cosa guida la sua strategia sempre che abbia una strategia orientata da qualcosa.

Quando dovetti fare l’analisi di Trump nei pochi giorni dalla sua inaspettata elezione poiché il mio libro doveva andare in tipografia, mi parve di scorgere due obiettivi. Il primo è pieno di punti su vari aspetti della sostanza e della posizione americana e ve lo risparmio. Il secondo è più semplice e prosaico ma essenziale da tenere in considerazione. Trump ha stretto un patto elettorale con un elettorato atipico fatto da una certa parte dei repubblicani ma fatto anche da molti ex non elettori, il suo quindi è un contratto diretto che riformatta la platea elettorale, c’è lui e ci sono loro che gli danno potere e legittimità. Grandi media, rock star ed attori, l’inner circle dentro la beltway di Washington, financo l’èlite e probabilmente i grandi numeri dell’elettorato repubblicano, non sono nel contratto.

Non è proprio Sansone contro tutti, l’industria petrolifera che gli ha piazzato Tillerson accanto, quella pistola e fucili, l’industria militare, forse una parte del capitalismo sia produttivo che finanziario, gli ruota attorno ma il contratto funziona se e solo se rimane salda la delega elettorale tra lui ed il suo atipico elettorato.

Seguo le sue cose costantemente occupandomi di politica internazionale, fino ad oggi, ho notato una coerenza ferrea in ciò che ha fatto e soprattutto detto e l’ho notata perché ho davanti quelle persone che lo hanno eletto, tanto “più o meno tutti” rimangono sbigottiti dentro e fuori l’America, tanto più vuol dire che lui sta onorando il suo contratto perché in effetti tra il suo elettorato ed il “mondo normale”, c’è un fossato.

La sua presidenza ha obiettivi ambiziosi (lo dico tecnicamente, senza alcun trasporto o simpatia personale) ed ha bisogno di tempo ovvero di otto anni ma in mezzo ci saranno le elezioni. Anche sul piano personale, la psiche del personaggio non reggerebbe una bocciatura clamorosa a metà mandato. Questa prima fase dunque, cercherà di onorare il contratto più in maniera formale che sostanziale per potersi presentare alla rielezione con la credibilità intatta, a chiedere il secondo mandato. E’ esattamente ciò che s’intende di solito per “populismo”, un rapporto diretto tra leader unico e popolo molteplice, un rapporto che si rinforza viepiù se sembra scavare ancor di più quel fossato tra “loro” e tutti gli altri.

La sistematica distruzione di ogni precedente accordo o atto sottoscritto da Obama, cosa che a noi potrà sembrare formale e un po’ semplicistica (e lo è), fa parte della promessa e della sua credibilità nell’onorare la delega di potere, l’unica che gli permette di sedere su quella poltrona. Non credo quindi che Trump voglia dichiarare guerra all’Iran, credo voglia anche solo spostare una virgola dell’accordo originario per poter dire “Ecco, si poteva fare di più, l’ho promesso e l’ho fatto”. Certo poi ci sono convenienze verso Israele ed i sauditi che rimasti delusi si stanno volgendo al nuovo asse russo-cinese ma sono più aspetti di forma che di sostanza tant’è che avendolo capito, i sauditi che hanno problemi concreti e non sono totalmente scemi, hanno ormai deciso di rivolgersi a chi vuole parlare con loro non con chi fa finta. Anche il rifiuto del negoziato fa parte della sceneggiata, soprattutto il rifiuto europeo, sanguisughe opportuniste o almeno così ci leggono i suoi elettori. Se sarà impedito a rinegoziare potrà dire “datemi più potere”. Sarà poco originale come analisi ma in effetti i paralleli con Berlusconi sono molti.

Trump è sotto assedio, per questo ha probabilmente convenuto con Bannon che era meglio farsi da parte, ma la strategia rimane quella sebbene mitigata forse con alcuni realistiche concessioni verso l’altra parte dell’elettorato repubblicano. Si ricordi infatti che Trump ha vinto solo perché Clinton ha perso, il voto popolare parla chiaro. Ma si ricordi anche che siamo neanche ad un anno dei quattro del primo mandato. Azzardo una previsione: se Trump non cade prima, mi immagino che Bannon lancerà un “partito del Presidente” poco prima della scadenza. Il problema infatti risiede nel Congresso e molti sono gli atti con cui Trump sta spingendo il Congresso a rendersi indigeribile al suo elettorato.

CRONACA N. 609

LA STORIA CI GIUDICHERA’ (MALE).

Oggi parliamo di orario di lavoro.

 ‘800 – si stava sulle 16 ore
 1899 – si “strappano” le 12 ore
 Primi ‘900 – si scende alle 10 ore
 1919 – si raggiunge l’accordo internazionale che sancisce la nascita dell’ International Labour Organization (ILO-ONU), con il traguardo delle 48 ore settimanali, sei giorni a settimana, otto ore al giorno.
 ’60-’70 – in pieno boom industriale, si riesce a strappar la progressiva riduzione di 8 ore settimanali, quindi 40 settimanali per cinque giorni la settimana, sempre ad otto ore/giorno.

A questo punto occorre tener conto di due cose. La prima è il già avvenuto costante aumento della produttività che, dopo cinquanta anni dall’ultima riduzione, porta a produrre sempre più cose nella stessa unità di tempo. Il che porta a ad altre tre constatazioni: 1) siamo sempre più pieni di cose, per lo più inutili; 2) materia ed energie cominciano a scarseggiare ed attivano guerre per l’appropriazione degli stock; 3) pisciamo in cucina ovvero inquiniamo con gli scarti terre ed acque.Forse dovremmo produrre meno oltreché meglio?

La seconda è la prospettiva ravvicinata, la minaccia di un drastico taglio di ore lavoro umano in favore del lavoro info-meccanico. L’articolo linkato parla dell’ennesimo studio (presentato ad una assise dell’IMF – qui), questa volta McKinsey, secondo i quali già oggi sarebbe teoricamente possibile tagliare addirittura la metà del monte ore – lavoro in USA, sostituendolo con quello della macchine. Lo studio segnala la dinamica cumulativa a progressione geometrica che connota il progresso tecno-scientifico nell’applicazione del lavoro delle info-macchine. Quindi se oggi siamo al 50%, tempo chessò cinque anni, potremmo essere a molto di più.

A questo punto si apre il dibattito sul -che fare-? Alcuni propongono la tassa su i robot ma i più del fronte capital-imprenditoriale stanno invece convergendo verso un astruso ragionamento confezionato dai soliti economisti di corte, che s’inventano un complesso ed inattuabile meccanismo di redistribuzione degli utili parallelamente alle solite scuole per la riqualificazione a fare non si capisce bene cosa. Quello che però sorprende non sono queste non soluzioni pensate da chi vuole sempre spendere il meno possibile altrimenti il profitto, ovvero guadagnare il miliardo in più etc. etc. .

Quello che sorprende è la vociante congrega di coloro che a parole dovrebbero fare gli interessi dei Molti, dei poveri, dei disagiati, dei “proletari” cognitivi o meno etc. Questa nutrita schiera di primi della classe, ti dicono che l’unica soluzione è uscire dal capitalismo, costruire uno Stato keynesiano di piena occupazione che stampa denaro e lo sotterra nelle miniere pagando poi coloro che debbono dissotterrarlo, quelli del lavoro socialmente utile, della riqualificazione ecologica e altre varianti che hanno introiettato l’astruso principio perverso che non si può vivere senza lavoro. Certe gente ha studiato e ci tiene a fartelo sapere.

Non si capisce perché coloro che subiscono il sistema dovrebbero anche pensare al come salvarlo invece che pensare ai propri casi, dove il proprio caso è semplicemente lavorare il meno possibile ottenendo il più possibile, facendo lavorare tutti o quasi altrimenti si è ricattati dai disoccupati costretti oggi ad accettare un anno di stage gratuito per poi essere sostituiti da quelli che aspettano di fare un anno di stage gratuito sostituti da quelli dopo e così via. L’economia della speranza disattesa.

Non so se la Storia ha un suo fine immanente ma so che ha un significato ed il significato di questa breve storia è la riduzione costante dell’orario di lavoro. Quindi azzererei le chiacchiere e mi trincererei dietro un semplice obiettivo: ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Non si può? E chi l’ha detto? Gli stessi che profetavano il crollo della società, della civiltà e del benessere delle nazioni nell’800? Falsificati dalla storia. I sottomessi debbono urlare la loro irrazionale (?) pretesa, alle soluzioni penseranno quelli che hanno studiato.

Ma so già che i soloni delle cose complesse (o più che altro di cose “complicate”, se capissero qualcosa di cose complesse ragionerebbero diversamente) seguiranno altre strade. Che si muovano tutte le variabili possibili del sistema lavoro, al variare dei tempi, ma le otto ore rimangano fisse, per carità! Intanto i disoccupati aumentano, le ineguaglianze aumentano, la sfascio sociale aumenta, i populisti aumentano, i salari diminuiscono. Però, vuoi mettere la soddisfazione di scrivere un articolo che ottiene 45 Llike o magari anche scrivere un libricino col tuo nome stampato sopra? La Storia che poi saranno i nostri figli ed i nostri nipoti sputerà sulla nostra idiozia, altro che like.

  • La riduzione dell’orario di lavoro nella piattaforma IG Metal (qui)

CRONACA N. 608

PIVOT to GULF. Che succede in Arabia Saudita? Allora, abbiamo visto che:

1) Trump inizia il suo primo viaggio estero a Riyad, fa la danza delle spade, si fa fotografare tipo Spectre imponendo le mani sul globo;

2) i sauditi fanno cosa assai irrituale cambiando la linea di successione al trono. Irrituale cambiarla, irritualissima cambiarla in favore del figlio del re e non di un nipote com’è tradizione, figlio che è trentenne ed ha davanti a se forse cinquanta anni di regno (inedito assoluto). Il ragazzo ha un piano che si chiama Vision 2030 e vuole trasformare radicalmente la società (e quindi la politica) del suo Paese anche perché pare che altrimenti, la SA diventerà un failed-State;

3) i sauditi bannano il Qatar. Veniamo oggi a sapere da spifferi kuwaitiani (chissà se veri) che addirittura s’è sforato l’intervento militare. Allora forse avevano ragione coloro che indicavano il North Field – South Pars (il più grande giacimento di gas naturale del mondo), essere il bocconcino prelibato. Nel Qatar c’è la più grande base USA in Medio Oriente ed il Qatar sdogana l’amicizia con l’Iran mentre consolida quella con la Turchia. Trump approva entusiasta via twitter il ban ma qualcuno a Washington gli fa notare che geopoliticamente è una bella cappellata. Forse aveva dato il suo assenso senza saper bene di cosa stava parlando?;

4) i cinesi annunciano il varo del petro-yuan che può essere convertito in oro sulla piazza di Shanghai ed assieme a russi, portano avanti idee e fatti per creare un sistema di pagamenti parallelo a quello occidentale;

5) Tillerson vola in zona a mediare. Veloce l’accordo con Doha poi va a Riyad il quale però risponde che non se ne parla nemmeno, perderebbe la faccia-. Tillerson successivamente dice che c’è un tavolo di colloquio anche con la Corea del Nord ma Trump twitta che sta perdendo tempo. Girano voci di dimissioni e voci che riferiscono che Rex avrebbe dato pubblicamente dell’imbecille a Trump il quale fa sapere di esser pronto a sottomettersi al test per il QI sicuro di poter dimostrare di essere più smart di Rex. Intanto la priorità di Trump rimane il Pivot to Golf (battuta…);

6) nel frattempo, pare ci siano incontri tra israeliani e sauditi, tra israeliani e russi, accordi anche valutari (per scambio valute sottostanti scambi commerciali) tra turchi ed iraniani, i curdi fanno un inutile referendum di cui si disinteressano tutti;

7) i russi accettano il passaggio del 15% circa di Rosneft dalle mani del Qatar -bisognoso di liquidità-, ai cinesi;

8) inaspettatamente, il vecchio Salman vola a Mosca con cento imprenditori per una cinque giorni di incontri, contatti, contratti. Ne vien fuori una “nuova amicizia” condita da vendita di missili e promessa di aprire una fabbrica di kalashnikov in Saudia e molto altro;

9) mentre Mattis dice che l’accordo con l’Iran va mantenuto (ed incredibilmente anche gli europei oltre ovviamente russi e cinesi co-firmatari dell’accordo), Trump annuncia di volerlo rivedere;

10) Trump sdogana la vendita del sistema THAAD ai sauditi e si aspetta il via libera finale del Congresso, si muove male ma per fortuna anche in ritardo;

11) RT fa uscire una news in cui i russi si direbbero pronti ad istituire un tavolo di colloqui tra sauditi ed iraniani per trovare un “modus vivendi”. Chissà, non è che RT scriva le cose a vanvera, almeno dal punto di vista di Mosca;

12) i sauditi erano andati in Cina a Marzo firmando 14 accordi commerciali principali e 35 minori per 65 miliardi di dollari con Xi “the Pooh” Jinping;

13) i sauditi hanno da collocare il 5% di Aramco ed i cinesi si dicono pronti a “suggerire” ai sauditi di accettare yuan per petrolio (la Cina è oggi il primo cliente petrolifero del pianeta).

Quello che “sembra” a noi esterni alle complesse cose tramate lì dove non arrivano i nostri occhi ed orecchie è che:

1) I sauditi sanno che tra tenta anni finiscono il greggio e vanno in paranoia. Varano il Vision 2030 che a questo punto va preso sul serio, lui ed il giovane Muhammad bin Salman che è capo della nuova generazione ma anche l’unico che ha “un piano” per dare un futuro al precario regno di sabbia. L’inversione della successione, evidentemente gode della maggioranza nell’affollata famiglia reale. Il piano richiede fondi ed investimenti esteri, trasferimento di tecnologia, modernizzazione del Paese sul modello emirati. Finalmente le donne potranno guidare e si parla addirittura di aprire cinema e teatri. Recentemente, si contano attentati interni all’AS, condotti non si sa da chi e per quale motivo ma si sospetta che dietro ci sia la assai rabbiosa élite wahhabita che va a perdere potere e centralità.L’ex successore al trono, ora in vacanza blindata a casa sua, era stato insignito della massima onorificenza della CIA da Mike Pompeo appena nominato da Trump, cavallo perso.

2) Gli USA si presentano belli freschi a dire che loro sono amici veri (non come Obama) ma dopo molte chiacchiere, nei fatti, non esce un soldo, un impegno concreto, nulla. I sauditi muovono il ban al Qatar e sono pronti pure ad iniziare lo scontro con l’Iran ma verificano nei fatti che le chiacchiere stanno a zero, a Washington regna il casino sovrano e nei fatti, il nuovo sceriffo in città è russo mentre il nuovo paperone del mondo è cinese. I sauditi ne prendono atto, gli USA non sono affidabili, non rimane che la Vision di Muhammad-McKinsey.

3) I cinesi hanno un piano preciso, un Pivot to Gulf. E’ essenziale pacificare la regione, sottrarre all’influenza USA il Golfo e l’intero sistema del petro-dollaro, includere tutti nella BRI.

Vediamo come finisce ma se non si comprende che gli americani possono oggi offrire solo disordine e vendita di proprie armi mentre i cinesi offrono investimenti e piani di cosviluppo, credo si capisca poco di quello che succede e continuerà a succedere. Quando l’uomo del caos con la pistola incontra l’uomo del cosviluppo coi dindi, l’uomo del caos … va a giocare a golf.

  •  I cinesi hanno vasti piani sulle rinnovabili (qui)
  • Anche le monarchie del Golfo, si buttano nel business (qui)
  • L’AS pare voglia volgere l’Ipo sul 5% di Aramco in cessione diretta, indovinate a chi? (qui)

CRONACA N. 607

FATTI E NARRAZIONI. Nel cap. V del suo “Lo Stato innovatore”, M. Mazzuccato (insegna Economia dell’innovazione in Inghilterra ed è nel board degli economisti che consiglia J. Corbyn), analizza la componente “pubblica” nel successo del case history più celebrato in termini di geniale intraprendenza dell’imprenditore individuale affamato ed un po’ matto (stay hungry, stay foolish). Attraverso una puntigliosa ricostruzione, ne viene fuori che queste componenti, rilevano tutte, una partecipazione diretta o indiretta e comunque decisiva di contributi provenienti da qualche intervento pubblico:

 Memorie di disco rigido
 Rotella cliccabile (iPod)
 Schermo multitouch
 Gps
 Batterie litio-ione
 Compressione del segnale
 Schermo a cristalli liquidi
 Micro disco rigido
 Microprocessore
 Web / Http/Html /Internet
 Siri (assistente digitale in ambiente iOS)

Gli attori pubblici coinvolti sono per lo più di ambito militare (Esercito, Marina, Aeronautica, Dip. Difesa), energetico (Dip. dell’energia) e la mitica DARPA, vero snodo tecno-scientifico-finanziario. La faccenda riguarda tutta l’innovazione recente dal digitale, all’AI, dalle nanotecnologie elle biotecnologie. In particolare, il “sistema” prevede: sviluppo ricerca di base, commissioni pubbliche al sistema universitario (finanziamento ricerche), incentivi e detassazioni a spin off che si trasformano in start up (da “centro ricerche” a laboratori privati, poi aziende, i venture capital arrivano solo dopo), acquisto ingente di primi prodotti (primo acquirente-iniziale rientro dall’investimento) coordinamento e trasferimento di conoscenze.

Quest’ultimo aspetto è cruciale ed è credo proprio il cuore della missione DARPA. In sostanza, c’è gente che a) ha competenze scientifiche; b) ha competenze tecniche; c) è al corrente dei vari piani di ricerca disseminati in molte strutture per lo più pubbliche ma anche private; d) fertilizza incrociando gli uni con gli altri; e) consiglia il pubblico cosa e dove investire; f) raccorda con l’industria per lo più militare. Questo sistema è stato finanziato indefessamente da Reagan a Bush sr, da Clinton a Bush jr, ad Obama. Questo è lo “snodo” visibile che poi ci viene raccontato come magica capacità autorganizzativa del mercato ovvero della mano invisibile.

DARPA nasce ai tempi dello shock dello Sputnik, quando gli americani vennero presi in contropiede dai sovietici e dal loro razzo che portava in orbita satelliti e cagnette, sotto D. Eisenhower. Lo stesso (che in origine era un Generale) che si congederà dal popolo americano col famoso discorso radio in cui, tra l’altro, disse: “Solo una popolazione in allerta e informata può costringere ad una corretta interazione la gigantesca macchina industriale e militare della difesa con i nostri metodi ed obiettivi di pace, in maniera tale che sicurezza e libertà possano prosperare insieme”. La faccenda è nota per aver definito il concetto di complesso militar-industriale.

Tutto ciò a dire: poiché la retorica del libero mercato animato dallo spirito animale dell’imprenditore individuale affamato ed un po’ matto che bisogna lasciare “libero” di portare avanti la schumpeteriana (Schumpeter guidò una piccola banca privata fino a portarla al fallimento nel 1924) distruzione creatrice è una favola, perché opponiamo alle favole la razionalità della critica ideale invece di studiare meglio la realtà e dire: ma de che cappero stai parlando? Discutere le favola con contro favole ci mantiene su un piano che anche criticandole le legittimano e di contro, ci fanno pensare “buone” contro favole che rimangono favole e non vanno -nel concreto- da nessuna parte. Penso che una economia politica all’altezza dell’Era complessa, dovrebbe tenerne conto e più in generale, consigliarci di tenere a freno la nostra passione idealistica mentre gli altri ci danno in pasto ossi spolpati su cui ringhiamo, tenendosi la ciccia nel loro piatto.

Conoscere DARPA: https://www.darpa.mil/

CRONACA N. 606

Intervista rilasciata a L. Centini della rivista Oltre la Linea, (qui).

Lo studio sulla “Filosofia di Putin” del 2015, pubblicato su The Saker italia (qui)

CRONACA N. 605

NOBEL DELL’INCORAGGIAMENTO. E’ stato notato che, a volte, il Nobel viene attribuito più come incentivo che come riconoscimento. Sulla legittimità di questa iniziativa da parte dell’Accademia delle scienze svedese, non entriamo (e per altro il premio è dato dalla Banca di Svezia e non dall’Accademia, cioè non rientra nelle disposizioni del lascito di Nobel). Notiamo che anche il premio odierno all’economista Richard Thaler, rientra probabilmente nella categoria. Incoraggiare cosa?

Nel lontano 1978, il Nobel venne attribuiti ad Herbert Simon con competenze larghe in psicologia cognitiva, informatica, economia, teoria del management e filosofia della scienza, con attenzione al concetto di complessità. Simon apportò solide dimostrazioni al concetto di “razionalità limitata”, concetto che tendeva ad indebolire i presupposti dell’immaginario homo oeconomicus, su cui si basa l’economia neo-classica mainstream detta anche con termine rivelatore “ortodossa” (o meglio, sono tutte le altre da Marx a Keynes-Sraffa, dagli austriaci a gli istituzionalisti, bioeconomisti ed evoluzionisti ad esser definiti “eterodossi”). Un anno dopo esce Prospect theory: Decision Making Under Risk, a cura di Kahneman e Tversky con abbandonati contributi di psicologia cognitiva, poi quest’ultimo muore e nel 2002 il Nobel va assegnato a Kahneman. Si tratta di nuovo di fastidiosa sabbia gettata nei perfetti meccanismi della razionalità olimpica alla base ad esempio della Teoria dei giochi (von Neumann e Morgensten, per quanto poi Morgensten che dei due era l’economista, si dichiarò critico verso l’utilizzo un po’ troppo estremista del lavoro originale). Nel frattempo, all’economia comportamentale si affianca la finanza comportamentale ed è il suo massimo esponente Robert Shiller a ricevere il Nobel, nel 2013. Così si arriva a Thaler.

In pratica è tutta roba ampiamente nota a psicologici, sociologi, antropologi, filosofi, persone di buonsenso ma non a gli economisti. Spesso, al di là delle verbose formalizzazioni che ne danno gli economisti, qualsiasi esperto operativo di marketing ha a che fare con questo mondo tendenzialmente impredicibile, rischioso, incerto, risparmiatore di ragionamenti attraverso vari tipi di euristiche, che è il comportamento umano. L’intera industria pubblicitaria non sarebbe mai esistita se fossero veri gli assunti dell’homo oeconomicus ma tanto gli economisti di corte non hanno mai visto un’azienda o un mercato vero per cui come i teologi coi preti di strada, ognuno canta la sua canzone tanto i pubblici sono differenti. Se si occupassero di scienza, ovvero di cose prive di autoconsapevolezza, sarebbe diverso ma siccome si occupano di teologia, vanno avanti imperterriti fornendo pezze d’appoggio all’ideologia dominante che li remunera con cattedre, consulenze, pubblicazioni ed altri privilegi sacerdotali.

Incentivo ed incoraggiamento quindi a cosa? Dato il perdurare dell’incapacità della dogmatica neo-classica persa in curve, matematiche e correlazioni fantasiose ad autoriformarsi e dato che i fallimenti della teoria rispetto alle pratiche si accumulano vistosamente, forse s’è voluto dare un “incentivo”, una spintarella per come si esprime lo stesso Thaler di cui in Italia, abbiamo un solo testo e neanche così pregnante, pare. Servirà? Non credo ma per argomentare dovrei andare più lungo del già lungo. Era solo per provare ad inquadrare meglio …

CRONACA N. 604

05.10  IL MIGLIOR PRESIDENTE DELLA STORIA.

1. Trump, nella sua prima uscita internazionale, va a Riyad e dopo aver fatto la danza delle spade, annuncia di aver ricevuto commesse per ingenti acquisti di armi da parte dei sauditi. Successivamente, a Washington, nessuno sembra saperne niente. Immortale la foto con mani imposte sul mondo e luce dal basso che immortala la santa alleanza tra Re Salman, Trump e al Sisi.
2. Dopo una specie di soft golpe che cambia la successione al trono, i sauditi bannano il Qatar accusato di essere il padre di tutti i terrorismi. Trump approva via twitter.
3. I russi portano fin verso la fine il lavoro in Siria, nell’assenza sostanziale di reazione da parte degli USA.
4. Tillerson va a mediare tra Qatar e Arabia saudita e Trump dice che il Qatar è paese molto amico ma i sauditi non sembrano confermare.
5. Re Salman vola a Mosca e firma contratti in cui investe nel settore energetico in Russia, compra armi e probabilmente know how per far partire il progetto di produzione indigena bellica contenuto in Vision 2030 e fa cartello sul prezzo del petrolio.

A questo punto ci starebbe a pennello una bella vendita del 5% di Aramco alla Cina (che negli ultimi mesi ha firmato contratto coi sauditi per 110 US$) e così la danza del mondo multipolare prende velocità mentre Trump twitta che l’Iran è l’Asse del Male, Mattis afferma che l’accordo sul nucleare va mantenuto, Tillerson afferma che si sta trattando con Kim Jong un, Trump gli dice che “sta perdendo tempo” stizzito via twitter. E sono solo sette mesi di presidenza! Quando scade il mandato, tra altri trentanove, della potenza degli Stati Uniti d’America si parlerà come di un lontano ricordo. Good job Donald!

RAND Corporation è quantomeno perplessa : https://www.rand.org/…/king-salman-and-putin-deals-leave-th…

CRONACA N. 603

03.10 Oggi mi concedo uno svolazzo narrativo. E’ lungo ed assai fuori format per facebook. E’ un esercizio di ucronia, storia fantastica (da οὐ = “non” e χρόνος = “tempo”) parente dell’utopia che è il nessun luogo. Qui il luogo c’è ed è il nostro. Buona lettura ai coraggiosi e perditempo …

RES PUBLICA LATINA. [Esercizio di ucronia (storia fantastica)]

Dove va la Storia? Difficile prevedere le rotte zigzaganti delle traiettorie delle entità complesse, però proviamo a fare un esercizio di fantasia realistica. Partiamo dall’origine: una città centro – mediterranea (Roma), comincia ad espandersi diventando un Impero. Arrivato al punto di massimo disequilibrio tra la sua costituzione interna e le possibilità esterne, collassa su se stesso. L’Impero diventa una macedonia di potentati locali in perenne reciproco conflitto. Ogni tanto, qualche autoproclamato re o imperatore tenta di riunificare più vasti territori ma i tentativi ci mettono tanto ad andare a termine ma molto poco a disfarsi, non è quella la strada.

Quello che invece sembra funzionare è l’addensamento in nuove partizioni che in parte seguono la geografia, in parte la storia che fornisce similarità di credo religioso, lingue e di tradizioni varie (ovvero la Nazione). Comincia la terra dei Franchi nel XV secolo e subito la seguono gli inglesi a loro legati da un conflitto di cento anni e le terre degli ispanici e dei portoghesi. Gli italici ed i greci, poi anche i germani, popoli di antico travaglio, arriveranno molto dopo. Gli italiani sarebbero anche arrivati prima se non avessero avuto la disgrazia che qualche volta fu anche fortuna, di avere a Roma il capo della credenza religiosa condivisa in una parte del sub-continente.

Nel XX secolo, a seguito delle più antiche dinamiche del sub-continente a sua volta traversato anche da i conati degli ex-barbari germanici ed anglosassoni, si manifesta una doppia -tragica- instabilità. Milioni di morti chiudono una lunga sequenza di sangue, guerra e distruzione che ha segnato queste lande per millecinquecento anni. Latini e germani, poi a malavoglia seguiti dai sospettosi britannici, tentano un esperimento di relazione rinforzata che chiamano “Unione”. Ci provano prima mettendo in comune le politiche di alcune materie prime che in passato furono parti causanti di conflitti più ampi, poi regolando gli scambi commerciali vincolando le rispettive monete le une a le altre, poi incatenandole le une alle altre così fortemente da fonderle in una unica come accade con gli atomi che collassano nel buco nero. Nel mentre, l’anima mercatistica reclamava nuovi mercati e così ci si ricordò che ”europei” erano anche alcuni cugini dell’est, e c’era anche chi avrebbe voluto mettere nel gruppo anche i turchi (!) e qualcuno addirittura gli ebrei-fenici stanzializzatisi dopo annose traversie per altro mai del tutto terminate, in uno Stato dall’altra parte del mare comune. Ma questa è tutta storia mossa da intenzioni interne, cosa succede invece all’esterno, poiché -da sempre- è il rapporto con l’esterno che determina l’interno?

Questa vaga “Unione” era un gigante come aggregato economico, ma non era un soggetto. Non lo era, né poteva esserlo poiché geografia e storia la sanno più lunga dell’economia. Anche in passato, quando non vigevano gli economisti ma i teologi che gli furono padri, venne in mente di unire genti diverse poiché da tanto o da poco, convintamente o apparentemente convinti, in fondo erano tutti “cristiani”, ma non funzionò. Credenze religiose e pratiche economiche sono parti di un totale che ha però la sua costituzione sostanziale nella geografia e nella somma degli eventi che da questa promana: la storia. Ci si trovò così in un impasse. Non si poteva tornare indietro sebbene qualcuno lo desiderasse ardentemente ma non si poteva andare avanti perché nessuno lo voleva veramente ma soprattutto perché non era possibile. Ciò che rese possibile le avventure di Carlo Magno o l’Unione dei mercati e della moneta, non costituì base per creare nulla di stabile e sensato, non è così che si fa la storia. Così come da ragazzini si pestavano i fiori aggiungendo dell’alcol e poi si metteva la poltiglia dall’incerto colore ed odore in una bottiglietta regalandola alla mamma dicendo che un “profumo” per lei, alcuni ragazzini andavano in giro a pensar di pigiare i fiori della storia europea assieme ed aggiungendo un po’ di euro, avrebbero fatto addirittura gli “Stati Uniti d’Europa”, potenza deleteria dell’analogia di cui si innamorano le anime semplici!

Ad un certo punto accaddero due fatti simmetrici ed inquietanti. Nel macro, con l’irresponsabilità un po’ fanciullesca che prende certi anziani, gli europei si erano affidati ad una badante figlia di amici che erano andati a vivere dall’altra parte del Grande Oceano. La badante americana, era stata protettrice e tirannica (come tutte le badanti) ed aveva governato la lunga fase post ultimo clamoroso conflitto ma andava trovandosi in una nuova travagliata situazione anche lei. Il mondo non era più quello di settanta anni prima. Il mondo era diventato molto affollato e complesso, era entrato in una fase di auto-organizzazione e nessuno più poteva dirgli di essere così o cosà. La pubertà del mondo era come ogni pubertà assai disordinante. Gente che discuteva in arabo o cinese, indiani che sciamavano silenziosi, russi sornioni, giovani africani esuberanti, guerrette qui e là, l’economia che aveva collassi e febbri, improvvisi vuoti ed esagerata sovreccitazione finanziaria, paurosi catastrofi ambientali. Chi la voleva sferica e chi cubica, chi cresceva e chi ristagnava, chi pregava e chi accumulava, chi sparava e chi stendeva rotte di collegamento dopo aver letto “Le avventure di Zheng He” . In Europa non ci si capiva niente se non, che non ci si capiva niente. Nel trambusto, qualcuno pensò che era meglio rifugiarsi nel micro come in fondo era tradizione dei mammiferi che al tempo della megafauna se ne stavano sottoterra ed uscivano a cercare qualcosa da mettere nello stomaco stretto dalla paura, di notte. Torniamo a noi, qui dove da sempre viviamo, lì dove ci conosciamo, lì dove -al di là della piccole differenze- in fondo ci capiamo, condividendo più di quanto condividiamo con tutti quei matti là fuori. Chissà magari dopo tutto questo casino di storia vuoi vedere che avevano ragione gli Svizzeri o torniamo alla città -Stato?

Andare a parlare di monetine e mercati in quel casino, non sortiva effetto alcuno e del resto si affacciava una istintiva saggezza, quella che capiva che il totale dei problemi era maggiore della somma delle sue parti. Già, antica saggezza distillata da Aristotele che probabilmente l’aveva a sua volta distillata da succosa saggezza ancora più antica. Capitò così che si giunse alla nuova storia. Alcuni europei si ricordarono di avere in comune geografia e storia, lingua e religione, tradizioni formali (ad esempio giuridiche) ed informali (stili di vita e culture) e sulla scorta di una realistica convinzione che tornò in auge dopo tanta dissennatezza dominante, ci si ricordò che in origine l’ordinatore del vivere assieme non era l’economico o il religioso o il militare o il solo culturale ma quello che tutti questi mette assieme fungendo altresì da centro intenzionale, ciò che rende una unione un soggetto storico, il politico. Ma il cuoco politico non mette assieme il tonno ed il parmigiano, il latte e di limone, la marmellata ed il ragù ( ameno che non sia inglese).

Poco più di duecento milioni di antichi europei latini e mediterranei che avevano tanta storia, quindi geografia in comune, si fusero in un totale maggiore della somma delle parti. Ne venne fuori la terza potenza economica planetaria, un grande Stato federale che fece felici tutte le comunità in cui i precedenti Stati rischiavano di disgregarsi, una complessa architettura istituzionale innovativa con più camere tematiche che ruotavano intorno ad un Parlamento composto dai rappresentanti della camere territoriali, lì dove iniziò la terza stagione del modo politico detto “democrazia” . Dopo Atene che era democratica però piccola e la democrazia liberale che era per società grandi ma non era democrazia, si giunse alla sintesi. Licenziata la badante ed assuntisi le responsabilità di autodifesa in proprio, assisi nel Consiglio di sicurezza di cui divennero il perno che regolava le diatribe tra russo-cinesi affluenti e americo-britannici declinanti, dotati di arsenale atomico qualora a qualcuno fosse venuto in mente qualche idea bizzarra, eccitati dal mettere in comune le loro vivide intelligenze, promananti fascinoso soft power naturale, si votarono alla gestione attenta delle relazioni internazionali con africani, sud americani (che parlavano una lingue simile, pregavano lo stesso dio ed in fondo erano latini di seconda generazione) e quei birboni dei medio-orientali che però i latini conoscevano meglio di chiunque altro. La Repubblica federata dei latini mediterranei, francesi, spagnoli, portoghesi, greci ed i bizzarri italiani, sorse improvvisamente al punto più basso della parabola storica di questi popoli, come la fenice. Nati nell’Antico ed inventori del Moderno, si presentarono così alla nuova Era Complessa riscuotendo generale ammirazione (ed un po’ di invidia da parte di qualcuno ma è brutto farne i nomi).

La Storia non era finita come alcuni scellerati avevano creduto in passato. La Storia non finirà mai perché essa non è il risultato di moti interni ma è il risultato del rapporto tra l’interno dei sistemi ed il loro esterno fatto di altri sistemi ed ambiente e questo cambia sempre, non sta mai fermo. Così quei popoli vecchi ed un po’ stanchi si salvarono, si salvarono capendo che bisognava cambiare i propri sistemi interni per adeguarli al mondo nuovo e complesso che s’andava formando. Si salvarono capendo che era giunto il momento di fare la storia e non più solo subirla, che ci voleva un progetto e che il progetto doveva ossequiare la realtà che per l’argomento in questione ha longitudine geografica e latitudine storica.

CRONACA N. 602

02.10  CONDIZIONI DI POSSIBILITA’. Si nota un certo panico nei commenti su i fatti catalani. Chi emotivamente a favore, chi razionalmente contro, chi disorientato. Forse ci si sente presi un po’ in contropiede e non si sa bene se votarsi all’analisi giuridica o a quella storica o a quella economica o a quella geopolitica. In questi casi vince -in genere- l’analisi politica ma a sua volta questa si divide tra quella che ha in oggetto il fatto contingente e quella che guarda più in là, allo sviluppo delle condizioni di possibilità. Su questo, si sconta un po’ di ruggine che si è accumulata nei neuroni e nelle sinapsi poiché il “politico” è stato a lungo represso e depresso e si nota una certa fatica nel rimettere in moto visioni, possibilità, lettura di trasformazioni.

Vabbe’ il referendum è andato come è andato. La repressione fisica dell’atto di voto serviva a questo, a dire che hanno votato meno della metà e quindi l’atto è politicamente invalido, stante che ovviamente lo era già giuridicamente. Ma purtroppo, per compiere l’atto repressivo, si è compiuto comunque un atto politico e quindi il mezzo voto più la mezza repressione portata avanti da un governo che si regge su gli stecchini, ha portato all’atto politico pieno. Ora, la faccenda è appena iniziata e così come il Campionato di calcio è solo alla 7a giornata, i commenti sensati si faranno alla fine dei giochi.

Quali giochi? Questi ad esempio: http://www.huffingtonpost.it/…/i-paesi-baschi-chiedono-un…/…. E se la Spagna iniziasse un processo ri-costituente? Cosa meglio di un bella densità dinamica di discussioni, idee, confronti, critiche, sogni intorno al contratto sociale? Magari la faccenda contagia, magari finiamo col discutere tutti di Stati, Unioni, Regioni, élite e democrazia. Chissà, magari torna il “politico” quando tutti pensavano di averlo debellato. Manteniamo la calma e seguiamo il cambiamento, se c’è energia sociale e magari ci mettiamo accanto anche un po’ di energia intellettuale, chissà …

CRONACA N. 601

01.10  PIRATI, STATI CANAGLIA, SURREALISMO E PRESE PER I FONDELLI. Al tempo di Roosevelt, l’aliquota marginale (la più alta) era del 90%. Praticamente alla fasce di ricchezza maggiore, veniva sequestrato quasi l’intero importo. Kennedy e Johnson la portarono al 70% e tale rimase -pare assurdo, oggi- sino al 1981. Reagan, la portò al 28% ma per fortuna si poteva poi ricorrere ad altre detrazioni ed esenzioni. Bush padre e Clinton la alzarono di un po’ ma ora Trump promette di abbassarla di nuovo dal circa attuale 40% al 35% aumentando detrazioni, togliendo la tassa di successione di modo che le dinastie tornino ai fasti aristocratici (gli USA nacquero contestando il principio nobiliare ma solo per sostituirlo con il crisma della nobiltà della predestinazione protestante all’accumulare soldi e cose) mentre le aziende andrebbero a pagare il 20%.
Accanto, si consideri la minaccia mai ufficialmente proferita ma assai concreta e logica (conoscendo i soggetti) ventilata dai britannici brexiters ovvero trasformarsi in un vero paradiso fiscale per attrarre ricchi ed imprese in fuga dal perfido socio-statalismo euro-continentale (?).

Ma questa è solo metà della storia. Il processo di esenzione fiscale a cui corrisponde l’inevitabile taglio della spesa pubblica (ma non tutta, quella militare va ovviamente aumentata), si è accompagnato allo sviluppo di una fitta rete di paradisi fiscali. La faccenda dei paradisi fiscali meriterebbe uno studio a sé per quanto è assurda e per quanto è ancorpiù assurdo dimenticare questa variabile nei discorsi che normalmente si fanno sull’economia, la società, le ineguaglianze e lo Stato. Premesso che le stime sull’ammontare delle ricchezze nei circuiti neri e grigi (black and grey list, la cui storia è un altro capitolo di surrealismo esuberante) sono approssimative, BIS (ovvero l’associazione di tutte le banche centrali del mondo) afferma che ogni anno il 10% del Pil mondiale finisce fuori rotta. Ma attenzione, si riferisce solo all’ammontare dei depositi liquidi stante che la percentuale tenuta in liquidità nei patrimoni è in genere minoritaria poiché maggioritari sono gli investimenti in titoli o immobili. In più, è assai improprio fare la percentuale rispetto al Pil mondiale perché evasione ed elusione non sono fenomeni equamente distribuiti nel mondo.

Insomma, le famiglie più ricche d’Europa, eludono la fiscalità per quasi metà dei loro introiti ma sull’altra metà (ammesso sia tale, ho forti dubbi) pretendono tagli delle aliquote. Ad aiutarli in questa migrazione forzata per sfuggire dalla miseria, dalle guerre, dalla fame e dalla sete, una flotta di gommoni destinazione off shore, gentilmente messi a disposizione da olandesi, britannici, lussemburghesi (delizioso Paese grande come la Val d’Aosta con il secondo Pil pro capite al mondo) il cui primo ministro J.C. Juncker ha governato per 18 anni (più o meno come Putin). Che questo signore sia poi l’eletto che dovrebbe portarci con visione e saggezza ad unire i “popoli” d’Europa lascia interdetti solo gli stolti che non apprezzano la sottile ironia dei potenti.
Olandesi, inglesi ed americani (che hanno paradisi anche on shore, come il Delaware), sono gli stati canaglia che proteggono questo contrabbando della ricchezza a cui non si può negare il sacro principio della libertà. Per la verità J.S.Mill che passa per un vate del pensiero liberale puro, proponeva di sequestrare del tutto i beni (mobili ed immobili) lasciati in eredità da chiunque a chiunque, ma chi più legge i classici? Mill sosteneva che chi ereditava non aveva alcun merito nell’aver prodotto ricchezza quindi una società meritocratica doveva iniziare ogni volta da zero. Ma per fortuna non governano i filosofi la cui ragion pura è notoriamente poco pratica.

C’è dunque una classe dominante e questo già lo sapevamo avendo magari anche solo orecchiato Marx ma c’è anche un gruppo di nazioni senza le quali il potere di questa classe sarebbe ampiamente ridimensionato. Le stesse le cui università sfornano sapienti che ci vengono a dire come va formattata una economia ed una società competitiva. Praticamente è come andare a lezione di strategia di calcio da Moggi.

Articolo light su i paradisi fiscali qui.

La CRONACA 600 non è pubblicabile perché ospita un video che però mette la pagine fuori format

CRONACA N. 599

CON CHI GOVERNERA’ LA MERKEL? Ricevuta la notizia di fine della Grande coalizione da parte di una frastornata SPD, Merkel ha fatto sapere che certe cose vanno discusse con calma. Naturalmente Merkel vorrà aprire due tavoli, uno con liberali e verdi, l’altro con socialdemocratici (e chissà magari anche i verdi), magari per la semplice tattica che vuole mettere in concorrenza gli aspiranti partner al fine di abbassarne le pretese. Ma mentre i più discutono del populismo paranazista di AfD e si sviluppa un gran polverone di sociologismo politico, il vero problema di Merkel è nei liberali. Questi hanno acquisito meno di AfD ma hanno comunque raddoppiato i voti ed hanno preso da CDU/CSU più di quanto questi hanno dato ad AfD.

Macron, pochi giorni prima del voto tedesco, pare abbia dichiarato che nel caso di affermazione dei liberali lui sarebbe stato “politicamente morto”. Era una dichiarazione off record e probabilmente esagerata ma abbastanza rivelatrice. I liberali porterebbero una postura ancora più rigida nelle relazioni franco-tedesche e i margini di manovra di Macron per mantenere una sorta di eccezionalismo francese (alla Francia si sono consentite parecchie eccezioni nella tenuta dei conti, in questi anni), molto più stretti. Ecco allora che sulle trattative di governo dei tedeschi, irrompe Macron con questa serie di dichiarazioni in cui spicca il rigurgito transalpino per l’interesse mediterraneo-africano: “… il Mediterraneo deve essere la chiave della politica estera dell’Europa e deve vedere l’Africa come partner strategico per il futuro” ben sapendo che per i tedeschi il Mediterraneo e viepiù del’Africa non stanno certo in cima alla lista degli obiettivi strategici. Su questo, Macron vedrà bene di far seguire una maggior corresponsione di amorosi sensi con Gentiloni.

Probabilmente a Merkel piacerebbe seguire la strategia già concordata con Macron. Probabilmente Merkel decise di presentarsi per il quarto mandato perché voleva portare a compimento la storicità della sua leadership e questa storicità prevedeva un passo decisivo verso la costituzione di una Europa un po’ più politica in termini strategici (esercito, polizia, politica estera, NATO etc.). Questa linea sarebbe certo stata condivisa con l’SPD ma non è detto che possa esserlo anche coi liberali anche perché gli altri aspetti economici e fiscali che fanno parte del pacchetto, vanno in direzione contraria alle posizioni di FDP, posizioni che probabilmente sono poi quelle che hanno attirato i 1.360.000 voti migranti dai democristiani (dato FAZ/Infratest).

Merkel concederà allora qualcosa a SPD pur di convincerla a tenere botta assieme o sarà costretta a sottostare al ricatto continuo dei liberali sfibrandosi in una continua mediazione tra le ambizioni condivise con Macron e la dura purezza dell’ordoliberismo dei propri vertici confindustriali. Vedremo …

CRONACA N. 598

24.09  RIDUZIONE DI COMPLESSITA’ 2. Nel precedente post, abbiamo avanzato l’ipotesi che gli USA vogliano portare avanti una politica estera fatta di strappi al fine di separare il mondo in due fazioni “con noi o contro di noi”. Qui ci occupiamo di mettere sotto questa ipotesi, alcuni fatti. Sono fatti dedotti o basati su induzioni di natura precaria poiché emergono da spifferi fatti uscire a bella posta nell’ambito di guerre informative di cui noi spettatori esterni non conosciamo al fondo le motivazioni prime e quelle seconde. Di solito, qui, ci occupiamo di analisi a grana grossa, non di contro-informazione ma oggi facciamo un tuffo in questa palude maleodorante per vedere un po’ cosa circola. Eviteremo le fonti più bizzarre ed useremo quelle al limite del mainstream, lì dove si gioca la guerra delle élite combattenti per cui una parte, pur di mettere in difficoltà l’altra, libera qualche chicca saporita (vai poi a sapere se vera o meno).

Occhi della guerra, cita una articolo della Stampa (forse il migliore dei grandi quotidiani nazionali per la politica estera) in cui si dice che la diplomazia europea teme che gli americani vogliano presentare “prove” di un link di aiuto reciproco tra Nord Corea ed Iran, di modo da dare la prova provata dell’Asse del Male 2. Ne seguirebbe la ragione per sfilarsi dall’accordo sul nucleare, elevare sanzioni progressivamente sempre più dure, costringere europei, russi e cinesi a scegliere da che parte stare. Ricevuto un picche da parte della CIA, indisponibile a fabbricare prove che non ci sono, starebbero arrivando in soccorso i britannici. Questi, tramite Telegraph (noto amplificatore delle veline dell’MI6) avrebbero già spifferato che tali prove esistono.

La storia assomiglierebbe molto alle “prove” che la CIA non volle produrre per Bush ai tempi di Saddam-Iraq (provette di farina doppi zero agitate da Colin Powell all’ONU, ricordate?). Ci fu qualcuno che -ai tempi- spifferò che tali prove fossero state date dai britannici a Bush , basandosi su un castello di false informazioni prodotte dal Mossad. Questo qualcuno è Philip Giraldi (articolo dal quale è stato tratto il commento).

Giraldi ha già e più volte pizzicato Israele nel passato. P. Giraldi è stato per 18 anni nella C.I.A. nonché attuale Direttore esecutivo del Council for the Nation Interest, un think tank che promuove l’interesse americano nel Medio oriente. I suoi articoli sono spesso ripresi da questo sito, UNZ che pubblica –tra gli altri- P. Buchanan, S.P. Huntington, J. Mearsheimer. E’ consulente di politica estera di Ron Paul. UNZ è stato fondato da un tizio curioso che è anche editore del più compassato ma non meno critico approccio di The American Conservative. Questi sono una fazione di repubblicani ferocemente in guerra coi neo-con, addirittura più delle fazioni di sinistra dei democratici. Per l’ambiente ebraico-filo israeliano, sono dichiarati anti-sionisti e Steve Bannon non coinciderebbe perfettamente con loro ma avrebbe qualche grado di vicinanza.
Secondo Giraldi, la banda neo-con capitanata da Bill Kristol (figlio di Irving, “padrino dei neo-con”), starebbe portando l’amministrazione Trump verso la guerra con l’Iran. Alleghiamo il pezzo di Giraldi forse in contatto con fazioni della CIA arrabbiate.

Ad alcuni, non saranno sfuggite le recenti notizie sulla liason Israele – Arabia Saudita ed il gran darsi da fare dei russi per contenerle paranoie di Tel Aviv al fine di disinnescare le tensioni d’area.
Lo spiffero riportato dal Telegraph, chiamerebbe in causa anche russi (per le tecnologia missilistica) e pakistani (per quella nucleare) ma quella su i russi sarebbe una prova congelata che per il momento non si vuole esibire mentre su i pakistani, chi scrive, da tempo segnala che bisognerà porre attenzione. E’ di ieri la notizia proveniente da Globalist (fonte vertici esercito iraniano) di una presunta migrazione dell’Isis proprio in Pakistan, nelle zone tribali pashtun. Attenzione al messaggio iraniano, quelli dell’Isis verrebbero sterminati all’avvicinarsi ai meno di 40 km dal confine iraniano …

Iraniani che esibiscono nuovi missili, articoli del mainstream che cominciano a supportare l’idea che l’Iran sia una minaccia, contropiede di Macron che appoggia l’atteggiamento americano (Consiglio di sicurezza ONU fa USA+UK+FRA vs RUS+CIN = 3 : 2) vs Mogherini, Merkel zitta perché in campagna elettorale, Isis in Pakistan, Telegraph che insiste sulla stessa domanda che ci siamo qui fatti noi “chi ha aiutato la Corea del Nord?”, bombardieri USA mai così a nord del 38°parallelo, Kelly con la testa nella mani che segue desolato il discorso di Trump all’ONU, Erdogan che va a Teheran, crisi del Qatar messa nel freezer, Trump che rinforza la missione in Afghanistan, sdoganato il massiccio investimento in spese militari al Congresso americano …

E manca ancora il Venezuela! Vediamo come si dipana la tela …

La Stampa: http://www.lastampa.it/…/legami-tra-iran-e-nord…/pagina.html

Globalist: http://www.globalist.it/…/gli-007-iraniani-dopo-siria-e-ira…

CRONACA N.597

21.09  RIDUZIONE DI COMPLESSITA’. Se il mondo sta andando verso la formazione di una società complessa di Stati tra loro in interrelazione secondo geometrie complesse, gli Stati Uniti hanno allora il problema di rallentare e frenare il più possibile ed il più a lungo possibile, questa tendenza. Il perché è ovvio: nella futura complessità, gli USA diventano un soggetto come tanti, certo più grande e massivo ma con ben meno potere di quanto non hanno avuto negli ultimi settanta anni. Quel potere è ciò che ha permesso il loro equilibrio interno, il loro benessere pur asimmetricamente ripartito internamente. La questione è quindi vitale.

Sembra allora che le menti strategiche americane, abbiano varato una strategia che ricorre allo schema bipolare da guerra fredda ma dimenticate il parallelo con la guerra fredda e concentratevi su “bipolare”. Bipolare è lo schema “o con noi o contro di noi”. “O con noi” significa riconoscere a gli USA una permanente sovranità su uno spettro di nazioni ben più ampio, questo spettro è ancora ben più del 50% della ricchezza e del potere del mondo. “O contro di noi” è il tipo di relazione da avere con l’Altro, la parte ascendente, quella che rischia di sovvertire l’intero gioco, i promoter del “multipolare” in sé per sé. Il multipolare è un gioco cooperativo-competitivo mentre il bipolare è un gioco solo competitivo.

Trump avrebbe voluto disinnescare il fronte avversario capitanato dallo sfidante cinese, mettendo un cuneo nella relazione Russia – Cina ma non gli è stato permesso, dovrà portare avanti il disegno considerando il sistema avversario ormai una diade (recente la notizia dell’acquisto cinese della quota Rosfnet già detenuta dal Qatar). Per altro, Trump continua a mantenere una piccola fessura aperta con Mosca, non attaccandola mai in via diretta.

La strategia sarà allora quadruplice: 1) Rinforzare l’asse con gli alleati di primo livello ovvero monarchie del Golfo ed Israele; 2) Costringere gli alleati ambigui (Europa e -in parte- Gran Bretagna, Australia) a recedere dall’ambiguità per allinearsi, volenti o nolenti; 3) Compattare l’area incerta, soprattutto il Sud America (facendo leva su Argentina, Colombia, in parte Brasile) con un locale “o di qui o di lì” in cui l’Altro prototipico è il Venezuela; 4) Conficcare cunei nel fronte avversario, dal nuovo impegno in Afghanistan, alle turbolenze che l’AS-UAE creeranno con l’islamismo radicale nei paesi islamici afro-asiatici (prossimo obiettivo Myanmar ma penso che poi vedremo qualcosa anche in Pakistan), ai flirt con l’India preoccupata dall’attivismo del vicino cinese, al Giappone da riarmare, alla Corea del Sud.

Siamo in un post e questa è faccenda molto complicata che meriterebbe analisi a grana fine ma in breve si possono aggiungere due cose. Corea del Nord e la prossima disdetta degli accordi sul nucleare iraniano, così come il Venezuela sono “casus belli” che servono per compattare il proprio fronte presentando l’imperativo “o di qua o di là”. Il punto più sensibile di tutta la strategia è quanto gli USA riusciranno a domare le ambiguità europee e già s’intravede un “divide et impera” di amicizia con Macron (ed UK) in funzione anti-tedesca. Il perno centrale della strategia verte proprio sull’Europa, senza la quale la BRI cinese non ha l’approdo finale, il motivo per il quale i cinesi sviluppano la loro strategia. Fra tre giorni si vota in Germania e Merkel avrà il suo nuovo incarico, dopo vedremo come la chimica quantistica ha intenzione di fare le sue mosse.

Mentre tutti gli occhi ed i cuori palpiteranno per le precarie sorti dei focolai di tensione coreani, iraniani, venezuelani, seguendo la regola aurea di volger lo sguardo lì dove nessuno sta guardando (invalidando cioè il principio primo degli illusionisti), aspettiamoci comunque grandi turbolenze in Europa.

CRONACA N.596

17.09 CHE FACCIAMO I PROSSIMI TRENTA ANNI? Da tempo penso che questa sia la principale domanda che tutti dovremmo porci in senso politico prima che esistenziale. Dovremmo abituarci al porci domande sul futuro perché il futuro non presenta condizioni di possibilità agevoli del tipo “beh, vediamo un po’ come si presenta, poi decidiamo cosa fare …”. Il futuro presenta limiti, vincoli, pressioni, condizioni particolari, o meglio “condizioni strette”. Noi non siamo culturalmente preparati a questo cambio di scenario, proveniamo da secoli -ma per altri versi, millenni-, di un atteggiamento molto simile a quello dei cacciatori raccoglitori. Il mondo era una inesauribile riserva di opportunità, bastava coglierle.

Quello che chiamiamo “capitalismo” è essenzialmente il fare di questa ricerca di opportunità, il senso della nostra vita individuale ed associata. Quello che chiamiamo “Occidente” è stato -per lo più- lo sfruttare senza limiti l’ambiente esterno al nostro perimetro geo-culturale, importando ordine per darci un futuro non solo garantito e prevedibile ma anche agevole.

Tre novità segnano la fine di questa postura spensierata: 1) limiti ambientali; 2) limiti dati dal fatto che Occidente è una sempre più limitata minoranza assediata da una maggioranza molto corposa di popoli che: a) reclamano il loro posto al Sole; b) hanno lungamente subito le nostre angherie e c’è solo da sperare non portino eccessivo rancore stante che comunque non ci serviranno passivamente le loro vite ed i loro territori per alimentare il nostro benessere scontento di non aver di più; 3) il fare attività economiche incontra sempre più difficoltà all’espansione (le incontra già dagli anni ’70, sono ormai quasi cinquanta anni sebbene noi ci sia svegliati a parlare di neo-liberismo, finanziarizzazione, globalizzazione iniqua, disoccupazione tecnologica solo da qualche tempo più recente).

Ne consegue un terrificante elenco di punti di domanda: come garantirci livelli moderati ma costanti di benessere? Come riformulare il concetto di benessere e come governarne la distribuzione? Attraverso quali istituzioni comuni? Elette o partecipate da chi? In base a quale realistica consapevolezza diffusa dei tanti argomenti su cui si deve dibattere e decidere? Stabilendo quale atteggiamento, quale postura verso il resto del mondo e verso le limitazioni naturali?

Come si cambia il nostro modo di stare al mondo? La principale risposta a questa domanda è stata nell’ultimo secolo e mezzo quella data da Marx: invertire i rapporti di gerarchia all’interno del fatto economico tra i Molti subalterni a Pochi che decidono, agiscono, traggono profitto, di modo che –cambiando la struttura del sistema economico- si cambi la società dato che questa è ordinata proprio dal sistema economico. Questa risposta è vaga, assomiglia più ad una tautologia e non fornisce alcuna indicazione pratica per il cambiamento. Dove la si è provata ad applicare direttamente e meccanicamente, ha dimostrato che l’asimmetria tra Pochi e Molti si riproduce ineffabile ma col peggiorativo di un sistema economico poco o per niente funzionante ed una società che nulla aveva del paradiso in terra. Non v’è dubbio che la ricetta sia giusta ma quello che indica è il punto d’arrivo, manca il tragitto, non è una strategia è solo la premessa.

La strategia consegue la risposta alle sei terrificanti domande, mettendo assieme tutte e sei le risposte e comparando ciò che viene fuori con un’analisi realistica delle condizioni materiali del mondo a cui dobbiamo adattarci, verrà fuori il “che fare”. Un “che fare” che prenda atto del fatto che così come il mondo ha impiegato secoli per diventare com’è, non è certo in una settimana che lo si trasforma. La storiella di quello che fa il mondo in una settimana fa parte della nostra tradizione favolistica, storielle della buonanotte che usiamo per abbassare l’ansia da complessità.

Chi ama dar senso alla sua vita, continuando l’inesausta ed eterna battaglia per migliorare le condizioni di vita non solo sue o di pochi altri ma del maggior numero, dovrebbe tentare di risolvere l’equazione a sei variabili. La NATO, l’Euro, lo Stato, la Democrazia, la cultura, la geopolitica, il reddito, i fini delle tecniche e dei loro prodotti,la tripartizione del tempo sociale-individuale-di lavoro, l’informazione e la comunicazione, lo studio dell’uomo e del mondo, l’ambiente, l’umana “insocievole socievolezza”, le religioni, la Verità, il discorso con cui ci scambiamo idee ed opinioni, il desiderio, la salute, l’espressione della propria individualità senza creare eccessivo conflitto con l’espressione di tutti gli altri, molti di noi si dedicano ad uno o più di questo temi. Non solo vi si dedica scegliendo il particolare che più lo sollecita ma per lo più, lo fa criticando lo stato delle cose, chissà forse spera che a furia di produrre antitesi sul piano della parole, chissà come e perché (pensiero magico) si produrrà un superamento delle cose. Quello che ci manca, è la visione d’insieme, non solo la visione destruens ma anche quella costruens, il coraggio di fare proposte pratiche e senza questa visione nessuno di noi sa per cosa battersi davvero.

E’ la mancanza di questa visione utopico-realista, ispirata, integrata, pratica che fa sì che al punto minimo (ma è un minimo relativo che avrà molti maggiori ed ulteriori gradi di minimalità) di funzionamento delle nostre società, corrisponda il punto massimo della nostra passività rassegnata. Che facciamo i prossimi trenta anni?

(Articolo correlato, qui)

CRONACA N. 595

GEMEINSCHAFT o GESELLSCHAFT? Il sociologo tedesco Ferdinand Tonnies, introduceva questa dicotomia in un libro del 1887, poi destinato ad aver longeva fortuna. I due termini in ostico tedesco, sono di norma tradotti con “comunità” e “società”. La differenza è data dal tipo di legame sociale e da tutto ciò che di materiale ed immateriale promana da questi. Se la relazione sociale è di tipo personale siamo in regime di comunità, se di tipo impersonale siamo in regime di società. Ne conseguirebbe una teoria dello spazio politico, se piccolo (atto cioè ad esser intessuto di relazioni personali) o se grande (atto cioè ad esser intessuto da relazioni impersonali). Che sia una dicotomia è giudizio storico non teorico, nel senso che così sembra si sia sviluppata la storia umana da spazi e gruppi più piccoli a spazi e gruppi più grandi (ma la faccenda non è lineare, a volte è accaduto l’inverso). In teoria invece, nulla osta pensare una possibile composizione stratificata in cui il grande è composto da un sistema di piccoli in una visione detta di “federalismo radicale”.

Pur essendo interessante un discorso su i sistemi tratto dalla lettura delle sole interrelazioni, si consideri che le parti che vanno in questa interrelazione sono altrettanto importanti. Il discorso ha attinenza anche con il sistema politico detto “democrazia”, comunità o società (comunità e società) che si auto-gestiscono arrivando a decisioni su se stesse. Questo sistema, almeno nella sue fondamenta, predilige spazi piccoli.

C’è un movimento di pensiero che vede positivo un restringimento dello spazio socio-politico, una diminuzione di spazio, corrisponderebbe ad un aumento di intensità. Ne hanno parlato Murray Bookchin ma verso qualcosa del genere anche Abdullah Ocalan virò di recente la linea politica del PKK, Saskia Sassen e Benjiamin Barber per la parte diciamo più socio-politica ma anche Parag Khanna per la parte economica secondo il quale, il futuro è nel ritorno alla città-Stato e c’è chi vede in questa tendenza una direzione anarco-capitalista. Hobsbawm pensava che i processi di globalizzazione, fossero tessitori di Gesellschaft a scapito della comunità, rendendo i funzionamenti del mondo sia sempre più impersonali, sia sempre più incontrollabili. Secondi alcuni pensatori democratici, la dimensione municipale porta in via naturale a forme democratiche, quanto i grandi spazi (dallo Stato centralista all’Impero) all’elitismo.

Come nella dicotomia individuo-società, anche quella comunità-società rileva forti positività ma al contempo negatività, su entrambi i termini. E’ la tipica relazione conflittuale e sembra poi la situazioni peggiori se uno dei due termini è sostenuto unilateralmente da questa o quella ideologia ma di base, la non decidibilità di una chiara preminenza dell’un termine su l’altro, sembra oggettiva.

Esistono vari elenchi di prossime -ipotetiche- nazioni, dal ritorno della Repubblica Veneta alla Scozia, dal Kurdistan alla divisione della Somalia e molti altri. Alla tensione principale tra forme post nazionali come l’Unione europea ed il ritorno degli Stati-nazione (o anche Stati non necessariamente basati su “una” nazione), si aggiunge questa possibile tendenza a tornare a sistemi di prossimità. Queste tensioni dello spazio politico e sociale sembrano oggettive e forse l’unica cosa da evitare e ricondurle ai loro corrispettivi ideologici come fossero questi a creare il problema. Egoismo localista, neo-medioevalismo, divide et impera? Oppure ritorno ad una sorta di materialismo sociale, fatto di voci, contatti, reputazione, tangibilità e condivisione?

Cosa porta cinquecentomila persone in piazza ieri a Barcellona in tempi in cui è difficile organizzare la benché minima forza sociale e politica capace di unirsi su un qualsivoglia obiettivo?

CRONACA N. 594

QUANDO LE IDEE NON VANNO APPRESSO AI FATTI. Il Canale del Nicaragua costruito dai cinesi, doveva partire già tre anni fa ma torna d’attualità pare, solo oggi (qui). Ci vorrebbero cinque anni teorici per costruirlo ma nei fatti, sebbene i cinesi non siano dediti allo standard Salerno – Reggio Calabria, forse di più. Se prima gli USA non fanno un colpo di stato a Managua nel mentre depongono batterie missilistiche in Corea del Sud per “difenderla” da quella del Nord, quando in realtà pare stiano solo allargando la logistica del Pivot to Asia sebbene interpretato oggi con meno parvenza commerciale e più concretezza militare, rispetto ad Obama. Nel frattempo, Trump minaccia di chiudere i canali commerciali con la Corea del Sud se non riequilibra quei 27 mld di dollari di disavanzo della bilancia commerciale. Addio Samsung ed automobiline a basso prezzo? Ma si sa, Trump è protezionista, non come l’UE che la prossima settimana dovrebbe approvare un regolamento di rinforzo del potere di interdizione degli investimenti esteri (cinesi) nei settori: infrastrutture, tlc, difesa e sicurezza ma anche quelli sui server, infrastrutture finanziarie, tecnologia come intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, cybersicurezza, spazio, nucleare o informazioni sensibili.

Il WTO, è naufragato per una serie di contenziosi irrisolvibili come quelli intentati dal Brasile contro gli USA per barriere doganali (sotto forma di sussidi ai cotonieri americani) sull’esportazione del cotone e quello che opponeva i paesi africani che pur producendo molti vegetali ed a bassissimo prezzo, sono stati sistematicamente interdetti dal poterli esportare in Europa. Certo, se non riescono a venderci neanche le cipolle, come diavolo dovrebbero “crescere” questi Paesi di cui poi soffriamo le migrazioni in cerca di lavoro? Queste due citazioni sono relative a cose di più di dieci anni fa, precedono di molto il recente dibattito artificiale su protezionismo e liberalismo-libero-e-bello. Potremmo poi parlare delle banche tedesche o della Grande Francia che conta su mercati ex-coloniali privilegiati due volte la dimensione del proprio paese (ne abbiamo già palato in un post precedente), dei petrodollari delle monarchie del Golfo o delle Vie delle Sete o dell’economia indiana …

Qual è il punto? Il punto è che questa è la realtà, abbiamo citato alla rinfusa fatti economici e fatti politici basati su partizioni geografiche (geostoriche), per alcuni “geopolitiche”. Questi fatti sono tutti parte dello stesso fatto ed il fatto è che ogni stato promuove e protegge la propria economia, dalla fine del XVII secolo per gli stati ma almeno dal XIV se prendiamo ad esempio la Repubblica di Venezia in cui c’era una fabbrica pubblica (l’Arsenale) che produceva a catena di montaggio impiegando più di 3500 tra operai ed artigiani (stiamo parlando del ‘300), le navi che reggevano la ricchezza commerciale dell’aristocrazia non terriera ma commerciante della Serenissima.

Ci si domanda allora: cos’è il capitalismo? quando nasce? cosa intendiamo esattamente quando ci dilunghiamo sulla dicotomia tra Stato e Mercato? tra libero commercio ed investimento e gestione occulta delle barriere filtro? tra globalizzazione e presunto ritorno (ma quando mai sono scappati?) degli Stati? tra fatti militari e fatti economici? tra società aperte e società chiuse? Aperte a chi e chiuse a cosa? L’impressione è che il mondo dei fatti non ha le nostre categorie di pensiero, il pensiero ipostatizza ed isola, fatti che hanno confini sfumati, che sono intrecciati tra loro.

Noi stiamo accettando che l’immagine del mondo sia uno scontro tra dicotomie che impegnano le nostre migliori menti, nel mentre il mondo reale se ne frega assai delle nostre dicotomie e continua a procedere secondo fenomeni la cui vera natura ci sfugge. Noi usiamo “concetti” e su questi conduciamo battaglie intellettuali ma poiché essi non corrispondono ad alcun ente reale, le battaglie sono solo “baruffe chiozzotte”, per rimanere con Goldoni in Laguna.

Noi non sappiamo interpretare il mondo, per questo non riusciamo a cambiarlo.

CRONACA N. 593

07.09 LEONARDO D’ARABIA. Che delizia! Apre un franchise del Louvre (qui) in questa splendida città, metropoli ormai internazionale, in cui attendono anche un possibile spin off, addirittura del Guggenheim. Ma i francesi la fanno da padroni con un distaccamento della Sorbona e l’idea di ricostruire una “piccola Lione” a Dubai con piazzette, brasserie e tanta arte. Che festa! Un opera di Leonardo magari con volo Emirates o Alitalia, viene concessa in mostra ai beduini. Guardate se quel divino uomo di spettacolo che è Macron, non decide di portarla lui, con scorta presidenziale, magari! Beh, perché no, soft power direbbe il realista.

Dicono che il principe ereditario del trono di UAE-Abu Dhabi, abbia una forte influenza sull’altro principe ereditario di Ryiad, Muhammad bin Salman (c’è una vision 2030 di Abu Dhabi gemella di quella saudita). Questi due giovanotti, sarebbero allineati su ogni questione geopolitica riguardi il futuro della penisola arabica, dalla guerra in Siria e quella nello Yemen, dall’ostracismo verso il Qatar (terrorizzati da i Fratelli Musulmani, la via “povera, popolare e politica” all’islam in competizione con quella “ricca, elitista e terrorista” ) e l’Iran al ruolo giocato nel rovescio di Gheddafi e successiva spartizione della Libia in cui UAE è alleata della Francia. Definiti “la piccola Sparta del Golfo” (definizione James Mattis, Segretario alla Difesa di Trump), gli Emirati con 10 milioni di abitanti, è il terzo importatore di armi del mondo, grandi acquirenti di mercenari, proprietari di una delle aviazioni militari più moderne del mondo, sponsor dei separatisti somali di Somaliland (la contestata base di Berbera) che si presentano come nuovi attori nel complicato gioco della prossima guerra per il controllo dell’imbocco del Mar Rosso, si allargano anche nel Mediterraneo da Bengasi (UAE è grande sponsor di Haftar) a Limassol (Cipro), partecipando a manovre congiunte con Israele e facendo infuriare Erdogan. Gli Emirati sono sospettati di torture nello Yemen (accuse di Human Rights Watch, Associated Press, Amnesty International) , in cui vorrebbero alla fine del massacro, prendersi una potestà su una enclave, dice al Jazeera (si ricorda -per correttezza- che AJ è Qatar, a cui gli Emirati hanno elevato sanzioni, questa estate). Il progetto farebbe paio con il controllo della costa somala, cioè Bab al-Mandab l’imbocco del Mar Rosso a cui si accede costeggiando Gibuti.

Sono comunque, e lo sono storicamente, dei gran birboni … perché ? Perché questa gente è tra i principali finanziatori dell’Isis e di al Qaeda, la via ricca, elitista e terrorista all’islam, dopo l’Arabia Saudita. Quelli che abbiamo visto picconare statue, mura, vestigia del passato profondo, “cultura” nel senso più storico ed umano ci sia, quindi il più vero. Fico. E noi che facciamo? Gli portiamo la Belle Ferronnière di Leonardo! Altro che società dello spettacolo, Matrix, 1984, qui siamo alla presa per il culo e poi ti sfottono pure. Da sputargli in faccia …

CRONACA N. 592

06.09 COM’E’ ANDATO IL VERTICE BRICS? Questo tipo di incontri ha tre livelli, il primo è quello delle dichiarazioni ufficiali che raramente mostrano dati interessanti, il secondo è quello degli incontri riservati, il terzo è quello degli incontri bilaterali. Di questi secondi due non si hanno mai notizie esplicite e la valutazione sulle relazioni vanno fatte tempo dopo, in base a fatti rilasciati nel medio periodo.

Partiamo dal format BRICS. Un quarto del Pil globale, poco meno della metà della popolazione mondiale, poco meno della metà del totale della crescita del Pil globale, i BRICS invenzione di un analista di Goldman Sachs nel 2001, non hanno omogeneità specifiche se non il comune interesse allo sviluppo di un mondo multipolare. Di questo, vorrebbero essere il gruppo promotore.

Il primo dato interessante è quindi quello che è stato chiamato il formato BRICS Plus, un formato allargato ad altri cinque paesi tra cui spiccano l’Egitto ed il Messico. L’Egitto è per posizione, tradizione e peso politico-militare-economico e strategico (Suez), uno di quei paesi di seconda fascia (la prima è quella dei tre USA – Russia – Cina) che svilupperà sempre più una propria strategia. Il Messico si sta riposizionando dopo che Trump ha rescisso i precedenti forti legami e guarda ad una possibile egemonia del Caribe. Al Messico, la Cina ha proposto un trattato di libero scambio nel più classico dei “gli ex amici del mio nemico sono miei amici”.

Il secondo dato è la dichiarazione finale, non per la retorica sullo sviluppo equo e sostenibile, la globalizzazione inclusiva, la proposta “Alleanza solare” sulle energie alternative, la sicurezza generale ed informatica, le dichiarazioni sulla Nord Corea ma per una messa la bando di alcune specifiche organizzazioni terroristiche equiparate ad Isis che si sospetta siano protette dal Pakistan. Le testate indo-pakistane non parlano d’altro. Il triangolo è tra Cina stretta alleata del Pakistan, Pakistan nemico mortale dell’India, India in rapporti alterni con la Cina tra cui le scazzottature avvenute al confine col Buthan, ampiamente pompate dalla stampa anglosassone come segnale dell’irredimibile incompatibilità tra i due giganti asiatici. La questione del Buthan si è frattempo sgonfiata ma l’inserimento di questa citazione anti-pakistana nella dichiarazione finale è una chiara vittoria diplomatica di Modi. Ma si potrebbe anche dire che accettandola, la Cina ha mostrato di voler salvaguardare i rapporti con Delhi, di voler “concedere” per rinforzare le relazioni. Del gran baccano che stanno facendo gli indo-pakistani su i loro media rimarrà probabilmente poco. La Cina investe 46 mld di US$ per lo sviluppo della BRI in Pakistan e non sarà certo questa dichiarazione (per altro doverosa e nell’interesse anche di Pechino visto che si citano anche gruppi dell’Afghanistan da cui partirebbero alcuni agenti della destabilizzazione del Xinjiang) a cambiare l’assetto della relazioni.

Infine, c’è il capitolo economico con l’inizio dei lavori per la sede della Nuova Banca per lo Sviluppo (con chairman indiano) con sede a Shanghai, una possibile alternativa alla Banca Mondiale. La questione fa parte del pacchetto della lotta per gli equilibri nella governance delle grandi istituzioni globali, concorrenza con WB, lotta ancora all’interno dell’IMF per riequilibrare i pesi di rappresentanza e di potere, riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU (far entrare l’india), rinforzo del G20 a scapito del G7, varo di una agenzia di rating BRICS. A margine, la notizia sul prossimo lancio di un future cinese sul greggio in yuan ma convertibile in oro, che potrebbe sparigliare i giochi dominati dal dollaro (e l’effetto delle sanzioni e dei blocchi commerciali, come ad esempio con l’Iran) a cui si aggiunge l’idea di studiare una nuova cripto valuta BRICS.

I (rari) commenti della stampa occidentale, non tengono conto che quella dei BRICS non è una alleanza specifica come il G7, la NATO ed altri atlantismi ma generale ovvero su un forte e strategico obiettivo comune: allargare i giochi. A lato si può anche continuare a litigare su questo o quell’aspetto, gelosie e rivalità permangono, non è una alternativa di “governo mondiale” ma la più genuina forma di cooperazione, ovvero fare assieme una cosa che è nell’interesse di tutti. Per demografia, economia e intenzione, la linea dei BRICS è il futuro, c’è poco da schizzar veleno …

CRONACA N. 591

05.09 EFFETTO BUKOWSKI. (Post inconcludente e di intrattenimento) Poeta inquadrato nella corrente del realismo sporco (bella definizione), C. Bukowski ebbe a dire che “… la gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga neanche il biglietto!”. Concordo.

In questi giorni, lo spettacolo non è Kim l’atomico ma l’insieme di reazioni del pubblico che assiste alla spettacolo che solo in parte è quello che è, più che altro è quello che alcuni ci dicono che sia. La sera prima del botto coreano, mi arriva un alert del WP che ho poi pubblicato col titolo “Al momento giusto”, in cui si dava notizia del febbrile affaccendarsi degli uomini del Presidente, al fine dal dissuaderlo dall’intenzione di recedere dal trattato di libero scambio con il Sud Corea. Cioè mentre da una parte manda flotte e portaerei davanti alle coste coreane e organizza caroselli navali interforze per gestire la complessa situazione, Trump minaccia di rinunciare a 43 mld di esportazioni e di infliggere un ammanco di 70 mld di altrettante al Sud Corea? Ma come? Il naturale primo alleato e pied a terre nel quadrante asiatico, minacciato di rottura delle relazioni mentre “rombo di tuono” fa sentire i suoi cupi presagi?

Da quando Trump ha annunciato di aver buttato nella spazzatura la faticosa trama tessuta pazientemente da Obama per creare una rete commerciale vertente su Washington (TPP), il gioco è passato dal commerciale al militare ma poi a ben guardare sembra che il commerciale abbia preso solo un’altra forma. Così prima tutti a scrivere articoli sul TPP, poi sospiro di sollievo perché Trump invece di Clinton significa NO TPP, poi gli stessi a scrivere articoli sulle bombe atomiche. Anzi, non gli stessi perché chi si occupa di cose economiche non coincide in genere con chi si occupa di cose geopolitiche, le cose in quanto tali sono tutte intrecciate ma poiché non lo sono i nostri sguardi disciplinari, ecco il caleidoscopio.

Non voglio sostenere alcuna tesi, mi andava solo di scrivere stamane e così passo ad un altro aspetto che sicuramente non c’entra niente. Due giorni fa mi appare una foto di Kim in una cameretta tutta rosa (era un orfanotrofio ma la foto è uscita assieme alla notizia della sua nuova paternità) in cui ride da pazzi, Kim ride sempre e “ride come un pazzo”, ovviamente. Di contro, scopriamo che Han Kwuang Son, il “bomber” nord-coreano che ha segnato tre reti col Perugia, pare sia solo la punta avanzata di una diaspora di calciatori dell’Impero del male, pronti a riversarsi in Occidente. Poi, girando su Internet, scopro diversi reportage di innocenti turisti italiani che sono andati in Corea del Nord che pare, abbia anche notevoli attrazioni naturali in cui tra l’altro -i soliti italiani- stanno costruendo “attrezzature”. Alcuni realisti sporchi, hanno altresì scritto doverosamente sulla montagna di risorse minerarie su cui siede Kim-il-Bomb. Mah, mi sembra tanto una strategia da soft power. Così si potrebbe chiosare che Kim espone hard power mentre si appresta a sviluppare soft power e Trump che ha grossi problemi di soft power (il disavanzo commerciale con la Sud Corea è di 27 mld), gioca anche lui con l’hard power e sono ormai mesi che se ne sta lì, imbronciato (Trump non ride ma è considerato pazzo anche lui), a contemplare “tutte le opzioni sul tavolo” .

Chissà cose c’è sotto, forse il banale realismo sporco ovvero giochi poco eleganti e netti che alle nostre sensibilità da realisti idealisti non piacciono. Meglio scrivere un bell’articolo sulla Terza guerra mondiale, lo spettacolo ha le sue regole, la coerenza delle nostre immagini di mondo anche, il dire una cosa e farne un’altra pure, approfittarsi della confusione un “must” per sopravvivere nei tempi complessi …

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