Complessità [1]

LA COMPLESSITA’ IN TRE PUNTI

  1. Ogni cosa o fenomeno è descrivibile come un sistema. Un sistema è un insieme di parti in interrelazioni che ha una coerenza interna maggiore di quanto non abbia col suo esterno.
  2. Ogni sistema ha interrelazioni col suo ambiente/contesto e spesso anche con altri sistemi con cui può formare sistemi di sistemi.
  3. Ogni cosa o fenomeno esiste in un tempo e per un tempo limitato.

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In questa pagina di presentazione analizzeremo lo “sguardo complesso” e le sue ragioni. Questo blog ospita riflessioni fatte da un autore che utilizza appunto questo tipo di sguardo. Nella seconda pagina del menù a tendina, esporremo alcuni principi base sviluppati nella “cultura della complessità” che ha ormai qualche decennio di vita.

CHE COS’E’ LA COMPLESSITA’?
Non esiste una definizione condivisa ed accettata da tutti, di questo concetto. Per noi, è un modo di vedere nel senso di conoscere (è quindi una teoria della conoscenza), stante la convinzione che si sia noi, con il nostro intelletto, a determinare cosa la cosa è. Determinare, non creare. In questo senso, “complesso” è il tipo di sguardo cognitivo con il quale orientiamo le indagini compiute dal nostro intelletto. Se tale è lo sguardo, tali risulteranno le strutture del mondo alle quali si chiederà, se e quanto corrispondono a questa descrizione.

IN COSA CONSISTE?
La forma privilegiata che si usa per dare a cose ed eventi lo statuto di enti complessi è il sistema. Un sistema è un insieme di parti tra loro in interrelazione. Questo aggregato mostra in genere maggior coerenza interna di quanto non abbia con il suo esterno. Per -coerenza- s’intende l’insieme di informazione scambiata, un sistema scambia più informazione internamente di quanto non faccia con l’esterno. E’ questa coerenza a connotarlo come sistema e non come semplice aggregato. Ogni sua parte componente, è a sua volta inquadrabile come un sistema ed ogni sistema inquadrato a sé fa sempre parte (in interrelazioni o meno con altri sistemi) di un sistema più ampio che funge da contesto. Un sistema minore, inoltre, può essere parte di più sistemi maggiori contemporaneamente. Ogni cosa è quindi un sistema, scomponibile in sistemi ed essa stessa parte di sistemi maggiori, così di ogni cosa si può predicare, a seconda del nostro punto di vista (interno o esterno), l’unità e la molteplicità. Ciò vale sia per l’universo esterno il/la nostro/a corpo-mente, sia per quello interno, per il materiale e per l’immateriale.

Questi fatti ingenerano la convinzione “olistica” che “tutto sia connesso con tutto” il che, in linea di principio, è vero. Ma, a volte, questa osservazione è relativamente significativa poiché ogni singola parte risponde alla logica del “suo” sistema e le interrelazioni esterne al sistema avvengono tra sistemi (di cui quelli di prossimità hanno in genere maggior importanza relativa) e non tra parti. La convinzione olistica allora, va considerata uno sfondo.

Viceversa è invece molto significativa l’osservazione per la quale nessun sistema è mai in sé per sé, ossia “isolato”. Oltre ad essere connesso con altri sistemi, ogni specifico sistema (composto di parti in interrelazione) è un testo che trae molto della sua essenza, funzionalità, significanza e condizione di possibilità di essere, da un contesto in cui è immerso. Ogni sistema è collocato in uno spazio ed in un tempo. L’esistenza di un sistema è sempre una continua ri-collimazione tra la logica funzionale tutta interna [data dall’organizzazione che è la rete delle relazioni e dalla struttura che ne è una tra le possibili attuazioni (Minati 2010)] che lo spinge ad essere e le condizioni di possibilità esterne che gli permettono di essere. Quando elementi di usura o delle parti o delle interrelazioni interne al sistema e/o quando le condizioni di possibilità esterne al sistema subiscono repentini e drastici cambiamenti di stato, il sistema si trova in una crisi di compatibilità, una crisi adattiva. Alcuni sistemi sono stabilmente in una sorta di crisi adattiva a bassa intensità, infatti mostrano come caratteristica ontologica la facoltà di auto-organizzazione, auto-riparazione, auto-creazione, in ragione della ricerca continua di compatibilità tra la forma e funzionalità del loro interno (resilienza) e ciò che gli è fuori. Questi sono propriamente i sistemi biologici.
Prima o poi però o per crisi originata dall’interno o dall’esterno, ma più spesso per fallimento adattivo tra interno ed esterno, i sistemi cessano di essere, si rompono le interrelazioni che li costituiscono e le parti sono libere di disperdersi fino a nuove associazioni.

LA FUNZIONE TEMPO.
Ogni ente sembra svolgersi in un tempo più o meno lungo nel quale esiste, prima o dopo del quale non esisteva o non esisterà più. Ogni sistema è collocato lungo un tempo. Ogni ente ha un inizio (condizioni iniziali), una storia ed una fine, questo è il suo proprio tratto di tempo in cui esiste, un tratto che è unidirezionato ed irreversibile. Ma l’ente è anche fatto di tempo, accumula i suoi cambiamenti lungo la sua stessa durata che diventa la “storia” di quel sistema.

Concludendo quindi questa prima parte di definizioni di quello che chiamiamo “sguardo complesso” e cambiando il termine “parti” in “varietà” poiché maggiore è l’indice di complessità laddove queste parti sono non solo numericamente molteplici ma anche tra loro diverse, cioè varie (reciprocamente differenti) e dando al concetto di contesto il termine generico di “ambiente”, la nostra definizione diventa:

Varietà in interrelazioni formano sistemi

immersi in un ambiente

per un certo tratto di tempo che è la loro durata.

COSA INTENDIAMO QUINDI CON COMPLESSITA’ E SGUARDO COMPLESSO?

La complessità è quindi un modo di guardare il mondo, come se questo fosse fatto di sistemi. Questi sistemi hanno sempre collocazione spazio-temporale. L’indice di complessità di un sistema è dato dal variare delle quantità e qualità delle varietà delle diverse parti del sistema (quantità di ogni singolo componente, quantità delle loro differenti tipologie, qualità della loro costituzione e delle reciproche differenze), dalla quantità e qualità delle interrelazioni tra le varietà  e dalle relazioni testo-contesto ( tra sistema ed ambiente e/o tra sistema-altri sistemi ed ambiente). La complessità di un ambiente-contesto è data dalla stessa quanti-qualità dei sistemi che lo compongono, dalle loro interrelazioni, dagli scambi e dalle influenze che si registrano tra la matrice sistemica e il tutto che la contiene.

Questa può intendersi una definizione base o di primo livello (standard). Vi sono poi molte manifestazioni di complessità che comportano suddivisioni di livello (micro-meso-macro), differenze o identificazione tra struttura e funzione, proprietà emergenti, circuiti di retroazione positivi o negativi, simmetria e rottura di simmetria, coerenza, gerarchia dei livelli, metastabilità, resilienza etc. .

La definizione di “organizzazione” e “struttura” riferita a Minati è inclusa in: a cura di L. U. Ulivi – Strutture di mondo – Bologna, Mulino, 2010, vol. I che insieme al vol II – 2013 in cui si trovano ottime letture antologiche-multidisciplinari su questo piccolo ma con grandi ambizioni, universo gnoseologico

[Chi scrive, aderisce alla Rete della Complessità di cui troverete maggiori informazioni qui.]

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FILOSOFIA DELLA COMPLESSITA’ IN BREVE . Cosa ha di specifico una filosofia ordinata dal paradigma della complessità? Il punto più importante non è come di solito si pensa nell’epistemologia, sebbene gran parte dello sviluppo di questo pensiero sia avvenuto proprio nell’ambito della riflessione gnoseologica, ma nell’ontologia. La definizione di ente secondo una impostazione complessa è basata sul concetto di “essere una relazione”: 1) ogni ente è un sistema di relazioni interne; 2) ogni ente è volto ad avere relazioni esterne. Ogni ente emerge da un sistema di relazioni e si pone come punto da cui dipartono relazioni. Il tempo dell’essere un sistema è la storia di queste interrelazioni e di come queste interrelazioni modificano il sistema.

Il concetto di relazione è stato ostracizzato dalla metafisica delle origini. Platone pensa ad una contrapposizione dialettica tra l’Uno ed il Molteplice, ma in realtà non si dà alcun Uno che non sia Molteplice al suo interno. La molteplicità della parti in relazione è proprio ciò che determina un Uno, l’uno emerge da queste reti di relazioni come unità coerente. Le Idee sono statiche ed eterne ma se ogni ente è dedito a relazioni esso non potrà mai essere identico e per sempre ma al contrario, sarà cangiante e mutevole pur rimanendo Uno, almeno sino a che avrà facoltà di essere, cosa che ha un limite per tutti gli enti considerabili.

Aristotele nella sua definizione di sostanza, elenca cinque caratteri distintivi di cui uno “avere una esistenza a sé stante, ossia poter sussistere separatamente senza dipendere da altro” (Categorie nell’Organon e Metafisica), esclude per principio la relazione esterna dell’ente con altri enti e con il contesto. In realtà, con Aristotele, la faccenda è ben più complicata di quanto non sia già di per sé complicato arrivare ad una condivisa interpretazione del suo concetto di sostanza. Molte cose del suo pensiero, dalla trattazione delle parti, al concetto di forma, alla sua cultura naturalistica e biologica potrebbero aprire a diverse analisi su i rapporti tra il suo pensiero e quello della complessità. Di base però, Platone ed Aristotele e poi  la tradizione che li ha interpretati e trasmessi, dovendo strappare l’essere dal divenire per attribuirgli il crisma di “verità”, hanno per lo più reciso i fili delle relazioni, viste come in Leibniz, premesse per il disordinamento dell’essere. Noi pensiamo siano premesse forse per disordinare le nostre limitate facoltà di pensiero, ma l’essere in quanto tale è ontologicamente intrecciato col concetto di relazione e questo è un fatto, empiricamente innegabile.

Da questa biforcazione originaria sul concetto di essere, nascono percorsi di pensiero differenti. La nota divergenza epistemologica con i paradigmi della scienza e della filosofia del XVI° e XVII° secolo (da Descartes a Newton e seguenti) origina in realtà da questa differenza ontologica che rimane il punto più radicale di differenza e resistenza che la mentalità occidentale offre, allo sviluppo di una immagine di mondo complessa.

Se dunque il presupposto fondante è nell’ontologia sistemica, lo sviluppo gnoseologico sarà aperto quantomeno ad approcci che tentino di dare un’altra dimensione al nostro sguardo. Se nel Medioevo, la formazione “alta” era scandita dai metodi del trivium e del quadrivium e se Umanesimo e Rinascimento si volsero all’abbraccio totale dello sguardo olistico, la Modernità ha invece moltiplicato gli sguardi scomponendoli in varie discipline, raggruppate nelle tre famiglie delle scienze dure, delle scienze umane o sociali e del sapere umanistico storico-filosofico. Questi sguardi che portano a sempre più minute specializzazioni, hanno prodotto molta conoscenza anche di tipo tecnico e pratico alla base dei nostri stessi modi vita. Con una filosofia della complessità, si vorrebbe apporre sopra a questa serie di linee verticali, linee orizzontali e diagonali per fare tessuto. Gli approcci interdisciplinari possono mettere in dialogo le discipline adiacenti, quelli multidisciplinari possono ricorrere a più discipline per osservare oggetti e fenomeni (penosa è la collezione incoerente di esperti che tentano di diagnosticare il mondo complesso -per non parlare dell’uomo-, ognuno convinto che il mondo è solo economia o solo politica o solo religione o solo geografia o solo storia, ognun di loro basato su presupposti e metodi non dialoganti) di grande complessità. Gli approcci transdisciplinari sono invece dati dal percorrere il dentro di diverse discipline, ad esempio riscontrando il ripetersi di pattern studiati in complessità o anche per via delle comuni nature sistemiche. L’approccio complesso non rivendica alcuna esclusiva o sostituzione del metodo moderno ma la sua pluralizzazione. E’ nel dialogo, nell’integrazione e discussione tra apporti specialistici e generali che  la nostra conoscenza deve trovare un livello più tridimensionale di capacità di leggere gli enti ed i fenomeni. Complesso deriva da intrecciato (plexus) assieme (cum), la conoscenza complessa tenderà ad intrecciare assieme i vari sguardi disciplinari mantenendo anche uno sguardo generale. Per sua stessa definizione quindi, sarà sempre impresa collettiva.

PERCHE’ SI PROPONE DI GUARDARE IL MONDO

COME SE- QUESTO FOSSE FATTO DI SISTEMI?

jelly6Vediamo di trovare “qualche” sistema osservando il mondo, dentro e fuori di noi. L’atomo ben lungi dal rivelarsi privo di divisione come il suo etimo suggeriva, è un sistema scomponibile. Composto di svariate varietà (particelle) in interrelazione (le forze fondamentali), è aperto all’interrelazione con altri atomi per via del legame elettronico. L’interrelazione tra sistemi atomici dà vita alle molecole, l’interrelazione tra molecole dà vita ad ogni sostanza, animata o inanimata. I sistemi molecolari organici detti nucleotidi danno vita ai geni, i geni tra loro in interrelazione danno vita al genoma. Sempre le molecole organiche danno vita alla cellula (essa stessa un sistema), l’interrelazione di queste ad organi ed organismi. Un particolare tipo di cellula detta neurone è la varietà che tramite interrelazioni chimico-elettriche dà vita ai sistemi nervosi e cerebrali. Les_fibres_de_la_mati_re_blancOrganismi sistemici possono essere sia vegetali che animali. Gruppi di organismi in interrelazione (piante, animali, esseri umani) danno vita a vari tipi di sistema: una piantagione, un bosco, una foresta, un orto, un branco, una mandria, un banco, uno sciame, uno stormo, un clan, una tribù, un popolo. Risorse minerali, gas, liquidi come il ciclo dell’acqua sono sistemi più o meno semplici o complessi, così come lo è l’atmosfera. Sistemi organici ed inorganici danno territorialmente vita ad ecosistemi, tutti gli ecosistemi sono tra loro interconnessi nell’ecosistema planetario. Villaggi, paesi, cittadine, città e metropoli tra loro in interrelazione in un sistema geografico-storico-linguistico, danno vita a stati e nazioni; gli umani che vi sono compresi sono un popolo. Ma sistemi umani sono anche le orchestre sinfoniche, le squadre di calcio, i partiti politici, i sistemi della produzione e scambio economico (sistemi economici), le aziende, le culture, le civilizzazioni, le religioni, le alleanze militari, le unioni sovranazionali.

Il nostro pianeta è un sistema che fa parte del più ampio sistema gravitante intorno al Sole. Il nostro sistema locale fa parte di un sistema galassia e la galassia di un gruppo di galassie. sistema%20solareL’intero universo conosciuto è un sistema. E’ un sistema la psiche umana, l’inconscio, la coscienza e l’autocoscienza. Ogni lingua è un sistema fatto di parti (semantica) e di regole di interrelazione (sintassi). Il discorso è un sistema per scambiare significati e i significati sono sistematizzati in pensieri. L’insieme dei nostri pensieri, credenze, regole logiche, dà vita alle nostre immagini di mondo di cui esistono versioni individuali-private e collettive-pubbliche. La logica è il regolamento del sistema che compone significati. Linguaggi musicali, cromatici, di forma, di materiali, di proporzioni atti a provocare sensazioni sono arte ma anche sistemi. Scienza, arte, religione, filosofia sono sistemi mentali entro i quali opera il pensiero umano per cercare di dare ordine al caos circostante L’essere umano è un sistema complesso che tramite l’interrelazione umana dà vita sistemi sociali, uniti da interrelazioni amicali, affettive, sessuali, intellettuali, politiche, economiche, parentali, religiose, culturali, tradizionali…

Come abbiamo visto, non c’è “qualche” sistema, tutto è sistema o quantomeno descrivibile come tale, sia nel senso che “il Tutto” (tutto ciò che c’è, l’Essere) è un sistema (un sistema di sistemi in interrelazione), sia nel senso che ogni cosa o evento (ente) che decidiamo di mettere a fuoco, può esser descritto come un sistema. L’essere umano è un sistema fisico-chimico-biologico-cognitivo-sociale-storico a seconda del livello di descrizione che adottiamo. Ogni sistema è connesso ad uno o più altri sistemi, ci sono sistemi le cui parti sono fatte da enti che possiamo considerare unità (se li guardiamo da fuori) o molteplicità (se li guardiamo nel loro dentro), fatti di relazioni e dediti a interrelazioni. Il fatto che ogni cosa possa essere divisa o riunita con altra era conosciuta da Platone e da lui concettualizzata come dialettica (diaireson – synagogon), lo stesso può dirsi per la concezione sistemica: “ogni cosa è uno di parti che sono uno e partecipa come parte ad un altro uno”. In questa ottica, nella concezione sistemico – complessa non esistono dicotomie tra monismo / dualismo / pluralismo, ma complementarietà. Ogni sistema è Uno e Molteplice. reti-biologicheAltresì, ogni sistema è ed al contempo diviene (anche i sistemi minerali, sebbene molto lentamente), il suo problema ontologico è proprio come mantenere l’essere nel divenire. Se il sistema è la forma, il sostrato può essere materiale o ideale. Nella concezione sistemico-complessa, più che “la” causa, compaiono “le” cause. Ogni sistema mostra una sua relativa pervicacia ad essere, e questo si può dire essere il suo fine. Al momento, la nostra conoscenza non ci permette di dire se questa scala dell’essere si ferma da qualche parte, sia nel suo immensamente grande (sistemi di universi tra loro in interrelazione), sia nel suo immensamente piccolo (che al momento si concentra sulle ipotesi delle stringhe e della Teoria quantistica dei campi). Ciò comporta che per ogni livello di descrizione di un sistema noi si voglia dare, quel sistema sarà sempre incluso in un sistema più grande che possiamo anche chiamare “ambiente” e sarà formato da sottosistemi componenti.

600px-Julia_set_%28highres_01%29Qual è dunque il vantaggio di ragionare in termini di sistema? Sembra quindi che la descrizione “sistema” sia universalizzabile, valga per qualsiasi ente noi si consideri, tanto nell’universo materiale che in quello immateriale, lo si intenda statico o dinamico, uno o molteplice, più semplice o più complesso. Questa non è una innovazione da poco poiché rende necessaria, a partire dall’ontologia, della rifondazione di tutta la nostra metafisica e del modo ciò con cui pensiamo il pensabile e conosciamo il conoscibile, la gnoseologia o epistemologia. Si pensi ad esempio al concetto di sostanza ed al fatto che questo sembra escludere non le parti ma le relazioni esterne. Dal momento poi, che i sistemi hanno loro caratteristiche e comportamenti che cominciamo a conoscere e che sono riassunti in quella che chiamiamo “cultura della complessità” (di cui daremo una sintetica mappa nella sezione Complessità-2 del menù a tendina), ne segue che ragionare in termini di sistema sembra essere una via che ci porta utile e nuova conoscenza sul mondo. E’ una di quelle reti che gettiamo sul ciò che è per trarne informazioni utili al nostro adattamento e sembra che questa rete raccolga effettivamente dei fatti empiricamente e concettualmente riscontrabili, in modi nuovi e più ampi, rispetto a quanto siamo stati abituati a fare dalla tradizione filosofica occidentale.

LA CONDIZIONE COMPLESSA CONTEMPORANEA.

CrescitaPopolazioneDal secolo scorso, nel mondo sono aumentate di circa quattro volte le unità umane (gli individui) che lo compongono. Sempre di quattro volte, sono aumentati i sistemi stato-nazionali del pianeta nei soli ultimi 70 anni. Altri sistemi non statali come le organizzazioni multilaterali (ONU, WB, IMF e molte altre), ONG ed altre forme di cooperazione, multinazionali produttive o banco-finanziarie, unioni di libero scambio, hanno ulteriormente affollato l’ambiente.  E’ stata questa, una vera inflazione di varietà. Le reti tra le comunità umane si sono saldate con interrelazioni materiali ed immateriali: strade, treni, aerei, navi e porti, strade elettroniche, satellitari, reti ed onde per telecomunicazioni, scambi di persone, viaggi, migrazioni, relazioni religiose, culturali, commerciali, finanziarie e valutarie. E’ questa una inflazione di interrelazioni in quantità e qualità. Al momento la situazione è quella di una proliferazione dei sistemi particolari ed un formazione incerta e contradditoria di un mega-sistema generale da cui tutti i sistemi particolari pensano di poter attingere senza prendersene la responsabilità. Il nuovo sistema planetario formato di sistemi politico-militari-economico-culturali che chiamiamo “Stati” ha parzialmente in comune un nuovo sistema economico interrelato, in parte un sistema culturale, in buona pare un sistema finanziario, in toto un sistema ecologico. I vari sistemi che vengono a questa rete di interrelazioni sono a volte, molti disomogenei. Questa è la tipica descrizione di un fenomeno complesso che viepiù accresce la propria complessità ogni giorno di più. Questa condizione è relativamente recente (un secolo ma per molti aspetti anche meno) almeno per il grado con il quale si manifesta, grado che oltretutto tende ad incrementarsi. Questa recente inflazione di complessità lambisce oggi i limiti del contenitore in cui è ospitato il fenomeno umano (la Terra) e tende ad aumentare la propria pressione verso questi limiti data la previsione certa del raggiungimento di un prossimo livello quantitativo a 10 miliardi di individui (ed a seguire altri nuovi soggetti che organizzano il vivere associato). Rilevante è altresì il fatto che tutto ciò si è compiuto e si sta compiendo in un tempo molto breve, un secolo o forse la metà se prendiamo i fenomeni nei picchi della loro esplosione . Poiché la complessità generale è afflitta anche da problemi di auto-adattamento (come le parti e le relazioni si riconfigurano sistematicamente nel processo della propria inflazione quanti-qualitativa), il tempo breve, limita i processi auto-adattivi.

Questa nuova condizione, la condizione complessa, è per molti ancora invisibile. Il primo sintomo di disadattamento è continuare a replicare le condizioni di ieri (sociali-politiche-economiche-culturali) in un oggi che si è drasticamente modificato. In questa condizione pericolosa si trovano soprattutto le società occidentali. Queste erano il 30% dell’umanità solo un secolo fa, oggi tendono al 10% di una umanità quattro volte più grande. proiezioni-della-popolazionIl loro vantaggio culturale, sociale, politico, economico-finanziario e soprattutto militare era ragione del loro privilegio planetario. Oggi questo vantaggio tende ad annullarsi o a relativizzarsi. La forma stilizzata del loro incontrastato dominio gerarchico tende ad appiattirsi in un inedita configurazione multipolare, assai relativa e tutt’altro che stabile. L’ordine a due (post-bellico) o ad uno (post-’89) deve ora ritrovarsi tra molti. Impensabile ed irrealistico pensare di prorogare la stilizzata gerarchia degli ultimi secoli che chiamiamo “modernità occidentale”. Impensabile mantenere uguali a se stessi i nostri sistemi sociali basati sull’ordinamento del principio economico, abbinato ad una forma di gestione politico-elitaria impropriamente detta “democrazia”, poiché tali sistemi su quel privilegio si basavano. Se nel XIX si produsse la Grande divergenza tra Occidente e resto del mondo, la fase nella quale siamo per ora a gli inizi, la si dovrebbe pensare in termini di Grande convergenza.

Tutto ciò retroagisce ormai da tempo (almeno da una cinquantina d’anni) sulla stabilità e sul benessere delle nostre collettività, producendo “crisi” molteplici di cui si danno le più svariate interpretazioni. Una corposa manovra ritardante venne messa in pratica dal centro del sistema occidentale (gli USA) già dagli anni ’70. Effettivamente gli esiti contrattivi di questo nuovo stato di cose vennero dilazionati ma si sono, inevitabilmente riproposti in forme assai virulente, a partire dall’inizio del nuovo millennio, con inedita intensificazione dal 2008-2009. L’attuale disordine economico, la sclerosi ideologica che accompagna le politiche monetario-finanziarie, l’indifferenza alla fenomenologia della sempre più vasta crisi ecologica, il riproporsi di ipotesi di guerre non più locali e le frizioni geopolitiche di grandi dimensioni, la crisi della leadership, il trionfo di formalismi scolastici in filosofia, una certa deriva tecno-scientista che s’illude di domare la complessità (e la Natura) piuttosto che adattarsi, la polarizzazione sociale ovvero la comparsa di indici di diseguaglianza di altri tempi e la spinta a semplificare una democrazia ritenuta vieppiù un ingombro, sono tutti contro-fenomeni della sclerosi con cui reagiamo alle mutate condizioni. In Europa poi, esiste un dramma da smarrimento specifico poiché non sappiamo più neanche in che forma dovremmo organizzare le nostre società: tornare a gli Stati-nazione nati sei secoli fa o passare ad entità di livello superiore stante che non si ha la più pallida idea di come fare una cosa così complessa, ammesso sia anche solo e semplicemente possibile?

Il ritardo con cui condivideremo una diagnosi corretta, sulla nostra crisi ripiena di crisi, ritardando la diagnosi, ritarderà la prognosi e l’azione adattivo-trasformatrice. Poiché siamo già  qualche decennio in ritardo su un lavoro di profonda e radicale revisione necessaria delle nostre strutture sociali, politiche, culturali, economiche, maggior ritardo darà minori probabilità di riuscire a sviluppare una strategia adattativa efficace. Il prezzo finale del disadattamento si presenterà sotto forma di repentino collasso, la “fine spaventosa” o sotto forma di più lenta inedia contrattiva di uno “spavento senza fine”. In entrambi i casi, senza una consapevole messa in discussione generale del nostro modo di stare al mondo e del modo in cui lo pensiamo, le vecchie strutture dell’ordine si irrigidiranno progressivamente poiché quello che tenderà a manifestarsi sempre più sarà –disordine-. peste_nera_storia_cause_sintomi_clip_image002Questo preannuncia violenza (dalla guerra civile alla guerra mondiale), paranoia da controllo, negazione ostinata, manovre diversive di rimozione o di falsa interpretazione e giustificazione, dogmatismo, tirannia, etc. . Quando fiuta il pericolo, un sistema biologico, s’ irrigidisce.

Questo irrigidimento porta ad una esasperazione di ciò che ci sembra la nostra tradizione quando invece sarebbe richiesto uno scarto d’innovazione. Nel Medioevo, ad esempio all’indomani della epidemia di Peste di metà ‘300 si era soliti ad esempio dire “lo vuole Dio, preghiamo di più, pecchiamo di meno”, oggi “lo vogliono i mercati, produciamo di più, costiamo di meno”, cambiano i fattori ma la logica è la stessa che dire “lo vuole questo tipo di sistema”, questo sistema non funziona più ed allora dobbiamo fare quello che abbiamo sempre fatto, ma di più del solito. Il problema è accorgersi quando un sistema non funziona più ed uscire in gran fretta dalla sua tradizione. Alcuni ad esempio pensano che il modo di stare al mondo occidentale, sia il migliore dei sistemi possibili, altri no. Ma il punto non è oggetto di una disputa di preferenza etico-morale-politica-ideologica-di classe o altrimenti descrivibile.

Il punto è un altro: questo sistema non funziona più, poiché tende all’aumento di entropia. L’entropia è la misura del disordine ed il disordine è la condizione nella quale si sciolgono tutti i sistemi, in cui i sistemi (che sono forme che tentano l’ordine) cessano di esistere, quando non possono far fronte alla condizione di maggiore complessità. Il nostro sistema (il mondo occidentale di stare al mondo), formatosi e sviluppatosi nei tre secoli precedenti, tende all’entropia perché è in una crisi adattiva alla mutate condizioni del mondo. Nato per adattarci a certe condizioni, cambiate le condizioni diventa disadattativo. Delle due funzione adattative, il cambiarsi internamente e il modificare l’esterno, continua ad usare solo la seconda convinto che debba essere il fuori ad adattarsi al suo dentro e mai il contrario.  I tempi cambiano ma noi sembra si abbia qualche difficoltà strutturale ad accorgercene e trarne le dovute conseguenze.

La nostra immagine di mondo è ancora quella che deriva dalla nostra millenaria tradizione, la tradizione culturale dell’Occidente. Essa si fonda su tre piloni essenziali: l’Uno, il Semplice e l’Assoluto. Una immagine di mondo complessa è più interessata al Molteplice che compone i vari sistemi e che connota le tante interrelazioni che legano i sistemi in loro e tra loro. E’ più interessata al Complesso che questa ontologia dei plurali interrelati comporta. Non può aderire a nessuna presunzione di Assoluto, essendo connotata da una grande considerazione per le relazioni che nella loro connessioni di reciprocità, creano un mondo le cui parti sono sempre del tutto Relative. Siamo in uno sfasamento temporale, continuiamo a pensare secondo modi derivati da condizioni precedenti e differenti.

Da qui la necessità di far corrispondere un nuovo pensiero complesso alla nuova complessità del mondo nel quale siamo capitati, pensare un nuovo modo di stare al mondo, con particolare riguardo alle stesse condizioni di pensabilità che permettono o meno di pensare quel modo nuovo. Ci troviamo di fronte ad una condizione inedita nello sviluppo della storia della specie: la necessità di sviluppare una intenzionalità (e prima una coscienza) adattativa.

A questo è interamente dedicato questo blog e la ricerca che in esso vi pubblica l’Autore. Pensare un nuovo sistema di pensare il mondo, sapendo in anticipo che il lavoro è immane, l’inerzia intellettuale e cosale tende a resistere ad ogni innovazione, le forze conservatrici rabbiose e determinate a resistere in ogni modo (cioè sacrificando il bene generale), che le stesse forze critiche scontano una fondazione che risale almeno ad un secolo e mezzo fa e questo le fa, a volte, non meno conservatrici delle stesse forze che dovrebbero combattere. In compenso, abbiamo poco tempo.

Una risposta a Complessità [1]

  1. abbiamo davvero poco tempo, altro non faccio che domandarmi come reagire.
    Eppure, alcune semplici regole ci sono state suggerite: “ama il tuo nemico”
    Man mano che vado avanti, penso che l’applicazione di questo sia difficilissima ma forse l’unica efficace. Non dice “sopporta o tollera” il tuo nemico. Dice proprio “ama”.
    Amore è creazione di conoscenza dell’aspetto intimo dell’altro. Mi sento banale a scrivere questo, mi creda non è una risposta fideistica, anzi. Grazie per il suo lavoro.

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