Dopo aver condotto una prima ricognizione intorno all’essere che sa che non sarà più, cioè l’essere umano, questa volta ci occupiamo dell’essere più grande, l’essere del cosmo ovvero il tutto contenuto nello spazio e nel tempo, spazio-tempo incluso. Lo faremo seguendo le tesi ed i ragionamenti del fisico teorico Lee Smolin. Smolin è uno scienziato con tendenze culturali ampie, democratico come parte dell’immagine di mondo sociale e politica, un po’ anticonvenzionale come si evince dalla sua critica al mainstream teorico americano centrato sulla Teoria delle stringhe, relazionale dal punto di vista filosofico. Come fisico, è conosciuto soprattutto per i contributi alla teoria della gravitazione quantistica e la gravità quantistica a loop. La rete degli adiacenti (altri studiosi con i quali intrattiene scambio e condivisione di idee o pensatori del passato con i quali mostra affinità) è tracciata da un poligono che comprende: G.Leibniz, C.S.Peirce e R.M.Unger quanto a filosofi, S. Kauffman , P. Bak e B. Arthur (ed altri) nell’ambito della cultura della complessità, vari fisici impegnati nello sviluppo della gravità quantistica tra cui il nostro C. Rovelli ma anche J.Barbour e la sua filosofia del tempo (sebbene con esiti finali diversi), Darwin per il principio di selezione naturale. Smoolin è un ottimo e prolifico divulgatore da cui altri importanti testi che trovate nelle immagini a corredo di questo scritto.
Ne “La rinascita del tempo” (Time reborn 2013, ed. it. 2014, Einaudi, Torino), Smoolin combatte una guerra principale, quella contro l’espulsione del concetto di tempo dalla teorie fisiche fondamentali e per farlo, conduce diverse battaglie concettuali.
Una è contro il riduzionismo ovvero quella forma di pensiero che riduce il tanto a poco, il complesso al semplice, il grande al piccolo. La visione complessa dice invece che ad ogni stadio di complessità emergono proprietà non comprese nei componenti costitutivi. La liquidità dell’acqua, ad esempio, non è una proprietà degli atomi di idrogeno ed ossigeno di cui è fondamentalmente composta. Queste proprietà sono sistemiche per cui se si spacca il sistema e lo si riduce, le cose si fanno cognitivamente più facili, peccato che così si perda la natura del sistema osservato.
Un’altra è contro il determinismo che è una conseguenza del riduzionismo. La visione semplice è ben espressa dal famoso sogno di Laplace ovvero da una prospettiva in cui, conoscendo precisamente le condizioni di partenza delle componenti di un sistema, nonché il set di leggi del loro comportamento, sarebbe possibile prevedere l’evoluzione del sistema per il tempo di tutti i tempi, cioè per il sempre che affonda nel futuro. Se però, ad ogni stadio di complessità dell’essere, questo produce nuove proprietà non prevedibili, il sogno s’infrange. E’ inoltre molto improbabile (o impossibile) conoscere le famose condizioni iniziali con l’assoluta precisione che il postulato determinista prevede.
Un’altra è contro il de-contestualismo che Smoolin chiama “fare fisica in una scatola”. Fare fisica in una scatola è un portato della storia dell’umana cognizione sociale di cui, sebbene ci piaccia pensare di essere giunti al vertice evolutivo, siamo forse ai poco meno che i “primi istanti”. Un esercizio di straniamento del pensiero che consiglio di fare ogni volta che ritenete di aver raggiunto una certezza di verità sul mondo è mettervi nel 12.345 o nel 78.102 e pensare a cosa pensereste delle stentoree convinzioni di quei primitivi del 2015, così come a noi capita con quelli del -2015. Poiché dunque siamo alla prime armi, uno di queste prime armi è il prendere una porzione di essere, sperabilmente piccola e semplice tanto che possa entrare nella nostra limitata testa ed esercitare la comprensione su questo essere ridotto. Peccato che di sua natura, l’essere è un tutt’uno molto più grande e complesso di quanto possa entrare nella nostra testolina. Ne consegue che lasciando fuori dall’osservato tutto ciò con cui l’osservato intrattiene relazioni interagenti, osserveremo un osservato troncato. Il cervello vi sembrerà senza corpo, il corpo senza natura, l’individuo senza società, la nazione senza la globalità, la disciplina in cui vi siete specializzato senza le altre da cui riceve paradigmi di cui non siete consapevoli, la teoria senza la realtà, l’economia senza la politica, la verità senza i presupposti apriori, il presente senza passato, i conti senza l’oste e via di questo passo. Il problema non è il troncamento perché la sproporzione tra il Tutto ed il nostro noi cognitivo è oggettiva, il problema è compiere l’esercizio riduttivo e poi convincersi non solo che è utile e necessario ma doveroso, che il vero parziale ottenuto col troncamento è il vero assoluto che di suo significa appunto troncato, cioè privo-sciolto da legami (ab-solutus), quindi da condizionamenti. L’atteggiamento era ben noto ai Greci che sono arrivati prima un po’ in ogni cosa ed è esemplificato da una figura della mitologia classica (poi c’è chi dice che la mitologia non fosse conoscenza, questa figura è eminentemente una tesi gnoseologica o espitemologica di grande rilievo): il Letto di Procuste ovvero come violentare la realtà concreta per farla entrare nelle nostre fisse forme apriori.
L’azione combinata del riduzionismo, del determinismo, del de-contestualismo, congiura a darci l’impressione di dominare il mondo con una conoscenza certa, eterna, prevedibile in ogni particolare. Tutto ciò per abbassare la nostra ansia, l’ansia determinata dalla relazione tra imperativo cognitivo ed imperativo ontologico di cui abbiamo parlato qui, nell’indagine sull’essere che sa che non sarà più. Le leggi sono assolute salvo poi essere de-assolutizzate qualche decennio o secolo dopo, il futuro è previsto salvo poi farci cogliere impreparati come nello scoppio delle crisi strutturale delle economie occidentali la cui inaugurazione risale al 2008 ma la genesi è ben più remota, l’incertezza è sconfitta salvo poi sconfiggerci lei quando viene il suo tempo (che viene sempre), la nostra libertà è fondata sull’asservimento del mondo ed il dominio “naturale” dell’umo sull’uomo salvo poi scoprire che la libertà è una proprietà propria del mondo mentre la schiavitù o meglio -l’ontologica dipendenza dalla natura- è propria della nostra condizione umana mentre non lo è quella dell’uomo da un altro uomo. Poiché il pensiero ci è utile anche per evadere dalla condizione oggettiva, così si spiega perché, stante la condizione concreta di dipendenza naturale, la fantasia (l’Idea) sia quella dominare il tutto e tutti.
La visione relazionale che Smoolin addebita in origine a Leibniz (ma le monadi leibniziane sono esempi paradigmatici del troncamento delle relazioni) e il cui sviluppo integra Darwin e molti altri[1], prevede che ogni cosa sia collegata ed abbia quindi diversi tipi di relazione (incluse quelle non in atto, cioè potenziali) con altre. Poiché “avere relazioni” significa scambiarsi energia o informazione o altro, le relazioni modificano le cose che sono tra loro in relazione (noi diciamo “interrelazione” quando abbiamo relazioni in ed out tra due enti), consegue così che le relazioni portano cambiamento (ma anche essere) e quindi il tempo, date che, da Aristotele in poi, sappiamo che lo stato B viene dopo A e questo “dopo” è tempo. Ogni cambiamento ha una causa e così il principio di causa è il tessuto del tempo. Laddove questi esseri in relazione possono intendersi come un sistema e stante che danno spesso, se non sempre, vita a ulteriori sistemi (sistema = parti in interrelazioni), questi sistemi si relazionano tra loro e con l’ambiente circostante e cambiano nel tempo. Si potrebbe anche dire evolvono ma il termine è disturbato da una interpretazione qualitativa (cioè “diventano migliori”) sottratta la quale, si può usare. Quelli che sopravvivono al vaglio di compatibilità, rimangono nell’essere, gli altri, scompaiono, è questa la selezione naturale.
Smolin applica l’intero armamentario relazionale alla cosmologia, contro l’idea che ha espulso il tempo dalla struttura fondamentale dell’essere ed arrivando a far coincidere questa cosmologia relazionale con la complessità, la freccia del tempo per cui nel nostro universo, sembra che le cose vadano ad incrementare la loro complessità progressivamente, evolvendosi, incluse le leggi fisiche che non vanno intese come un dio algoritmico esterno a ciò che normano, ma come un reticolo di consuetudini relate a questa o quella condizione del Tutto. Mentre la scienza, al suo attuale stato di primitività, postula che il qui ed ora vale dappertutto e per sempre, Smolin eccepisce che potrebbe non esser così, né nella presunzione di isomorfismo spaziale, né per quello temporale. In effetti, la visione atemporale che è poi anche quella del concetto di equilibrio, è una versione della negazione della vita o per via dello stato di morte (lo stato d’equilibrio ovvero l’assenza di differenze e quindi di cambiamento) o per via dello stato eterno, l’assenza del tempo, quindi del cambiamento. Nella fisica particellare, già oggi, non si concepiscono più particelle “elementari” con caratteristiche proprie ma come emergenze da una rete di interazioni (ad esempio il bosone di Higgs che determina la massa in tutte le altre), così il cosmo relazionale di Smolin.
= 0 =
Se non possiamo ridurre la complessità dell’essere del mondo a poche regole certe, atemporali, maneggiabili dalle nostre limitate facoltà mentali (il potenziamento di computazione, cioè di calcolo, offerte dai computer aumentano le quantità non le qualità dei ragionamenti poiché la qualità dipende appunto dalle facoltà di interrelare i pensieri), se non c’è alcuna metaregola che governa tutte le altre tanto da poter determinare in anticipo l’incertezza, se nulla esiste che non sia interrelato ad altro, ne consegue che il futuro è aperto. Non solo è aperto ma è passibile di diverse possibilità di strutturazione. Tesi questa alla base anche della critica del principio di struttura profonda che si trova nella filosofia politica di R.M.Unger, con il quale Smolin sta scrivendo un libro proprio sulla evoluzione temporale delle leggi fondamentali di natura.
Al diritto divino per il quale tutto era imputato e deciso da dio, la modernità ha fatto seguire il diritto naturale per il quale un set di leggi matematizzabili svolge impersonalmente il lavoro che prima ci immaginavamo essere proprio dell’onnisciente. Così come prima ogni forma del pensiero umano era dominato dalla teologia, con la modernità si è pensato galileianamente che dio fosse un sistema di equazioni eterne e precise di cui, alcuni platonici irriducibili, stanno da tempo cercando la legge di tutte le leggi ovvero l’algoritmo di dio: la Teoria del tutto. Questi paradigmi, sono la vera teoria del tutto ovvero i punti archimedei arbitrariamente posti (i “come se vero che…”) che dominano e formano l’intera immagine di mondo che condividiamo in una certa civiltà per un certo tempo.
Il paradosso del nostro sviluppo culturale è che ancora non ce ne rendiamo conto, viviamo usando meta-paradigmi invisibili ed indiscussi che dominano quasi tutte le forme del nostro agire culturale. Smolin, probabilmente influenzato da scambi di punti di vista con l’economista della complessità Brian Arthur, segnala come l’intera economia neoclassica è una costruzione platonico-assurda. Nell’economia neo-classica che è tutt’ora imperante (una monarchia teorica che non ha eguali e per estensione del suo potere accademico e politico e per resistenza al cambiamento nel tempo visto che è una forma “neo” di una teoria della fine del XIX° secolo), il mercato è un sistema con un solo punto di equilibrio, il mercato è ritenuto un sistema efficiente se lasciato lavorare senza perturbazioni, l’economia è un sistema indipendente dal percorso (cioè si svolge da leggi che non hanno attrito con lo spazio e col tempo), quindi è indipendente dalla sua storia e dal contesto in cui si svolge, l’efficienza teorica del mercato postula non si possa fare profitto con l’arbitraggio (quindi le banche d’investimento, i trader valutari, gli hedge fund non esistono per la teoria), la funzione di utilità che descrive il consumatore (basato su una psicologia dell’umano talmente scombinata da essere “neanche sbagliata”) comprime tutti i beni desiderati e tutte le possibili entrate della vita del lavoratore-consumatore in una equazione che ovviamente pialla il tempo dei mutabili desideri e delle mutabili condizioni economiche, espelle cioè quella fastidiosa sabbia nella vasellina che è la contingenza. Il moto browniano della complessità concreta è piallato nel Letto di Procuste dalla piallatrice matematica e dall’uso smodato dei postulati che poi ci si dimentica essere solo dei “come se fosse vero che…” ed ecco che ci si convince che esiste una sola verità, che questa è certa perché è matematizzabile, è una riduzione deterministica de-contestualizzata quindi scientifica ( questa è ciò che possiamo definire -la teologia della modernità-). Il tutto, del tutto imperturbabile alla falsificazione che pure riceve ed ha ricevuto ripetutamente dalla realtà concreta, in una dittatura dell’autoinganno per cui -è vero perché così voglio che sia-.
Questo discorso costeggia il problema delle immagini di mondo che sono governate da meta-paradigmi che si confermano ex-post, nel fatto che le principali discipline ne conseguono il loro modo di osservare, catalogare e giudicare il vero dei loro oggetti di osservazione. Insomma, se tutti pensiamo così, vorrà dire che è proprio così che si deve pensare, un principio di verità sociale che esiste da quando viviamo associati in grandi gruppi, cioè dalla nascita delle società complesse all’incirca 8.000-10.000 anni fa. Tale modello di verità è definito da una democrazia inconsapevole cioè da una condivisione generalizzata a tutti di qualcosa che però è sintetizzato da un gruppo di potere, un nucleo oligarchico (ὀλίγοι = pochi) che agisce secondo i principi della monarchia filosofica della Repubblica platonica, i possessori del vero, del bene, del bello che guarda il caso poi coincide col sequestro della opportunità e delle ricchezze affinché loro possano vivere una vita veramente bella e piena di beni. S’intenda, se hanno successo con queste narrazioni assurde (dal latino absurdus, col significato di “stonato”, derivato da surdus, sordo; sorde alla realtà concreta) è perché c’è qualcosa in questi principi che sembra funzionare un po’ per tutti ed il qualcosa ha spesso molto a che vedere proprio con la rimozione del tempo, della contingenza, della contraddizione, della complessità della realtà la cui imprevedibilità alza ondate di ansia un po’ in tutti. Queste narrazioni sono potenti ansiolitici e sedativi e per usarne il benefico effetto calmante, i più pagano la droga devolvendo il loro diritto e capacità di far uso autonomo delle proprie facoltà mentali. Il tutto viene condotto fendendo rasoiate di Ockham di qua e di là non tenendo conto che Ockham consigliava di rasoiare non tutto ma ciò che non è necessario. Il punto è quindi: cosa è necessario per una descrizione realista di un oggetto di osservazione? Dipende… . Questa relatività nel giudizio di necessità non è risolta democraticamente e caso per caso, ma oligarchicamente ed apriori.
Questo sbilenco contratto sociale di devoluzione dell’autonomia cognitiva ai appoggia anche a strutture che ne riproducono la possibilità. La principale è la separazione delle conoscenze. Se ognuno di noi sa solo di qualcosa che è solo parte del sistema di pensiero nessuno, mai, discuterà le forme del pensiero complessive e non ponendosi questo oggetto nell’indagine, certo che non si arriverà mai a scoprire l’assurdità dei meta-paradigmi che lo dominano. Per una democrazia la precondizione, la condizione prima, non è l’uguaglianza delle possibilità o quella dei redditi o dei diritti generici ma quella delle cognizioni, se non sappiamo non possiamo discutere e se non discutiamo non possiamo decidere e se non possiamo decidere qualcuno deciderà per noi mostrandoci poi che è così bene per noi, così che si fa e non si può fare altrimenti, l’ha detto dio, la detto la verità, l’ha detto ciò che ha potere, l’ha detto una qualche legge. L’ha detto un sistema di idee che decide in base alla sua propria logica cosa è necessario per una descrizione di verità, un soggettivo che ha il potere di mostrarsi oggettivo.
Il futuro non è scritto e lo dovremmo scrivere assieme ma consegue che dovremmo anche sapere come scriverlo e prima ancora come si scrive, collettivamente, un futuro.
= 0 =
“Abbiamo bisogno di una nuova filosofia” (pg. 263 op. cit.) dice Smolin e vede segnali promettenti nell’utilizzo di un nuovo meta-paradigma relazionale. L’universo ha un tempo, una storia, è dipendente dal suo percorso, è fatto di cose interrelate che dinamicamente evolvono auto-organizzandosi verso una crescente complessità, è unico, finito spazialmente, le sue leggi evolvono con lui e sebbene molte siano matematizzabili, altre non lo sono (la teoria dell’adattamento che chiamiamo evoluzione non lo è), ha un futuro e questo futuro è aperto. Così il futuro dell’umano.
Il meta-paradigma relazionale cambia l’intera immagine di mondo come già fece la fede nella verità di dio e la fede nella verità matema-scientifica. Trattasi sempre del problema della verità ovvero del parametro in base a cui discipliniamo il traffico e lo scambio di pensieri e comportamenti nel vivere associato. Quello che si propone è quindi una evoluzione intenzionale dalla monarchia dell’Uno e del diritto di dio; dalla oligarchia delle élite giustificate da algoritmi che parlano la lingua del (la loro interpretazione del…) diritto naturale; alla democrazia delle decisioni dei molti, giustificata dal dibattito in linguaggio comune, relato al mondo per come il mondo ci sembra realmente essere, salvo falsificazione.
= 0 =
Il libro è molto buono e se questa è la sua essenza, il corpo allargato sarà interessante per tutti coloro che hanno beneficiato le Sette brevi lezioni di fisica di C. Rovelli dell’inedito primato di vendita come fossero cinquanta sfumature di materia grigia. C’è cosmologia, storia della scienza, epistemologia, filosofia[2], i padri fondatori, meta-pensiero, tensione positiva e non solo criticismo bilioso che ormai dilaga tanto quanto l’impassibilità astratta fondate su verità nude più del re nudo. Anche il libro, come il futuro di cui ci vuol porre l’interrogativo, è aperto. Gli editor, figura mitica dell’editoria anglosassone, hanno fatto miracoli, rendendo comprensibile quasi tutto di materie che altri si sforzano di mantenere nell’esoterismo più consono a quegli arcana imperii che già Bobbio individuava come segno della costruzione elitaria anti-democratica.
Sul piano cosmologico, Smolin propone una concezione che ha il tempo fondamentale e lo spazio emergente (l’opposto di quella dominante), che pone la gravità come possibile bilanciamento del Secondo principio della termodinamica, che produce continuamente informazione-ordine-differenza quindi un “qualcosa” dinamico in opposizione all’entropia-disordine-indifferenza quindi il nulla statico. Alla fine si abbandona all’irresistibile naufragio sulle questioni climatiche e le due culture, il problema “difficile”[3] della coscienza e il fatidico “perché qualcosa e non il nulla?”. Ma l’intenzione del libro è ciò di cui oggi c’è gran bisogno: rimettersi a porci domande vaste e profonde.
In cosmologia come in fisica e più in generale nel mondo del pensiero che riflette la propria epoca come ben notò Hegel, quindi in economia ma anche in politica ed aggiungiamo noi, soprattutto in filosofia che essendo il pensiero che pensa se stesso è la forma che finisce col condizionare o liberare tutte le altre c’è stasi, un appiccicoso Mar dei Sargassi senza vento e dinamica. Il pensiero s’accorge di esser statico, di galleggiare in una bolla di diffusa entropia e se ne accorge nel mentre tutto del mondo reale diventa viepiù dinamico, in cui i fenomeni sono sempre di più, sempre più intensi, sempre più imprevisti ed imprevedibili e spesso, disordinanti la nostra vita individuale, sociale, economica, politica, culturale. Il nostro pensare deriva dai secoli in cui la nostra civiltà si è imposta sul mondo e sulle altre. Ora il mondo e le altre civiltà ci mandano sempre più segnali che dicono che la festa è finita. Il nostro pensiero reagisce con una fase “scolastica” in cui legioni sacerdotali del credo occidentale, s’affannano a dire che va tutto bene e che bisogna pensare e fare quello che abbiamo sempre fatto e pensato, solo di più e meglio, con maggiore integralità. Ciò vale per le costruzioni di pensiero dominanti ma anche per quelle critiche poiché esse sono legate reciprocamente come nell’entanglement, condividendo spesso gli stessi invisibili meta-principi.
Abbiamo bisogno di riprendere a farci domande, molte e mantenerle aperte per un po’, altrimenti il futuro si scriverà da solo e non è detto che il testo ci piacerà.
= 0 =
Una recensione più “scientifica” e perplessa: http://www.giuseppevatinno.it/wordpress/?p=1761
Altri materiali video su Smolin: http://zitogiuseppe.com/blog2/2015/01/04/lee-smolin-e-la-rinascita-del-tempo/
POSTILLA: Il punto di vista platonico o esternalista è quello espresso nel mito della caverna, Libro settimo de la Repubblica. La verità è fuori della caverna. Questa geometria del punto di vista è adattata nel caso delle verità trascendenti, di dio, delle leggi della natura eterne ed immutabili, dello spostare la causa fuori del sistema, dell’immaginare multi-versi, dell’osservatore fuori dall’osservato. Fare fisica nelle scatola significa assumere queste posizione tipica del soggetto che domina l’oggetto. Il punto di vista immanentista o internalista è quello di Smolin ovvero la chiusura esplicativa dell’universo all’interno dell’universo stesso. Era anche quello di Protagora che infatti era ciò contro cui Platone si affannò in molti dialoghi, facendo il ventriloquo col suo Socrate immaginario. Il fatto che Protagora fosse democratico e Platone aristocratico non è casuale ma causale.
NOTE:
[1] Abbiamo condotto una inconclusa indagine sull’ontologia relazionale o delle relazioni (puntate 1, 2, 3, 4, 6) da cui risultava una piccola tradizione di pensiero animata da spunti e riflessioni non sistematiche ma importanti da parte di: F. Nietzsche, H. von Helmhotz, A. Meinong connesso con Brentano, de Saussure, N. Hartmann, A.N. Whitehead e prima di lui il fertile ambiente britannico di fine secolo con S. Alexander ( a cui si deve il concetto emergenza), J.E. McTaggart, C.D. Broad, in ambito americano J.H.Randall e A. O. Lovejoy. Si aggiungono il fisico-filosofo contemporaneo M.Kuhlmann, la teoria dei tropi in logica ontologica (D.C. Williams, K.Campbell) e la mereologia, e naturalmente la Teoria dei sistemi di L. von Bertalanffy. Scienze proprie delle relazioni (quindi, in parte, sistemiche) sono la chimica (poco considerata ai piani nobili della conoscenza), la biologia, l’ecologia, le scienze cognitive, l’informatica, la sociologia. Quanto alle relazioni sociali in discorso è tra i fondamenti del concetto stesso di società, quale appare in seguito allo shock della Rivoluzione francese e quindi in Marx, Engels, Lukacs e di recente Balibar. L’indagine sul concetto di relazione numero 5 è sul fondamento dell’antica cultura cinese, il concetto di yin e yang non a caso binario (dove c’è due c’è relazione), in luogo di quello occidental-platonico di Uno.

Perimeter Institute: https://www.perimeterinstitute.ca/
[2] A proposito si segnala che Smolin, fisico teorico, rivendica il contributo al pensiero della filosofia proprio nel mentre censura come non scientifiche (non falsificabili) alcune teorie proprio di coloro che vorrebbero ostracizzare definitivamente la filosofia dal pensiero umano visto che ormai l’unica forma di pensiero efficiente è la fisica o al massimo la scienza. Detto altrimenti, il relazionale usa vera filosofia e vera scienza e le interrela, il platonico contrabbanda filosofia ultra-metafisica come scienza per porre la scienza a posto della filosofia, in realtà per perpetrare il dominio della metafisica astratta. Tipico dei platonici, cortigiani di ogni potere eteronomo –cortigiani, vil razza dannata (Rigoletto, G.Verdi)-.
[3] “Problema difficile” è la definizione che diede D.Chalmers al problema della coscienza. In breve, il problema è come ci giustifichiamo il salto dai quanti ai qualia? Stante che i qualia sono il concetto che individua l’esperienza della percezione personale (il rosa di “quel fiore è rosa”) mentre i quanti sono i fotoni che attivano le nostre vie neurologiche che sono fatte di materia ed energia, ci si domanda: come si passa dalla scienza alla coscienza? Dopo anni che trovo ripetuto questo problema nella letteratura della filosofia della mente, confesso che non ho ancora capito bene perché lo si reputi un problema così impenetrabile. Forse, in mezzo alla relazione tra quanti e qualia, andrebbe messo un concetto che è quello di emergenza ed un oggetto che è il sistema. A me sembra una traduzione tra linguaggi di sistemi diversi come i quanti dell’acqua spengono il quale della sete ma forse mi sfugge qualcosa…
L’ha ribloggato su My Blog.
Sto terminando la seconda lettura del libro di Smolin in oggetto, considero ben fatta la sua recensione e l’ho molto apprezzata.
Personalmente trovo molta consonanza con le mie recenti idee-esperienze sul rapporto tra scienza ed economia, scienza e fede, scienza e coscienza.
Posso ribloggare il suo post sul mio blog e su facebook?
Grazie!
Senz’altro!
Grazie e arrisentirci a presto!
Wow, questo sito è una miniera di informazioni ! Impiegherò settimane per esplorarlo…
Se avessi tempo libero (dal lavoro “salariato”) passerei la vita a leggere libri, e scriverne recensioni per condividere.
Capisco cosa dice e quindi Le auguro di cuore di arrivar presto al giorno Le sarà possibile.