[Le altre cinque parti dello studio sull’ontologia delle relazioni si trovano qui: 1), 2), 3), 4), 5).]
Analizzeremo qui i rapporti di identità, somiglianza e differenza, tra la famiglia culturale sistemico – complessa e quella strutturale o strutturalista. La cosa è piena di insidie, sia perché la famiglia sistemico – complessa non è precisamente formulata, sia perché non lo è, cioè lo è in maniera plurale, quella strutturalista che oltretutto è animata da un certo numero di pensatori che rinnegano la loro stessa appartenenza a questa presunta famiglia.
Quest’ultimo fatto, potrebbe malignamente esser spiegato con l’origine francese di questa famiglia che non si sente tale. I francesi hanno una duplice propensione, da una parte tendono a ribattezzare nella loro lingua concetti già esistenti in modo che non è mai perfettamente chiaro se il ribattezzo è solo nominale o concettuale, dall’altra hanno una particolare idiosincrasia ad essere chiari e precisi nelle definizioni che danno, quando le danno. Più spesso amano la definizione in negativo, l‘essenza per differenza. Ne discende una difficoltà a sentirsi in appartenenza a qualcosa che è spesso vago e pieno di distinguo. La famiglia strutturalista canonica, almeno definita tale dagli storiografi delle idee, comprende de Saussure, Lévi-Strauss, Foucault, Lacan, Althusser (in cui il terzo è forse il meno organico), appunto, tutti francesi. Anche altri come il sociologo Durkheim, l’epistemologo Bachelard, lo psicologo Piaget, il linguista Benveniste, il semiologo Barthes, il linguista e semiologo Greimas, il filosofo Deridda, il critico letterario Genette sono tutti francesi e tutti orbitanti intorno al sistema di pensiero strutturale. Deridda per la verità, è catalogato come “post-s” assieme a Lyotard, Deleuze, Kristeva, chissà se e quanto strutturalisti, comunque francesi o tali per cultura. Tra le vaste influenza strutturaliste si può annoverare anche il gruppo dei matematici francesi conosciuto con l’eteronimo -Nicolas Bourbaki-. La famiglia sistemico – complessa ha invece origini austro-tedesche, poi anglo-sassoni.
Inoltre, la famiglia sistemico – complessa ha una origine prevalentemente scientifica (fisico-biologica) ed al massimo epistemologica, mentre quella strutturalista ha varie origini: linguistica che ne è l’ambiente madre, etno-antropologica, psicoanalitica, filosofica. Per altro, quella sistemico – complessa nasce nella scienza ma si duole della separazione delle due culture[1], fino a promuovere una nuova alleanza[2] della conoscenza mentre quella strutturalista nasce nelle scienze umane ma rinnegando l’umano[3] e volendosi approssimare alla scienza pura.
Noi procederemo nell’analisi comparativa dal punto di vista filosofico, ritenendolo il più generale tra tutti i possibili ed in definitiva, il più pertinente ai fini della comprensione di quelle che in fondo sono “idee”.
ORIGINI.
L’origine del pensiero strutturale è fatta risalire al celebre “Corso di linguistica generale”[4] del linguista e semiologo svizzero (di cultura francese) F. de Saussure[5]. Saussure per la verità studiò in Germania a metà della seconda metà del XIX° secolo, periodo in cui l’utilizzo del concetto di “sistema” era in piena rinascenza (egli studiò a Lipsia, dove insegnava W. Wundt). Si consideri che la scuola di Brentano (di cui abbiamo parlato qui), opererà una decisa influenza sulla successiva ontologia di Meinong (il cui concetto di “complessione” è in fondo una struttura o un sistema strutturato), sulla psicologia della Gestalt che spesso è richiamata dagli stessi strutturalisti come fenomeno originario e sulla stessa formazione di Freud. La tripartizione dell’io freudiano e la definizione di inconscio saranno precedenti influenti per l’analisi strutturale. Sta di fatto che Saussure (che com’è noto non ha scritto il corso che è la trascrizione delle sue lezioni condotta dagli allievi) non ha mai usato il concetto di struttura, ma quello di sistema. Pare che il battezzo del concetto “struttura” ritenuto diverso da quello di “sistema”, si debba a Lévi-Strauss, forse spinto anche dalla necessità di upgradare il semplice concetto di sistema già usato in sociologia (francese) da Durkheim e Mauss. Lévi Strauss pubblica nel 1949 Le strutture elementari della parentela e dello stesso anno è lo studio dell’antropologo anglo-sud africano M. Fortes, sul concetto di struttura sociale in Radcliffe Brown. Dice Fortes (riportato da Lévi-Strauss in Antropologia strutturale): “Quando si cerca di definire una struttura, ci si colloca, per così dire, al livello della grammatica e della sintassi, e non a quello della lingua parlata”. Quindi, sistema è la lingua, sistema del sistema o struttura è il regolamento che ordina l’interrelazione tra le parti. Ci pare questa la definizione minima più nitida (non a caso è di un inglese ed anche se è una analogia) del concetto anche nel rapporto di distinzione e precisazione rispetto a quello di sistema. La struttura è quel di cui del sistema che ne definisce la logica. Un antesignano del concetto potrebbe trovarsi in Marx che distingueva nel sistema (la società), una struttura (il sistema economico-sociale) da una sovra-struttura (istituzioni, ideologie, complesso culturale). Ma più in generale, da W. Dilthey alla Gestalt, dal concetto di organo ed organismo alla nascita quasi sincronica di tutte le scienze sociali (la “società” è di per sé un sistema che porta a pensare la sua struttura interna come lo stesso Lévi – Strauss farà ricavando il concetto strutturale da Radcliffe Brown).
Il concetto ha avuto una favolosa stagione di successo negli anni ‘60, sconfinando nella moda terminologica, tanto da far dubitare della sua stessa sostanza, una “collezione di omonimi inclusa in una collezione di sinonimi” secondo la feroce critica di R. Budon (Boudon è un liberale metodologicamente individualista quindi antitetico ai presupposti del discorso strutturale). Il fatto che R. Jakobson abbia citato come propri maestri ispiratori da Picasso a Stravinskij, da Joyce a Le Corbusier, dice di come l’idea di sistema – struttura, abbia aleggiato su i più vasti confini della cultura del tempo anche se in forma di nebulosa. Ma il fatto che i francesi siano dediti alle mode anche in campo culturale (per altro non sono gli unici) e che non si periscano di dare definizioni precise, nonché di essere un po’ elusivi su certe questioni, non annulla il fatto che il concetto ci sia, che abbia una significanza. Ma che tipo di significanza?
SIGNIFICATI.
Con “struttura” s’intende un intero di parti interrelate dove ruolo e significato della parte si ha per differenza con quello delle altre nel comporre l’intero. Ne segue che modificazione di una parte si ripercuote su tutte le altre e quindi sull’intero. Parti che hanno le stesse relazioni possono essere commutate. Se la ricostruzione della griglia strutturale è corretta, dalla mancanza di rilevamenti per qualche cella della griglia si può ricevere indicazione di qualche parte che c’è anche se non appare immediatamente nella cosa analizzata. Molte parti possono avere una espressione ridondante . Nel suo senso più generale, struttura può essere, a volte, sinonimo di sistema o di forma o di organizzazione o di funzione o di complesso (cioè di complessione). Altresì può alludere ad un ruolo di modello, griglia logica o interpretativa atta anche a fare previsioni o ad un ordine sostanziale della cosa o del fenomeno, la sua essenza funzionale, “strutturale” appunto. Chiudiamo con il Fornero: “la struttura coincide con la sintassi di trasformazione del sistema, cioè con il complesso delle regole di relazione, di combinazione e di permutazione che connettono i suoi termini”. Un regolamento di gioco dove il gioco è un sistema.
Dice il Fornero che lo strutturalismo è al contempo: metodo d’indagine (che è la definizione in cui più si riconoscono gli strutturalisti stessi), analisi epistemologica (che è la definizione in cui si riconoscono –de facto– più che –de dicto– gli strutturalisti filosofi come Foucault, si veda il concetto di episteme[6] ad esempio) e presa di posizione filosofica. E’ proprio la sua eventuale “presa di posizione filosofica” ad essere più incerta, perché mai rivendicata appieno dagli strutturalisti, la maggioranza dei quali tra l’altro, non essendo filosofi, non avevano né l’interesse, né sufficiente chiarezza concettuale per rivendicarla. Nei fatti però, la posizione c’è ed è ben chiara, essa è il primato della relazione sulla sostanza (ritenendo i due concetti antitetici). Essa è quindi ed in fondo, proprio ciò di cui ci stiamo interessando in questi studi, una -ontologia delle relazioni-. Il punto però è delicato e dobbiamo una precisazione di impostazione che è a livello di sfumature, sebbene poi abbia conseguenze essenziali. E’ come se gli strutturalisti, assumessero il concetto di sostanza nella sola e unica, irriformabile definizione che ne diede Aristotele e senza notare che il concetto di forma e di sistema di parti interrelate è proprio dello stesso Aristotele. Se sostanza è allora quella che definì il greco o che si pensa esser stata da lui così definita, lo strutturalismo privilegia tutto ciò che non solo non è sostanza ma che relativizza la sostanza stessa, in un certo senso la annulla, la sgretola scomponendola, la de-ontolocizza mostrando quanto è fragile, dipendente, subalterna rispetto ai decisivi influssi strutturali in cui è inscritta. Dal punto di vista di chi scrive invece, è la sostanza ad esser strutturalmente relazionale e relazionata.
Ne viene fuori quella lunga serie di dichiarazioni auto compiaciute ed un po’ fumose (a nostro avviso) se non semplificate dal meccanismo della negazione dialettica, che vanno dal dominio della lingua sul parlante, del linguaggio sul pensiero, dell’Es sull’Io, della società sull’individuo, dell’economia sulla società, del tutto sulle parti, di tutte le possibili strutture sul singolo uomo, dei sistemi oggettuali sul soggetto in una furia dissolutoria dell’ente che è molto simile al riduzionismo della biologia molecolare, del fisicismo, dello psicologismo e di vari –ismi di cui è pieno il nostro pensiero. Insomma, l’utilizzo della posizione critico-negativizzante se è giustificato nell’ambito del conflitto dei concetti, sconfina spesso nel ritenere realtà dura quella che è solo dialettica delle idee. Quello che noi sosteniamo e la gran parte dei pensatori sistemico – complessi ci pare anche, è va bene opporre alla presunzione atomistica – sostanzialistica – individualistica – egologica (tutte forme di riduzionismo semplificante) l’altra metà delle cose che sono che è fatto di relazioni, ma non va bene a questo punto riflettersi in un riduzionismo semplificante di segno opposto (simmetrico-contrario) per il quale gli enti scompaiono in favore di matrici tra loro intersecate la cui risultante è l’ex-ente a questo punto, incrocio prigioniero passivo delle influenze più disparate. E la tipica questione bicchiere mezzo pieno – mezzo vuoto. Queste due definizioni sono figlie della nostra mentalità, in sé il bicchiere è per metà pieno e per metà vuoto e questo è il tutto. L’ente, quello umano per esempio, non ha certo il pieno dominio di sé e del tutto ciò che è come si pretende nella collezione sostanzialista di libero arbitrio, azione consapevole, coscienza, intenzione etc. ma emerge come punto risultante tra tutte le forze che lo compongono e lo strattonano, è la relazione sommata di tutte queste forze, una somma che porta ad un Io che, per quanto contraddittorio e frammentato, ha una sua forma di precaria unità, una unità relazionale e relativa. Del resto, per avere relazioni occorrono relata. Insomma, il problema non è dire che non esiste la sostanza ma dire che la sostanza è ontologicamente relazionale.
CONVERGENZE
Evidentemente la condivisione del concetto di sistema di cui la struttura è l’intelligenza ed il comune fondamento filosofico dato da una possibile ontologia della relazione sono già elementi “forti” che permettono un collegamento tra sistemica-complessità e strutturalismo anche se questo collegamento non sovrappone i due sistemi di pensiero in forma perfettamente combaciante. Ma ve ne sono ancora. Sempre Lévi – Strauss nella sua Antropologia strutturale, che ricordiamolo è del 1958, a proposito del fatto che il concetto di struttura avrebbe potuto aprirsi all’introduzione della misura che si riteneva uno dei crismi della scientificità (numero, peso, misura) ovvero della quantificazione degli elementi e dei loro comportamenti, ne ammette la possibilità ma si manifesta ben più interessato a gli ultimi sviluppi delle matematiche che in alcuni casi (teoria dei sistemi, teoria dei gruppi e topologia) mostravano la facoltà di trattamento rigoroso, quindi scientifico, senza per questo scendere a livello della metrica.
La Teoria dei giochi di von Neumann e Morgenstein (1944), la cibernetica di Weiner (1948) e la teoria matematica dell’informazione di Shannon – Weaver (1950) sono citati come opere particolarmente importanti per le nuove scienze sociali strutturali (pg.315). Queste tre teorie sono tutte native nelle famose Macy Conference spesso ritenute la nursery del primo pensiero complesso. Ma Lévi – Strauss fa anche accenni metodologici alla topologia psicologica di Lewin (la Gestalt), alle analogie tra ecologia e struttura sociale, ad una antropologia elevata a scienza della comunicazione (come struttura delle relazioni tra parti e componenti l’insieme sociale) in fusione con la linguistica e l’economia in questo nuovo metodo strutturale. Infine, fa un accenno anche a Bateson e Mead che in Naven (1936) sembrerebbero far presagire una evoluzione strutturalista poi non compiuta fino in fondo. Non ci risultano altri accenni da parte di Foucault o Lacan o Althusser (che però ha fatto largo uso dei concetti complesso o complessità), ma sia Piaget, sia Bachelard potrebbero in qualche modo essere collocati a
metà tra l’approccio sistemico – complesso e quello strutturale. Successivamente, la Teoria delle catastrofi (topologia) facente parte del canone sistemico-complesso, ancora di un matematico francese, René Thom, si muoverà proprio nella logica delle trasformazioni strutturali. Il concetto di “pattern” oggi molto usato nella cultura sistemica, è in fondo la versione anglofona di quello di “struttura”.
DIVERGENZE.
Uno dei plus teorici dell’analisi strutturale, almeno secondo Lévi – Strauss, poteva esser quello per cui il modello strutturale individuato in un certo campo, poteva avere forti analogie con quelli di altri campi, prefigurando delle sintesi disciplinari come tra antropologia, economia e linguistica in quanto campi della comunicazione umana. Anche la prima Teoria dei Sistemi, quella di von Bertalanffy, aveva in programma la ricerca di questi meta-sistemi generali, delle forme prime che potessero formare una scienza precedente a quelle specifiche che si ramificano nelle discipline. Anche la Teoria dell’Informazione prosegue in questa ricerca dell’elemento unificante. In realtà, questo programma unificante è stato presto dismesso. La meta teoria unificante è un vecchio pallino del sapere occidentale e nel Novecento visse una intensa stagione col fondazionalismo che però non giunse mai al suo fine. Oggi si ripropone in fisica con la ricerca della Teoria del tutto (TOE, un programmino non da poco…). Dei sistemi e delle strutture sono rilevanti le nature proprie delle varietà, i contesti nei quali si formano e vivono le tante tipologie di relazione, le finalità sistemiche o strutturali. La famosa riduzione della mente ad informazione ed i tentativi infruttuosi di scalare il concetto di intelligenza umana a forza di algoritmi è uno di questi programmi senza speranza. Non sembra che, al momento, si possa andare oltre un set di caratteri comuni, per altro molto importanti per l’analisi. La più importante e decisiva forza del concetto di sistema e struttura, a nostro avviso, risiede nell’ontologia, nella forma a priori del come pensiamo quando pensiamo alle cose ed ai fenomeni.
Una annosa questione ruota intorno ai concetti di sincronia e diacronia. La struttura si può leggere meglio se presupponiamo la sincronia ma il sistema, come ogni sistema, vive lungo il divenire, quindi lungo una diacronia. Il punto è che se ci si concentra sulla struttura si può vedere come questa resista al cambiamento, come cerchi di mantenere la sua organizzazione attraverso le trasformazioni quasi come se il divenire comportasse un rischio di dissipazione e l’essere della struttura ne fosse la resistenza. Alle volte, dopo aver lungamente resistito, la struttura si abbandona ad un cambiamento catastrofico ovvero sincronico di molte sue parti ma a questo punto la casistica si amplia poiché abbiamo vari gradi quali-quantitativi di riformulazione delle strutture. Alcuni la lasciano sostanzialmente intatta, altri all’opposto, la trasformano radicalmente. I concetti di auto-organizzazione ed auto-poiesi, di permanenza lontano dall’equilibrio, di omeostasi, financo quello di resilienza concetti largamente usati nella cultura sistemico – complessa, si muovono all’interno della stessa idea di mantenimento nel cambiamento, ma la cultura sistemico – complessa è parimenti interessata alle transizioni di fase, alle rivoluzioni strutturali o sistemiche, al decisivo salto di stato. Gli strutturalisti poi, avversi in via di principio al concetto di evoluzione non s’accorsero del sottostante e più interessante concetto di adattamento e come molti, scambiarono quello che liberamente e creativamente si può pensare del pensiero di Darwin, con quello che ne pensò Spencer. Le strutture non sono enti privi di condizione, debbono comunque rispondere all’adattamento del sistema che ordinano.
La scelta strutturalista sembra spesso più una preferenza metodologica, una sospensione delle relazioni esterne tra ciò a cui danno vita le strutture (cioè i sistemi) ed altri sistemi o contesti, per meglio modellizzare le relazioni, per “misurarle”, quasi come in uno “stop frame”. Altresì, la grana dei fenomeni è grossa per il metodo strutturale, fine per quello storico, ne consegue che nel primo caso abbiamo modelli meccanici, nel secondo modelli statistici (Lévi – Strauss, 1958). Ne conseguono però anche apparenti opposizioni tra struttura e funzione, organizzazione e processo. Ma se all’inizio la temperie strutturalista, in quanto alla ricerca della sua posizione, ha condotto polemiche per differenziazione dicotomizzando questi ultimi termini, in seguito sembra essersi convinta che la natura della struttura sia più dinamica dell’inizialmente ritenuto. In definitiva non è chiaro se poi il raffreddamento della termodinamica strutturale, vada inteso solo come cosa utile all’indagine o come cosa che è natura della cosa stessa o meglio della sua struttura. La non unitarietà del pensiero strutturalista non aiuta a sciogliere questo dubbio.
L’enfasi scientifica del metodo, unitamente alla logica spesso meccanica e logico-matematica, che anima i modelli strutturali, tendono a fare dello sguardo strutturale una fisica sociale (per altro questa pretesa “scientificità” è ampiamente non riconosciuta, specie in ambito anglosassone). Una fisica però più di stampo newtoniano il cui sapore tende al determinismo. La stessa pretesa di riportare la struttura all’essenza è in un certo senso un riduzionismo. Il dissolvimento del soggetto umano ad esempio, è operato proprio dall’eccessiva determinazione che si dà alle strutture. Questa “furia dileguante” verso il soggetto non tiene conto del fatto che l’intersecazione per sovrapposizioni di struttura genetica con struttura epigenetica e biologica, con struttura psichica, culturale, con quella sociale, economica, linguistica, ambientale, storica crea una proprietà emergente che è comunque un Io, non un Io “padrone a casa sua” e ordinatore di tutte le cose, non un Io cartesiano-trascendentale puro, una monarchia assoluta ma comunque un Io emergente che non è solo veicolo per la riproduzione dei geni à la Dawkins, né solo mente prestata ai miti perché questi si pensino tra loro stessi à la Lévi – Strauss, né solo portavoce del linguaggio à la Lacan. Un Io-debole, problematico e complesso ma non, un Io dissolto nelle strutture. Questo determinismo-riduzionista è decisamente una differenza significativa rispetto all’approccio sistemico-complesso sebbene riportando lo strutturalismo a metodo e ponendolo a distanza di una ontologia delle relazioni ancora tutta da stabilire, se ne valorizzerebbe l’apporto epistemico-analitico stemperandone al contempo le indebite pretese di assoluto.
Nello strutturalismo sembra inoltre agire una scelta di campo che mutila la completezza delle nostre facoltà di comprensione. C’è uno storico dilemma nell’astrazione, una sorta di principio di indeterminazione per il quale cose ridotte ad essenze, semplificate e poste ad un certa distanza sono intellegibili ed intellettualmente manipolabili ma non sono più le cose stesse di cui parliamo. Sono più le nostre parole che le cose. Altresì, troppo da vicino e piene di tutti i loro particolari ed eccezioni, esse sono più quello che sono ma divengono difficili oggetti mentali, richiedono troppa memoria e troppe parole e non permettono generalizzazioni, quindi conoscenza trasmissibile di una certa utilità. Altresì, scalare all’indietro la catena causale sino alle fonti, all’Ur-codice generativo può portare a conoscere e chiarificare qualcosa di importante ma non così importante come credevamo. L’essenza spesso è insipida per via della sua generalità, generalità che è poi la ragion per cui si abbia una essenza. I codici iniziali sono condizioni di possibilità, i fatti nascono non da loro ma dalla relazione che loro hanno con qualcos’altro e la generazione è il momento di questa relazione. Spesso questi eventi generativi danno luogo ad emergenze (lo notava Foucault stesso) e le emergenze scombinano la possibilità di ricostruire la linearità generativa dalla presunta Origine. Lo strutturalismo sembra aver voluto portare un programma scientifico, molto vicino all’astrazione logico – matematica, in dote alle scienze umane per liberarle dall’umano in favore della scienza. Ma la contraddizione di indeterminazione è costitutiva della stramba categoria “scienze umane”. L’umano non può essere un oggetto di scienza anche se non detto che non vi possa essere conoscenza utile e quasi-vera. Più dall’umano, questo insieme di discipline dovrebbero emanciparsi dall’invidia penis delle scienze (…”questo metodo davvero <galileiano” dice L-S, 1958, pg. 335), specie se queste si pensano ancora basate su paradigmi newtoniani che la scienza più dura che si conosce, la fisica stessa, non usa più come suoi unici riferimenti.
Abbiamo quindi cinque livelli, la cosa, le parti di cui è fatta, le relazioni tra le parti di cui è altrettanto fatta, il contesto in cui la cosa è posta, le relazione che la cosa ha non altre cose. Lo strutturalismo sembra voler sottostimare la molteplicità delle qualità delle parti, le parti diventano solo “nodi di relazione”. Ciò è dovuto alla necessità di essenzializzare i discorsi in modo che emerga qualcosa di comune a cose di natura diversa. Questo qualcosa di comune è la struttura delle relazioni ma invero, le relazioni stesse sono di qualità differenti. Poi c’è l’indebito, a nostro avviso, annullamento della cosa in favore della sua struttura mentre interrelazioni tra varietà (cioè differenze), cioè la struttura, è sì l’impalcatura organizzativo – funzionale ma ogni scheletro esiste per un corpo ed ogni corpo, oltreché dal sistema osseo è dato anche da quello muscolare, nervoso, immunitario, cardio-vascolare etc.. Infine, e questo è forse il punto di differenza più decisivo, si isola la cosa dal suo ambiente o contesto e dall’analisi che la cosa ha con altre cose. Althusser, in particolare, si rifà alla sostanza di Spinoza, dicendo che nell’analisi strutturale ogni termine singolo si risolve in un fascio di relazioni mentre la struttura è l’unica che sussiste per sé. Non è vero che la struttura esiste per sé perché anche la struttura vista nel suo intero è un termine singolo, a sua volta interrelato ad altro. Se non altro al sistema di cui è struttura stante che ogni sistema è collegato ad altri sistemi ed al suo ambiente.
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In definitiva ci sembra che se volessimo considerare il pensiero strutturale e quello sistemico – complesso come due insiemi, questi due insiemi hanno precisi punti di corrispondenza e ampie porzioni di sovrapposizione. Il reciproco sfalsamento residuo, è probabilmente dato dall’ontologia. Nello strutturalismo le relazioni sono la cosa, nel pensiero sistemi complesso la cosa emerge dalle sue relazioni, interne ed esterne. Per entrambi, non credo si possa andare oltre a quanto detto per via della attuale incompletezza del pensiero sistemico – complesso e per via della ampia indeterminazione e pluralità di visioni contingenti al pensiero strutturale. Entrambe le due immagini di mondo, si avvantaggerebbero di una più precisa definizione ontologica. Ciò ci appare dal punto di vista filosofico che però non è l’ambiente madre per nessuna delle due forme di pensiero, sebbene lo sia per una eventuale ontologia delle relazioni ed in definitiva per mettere in ordine i sistemi di idee.
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Le altre cinque parti di studio sull’ontologia delle relazioni si trovano qui: 1), 2), 3), 4), 5).
AA.VV., Enciclopedia filosofica, vol.17, Milano, Bompiani, 2006-2010
Eco, U., La struttura assente, Milano, Bompiani, 2008
Fornero, G., (N. Abbagnano), Storia della filosofia, vol.4*, Torino, UTET, 1993 – 2007
Fornero, G., (N.Abbagnano), Dizionario di filosofia, Torino, UTET, 1998
Foucault, M., Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967 – 2007
Lévi Strauss, C., Antropologia strutturale, Milano, NET – Il Saggiatore, 2002
Moro, A., Breve storia del verbo essere, Milano, Adelphi, 2010
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[1] C.P.Snow, Le due culture, Venezia, Marsilio, 2005
[2] I.Prigogine, I.Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999
[3] “Morte dell’uomo” proclama M. Foucault nel celebre, Le parole e le cose (cit.)
[4] F. de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari-Roma, 1997
[5] Sebbene s’insista sul carattere “francese” dell’intuizione strutturale, si deve segnalare che in linguistica, il paradigma strutturalista ha dato vita ad una fertile tradizione russa e non solo, fatta di R. Jakobson, N. S. Trubeckoj, le scuole di Praga e Copenaghen, il danese L. Hjelmslev. In una possibile analisi delle geografie del pensiero sarebbe interessante analizzare come i concetti di sistema e struttura, di olismo ed organicismo, siano stati interpretati dal complesso culturale russo, ma rimandiamo la questione ad altra analisi.
[6] L’episteme di Foucault per la verità è variante mentre gli strutturalisti si concentrano più sull’invariante (forme invarianti dello spirito umano per Lévi-Strauss) ma quanto a forma, l’episteme è senz’altro una struttura. Episteme è un oggetto mentale di una ampia famiglia che a noi interessa molto. La famiglia si compone di categorie (Aristotele – Kant) che sono forme (ma si potrebbe anche dirle strutture) di cui è pensata l’universalità e l’astoricità, dei trascendentali puri per come si esprime Kant. Poi vi sono le immagini di mondo à la Dilthey che Jaspers successivamente (Psycologie der Weltanschauungen, 1925) declinò in tre strutture tra loro allacciate: quella spazio-sensoriale, quella psico-culturale, quella metafisica. Così intese esse sono non sempre trascendentali, sono consce ed inconsce, storiche ed astoriche, non universali. Il paradigma di Khun è anche della famiglia. Il paradigma Khun lo ambienta nell’epistemologia nel senso di filosofia della scienza ma l’uso successivo che ne è stato fatto lo ha recepito nel più ampio significato di struttura mentale e culturale con la quale consociamo il mondo. Per la verità, “paradigma”, ha anche un significato empirico quanto a pratiche e strumenti usati per la conoscenza scientifica in un dato momento storico. L’aspetto pratico-empirico si ritrova nell’episteme foucaultiano ma non nelle Weltanschauungen. Come le Weltanschauungen e l’episteme, il paradigma è un “a priori storico” per come si esprime Foucault. Della famiglia fanno parte altresì altri concetti non meglio chiariti e formalizzati come paesaggio mentale, mentalità, matrice ed altri. L’oggetto è molto complesso e la questione, fortemente indeterminata, M. Masterman (allieva di Wittgenstein) ha criticato il concetto di paradigma di Khun poiché secondo lei, il suo significato negli scritti di Khun, ha non meno di ventidue versioni. Nelle nostre ricerche, noi usiamo “immagine di mondo” in un senso molto vicino a quello di Jaspers. Il concetto ha a che fare con le “condizioni di pensabilità” (simili ad un altro concetto foucaultiano: l’archivio, presente in Archeologia del sapere – 1969), strutture dotate di una logica interna che cambiano poco senza alterare la loro struttura in un periodo storico-culturale omogeneo e cambiano invece in maniera radicale nei passaggi tra un periodo e l’altro (esempio kuhniano tipico: la struttura delle rivoluzioni scientifiche; esempio foucaultiano: le tre epoche culturali rinascimentale, classica e moderna che compongono Le parole e le cose, di cui egli sottolinea le “discontinuità enigmatiche”).