COME PLATONE RIDUSSE il MOLTEPLICE ad UNO nella REPUBBLICA.

Questo è il secondo di tre articoli su Platone. Nel primo abbiamo trattato l’ontologia ed il sistema generale del filosofo. In questo tratteremo il pensiero politico con riguardo specifico a la Repubblica. Nell’ultimo, ci occuperemo ancora di qualche aspetto tra cui l’interpretazione generale del suo pensiero politico e l’iper-traduzione de la Repubblica di Alain Badiou.

untitledRepubblica è senza dubbio l’opera più sistemica di Platone. La struttura sistemica de la Repubblica ordina ed intreccia almeno cinque fili che tramano alla ricerca di ciò che Platone riteneva il principio supremo dell’intera sua ricerca speculativa: il Bene (il Buono). Questa ricerca rimbalza continuamente  tra il piano teorico e quello pratico, sviluppando un dialogo tra pensiero, idee, realtà come è, realtà come dovrebbe essere.

I cinque fili intrecciati della ricerca platonica sono: a) l’individuo e la sua anima; b) l’organizzazione sociale; c) l’organizzazione politica; d) il Bene quanto a virtù e Giustizia; e) il Bene quanto a conoscenza ed educazione. Quanto definito Bene nella ricerca sulle virtù, sulla giustizia, sulla conoscenza e sull’educazione verrà riflesso come giudizio di Bene, che nella forma sintetica dei principi dell’immagine di mondo platonica è l’Uno. L’Uno definisce  l’ordine nelle molteplici facoltà dell’anima, delle molteplici classi sociali, della molteplici forme di governo politico. Il principio assiologico, determinerà quindi sia l’ordine gnoseologico, sia quello ontologico sia quello politico-sociologico-psicologico. E’ questa la meccanica precisa dell’immagine di mondo platonica, un Uno (Bene è Vero, Giusto, Bello) che definisce un Molteplice sempre in bilico tra ordine e disordine, tra funzionalità ed anarchia, tra eccesso e difetto,  tra essere e divenire.  Alla ricerca quindi di una definizione per questo dialogo, sarebbe più appropriato definirlo una opera di Etica generale (che come filosofia pratica comprende ovviamente la politica) che è al contempo il compendio del sistema della filosofia generale dell’autore.

Immagine PLATONE - Repubblica

NOTA: I concetti si leggono solo nella successione verticale. In quella orizzontale cambiano i discorsi ed i contesti e non vi è sempre corrispondenza. Fuori della cima della piramide, ci sarebbe l’Uno-Bene che è al di là dello stesso -essere-. L’essere inizia nel vertice della piramide e giunge al completo divenire alla sua base che è anche il molteplice, così l’intelligibile rispetto al sensibile. 

D) Il CODICE della REPUBBLICA: Nello specifico, la radiografia della struttura concettuale della Repubblica può proporsi questa: il sistema platonico illustrato nella Repubblica è una identità analogica tra l’Io psichico, quello gnoseologico, l’etnico-sociale ed il politico. L’Io psichico (anima) è tripartito: a) anima razionale; b) anima irascibile; c) anima concupiscibile o desiderante . Ad esse corrispondono positivamente le virtù: a) della saggezza; b) del coraggio; c) della prudenza e  temperanza; che se in giusto ordine ed equilibrio, nell’individuo come nella società come nella sua forma politica, danno la giustizia, quindi il Bene. L’ingiustizia, quindi il Male, proverrà dall’ignoranza, dalla tirannia delle passioni, dall’eccesso di desiderio e di piacere, dal disequilibrio e dal disordine.  A questa tripartizione[1] corrispondono altrettante attitudini di popolo secondo il principio che in ogni individuo c’è una gerarchia tra le tre anime, gerarchia che si manifesta diversamente tra i vari popoli poiché ogni popolo è la proiezione collettiva di questa preferenza individuale. Così i popoli del nord, Traci e Sciti sono notoriamente “irascibili”, i Greci sono “razionali” e Fenici ed Egizi sono “amanti del guadagno”, commercianti crapuloni. Ma anche nelle singole città-stato greche si ripresenta la tripartizione e nel modello ideale di Platone, si formano così tre classi che non sono segmentate per censo o tradizione, ma per attitudine. Avremo così la classe dei concupiscenti (la classe di ferro e rame) che produrrà e commercerà delegando la difesa ed il controllo della giustizia (tanto interna che esterna) alla classe degli irascibili (la classe d’argento)  che verranno chiamati “guardiani”. Solo per questa classe è prevista una forma organizzativa di tipo comunistico con indifferenza di genere. L’intero organico sociale, dovrà culminare nella classe dei governanti, che saranno la classe dei razionali (la classe d’oro), ovvero i filosofi, che si riduce ad Uno, il re-filosofo che eccelle tanto nella guerra, che nel pensiero. Così infine, le forme politiche corrispondenti saranno la democrazia laddove vige il principio della concupiscenza (commercianti), l’aristocrazia dove vige il principio dell’irascibilità (militari) e la monarchia dove vige il principio dell’Uno finale, razionale, misurato e misuratore, il re-filosofo che governa il sottostante molteplice dando a questo -come il Demiurgo- la forma del Bene. Nel Politico, queste tre forme segmentate per il numero dei decisori (Molti, Pochi, Uno) hanno la loro versione sempre gerarchica positiva quando ordinate da leggi, negativa (democrazia senza leggi ovvero demagogo-crazia; oligarchia o timocrazia, tirannia) quando governate dal libero arbitrio. La democrazia è il peggior sistema con le leggi, il migliore di quelli senza leggi. L’Uno-Bene è principio ontologico (cosa è?), gnoseologico (come lo conosco?), assiologico (come lo giudico?) che dovrebbe governare la gerarchia parallela ed isomorfa delle idee, degli individui, delle classi, del governo, dello Stato.

= 0 =

untitled234E) Le DUE INSIDIE del CODICE PLATONICO: Il codice della mente platonica è fatto di tetraktys pitagoriche (con tutto il loro sciame di misticismo razionale a base numerologico-geometrica), piramidi che hanno vertici con rapporti inversi tra quantità e qualità, ascensioni al Sole come metafora del Vero, erezioni dell’Uno, monarchi, uomini regi, Idea prima, demiurghi-tessitori, verità singolari-semplici-assolute, essere immobile ed eterno, menti che governano corpi, ragione che governa le menti, anziani che governano giovani, pastori che governano greggi, piloti che governano navi, padri che governano figli, maestri –discepoli, medici – pazienti e filosofi che dovrebbero governare tutto e tutti i quali a volte sono con la “i” alludendo ad una possibile pluralità, ma poi, di definizione in definizione,  per esclusione e morto Socrate, si finisce con una definizione di filosofo che ritaglia giusto lo spazio occupato dal solo Platone e dagli accademici, o meglio, dalla sua/loro immagine di mondo.

L’ aritmo-geometro-sofia Platone l’eredita dai pitagorici e Pitagora l’eredita dall’antica sapienza egizia secondo quanto riferisce anche (e non solo) Isocrate, nell’Encomio di Busiride. Su questo antico strato che la tradizione romantico-ariana ha cancellato nelle sue interpretazioni, lo stesso Platone ritorna più volte nei suoi Dialoghi (Fedro, Filebo, Epinomide ed ovviamente Timeo).

Questa codice è la forma gerarchica apriori largamente usata da Platone, assieme all’analogia o isomorfismo. Analogia ed isomorfismo è quella altra forma del pensiero che deve presupporre una similarità intrinseca nel molteplice che analizza, per poter trarre o imputare leggi normative, stante l’asimmetria congenita nella relazione Io (Uno) – Mondo (Molteplice)[2].  images71V1G7C0Presupponendo si possa operare in analogia, si trasferisce il codice che ha la gestalt di una gerarchia a forma di triangolo-piramide che ordina la mente, sul Mondo. L’individuo ha la sua nobiltà nel capo, nella mente (dove deve vigere una monarchia del razionale) e la società è omologata a quel corpo sociale che non ha ordine e funzionalità senza un “capo” che governa una gerarchia anch’essa triangolare. La piramide mentale ha il Bene nel vertice, così la piramide socio-politica. L’analogia organicista non è esclusiva di Platone, la troviamo intatta nel Rg Veda che gli è ben precedente e si ripete nel celebre apologo di Menenio Agrippa sul Monte Sacro, in Paolo di Tarso che vede la chiesa come corpo mistico del Cristo,  in Giovanni di Salisbury che così santifica l’ordine feudale nel Medioevo anch’esso tripartito e gerarchico piramidale, nel grande uso delle metafore del Rinascimento più o meno neo-platonico con Bruno, Campanella, Marsilio Ficino, affermandosi imperiosamente nel Leviatano di Hobbes e poi arrivando all’Idealismo tedesco con l’aperto organicismo di Hegel. L’analogia organicista  in politica è alla base del comunitarismo che ha versioni comuniste e fasciste. In quest’ultimo caso soprattutto, si specia una concezione organicista forte che troviamo nel progetto di democrazia organica che doveva veder la luce il 25 Aprile del 1945 nella RSI e che poi troveremo nel corporativismo franchista, in Salazar in Portogallo e con Dollfuss nell’austro-fascismo.

LeviatanoLa fallacia organicista è insidiosa poiché nel registro delle immagini di mondo, si è formata una polarità ideale tra concezioni irrelate, atomistiche (a proposito di questa espressione “atomizzato” si tenga conto che nel centinaio di elementi atomici, solo 7 -i gas “nobili”- non hanno alcuna tendenza all’interrelazione molecolare. Se gli atomi fossero tutti gas nobili, non esisterebbe l’Universo ma un nebbione senza senso, quindi è l’espressione stessa a non avere molto senso), individualiste, tipiche della mentalità anglosassone da una parte e concezioni relate, organiciste, comunitariste o collettiviste dall’altra. Queste due forme dicotomiche ipostatizzano a modo loro anche due concezioni di ordinamento sociale dato nell’un caso dall’economico, nell’altro dal politico. La fallacia è insidiosa perché nel concetto dell’organico c’è quanto riteneva Aristotele, ovvero che il Tutto e la Parte siano concetti inscindibili, fatto questo ultimo che a noi pare logicamente incontestabile. Importando però il modello di organismo, che poi è sempre organismo umano, si importava una concezione gerarchica dal momento che si riteneva l’uomo ordinato dalla sua mente e la mente ordinata dall’intenzionalità razionale. Così la società andava ordinata da un individuo o piccolo gruppo di individui che ne erano il capo, le parti (classi, individui, funzioni, corporazioni) dovevano sottomettersi alle rigide funzioni dell’ordine organico per il quale la mente ordina il corpo, i dominanti ordinano i dominati. La fallacia dell’analogia colpì anche i molti (da Virgilio a Bernard de Mandeville, da Aristotele a Montesquieu e da ultimo il sociobiologo E.O.Wilson, poi pentito) che indugiarono nel prendere alveari e formicai come modelli sociali semplificati, su cui proiettare lo studio della socialità umana. Basterebbe chiudere il sillogismo analogico per rendersi conto dell’idiozia razionalizzante: l’ape sta all’alveare come l’uomo sta alla società, quindi l’uomo è un’ape.

Fig_ 7_Raffaello PitagoraNel concetto di mente contemporaneo questa gerarchia e fissismo delle funzioni si è fortunatamente perso. Oggi la concezione della mente tende più ad un olismo che innanzitutto ha riannodato i fili mentali con quelli corporei, quelli del cervello rettile, con quelli del cervello mammifero e questi con quello corticale razional-intenzionale, la ragione ha passione (e viceversa), il conscio lucido e regolare emerge senza rescissione dei legami da un inconscio opaco ed irregolare[3], etc.. La gerarchia non è negata in nome di una irrealistica uguaglianza sincronica di tutti gli addendi, ma letta come “ad-hoc-crazia” adattativa, gerarchia variabile in forma e contenuto, a seconda delle relazioni di contesto.

Quanto alla Natura, nel concetto di ecosistema non c’è più la spenceriana monarchia del più forte che governa sulla piramide degli esseri[4], ma una sfera senza alto e basso, in cui tutto s’intreccia con tutto, senza che si possa dire chi venga prima di chi, chi comandi su chi, senza che nessuno possa dirsi autonomo, ma tutto debba dirsi interdipendente. La forma di questa concezione è il -sistema- , forma che dice che è l’insieme delle parti interrelate a fare l’Intero e che questo Intero è relativo al rapporto tra le sue condizioni di possibilità interne ed alle sue interrelazioni con altri Interi e con il comune ambiente nel quale essi sono a fare il Tutto. La concezione sistemica è una complessità non preordinata dalla fallacia organicista ed è simmetrico contraria alla concezione a-sistemica delle monadi irrelate che è logicamente insostenibile sotto tutti i punti di vista poiché nulla del pensabile e del reale, mostra questa forma. Nelle concezioni sociali e politiche c’è poi chi preferirà sistemi deboli ed inintenzionali come quelli ordinati dal mercato e sistemi forti come quelli ordinati dall’intenzionalità politica associata, ma nulla si può pensare fuori della concezione sistemica, senza per questo dover importare il fallace ordinamento di un naturalismo gerarchico, quale si ha in Platone e nella sua lunga successione.

Quello che il sistema modifica positivamente rispetto alla precedente analogia con l’organismo è, sia dare una forma nuda cioè non forzata da questa o quella attualizzazione, sia il fondarsi su una lettura non semplificata delle relazioni che sono poi ciò che tessono il sistema. Queste non sono sempre e solo ascensionali com’era nell’organicismo piramidale, ma complesse ovvero dialettiche, dialogiche, cibernetiche, autopoietiche e soprattutto, tanto esterne, che interne. . Fig_ 8_Epogdoon e TetraktysLe relazioni o interrelazioni sono il “grande invisibile” della metafisica semplificata occidentale tutta tesa a definire “essere” ponendolo al riparo dalla contingenza del divenire, dalla condizionatezza, dalla contestualità, dalla relatività, dalla complessità. A noi non risultano esistere “essere” senza relazioni.  E poiché essi non possono non essere relati ed interrelati, essi non possono mai essere assoluti (ab-solutus = sciolto da legami).

imagesIBU6MQTMDopo la fallacia organicista ed il suo ordine gerarchico immanente, il secondo apriori non condivisibile, è la riduzione di complessità per astrazione. La componente di complessità più avversata da Platone dopo il Molteplice è il Divenire. Così la sua ideale unità sociale, è fissata come immodificabile, rigida, una forma di primitiva ingegneria sociale basata su una sclerotica esaltazione della divisione del lavoro, delle funzioni, dei destini che sono poi quelli dettati da una sorta di fatalismo antropo-genetico finalizzati alla salute dell’organismo gerarchico. Perché tutto mantenga l’ideale delle proporzioni, tutti debbono sacrificarsi al destino dell’Intero, una disposizione che, come già ebbe modo di osservare criticamente Aristotele, è del tutto irrealistica. Qui non c’entra nulla l’utopismo poiché l’utopia è improbabile, ma possibile. L’irrealismo non è l’impossibilità nel qui ed ora, ma nel sempre. Questo fissismo delle parti condanna all’alienazione produttiva il grosso della città ed all’alienazione militarista una seconda parte, l’unico che si diverte è il re-filosofo che ha l’ebrezza del Demiurgo. Platone insiste sull’immodificabilità della costituzione e nelle Leggi, su una sorta di irrevocabilità del Contratto,  sul fatto che la comunità ideale lì prospettata avrà sì una moneta ma di cui è impedito il corso extra-comunitario. Ciò equivale a chiudere commercialmente la città-Stato. Questa chiusura che non è solo economica ma più generale, è necessaria nel modello platonico per isolare il sistema, infatti ogni sistema aperto non può che: a) proporre il problema dell’importazione di instabilità; b) l’importazione di varietà (modelli culturali o stili di vita) potenzialmente destabilizzanti dal momento che, evidentemente, non si ritiene la propria comunità così convinta nelle sue scelte da resistere alla fascinazione di qualche perversione extra-comunitaria; c) porre in definitiva il problema dell’adattamento, del mantenere le strutture nel divenire che è divenire interno ed esterno. Qualsiasi comunitarismo che non si ponga il problema di come gestire le relazioni esterne al sistema, diventa una setta impaurita e chiusa al suo interno, una monade come la definiva Leibniz, senza porte e finestre. Così, il Totale platonico rischia seriamente di chiudersi in un totalitarismo e con l’adozione dell’ordinamento gerarchico, propriamente in un fascismo (anche e non è certo questa l’intenzione platonica).

images168DTVNZ

F) Il BENE ed il MALE nel SISTEMA PLATONICO: Il ragionamento platonico su il Male ed il Bene della città (dello Stato, della comunità sociale, dei bisogni individuali) è assai fertile in anamnesi e diagnosi ed assai sclerotico in prognosi.

Il BENE nell’ANALISI: Nella lettura dei problemi, Platone individua lucidamente lo squilibrio economico che genera classi egoiste che non concorrono al bene comune. imagesC5OF6XS4Non facendo nulla assieme ed anzi impegnandosi l’un contro l’altra è conseguente che il sistema non diventi Uno ma rimanga conflittualmente Molteplice, quindi squilibrato, ingiusto, sempre a rischio di implosione. Per porre limite e soluzione a questo disordine, è altresì conseguente che l’ordine venga imposto con la forza della forza e non con la forza della ragione, da cui l’alternarsi della forza dell’Uno tirannico, di Pochi oligarchi, dei Molti poveri contro i ricchi, per poi verificare che questo diritto -del più forte in quanto più forte-  non è la soluzione e ricominciare ogni volta lo sterile circolo delle soluzioni che non risolvono. Queste forme politiche, per Platone, hanno distinzione formale ma non sostanziale essendo tutte variazioni del Male e non del Bene, hanno un limite che degenera nella forma successiva il cui limite riattiva il ciclo.

Fondamentale è l’individuazione del problema a livello antropologico. Sono i singoli individui il luogo in cui si compie la battaglia decisiva tra Bene e Male La loro propensione individuale, quando sommata a livello di “popolo” fa la caratteristica precipua delle diverse culture e queste, fanno corrispondere alla loro inclinazione prevalente la forma che più ritengono funzionale. Questo suggerirebbe ai contemporanei più cautela nell’almanaccare su i formalismi economici, politici, costituzionali come se fossero queste forme a produrre gli individui, ricordarsi che l’individuo è semmai un prodotto bio-culturale ed è la cultura, l’educazione in specie, l’unica tecnica con la quale manipolare la sua costituzione, privata e pubblica, sostanziale e formale. Altresì non c’è forma giuridico-costituzionale che faccia diventare una comunità, ciò che quella comunità non è nel profondo essere dei suoi cittadini, questo fu l’errore anche del materialismo storico applicato meccanicamente al comunismo sovietico e cinese. Così i voluminosi codici nella patria dell’autore di “Dei delitti e delle pene”, tra i discendenti diretti degli inventori del diritto romano, i cittadini del paese che ha una delle più belle costituzioni del mondo, non per questo hanno un paese dominato dalla legalità e dalla giustizia, tutt’altro. Così ad esempio i sistemi elettorali non fanno un paese bipolare se la cultura di quei popoli non è bipolare come negli anglosassoni, stante che un modello bipolare non ha alcun Bene assoluto. Nei periodi di transizione strutturale ad esempio, è decisamente meglio un sistema multipolare e molto articolato, poiché è l’articolazione che dà la flessibilità necessaria per il cambiamento e l’adattamento come insegna la filosofia orientale del giunco e quella scheletrico-strutturale della colonna vertebrale (33 nell’uomo, quasi 500 in certi serpenti).

untitled456A suo modo geniale, l’idea di rendere il potere indesiderato ponendo limiti non al suo esercizio ma ai suoi esercitanti. Come alcuni antropologi raccontano di remote tribù, in alcune, al re sono posti dei tabù, dei limiti che fanno parte della sua funzione. In un esempio raccontato da Frazer nel Ramo d’Oro (non trovo la citazione, potrei sbagliarmi nell’attribuzione), non toccare terra coi piedi, una limitazione che porta il re a non essere autonomo ed indipendente in alcuna attività umana. Una restrizione talmente grave che porta il vice-re pre-designato alla successione, a darsela a gambe nella foresta quando sembra che il re stia per morire. Una “fuga dal potere” che inverte la dinamica che ha affollato la nostra storia reale e letteraria. Oggi si potrebbe imporre la completa spoliazione di ogni bene materiale con obbligo, finito il mandato, a vivere a spese dello Stato entro rigidi limiti di poco superiori alla sussistenza per vedere la selezione naturale tra chi ha il fuoco sacro della gestione politica della cosa pubblica in sé e coloro che lo hanno per sé.

Il MALE nella PROGNOSI: Il I Libro della Repubblica espone la tesi, potremmo dire “ontologica attuale” della giustizia, nella parole di Trasimaco: “la giustizia non è altro se non ciò che giova al più forte”. A questa, Platone, oppone il principio assiologico per cui la giustizia è il Bene, tanto per l’individuo, per la sua configurazione sociale, per la forma del governo e del potere. Al diritto del più forte in quanto più forte, si oppone il diritto del più giusto in quanto più razionale. Ma la prognosi platonica si trasforma secondo l’analogia organicista e quella del medico curante i mali dell’organismo con prognosi gerarchico-fissiste, nell’imperio del Bene, quasi che non valessero le idee antropologico-culturali precedentemente esposte, quasi ci fosse (come c’è) una profonda sfiducia antropologica di fondo, contro la quale anche l’educazione può poco. Il grosso della città infatti, lavora per vivere e mantenere i suoi guardiani virtuosi, per essa, non si prevede nulla del dettagliato corso di educazione e formazione che costella vita degli altri.

imagesY96050CWC’è una forma ideale di organizzazione, prassi e potere politico che può ingabbiare tanto disordine, imponendo Bene al Male, forma all’informe, l’unicità equilibrata alla diadicità disequilibrata. Questa è la tirannia del Bene, il sistema gerarchico-piramidale più conservatore nella forma dell’Uno che attraverso i Pochi governa su i Molti. Ne vien fuori l’eugenetica, l’educazione coercitiva e occhiutamente censoria, il fissismo degli organi-funzioni nella divisione del lavoro, le dicotomie stereotipate di una dialettica diairetica che scambia il suo dominio descrittivo con quello prescrittivo (degenerazione standard di ogni idealismo dialettico), la confusione concettuale tra diseguaglianza-disomogeneità-differenza operata da una furia semplificatoria disposta a passare come un rullo compressore sulla quadridimensionalità individuale al fine di creare l’universo liscio e senza attriti del Bene Assoluto. Alienati giovanotti e giovanotte, tirati su a ginnastica e musica edificante immutabile nel tempo, che vengono gestiti come polli d’allevamento dal pastore filosofico delle anime, sono i Pochi che armati di ferro e virtù combattono, difendono e controllano come poliziotti del Bene, la società virtuosa. Incomprensibile come questa distopia dickiana, abbia tanto affascinato i comunisti della modernità e talvolta, contemporaneità[5]. Ma infine: chi comanda? Ecco che sol presupponendo poter definire il Vero, si può dedurre il candidato ideale della gestione della struttura del Bene che tutto fissa, limita, ingabbia e governa per lo stesso bene dell’Intero[6], candidato ideale che Platone vede nel filosofo dialettico al contempo stratega militare. Ma questo Vero Assoluto, Platone non lo fisserà mai (poiché è impossibile da fissare se non come Vero-per-me) e verso il fine vita, arriverà a coinvolgere come testimonial il Terzo uomo, cioè Dio come fissazione incontrovertibile del Vero. Così il progetto costituzionale oggetto del dialogo Leggi, proporrà pene severe contro l’ateismo, poiché discutere dio è discutere il Vero e discutendo il Vero crolla la vigenza di ogni struttura concettuale nella sua presunzione di assoluto. Fu proprio l’argomentazione di discutere gli dei, collante della legalità dell’immagine di mondo della comunità, che costò a Protagora l’ostracismo (e prima di lui ad Anassagora) e usata contro Socrate, la vita.

imagesJWP93PMR

G) La DISSOCIAZIONE FATALE: In definitiva, il modello platonico, ci sembra soffrire di un unico problema, un problema che si manifesta in molti modi, tutti disgraziati. Il problema è quello del disallineamento tra forma e sostanza, una sostanza gerarchico-tirannica operata dall’Uno per ottenere la forma della giustizia del Bene di Tutti. Problema che si manifesta anche nella relazione individuo – comunità, dove si compie una scelta squilibrata, simmetrico contraria a quella liberale, quella del diritto collettivo sopra quello individuale nel primo caso, quello del diritto individuale sul collettivo nell’altro caso. Platone è anche il filosofo del “giusto mezzo” ma talvolta se ne dimentica lui stesso, in Repubblica questa istanza di misura equilibrata è ancora annegata nella furia dell’architettura dei concetti ideali, nel Politico comparirà sotto forma di saggezza dell’uomo regio che è anche tessitore degli opposti. Spesso la dialettica (la diairetica dicotomica) produce di questi guasti, laddove oltre a ritenerla un codice della realtà e non solo del pensiero, si ipostatizzano dicotomie che poi vattelapesca come riunire. Non sicuramente col dominio dell’una sull’altra ed infatti l’invenzione di Hegel sarà un “terzo tempo”: il superamento (Aufhebung), una forma di “giusto mezzo il cui totale è maggiore delle parti”.

Questo problema platonico, il problema di una soluzione incorretta di un problema correttamente posto, deriva dal suo apriori, dall’immagine di mondo che aveva in testa, una immagine di mondo abile in via analitica ma meccanica in via sintetica. untitled123Il Molteplice non può esser portato ad Uno nella sostanza ma nella funzionalità. Il gruppo umano non può diventare un sol uomo perché delega ad un sol uomo esserne la facoltà di giudizio e di intenzione. Il gruppo umano non è un organismo (fallacia organicista) ma un sistema dove l’essere singolare (individuo) e plurale (la società) sono compresenti ontologicamente (manifestando così anche la kantiana insocievole socievolezza)  ed irriducibili gli uni a gli altri.  Un gruppo umano può diventare un sistema ordinato, ontologicamente stabile, adattivamente flessibile e resiliente ed assiologicamente giusto solo se ogni uomo condivide con gli altri un comune grado di giudizio ed intenzione e per far questo non c’è che una via, adottare il comune principio della cultura politica della comunità di individui ed operare continuamente il dialogo per trovare e scegliere il suo/loro Bene . L’unico sistema politico che favorisce, sebbene non garantisca questa procedura, è la democrazia radicale ovvero l’auto-organizzazione sistemica che si rileva, volendo fare dell’analogia descrittiva e non prescrittiva, nei sistemi complessi. Nessuna monarchia-tirannia, nessuna aristocrazia comunque definita (da quella dei filosofi, all’avanguardia leninista) o tantomeno oligarchia, nessuna Costituzione o complesso di leggi, nessun “Dio ha detto che…”, nessuna legge del più forte o regolamento impersonale come nella Mano Invisibile, può dare buona e giusta funzionalità sociale. L’unica via per il Bene del Tutto umano è la condivisione di una comune intenzione del Bene tra le Parti, sarà “comune” solo ciò che è in tutti, che sia ricchezza, decisionalità politica, capacità culturale di pensare per decidere. La giustizia è un Bene diffuso che coincide col potere diffuso, con la relazione tra la domanda “chi comanda?” e la risposta “Tutti!”.

Il dissidio tra l’interesse privato e l’interesse pubblico non si risolve ipotizzando un super-soggetto collettivo-pubblico ai cui interessi coartare quelli del soggetto privato-individuale ma arrivando come individui a capire contemporaneamente qual è il nostro interesse privato, il nostro interesse pubblico ed il nostro interesse quanto a sistema. Il dissidio se e quando si forma tra le tre sfere d’interesse, va composto da qualcosa che è nel singolo individuo, non fuori di esso. Il dilemma tra “mio” e “non mio” (Rep. 462 C) è arrivare a comprendere che, a vari livelli, tutto e nulla sono al contempo mio e non mio. Non si riduce il Molteplice all’Uno facendo del primo un organismo gerarchico fisso (quindi morto), ma offrendo al Molteplice un regolamento di interrelazione per la decisione operata da ogni Uno dotato di visione sul Molteplice.

2. continua

(Qui, la prima puntata)


[1] Questa diventerà la tripartizione medioevale di bellatores (militari/nobili), oratores (sacerdoti/clero) e laboratores (lavoratori/popolo) secondo quanto riferito da Adalberone di Laon nel 1030. oratoresLa tripartizione è assunta e resa molto nota in storiografa da G. Duby della Scuola degli Annales, anche se il suo rilancio negli studi moderni si deve a G. Dumézil. Secondo il francese, questa era l’originaria tripartizione sociale dei popoli indoeuropei e con l’aggiunta dei servi, queste sono le caste dell’induismo. Ma a ben vedere, non diversa tripartizione ci fu anche in Cina, così da poterla ritenere uno standard delle società complesse in quanto tali secondo la tripartizione funzionale di: 1) comando-ordine; 2) intenzione-visione; 3) produzione-mantenimento in vita.

[2] E’ questa la forma stessa dell’epistemologia newtoniana, tutt’oggi in auge, per la quale noi umani possiamo stando qui, conoscere leggi fisiche valide in tutto l’Universo. Oggi questo presupposto non è più indiscusso visto che secondo la conoscenza degli enti fisici e delle leggi relative a nostra conoscenza si da un Universo in cui manca all’appello poco meno del 90% della massa che dovrebbe esserci secondo quelle leggi e quelle conoscenze. La nostra immagine di Mondo nel senso di fisica dell’Universo è un po’ sbilenca avendo almeno tre gradi di legalità (quella quantistica, quella newtoniana e quella della relatività generale) i cui rapporti non sono consequenziali e che arriva a formulare una immagine complessiva basata su: “se” – è valida e completa la nostra conoscenza dell’Universo – “allora” – l’Universo al 90% è fatto di cose che non conosciamo e che non sembra esistano qui dove siamo. Ciò nonostante, nell’epistemologia dominante, impera ancora la tripartizione paradigmatica per cui la verità scientifica è Una, Semplice, Assoluta. E’ la fede che fa i miracoli.

[3] Purtroppo la situazione non è ancora totalmente risolta. Soprattutto l’ambito scientifico anglosassone non rinuncia facilmente alle metafore sulla “scatola nera”, sul modularismo mentale, sul cognitivismo a base informazionale, sulla specializzazione emisferica, sul dettato genetico, sulla sterilizzazione analitica, sulla separazione tra fatti e valori etc. .

[4] Vale la nota 3, in versione bio-molecolare-evolutiva. Ma anche di certa paleoantropologia americana che ancora presuppone primitivi egoisti e bellicosi che fanno il barbecue (purtroppo ancora senza birra, ma più avanti compare l’idromele in barbariland) dopo essersi massacrati tra loro e tra loro contro la Natura. Filosoficamente, per costoro, vale ancora il Bacone per il quale la Natura è prostituta da sottomettere alla soddisfazione dei nostri desideri e lo Spencer che ha torto l’adattivismo darwiniano in dominio del più forte.

[5] Analizzeremo nel terzo articolo, la questione Popper, ovvero l’insorgenza contro le accuse di totalitarismo operate dall’austriaco liberale e lo stesso comunismo dilatato della soluzione Badiou.

[6] Si noti qui che Platone presuppone l’auto-subordinazione e non l’imposizione per cui le tarde accuse di totalitarismo che gli sono state mosse, non hanno senso completo. Il precoce contrattualismo tipo hobbesiano di Platone (nota M. Vegetti a pg. 92 del suo ottimo “Quindici lezioni su Platone”, Einaudi, Torino, 2003) è antropologicamente il tossicodipendente che si reclude volontariamente in comunità accettandone la prigionia.  I robocop comunisti e il tiranno del Bene (il possessore del sapere regio secondo il Politico) sono “dipendenti” del popolo governato nel caso della Repubblica, sono candidati spontanei oggetto di selezione attitudinale nella colonia ideale de le Leggi. Ma questo è anche ciò che rende “utopico” il discorso anche per lo steso Platone, un ordine ideale che però rimarrebbe incerta possibile vittima del suo rovesciamento come Aristotele farà notare in seguito. A questo si espone il dissidio tra sostanza e forma.

Pubblicità

Informazioni su pierluigi fagan

64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti anni ritirato a "confuciana" "vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e soprattutto filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre) oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio. Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore.
Questa voce è stata pubblicata in anglosassoni, antica grecia, complessità, democrazia, filosofia, mondo, occidente, politica, psicologia, società complesse e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

2 risposte a COME PLATONE RIDUSSE il MOLTEPLICE ad UNO nella REPUBBLICA.

  1. Arianna ha detto:

    Scusa, ma ti senti più intelligente di Platone?

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.