PRINCIPI E CONCETTI DELLA CULTURA DELLA COMPLESSITA’ Lo sviluppo dello sguardo complesso, pur nella sua breve storia, ha sedimentato una serie di nuovi concetti che qui analizzeremo brevemente:
Principio di causa complessa: ogni cosa o fatto è generato e la sua generazione è detta causa. L’intero sviluppo della cognizione umana si può dire esser stata una lunga ed ampia ricerca delle cause, dopo una lunga evoluzione dei meccanismi mentali atti a cercare e formalizzare la causa. La causa complessa, diversamente da quella semplice, è spesso plurale. Più che di determinazione si parla di codeterminazione. Questa pluralità è a volte talmente ampia e minutamente frazionata e/o dipendente dallo stato delle condizioni iniziali, da dare l’impressione non regni il principio di causa, ma quello del caso (sulla questione causa/caso si dovrebbe approfondire ma non può essere questa la sede). Il principio di causa complessa, reputa che tutte le componenti causative siano indispensabili e quindi le sue descrizioni sono spesso incomprimibili. Correnti causative possono provenire tanto dal vicino che dal lontano (nello spazio, come nel tempo, sincroniche e/o diacroniche), spesso intrecciate. Se la causa o le cause spingono internamente la cosa o il fatto a divenire altro, questo compimento deve poi fare i conti con le condizioni di possibilità, spesso esterne. Spesso è proprio questo “esterno”, l’ambiente in cui è immerso ogni sistema, a farsi causa di un processo, di un divenire. Il “nuovo” è il risultato di questa relazione tra spinta e limitazione (il contesto) che ne permette l’espressione entro i suoi limiti.
Con lo sguardo complesso si possono osservare anche effetti di causalità circolare (il feedback), in cui la causa produce l’effetto che retroagendo sulla sua causa la modifica, ricorsivamente. A volte, cose e fenomeni sono già potenzialmente causabili ma qualcosa ne impedisce l’espressione. L’espressione quando avviene, può dare l’impressione sia il risultato di un complesso causativo che prima non c’era, quando invece si è modificata solo la parte che ne impediva l’espressione. In questo caso la causa o le cause agenti in forma decisiva sono quelle che agiscono sulla limitazione, che agiscono sulle condizioni di possibilità, non sul processo principale. Più che una causa agente, in questo caso abbiamo una “causa permettente”.
Feedback: il feedback è ciò che rende i sistemi dinamici, adattativi ed in molti casi, intelligenti. Un imput-A entra o si genera in un sistema e ne modifica lo stato, ma il sistema trasmette a sua volta un contro-imput-B che modifica le condizioni di generazione o trasmissione dell’imput-A/2. Tale circuito è ricorsivo e l’imput-A/2 può, rispetto al precedente imput-A/1 essere potenziato (feedback positivo, cioè amplificato) o depotenziato (feedback negativo, cioè de-amplificato). Sistemi naturali basati su feedback ricorsivi sono l’organismo umano (ad esempio la funzione omeostatica od omeodinamica, ma più in generale tutti i sistemi biologici, sono basati su feedback negativi ricorsivi), le società umane e non, i sistemi ecologici. Tra i sistemi non naturali ci sono ad esempio i mercati dell’economia moderna in cui il feedback è il prezzo ed il più stilizzato e paradigmatico di tutti i sistemi ricorsivi, cioè il boiler dell’acqua calda. Il feedback è una specie di dialettica aperta (ricorsiva), senza sintesi.
Impredicibilità, non linearità, non precisione, indeterminazione: principio di causa complessa e feedback insieme hanno alcune importanti conseguenze epistemiche. I sistemi meccanici come molti altri progettati dall’uomo sono precisi e quindi sono morti. Sono morti nel senso che non si modificano, quindi non si adattano, quindi non sono vivi. Sono vivi i sistemi che oscillano continuamente entro una certa banda di possibilità, i sistemi che si modificano, si adattano al divenire. Coscienza ed autocoscienza (i sistemi dell’intelligenza) sono ad esempio due tipici sistemi adattativi a base di feedback e sistemi di cause complesse. I sistemi molto complessi (quelli composti da moltissime parti e moltissime interrelazioni, molte delle quali basate su feedback magari accrescitivi) sono impredicibili. “Se una farfalla sbatte le ali a Pechino, potrebbe formarsi un uragano a New York” conosciuto come “effetto farfalla”, dice che il sistema meteo è uno dei più complessi, impredicibili e caotici che si conosca. I feedback accrescitivi e decrescitivi, portano al fatto che le sequenze causative e i comportamenti di molti sistemi, non siano lineari, fatto che per noi si trasforma in impredicibilità. Sistemi basati su relazioni di feedback accrescitivi esponenziali come la corsa a gli armamenti o la semplice litigata che precede la rissa, il panico della folla, il mercato azionario (reazioni semplici, semi-automatiche, gregarie) tendono all’esplosione caotica.
Questi comportamenti complessi chiamano ad un atteggiamento che tolleri l’imprecisione se si vuole averne comunque una certa cognizione (Aristotele nell’Etica Nicomachea sosteneva: “è proprio dell’uomo colto richiedere in ciascun campo tanta precisione quanta ne permette la natura dell’oggetto“). Il linguaggio matematico idoneo a questa fenomenologia è la statistica, più che la certezza vige la probabilità, una possibile logica più idonea di quella classico-aristotelica è quella fuzzy, con valori di verità approssimati. Spesso la logica complessa si basa su un principio di inclusione e va in urto con quello aristotelico di esclusione. Del concetto di non linearità che contraddice l’antico credo del “natura non fecit saltus”, fa parte il comportamento dei quanti ed in genere di tutti quei sistemi che procedono a balzi, accumulando imput fino ad una certa e ben specifica soglia, solo raggiunta la quale, rilasciano l’output. Così funzionano anche i neuroni, alcuni processi evolutivi e così si manifestano le rivoluzioni.
Dalla fisica quantistica, la complessità prende anche il principio di indeterminazione per il quale precisare alcune cose porta di converso a doverne sfocarne altre e per il quale l’osservatore va incluso nella descrizione sapendo che l’osservazione modifica l’osservato (che in sé è inconoscibile). L’insieme di quanto detto porta lo sguardo complesso a ritenersi non determinista. La capacità di taluni sistemi di assorbire ed accumulare imput senza reagire immediatamente ad ogni perturbazione è detta anche resilienza, concetto che però ha anche a che fare con altre proprietà dei sistemi complessi che analizzeremo dopo.
Emergenza: abbiamo detto che ogni sistema è fatto di parti che a loro volta sono sistemi fatti di parti, che a loro volta… . Di questa grande cipolla sistemica, al momento non si conoscono i limiti, tanto nel micro (le ultime concezioni base del micro sono quella della controversa Teoria delle stringhe e la Teoria dei campi quantistici covarianti), quanto nel macro (dove l’ultima concezione è quella del pluriverso o dei multiversi o dei molti universi possibili o dell’universo che rimbalza o altra tra le varie disponibili). L’osservazione dice che ogni livello sistemico produce fenomeni che entrano a far parte del sistema superiore (se c’è) e che non sono riducibili alla natura delle parti che originariamente lo compongono, essi sono in genere frutto non delle parti, ma delle loro interrelazioni. In questo senso si dice che “l’intero è più delle sue parti” e ciò che di nuovo compare è detto: emergenza o fenomeno emergente (emerge come “nuovo” dall’interrelazione delle parti).
Ne segue che in complessità non valga l’idea di una catena di cause semplici che meccanicamente portano dal basso (livello inferiore) all’alto (livello superiore) e quindi non è possibile l’ingegneria inversa ovvero lo spiegare il livello superiore con la riduzione a ciò che accade al livello inferiore.
Questo porta la cultura complessa a ritenersi non solo non determinista, ma anche e soprattutto non riduzionista. Separare il grande in piccole componenti è la base del metodo galileiano e della filosofia cartesiana che la cultura complessa pone in revoca o quantomeno relativizza decisamente nella loro presunzione di verità di metodo unico, quindi assoluto.
Autoriferimento, autoorganizzazione, riflessività, ricorsività, ridondanza: i sistemi hanno una loro complessa vita interna. Questa mostra spesso segni di intelligenza, ovvero di capacità riflessiva, poiché la rete delle interrelazioni e gli anelli ricorsivi basati su feedback, ne cambiano struttura e funzionalità in ragione della necessità adattativa di cambiare stato. Sono anche in grado di auto-ripararsi o di rigenerare parti danneggiate oppure usare vecchi parti per nuovi usi. Quando sono parti di sistemi maggiori, non solo si modificano in ragione delle modifiche di questi ma a loro volta le loro modifiche possono produrre effetti sul sistema maggiore di cui sono parte. Alcuni sistemi possono avere relazioni funzionali privilegiate con altri sistemi e co-evolvono assieme. Alcuni svolgono la funzione catalitica per la trasformazione degli altri. Ridondanza e riflessività concorrono a dare a molti sistemi facoltà di resilienza che si può dire essere la capacità di partecipare attivamente al cambiamento, anche radicale, senza perdere l’originaria funzionalità. Ma esiste pur sempre un limite in questa dinamica adattativa e questo limite è detto -punto critico-, punto oltre il quale il sistema perde la sua struttura e degenera o cambia radicalmente stato come l’acqua che sotto una certa temperatura si solidifica e sopra una certa temperatura evapora.
Per evitare di approssimarsi pericolosamente al punto critico, i sistemi cercano di rimanere entro la banda di oscillazione consentita, rimangono cioè in equilibrio dinamico (più o meno lontano dall’equilibrio statico). A volte, cercano di ridurre la complessità entro limiti compatibili. Una forma antica di equilibrio sociale è ad esempio fornito dalla reciprocità. Il principio di reciprocità è presente in tre diversi tipi di etica: kantiana, cristiana, confuciana.
Ordine/disordine, entropia e tempo: Dall’ambito degli studi della fisica termodinamica sono pervenute conoscenze su i sistemi complessi assai rilevanti, in particolare rispetto al comportamento dei sistemi rispetto alla varabile energia di cui si nutrono per produrre ordine. Tutti i sistemi viventi seguono alcune costanti: una fonte esterna di energia (non infinita), l’utilizzo da parte del sistema di questa energia per produrre processi ordinati, il degrado progressivo dell’energia così usata sotto forma di scarti e dispersione. Da ciò discende l’irreversibilità della linea di azione di questi processi che va inesorabilmente dall’ordine (energia iniziale) al disordine (energia degradata) ed alla dissipazione (energia dispersa nel processo). Questo disordine finale è detto entropia ed i processi di questo tipo sono dunque la trasformazione irreversibile di energia in entropia negativa (in ordine, ad esempio nel vivente) con finale passaggio ad uno stato ultimo di entropia positiva. Anche qui, come nel feedback l’aggettivazione può tradire, “positivo” in questo contesto è in realtà in fatto che noi giudicheremmo “negativo”. Noi viventi siamo infatti isole di entropia negativa (cioè di vita = ordine) che tende a divenire entropia positiva (cioè morte, dispersione molecolare = disordine).
L’intero sistema che chiamiamo economia moderna è una megamacchina termodinamica soggetta al Secondo principio della termodinamica e quindi produttrice netta di entropia (positiva) in un sistema finito ed è quindi da intendersi come sistema entropizzante. Ne discende che non potrà funzionare così com’è all’infinito perché l’ambiente finito in cui si trova, ad un certo punto gli porrà il limite. In molti cominciano a pensare che questo momento sia arrivato. La concezione complessa in osservanza alla conoscenza fornita dalla termodinamica ritiene il tempo unidirezionato ed irreversibile (detta “freccia del tempo”).
L’unidirezionalità ed irreversibilità del tempo è in genere rifiutata dalla cultura occidentale (su basi psicologiche irrazionali) nel suo costante prometeico sforzo di negare la morte, ovvero l’entropia finale di ogni sistema ordinato, cioè vivente. Cioè noi. L’economia neoclassica ovvero il pensiero dominante la disciplina le cui disposizioni ordinano le principali strutture del nostro vivere associato (stato, società, vita individuale) da più di un secolo (esempio luminoso di conservatorismo a-storico) è meccanicista, newtoniana, formale, dogmatica, statica, ideologica. Una delle poche discipline, se non l’unica che io conosca, che non si è dotata di una epistemologia ovvero di una critica alle sue stesse forme di pensiero. Chi con coraggio lo ha fatto, come N. Georgescu-Roegen, è stato condannato all’ostracismo.
Altri principi e campi specifici in ordine sparso possono essere citati: la teoria dei campi quantistici, l’ecologia, il principio ologrammatico, i frattali, la teoria delle reti, la teoria del caos e quella delle catastrofi, le teorie evolutive saltazioniste, le descrizioni a grana grossa o a grana fine, il già citato olismo, il costruttivismo, il principio di differenza e quindi per certi versi lo strutturalismo, la teoria della complessità computazionale, i progetti di Artificial Intelligence e Life, tutte le svariate applicazioni della teoria dei sistemi, la teoria dell’informazione, la prima e seconda cibernetica, l’epigenetica, il pensiero delle forme (Gestalt), le varie applicazioni del pensiero sistemico praticamente in tutte le discipline etc. .
Diciamo in linea generale che se l’immagine di mondo occidentale classica risulta formata dal triangolo dell’Uno, del Semplice e dell’Assoluto, quella della complessità si orienta sul molteplice in divenire, del complesso, del relativo a… . Da qui una carta resistenza ad assorbire la cultura complessa, nei canoni della cultura classica, umanista o scientifica, tradizionale e dominante (ma anche di quella critica, purtroppo). La critica alla versione dominante del pensiero è l’antitesi ad una tesi che però nell’ insieme, condividono spesso gli stessi assunti di base. La cultura della complessità è invece in radicale alternativa proprio su gli assunti di base poiché si fonda su una diversa ontologia. La fondazione di una possibile ontologia per la filosofia della complessità, potrebbe esser data dal concetto di relazione (essere una relazione, essere in relazione). Una ultima nota va infine posta sul fronte metodologico:
Multi ed inter disciplinarietà: il sapere premoderno era per lo più indiviso ma fortemente condizionato da dogmi metafisici o religiosi, nonché relativamente poco approfondito su molte questioni, quindi “ristretto”. Il sapere moderno inizia con la rivoluzione galileiano-copernicana, con F. Bacon e con R. Descartes. Progressivamente, con l’evolversi delle diverse forme di sguardo scientifico, con il diffondersi di un sapere laico, con lo stesso ampliarsi della complessità moderna, il sapere tese a frazionarsi. L’esplicito invito a copiare l’efficienza della specializzazione realizzata nella nuova divisione del lavoro, segue l’esaltazione della famosa “fabbrica degli spilli” proprio all’inizio della Ricchezza delle nazioni di A. Smith. Mentre la scienza segue la sua evoluzione ad estuario con i progressi medici, con la chimica che prende il posto dell’alchimia, della geologia, della biologia ancora lungo il XIX° secolo, il crollo della metafisica dopo Hegel, lascia il campo al fiorire di quelle che W. Dilthey chiamerà scienze dello spirito, poi scienze umane, oggi scienze sociali: geografia, scienze demo-etno-antropologiche, archeologia, sociologia e psicologia, scienze politiche e del diritto, economia, linguistica.
Queste si emancipano dalle costruzioni metafisiche e si pongono in derivata del sapere dell’uomo sull’uomo (filosofia e storia), ma con lo sguardo rivolto all’oggettività scientifica. Storia, arte, filosofia e letteratura rimangono le discipline umanistiche. La stessa filosofia si pluralizza a seconda dei propri oggetti (logica, ontologia, diritto, storia, linguaggio, scienza, etc.). Lungo il XX° secolo, il processo di differenziazione, specializzazione ed affinamento del metodo ed anche degli strumenti, favorisce la quanto più ampia divisione di sguardi sempre più precisi, sempre più profondi ma inevitabilmente, sempre più limitati. Ma soprattutto, tra loro sconnessi. La divisione riflessa nelle accademie, nelle pubblicazioni, nelle comunità epistemiche, rinforzata dallo sviluppo di linguaggi tecnici sempre meno traducibili, acuisce la frammentazione in molti casi, ormai, solipsistica. A loro volta, i saperi scientifici diventano unificati solo a valle, per l’applicazione tecnica prima, militare spesso, industrial-commerciale poi. I centri del sapere sono dove c’è il centro del sistema occidentale, nella cultura anglosassone in primis, negli Stati Uniti d’America in concreto.
Lo sguardo complesso si propone di creare una nuova varietà che rompa il monismo verticale dei diversi sguardi disciplinari. Non ne contesta la produttività ed utilità, ma la pretesa di assoluto. Ai tanti sguardi verticali, vanno intersecati anche sguardi orizzontali, sguardi che paghino le leggi di indeterminazione per le quali saperi più ampi saranno certo meno precisi ma permetteranno di inquadrare oggetti o porzioni di tempo altrimenti invisibili al microscopio ultra-specializzato. Se la complessità è tante cose tra loro interrelate in una forma dinamica, il sapere complesso è dato da altrettante discipline tra loro in interferenza costruttiva. Tutti i saperi sono pensati umani, l’umano deve riappropriarsene come fossero parti di un solo pensato che li intreccia assieme. Ciò costituisce il programma di una possibile filosofia generale della complessità, il pensiero generale sulle cose che sono nel loro intero.
Questo sito è dedicato dall’autore, alla ricerca di questa filosofia.
LINK:
W. Weaver: articolo “Science and Complexity” su American Scientist del 1948: http://people.physics.anu.edu.au/~tas110/Teaching/Lectures/L1/Material/WEAVER1947.pdf
P.W.Anderson (Nobel fisica 1977): l’articolo originale di Science 1972 “More is different” che sancisce il paradigma non riduzionista: http://robotics.cs.tamu.edu/dshell/cs689/papers/anderson72more_is_different.pdf
Santa Fe Institute: http://www.santafe.edu/
Un paper di Chris Lucas: http://www.calresco.org/lucas/quantify.htm fondatore e direttore di ricerca del programma CALResCo: http://www.calresco.org/ UCLA – Human Science and complexity: http://eclectic.ss.uci.edu/~drwhite/center/cac.html
Un contributo italiano: http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/pietro-greco/alla-ricerca-della-complessita/aprile-2013
Edgar Morin: un pdf UNESCO “Seven complex lessons in education for the future” per UNESCO 1999 http://unesdoc.unesco.org/images/0011/001177/117740eo.pdf
Mauro Ceruti e Giorgio Parisi dialogano sulla Complessità in cinque video introduttivi: http://www.youtube.com/watch?v=brUbPsB22F8&list=PL3b615CgMOm1sNHP7ErOjHmXBZFdWXmEv
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