PLATONE. Il Logos è fare Uno del Molteplice.

Iniziamo con questo articolo, uno studio su Platone in tre puntate. In questa ci occuperemo della visione generale che Platone aveva del problema primo: l’ontologia. Nella seconda analizzeremo il dialogo de la Repubblica, ritenendolo quello più sistemico. Nel terzo ci occuperemo di una particolare versione de la Repubblica, quella riscritta da Alain Badiou  e pubblicata in Italia nel 2013.

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images10LN0J9LA) ONTOLOGIA PLATONICA: Il discorso ontologico  inizia ponendo quella che chiameremo: situazione principale. Ogni filosofia generale, parte da questa situazione principale che la cosiddetta scienza prima, l’ontologia, definisce in vario modo a seconda dei vari punti di vista. Per gran parte dei filosofi di ogni tempo, la risposta  alla domanda: cosa c’è?. La risposta è -l’Io e il Mondo-, di cui si danno tre possibili tipi di unione-relazione. La situazione monistica è quella per cui Tutto è Uno ed è quella probabilmente più antica nelle concezioni umane. Essa giunge sino a Parmenide, ma da Platone in poi si complica. Riemerge nel panteismo di Bruno e Spinoza e talvolta anche in concezioni materialistico-fisiciste che predicano un olismo dell’iper-connessione del Tutto come un Uno. La seconda è quella del monismo riunificato ed è quella sostenuta da vari tipi di idealismo, tra cui quello di Platone e quello di Hegel. In questo caso si danno Io e Mondo separati ma poi si deduce in vario modo la loro unità di sintesi per una coappartenenza in qualcosa, una comune trama,  che scoprirà l’intelletto o la ragione. O la fede, perché da dopo i Greci (ma già dal tardo Platone), si devono fare i conti anche con Dio che, essendo l’origine tanto dell’Io che del Mondo, è garanzia della loro coappartenenza. La terza è quella moderna che predica un dualismo di fatto, con un Io ed un Mondo asimmetrici.

Questa concezione della situazione principale la si può vedere storicamente come una lunga chiarificazione, chiarificazione che porta una sequenza di distinzioni, da Uno-Tutto a Uno in rapporto al Molteplice, poi un Uno (Io) ed un altro Uno (Mondo) unificati da un Grande Uno (Dio), poi diventa a due con l’Io ed il Mondo l’un dirimpetto all’altro per infine frantumarsi in un Uno soggetto che è unità solo funzionale poiché la sua ontologia diventa complessa, così diventa complessa quella di Mondo e s’introduce anche la complessità della relazione (sociale, economica, politica, ermeneutica) tra l’Io ed il Mondo, enti complessi di par loro. L’intero movimento è una diffusione che dall’Unità, tende alla Molteplicità. Poiché la filosofia occidentale ha in Platone i suoi fondamenti e dal momento che per Platone pensare filosoficamente la situazione principale era ridurre il molteplice ad Uno, ne discende il generale smarrimento in cui versa la filosofia occidentale, rispetto alla complessità. L’immagine di mondo con la quale l’Io occidentale, pensa un mondo sempre più plurale è di forma contraria alla realtà (per come la realtà si mostra nella sua fenomenologia).

imagesI07AY5IHRispetto alla situazione principale di Io e Mondo, Platone pone due concetti, che data la loro basilarità (da essi si origina il Tutto ma essi non sono originati da nulla di precedente) sono detti -principi-.  I due principi che pongono sin dall’inizio e riassumono la situazione principale, per Platone sono: l’Uno e la Diade indefinita, assieme fanno l’Essere o il Tutto ciò che è. l’Uno è la forma nuda di ciò che intuitivamente tutti sono in grado di comprendere (qualsiasi cosa che è). La Diade è la forma nuda da cui discendono i concetti del due, della coppia, del dualismo, della dualità, dell’Altro ed in definitiva è il Mondo . Entrambi, sono concetti pre-matematici ed infatti l’Uno per ragioni di simmetria terminologica si potrebbe dire Monade se questo termine, non avesse poi preso un significato con attributi specifici diversi da quelli che Platone prevedeva per l’Uno. Si potrebbe anche dire Unità, poiché la coppia principale è proprio la differenza tra l’Unità e la Molteplicità. Ma poiché è invalso l’uso dell’Uno, anche per la tradizione che seguirà Platone, continueremo a chiamarlo Uno.

B) STRUTTURA SINTETICA DEL PENSIERO PLATONICO: la Diade platonica è detta: indefinita (la definirà l’Uno), infinita (la renderà finita l’Uno), è la pluralità (l’Uno è la singolarità), la molteplicità (l’Uno è ovviamente l’unità) e poiché l’Uno è positivamente la semplicità, ne consegue che la Diade è anche la complessità. L’Uno è esatto-invariabile-indivisibile e quindi la Diade è simmetricamente l’inesatto-il variabile-il divisibile. La Diade è anche: il più ed il meno – il grande ed il piccolo – il molto ed il poco – l’eccesso ed il difetto, lo squilibrio di cui l’Uno è il giusto, il medio, l’equilibrio, la misura. La Diade è anche  l’alterità  rispetto alla quale, l’Uno è l’identità, ma anche la diseguaglianza rispetto alla quale l’Uno è l’uguaglianza ed anche la dissomiglianza rispetto alla quale, l’Uno è la somiglianza. imagesLa Diade è  il movimento  rispetto al quale l’Uno è la quiete, ma anche l’illimitato rispetto al quale l’Uno è il limite e proprio ciò che limita l’illimitato. La Diade è il disordine che l’Uno volge in ordine. In sintesi, dei due principi, Platone predica che l’Uno è la Verità ed il Bene, quindi l’Assoluto e la Diade è la Falsità ed il Male, quindi il Relativo. L’Essere è però Uno e Diade compresenti, se non ci fosse la Diade, dall’Uno non nascerebbe nulla. Come poi nel Timeo, la Diade illimitata è l’informe ed imprecisa caoticità dal quale l’Uno-Demiurgo trae le forme concrete del Mondo, seguendo le forme eterne (Idee) che sono nella natura dell’Uno, tanto pensante che esistente. Una doppia struttura accompagna la gerarchia delle Idee che seguono la coppia principale, l’una la cui logica è quella dei numeri, l’altra la cui logica è geometrica, entrambe a base tetradica (base quattro); intorno a questa doppia tetralogia che avvolge la logica delle Idee (Idee-Anime-Corpi) si aggira la conoscenza umana.   La conoscenza, sarà lo scorrere in su ed in giù lungo la scala del molteplice (dialettica), riducendo all’Uno (sintesi) il molteplice o deducendo molteplici distinzioni dall’Uno (diairesi), in forma di coppie (due). Sarà scienza con la dialettica del -da due l’Uno e dall’Uno il due- e dianoia che partendo da postulati deduce il mondo aritmo-geometrico laddove si ha intelletto ed il cui oggetto è l’Essere, sarà credenza o congettura laddove si ha opinione il cui oggetto è il Divenire.

imagesJLOIWHUXQuesta struttura stabilisce e precisa tre concetti che diverranno altrettanti piloni fondativi per tutto lo svolgersi dell’immagine di mondo occidentale. Essi sono l’Uno, il Semplice e l’Assoluto. Su di essi si ergerà il sapere e l’opinare occidentale, che sia religione, scienza o filosofia. La crisi della tripartizione fondazionale inizierà nella seconda metà del XIX° secolo, una crisi tutt’ora in corso. Questa crisi si manifesta con la comparsa dei simmetrici contrari del Molteplice, del Complesso e del Relativo i quali però non fanno di per loro, la struttura di un nuovo sistema, non ancora. La prima triade è del tutto refrattaria al concetto di Complessità che ha fatto breccia in alcune scienze dure, diffondendosi poi a quelle umane, e questo spiega la sua assenza in filosofia. In filosofia, per ora, compaiono solo le macerie della triade originaria. Nichilismo, postmodernismo ed accenni di nuovo fondazionalismo sono l’impasse, nel quale l’attuale fase di sviluppo della filosofia, permane.

C) Quanto riportato è in sintesi, il contenuto strutturale dell’immagine di mondo di Platone. Strutturale, significa sistema determinante il modo con cui si ontolocizza, si categorizza e si giudica. Da questa struttura, discende quanto Platone dirà nei Dialoghi a proposito delle più svariate questioni di contenuto, quali : verità, utilità, forma, giudizi di valore, struttura e definizione dei concetti, natura delle relazioni, gerarchie, conoscenza, etica, politica di quella che è, di sfondo, la famosa situazione principale: Io e Mondo. Nel porre così la situazione (con i principi dell’Uno e della Diade indefinita) Platone compie una serie di scelte, determina quelle condizioni inziali in cui si giocano i destini di tutto il successivo sviluppo del discorso. Com’è noto, le condizioni iniziali sono quei primi istanti di una storia,  in cui ogni minimo cambiamento causa destini del tutto diversi nel successivo esprimersi complesso. Queste scelte sono delle questioni generali precedenti, sono scelte a priori che il filosofo compie implicitamente o esplicitamente prima ancora di arrivare a questi concetti ed alla loro sistemazione strutturale. Poi li presenterà come “primi”, ma nella mente del filosofo non sono stati certo i primi che si sono presentati. Un filosofo, come chiunque di noi, parte dalla fine, dal dove vuole arrivare a dire della situazione principale la quale gli si pone interamente ed immediatamente, poi definisce a ritroso, con la deduzione o abduzione,  i passaggi logici di quell’insieme di cause il cui fondamento arriva a punti genetici definiti primi (principi), infine espone pubblicamente il percorso genetico a salire che giunge a sostenere quello che voleva sostenere per via immediata ed intuitiva, sin dall’inizio. Queste “pre-comprensioni” da evidenziare in Platone, sono tre.

imagesZ5GA9QHHC1) RELAZIONE  IO/MONDO: La prima non è propriamente una scelta poiché questo era il presupposto unico del pensare, sia ai tempi di Platone, sia nei tempi successivi almeno sino alla “rivoluzione copernicana” di Kant che per altro, chiude un percorso che s’inizia con la Modernità e con Cartesio. Ci appare oggi una scelta perché oggi abbiamo una alternativa, ma ai tempi e per molto del tempo successivo questa distinzione non si era pensata, quindi non esisteva. Questo credo implicito era basato sull’idea che tra Io e Mondo non esistesse alcuna asimmetria, l’Io è Mondo ed in base a questa coappartenenza si garantisce all’Io la piena e perfetta conoscibilità del Mondo. Questa concezione origina nella notte dei tempi e per lungo tempo si è riprodotta intatta fino a che qualcuno (Cartesio) non ha posto il punto interrogativo da cui inizia ogni discorso filosofico (o religioso o scientifico) non più solo su ciò che era in grado di pensare il pensante, ma sul pensante stesso. Questo porre l’interrogazione sul pensante, per la prima volta, ipotizzò una possibile separazione dei destini tra Io e Mondo. Com’è noto si pose così quella differenza tra soggetto ed oggetto che, alla fine, Kant dirà essere un rapporto asimmetrico tra un Io come intelligenza dotata di alcune caratteristiche apriori e ciò che questa intelligenza percepisce attraverso gli organi dei sensi, di un Mondo che consociamo “per noi” e mai potremo conoscere “per sé, in sé”. Questa forma della situazione principale è detta dualismo e fu al contempo, fonte di ricchezza per la conoscenza in quanto produceva distinzioni, ma anche fonte di nuovi problemi poiché rompeva il rassicurante monismo, disincantava, alienava, frantumava, portava implicitamente alla fine di quelle grandi certezze che solo dopo ci apparirono come piccole o grandi ingenuità. Come ogni forma di distinzione del sapere umano, questa acquisizione ricca e dolorosa è irreversibile e per quanto possiamo dolerci della perdita dell’unità tra uomo e natura (mondo), tale è oggi la nostra condizione cognitivo-esistenziale. Perdita dell’unità non significa  ontologia del conflitto, una distinzione può porre la relazione di conflitto oppure la relazione di collaborazione e cooperazione. Quando nasciamo ci distinguiamo dalla madre, ciò non ci porta in genere a doverla poi uccidere perché la riteniamo estranea o nemica.  Tale risultato ovviamente non si produsse per destino del pensiero ma per riflesso nel pensiero di una nuova condizione umana che è la cifra di ciò che chiamiamo Modernità. deriddaQuesta fase della vita e del pensiero occidentale, prima enuclea l’Io dal Mondo e poi scopre in un divario sempre più approfondito,  un mondo complesso dentro l’Io ed un frantumarsi complesso della stessa rappresentazione del Mondo. Questa divergenza con frantumazione pone anche un terzo mondo tra l’Io ed il Mondo, il mondo delle relazioni umane e quelle tra Io e Mondo. L’Io si presenta inizialmente come pensante razionale e razionalmente rende oggettivo il Mondo inaugurando lo sguardo scientifico , poi si pensa anche come agente storico-economico-sociale. Poi scoprirà anche di non essere  così razionale e soprattutto di essere preda di diverse nature interne che reagiscono non sempre in armonia alle sollecitazioni della natura esterna. Poi ritornerà continuamente in circoli sempre più approfonditi su di sé con l’esplosione degli sguardi filosofici critici, esistenziali, ermeneutici, logico-linguistici quali: biologia molecolare ed evolutiva, psicologia e psicoanalisi, scienze cognitive, filosofia della mente. Poi sul Mondo con l’esplosione delle scienze che si arborizzano in un sempre più frondoso albero delle conoscenze. Ma, infine, anche sul nuovo mondo delle relazioni umane, storiche, antropologiche, sociali ed economiche. imagesGGDSR2JCOperando distinzioni e distinzioni di distinzioni che approfondiscono le conoscenze, si produce quel riflesso del molteplice (e del complesso) che ormai pervade tutta la nostra situazione principale. Oggi siamo alla vigilia di una riconsiderazione di questo movimento che distinguendo i due termini Io/Mondo, pose al suo posto una triade avviando una sempre più complessa distinzione dei termini, una riconsiderazione che smetta di piangere l’atto di quella che come tutte le nascite è una separazione, che smetta di rimpiangere la felicità prenatale, che si riprenda dallo smarrimento della scomposizione in frammenti sempre più piccoli e sempre più privi di senso, che superi questa divisione che ci smarrisce, la superi nel senso di includerla in una nuova relazione, una relazione dei distinti, una trama del complesso.  Una nuova descrizione  di una situazione principale che non è più pensabile come semplice monade assoluta,  ma che rimane l’oggetto privilegiato dell’interrogazione filosofica che dovrebbe attribuirgli senso.

C2) RELAZIONE ONTOLOGICO-ASSIOLOGICA: La seconda pre-comprensione, fu la messa in relazione del cosa c’è (ontologia) con il cosa si pensa/giudica di quanto c’è (assiologia). In ontologia c’è quindi tanto l’Uno che la Diade, questa relazione è l’Essere. Ma la dismisura, l’ineguaglianza, l’infinità indeterminata, l’eccesso o la mancanza, il caotico disordine, la mutevolezza del divenire sono il Male non foss’altro perché molti di questi aspetti alludono alla morte (Repubblica X, 608 E). Quindi i concetti simmetrici sono il Bene e poiché dei primi è principio la Diade e dei secondi è principio ciò che Platone chiama -Uno-, l’Uno è il Bene. Platone si muove con questo intento per rintuzzare in una super-sintesi, il diffondersi delle concezioni pluraliste che erano poi gran parte del senso dell’interrogazione filosofica detta “pre-socratica”. imagesAY0XVDKKDei fisici di Mileto sappiamo quasi nulla e cioè non sappiamo se la loro concezione fosse davvero monista come Aristotele ci racconta in Metafisica, un monismo “fisico” sebbene quello che sembra il principio di Anassimandro (l’apeiron) non appare propriamente un fisicismo. Eraclito è un crocevia di concetti sulla sistemazione dei quali sono secoli che filosofi e commentatori si esercitano. In Eraclito abbiamo l’Uno (il Logos), il Due (la dialettica degli opposti), l’Essere è da sempre ma da sempre è Divenire (DK 30). Da Eraclito sembrano dipartirsi tre immagini di mondo. Il monismo puro di Parmenide, il monismo del Tutto che però ha una pluralità ordinata da una gerarchia di valori interna (la Tetraktis pitagorica, l’Uno-Bene in rapporto alla Diade platonico), un certo pluralismo che comporta Divenire (i quattro principi di Empedocle, le omeomerie anassagoree, gli atomi di Leucippo e Democratico).  La questione della messa in ordine dell’Uno, dei Molti, dell’Essere e del Divenire era di grande attualità per Platone, il quale da una parte aveva un credo fortemente pitagorico-parmenideo, dall’altra altri lo descrivono da giovane come eracliteo. Che lo fosse stato da giovane può esser vero o falso, la questione è ininfluente poiché il filosofo sviluppa il suo sistema nel tempo e la logica dei sistemi comporta che anche piccoli cambiamenti nella struttura possono per induzione, modificare anche sensibilmente, la forma generale. Inoltre, Platone è un filosofo decisamente sistemico e giungendo dopo una ricca storia di pensati (ionici, italici, traci, orfici, asiatici, egizi e chissà, forse pure iranico-ebraici) si pose il compito di metter ordine nel molteplice del pensato, creando un sistema che includesse il Bene ed ostracizzasse il Male (lo stesso farà Hegel, più di due millenni dopo). La partita decisiva era quindi quella di includere il Molteplice spaziale ed il suo corrispettivo temporale del Divenire non negandoli come aveva fatto irrealisticamente Parmenide, ma subordinandoli non solo ad una gerarchia logica (Pitagora) ma ad una gerarchia dei valori. Così, se ontologicamente l’Essere era duale, assiologicamente esso era Bene in quanto Uno.

images4U3G7D5TUn altro motivo dava urgenza alla faccenda. Una buona parte dei Dialoghi platonici è direttamente o indirettamente volta contro i sofisti e la sofistica era la minaccia filosofica più forte per l’unismo-assolutista della concezione del mondo di Platone. Lo era pur nel rispetto di Protagora, rispetto forse esagerato per differenza con il disprezzo nutrito per i sofisti che non erano Protagora. Ma il problema principale era proprio Protagora, dal momento che la sua concezione dell’uomo come misura di tutte le cose, si contrapponeva all’implicita identità tra uomo e Mondo, tra misura dell’uomo e misura del mondo. Questo era quello che oggi chiamiamo un relativismo con tutta la problematica attribuzione di termini derivati da immagini di mondo posteriori ad idee inserite in immagini di mondo anteriori, differenza strutturale che consiglierebbe di relativizzare questa stessa attribuzione di termini. Purtroppo, la cosa richiederebbe lunghe perifrasi esplicative con cautele, precisazioni,  distinzioni di distinzioni che vengono giudicate “cose da specialisti” mentre invece sono cose che attengono alla struttura del senso di ciò che diciamo che è unica per gli specialisti come per i non specialisti. Dobbiamo quindi tollerare l’imprecisione terminologica ricordandoci però che tra termine e significato del concetto non c’è perfetta identità, anche perché il concetto prende significato dalla sua relazione col contesto e qui i contesti sono ben diversi. Questa relativizzazione del linguaggio, della verità, questo porre una relazione Io-Mondo in luogo della precedente identità portava una minacciosa precarietà della Verità, del Bene, della stessa conoscibilità del mondo e last-but-not-least, dell’ordine sociale. Questa minaccia di separazione ontologica andava rintuzzata opponendogli una unione assiologica. La situazione principale era Due ma il suo Bene era l’Uno. Così si legge un doppio colpo argomentativo che porta prima Platone a stabilire la natura dialettica di Dio (Timeo, 68 D 4-7) ovvero la sua capacità di mescolare molte cose in unità e di nuovo scioglierle dall’unità in molte, poi a dirsi amico e seguace di Dio (Leggi, IV, 716 C1 – D4) differentemente da altri che per la legge della distinzione dialettica a questo punto vanno intesi come nemici di Dio: “E per noi Dio è la Misura suprema di tutte le cose, assai più di quanto non lo sia alcun uomo, come qualcuno va sostenendo”.  Sull’origine di questo Dio garante di tutte le cose si potrebbe scrivere un intero libro, partendo dalla domanda “come nasce questo dio sommo ed al singolare nel IV° secolo a.c., in Grecia e nel tardo Platone?”. I cristiani diranno successivamente che è questa una pre-illuminazione della Rivelazione, ma forse c’è una causa più concreta sebbene non la si possa noi qui esplorare.

imagesUR0QN2ZDInfine, un ulteriore motivo riguardava proprio l’etica, la politica, l’ontologia dell’ordine sociale. Anassagora era stato filosofo organicamente democratico, gli atomisti come Democrito vi propendevano ed anche Empedocle si schierò attivamente in tal senso. Protagora lo era convintamente ed i sofisti di cui per altro poco o nulla sappiamo erano eterogenei anche se, nei fatti, partecipavano e traevano senso della loro attività, proprio nella struttura giuridico-politica pubblica della polis democratica. Platone sappiamo che non solo era aristocratico di nascita ma senz’altro gerarchico nella sua concezione politica poiché aristocratico nel pensiero (cittadini-guardiani-reggitori che “sanno”) e decisamente contrario alla democrazia, sistema del molteplice e del divenire. Va anche ricordato che la democrazia dei tempi di Platone non era più quella dei tempi di Pericle e che Atene proveniva dal triplo disastro della sconfitta nella Guerra del Peloponneso, della breve ma tragica esperienza dei Trenta tiranni ed una ultima condizione nervosa e caotica di perdita di autonomia dovuta al controllo esterno esercitato da Sparta. Ma anche qui occorre cautela estrema nell’utilizzo delle categorie politiche posteriori su fatti di molto anteriori ed infatti il discorso sul credo politico platonico, quale si evince da la Repubblica-Politico e Leggi, è assai peculiare potendosi definire un semi-egualitarismo elitario (gerarchico) e coercitivo che impone l’Unità, quindi il Bene, previa accettazione. Questo intendimento comporterebbe una concezione dei fini di ciò che intendiamo per democrazia, ovvero l’eguaglianza, ottenuto però con metodi politici che prevedono l’aristocrazia del pensiero che molti comunisti hanno adottato come modello pratico (l’avanguardia leninista). La messa in pratica di fini egualitari, con mezzi elitari, il paternalismo della ragione, ha dimostrato che il non allineamento tra le due forme (uguaglianza dei fini con diseguaglianza dei mezzi per perseguirli), produce l’inverso di ciò che ci si aspetta.

imagesJNKKHO24La partita decisiva era quindi quella di includere il Molteplice spaziale ed il suo corrispettivo temporale del Divenire non negandoli come aveva fatto irrealisticamente Parmenide, ma subordinandoli non solo ad una gerarchia logica (l’aritmo-geometria di Pitagora) ma ad una gerarchia di valore. La gerarchia di valore era una -etica-, la nuova parte della filosofia che aveva introdotto il Maestro, Socrate. Platone giunse così ad immaginare  una forma sociale-etico-politica che imponesse l’unità come Bene della comunità attraverso l’imperio della minoranza qualificata (l’Uno che sa del Bene)  su di una maggioranza vaga ed amorfa (la Diade indistinta), assieme da una immagine dell’Io come monarchia razionale che ordinando la confusione disordinante e dissipante dei desideri e controllando (usandola e non facendosi usare) l’ira, si auto-costruiva come Bene in sé. Ne discendeva anche la gerarchia della conoscenza, con la subordinazione dell’opinione alla scienza (dialettica come sintesi dei concetti che pervengono alle Idee prime ad alla prima di tutte, ossia il Bene), così come il Demiurgo imponeva l’ordine ed il Bene dell’esser Uno al Molteplice diveniente. Questa analogia tornava al primo punto, la conoscibilità e giudicabilità del Mondo che è già tutto apriori, nel mondo delle Idee.

C3) RIDUZIONISMO IDEALISTA: Possiamo così concludere con l’esame della terza forma del pensare platonico, quello che porta in conseguenza quella strana forma di fede assoluta nella ragione, che chiamiamo idealismo. imagesIXDXOB4UPlatone aveva ben davanti a sé il fisicismo ionico, il mondo diadico degli opposti eraclitei, le dinamiche dell’amore e della discordia di Empedocle, le molteplicità mondane di Anassagora e degli atomisti, un modo del Logos che si volgeva al Mondo. Ma dall’altra aveva il modo unista del matematismo e geometrismo pitagorico e dell’olismo eleatico, il modo del Logos che si rivolge a se stesso. Fu questo che Platone scelse per la sua filosofia. Qui c’è una decisione, una scelta di campo precisa, la scelta che conseguendo l’identità Io / Mondo e conseguendo la relazione subordinata tra ontologia ed assiologia, non può che conseguire per ragioni sillogistiche la conoscibilità perfetta ed esatta del mondo, partendo dal pensare e giudicare le forme del pensiero, cioè l’Io prima ancora ed anche solo, rispetto al Mondo. Il Mondo è conoscibile pensandolo ed è quindi vero ciò che penso a seconda delle regole che io stesso dò al mio pensare, cioè la razionalità dialettica che risale al vertice della gerarchia delle Idee, l’Uno. La verità non chiede corrispondenza al mondo, ma alla ragione, ossia la ragione chiede corrispondenza a se stessa. La situazione principale, l’Essere, sarà anche fatto di due mondi (Io e Mondo), ma di essi postulando la stessa struttura di fatto (Idee, numeri, forme) e di valore (Bene e Male), si deduce una sola verità conoscibile attraverso il puro pensiero, questo è il fondamento di ogni idealismo. Il Demiurgo, come poi il dio cristiano, aggiunge garanzia “esterna”a questa identità.  Questo atteggiamento del pensiero che è tale prima ancora di cominciare a pensare porta, a seconda di come lo si voglia osservare, chiarezza o confusione. Porta chiarezza perché far entrare tutto il Mondo in una struttura di pensati e pensieri dà al pensante l’ebrezza della possessione chiara e distinta del Tutto. Tutto è in ordine, tutto combacia, tutto è spiegato e previsto e l’innato riduzionismo della nostra mente che è strutturalmente consapevole della sua limitatezza ma anche che entro questa limitatezza deve produrre i suoi risultati di comprensione, premia questo sforzo di sintesi, irrorandoci di neurotrasmettitori della gratificazione. Porta confusione perché molto si perde in questa riduzione, ma soprattutto perché la necessità di coerenza (simmetria istintiva del pensare) torce i concetti e le loro interrelazioni al fine di non contraddirsi nel pensiero ma al prezzo di contraddire il Mondo. Dobbiamo sempre ricordarci che la gratificazione che la mente ci dà per la comprensione è un auto-giudizio, non è un giudizio dato dal Mondo. La conoscenza basata su se stessa non produce l’esistenza reale ma quella finzione di esistenza che è il mondo della ragione che si da ragione da sola. Così, questa aspirazione all’intero che Platone celebra come Eros (Simposio 192 E – 193 A) assomiglia più ad una finzione erotica, quale si ha nell’onanismo. L’Uno si conforta amandosi da sé, nell’incertezza di ciò che accade chiedendo l’amore dell’Altro. E’ questa stessa la filosofia dell’amore di Platone, la rifusione nell’Uno prenatale, quando l’Essere ci sembrava una promessa eterna senza minacce e dissipazioni.

Le tre mosse epistemiche di Platone son dunque la sequenza sillogistica; a) il Mondo è l’Io; b) il Bene ed il Vero sono nell’Io; c) l’Io conosce il Mondo, il Vero ed il Bene, conoscendo se stesso (idealismo). Il Bene è il Vero, assoluto e non relativo, semplice e non complesso, uno e non molteplice, così dovrebbe esser per l’Io e per il Mondo.

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Nella prossima puntata metteremo in analisi la Repubblica intesa come opus magnum in cui il pensatore ateniese mette a sistema le sue convinzioni ontologiche, gnoseologiche, assiologiche, psicologiche, etiche e politiche.

1. continua

NOTA ERMENEUTICA: Non ci è possibile qui, aprire un discorso su questo argomento, tanto vasto quanto inestricabilmente complesso, che per altro il sottoscritto non padroneggia ai livelli che lo stato della questione richiederebbe. Mi limito a segnalare l’utilizzo integrato tanto dei testi sulle nuove interpretazioni delle “dottrine non scritte”, qui riportati come immagini (che insieme alle altre, fungono da bibliografia), quanto dell’esauriente e stimolante diverso punto di vista di Vegetti nella Quinta delle sue Quindici lezioni su Platone (Einaudi, 2003). Mi permetto solo di aggiungere una breve nota sulla mia posizione in merito ad alcune questioni “calde”: 1) ritengo l’interpretazione sulle “dottrine non scritte”, sostanzialmente condivisibile se non altro a livello di ricostruzione del sistema sintetico platonico (schema di pg.260 di M.D.Richard, L’insegnamento orale di Platone, Bompiani, 2008); 2) ritengo la Repubblica il dialogo centrale dell’intera opera platonica perché è il più sistemico e dove c’è il “sistemico” lì in genere c’è il filosofo (almeno per alcuni), cioè il dialogo che include oltre alla struttura sottostante come si ipotizza nelle “dns”, le trattazione essoteriche delle idee sulla conoscenza, dell’anima, della società, della politica, delle arti imitative, dell’oltre-vita, del ruolo del filosofo tanto da risultare una sorta di “compendio filosofico” di molti altri dialoghi, almeno a livello di tematiche; 3) sul resto della produzione platonica che come riporta Vegetti e molti altri hanno sottolineato, ha non poche incongruenze, misteri, contraddizioni, salti stilistici nella pur perdurante assenza di una voce in prima persona che ci dica cosa realmente pensasse Platone, credo che non tutto ciò che è scritto nelle opere di Platone, sia nella forma, sia per il contenuto, sia di Platone. coveraCredo che i compagni dell’Accademia possano aver funto talvolta da controparti per sviluppare una dialogica più realistica o alternativamente possa esser stato Platone stesso ad aver interpretato alcune obiezioni, lasciando al lavoro collettivo l’onere di scioglierle. Ciò spiegherebbe anche l’uso di “Socrate” come nome collettivo, simbolo comune di un ideale filosofico, solo un sistema di pensiero collettivo necessita di un nome collettivo. Ciò spiegherebbe anche la forma aperta, il tornare senza apparente consequenzialità su certi temi, il lavoro evidente di ricerca non dogmatica, la reticenza a dare specifiche magari non mature o che si sapevano in conflitto con cose dette altrove o pensate ancora non precisamente, in sé e rispetto alla matrice delle dns, anch’essa oggetto di affinamento sistemico. Ciò risponderebbe poi anche ad una convinzione platonica sulla virtù del giusto mezzo, tra le polarità dell’oralità e della scrittura. Per Platone è evidente non bastasse più la pura oralità per far sì che la filosofia incidesse su i comportamenti della comunità (il “limite” di Socrate”) e che semmai essa dovesse  esprimersi tra “simili”, tra menti che hanno già un certo “in comune” ed è incontrovertibile la sua parziale sfiducia o diciamo, la consapevolezza dei limiti della scrittura.  Ed è altresì un fatto che l’Accademia fu la prima vera scuola filosofica formale (o la seconda dopo quella pitagorica) includente pensatori che non possono ritenersi solo dei semplici “giovani allievi”. Da questa forma di un maestro che lavora assieme con i propri compagni di pensiero, ne segue la, per me alta probabilità, ci siano state molte opere collettive, anche scritte a più mani, riflettenti lo stato dell’arte inconcluso dello sviluppo sul tema oggetto, a volte anche divergenti nelle varie versioni. Un “dialogo permanente” con la mente del maestro nella quale c’era la struttura sintetica proprietaria di un sistema dell’immagine di mondo per altro anch’essa “in divenire” costante, che svolgeva la funzione di struttura analitica centrale, la struttura impersonale chiamata “Socrate”. Negare l’esistenza di questa struttura a me sembra, significa avere poca confidenza col pensiero filosofico. Nel filosofo, in un filosofo rivolto al Tutto come Platone, questa struttura c’è sempre, come c’è nella mente di chiunque di noi. Ma a differenza di noi, c’è in continua formazione ed affinamento, ampliamento e condensazione, lavorio sulle contraddizioni, in un incessante andirivieni tra il sistema del sensibile, il sistema dei concetti ed il sistema della parole e degli enunciati che lo fanno divenire pubblico. E’ questo il sistema che pensa come se stesso pensa il Mondo, quell’Io-Uno che cerca di dominare e possedere il Mondo-Molteplice.

Forse l’immensa grandezza platonica risiede come in altri casi avvenne, nel mettere una mente che può dire di sé: “Ma colui che non vede l’ora di assaporare ogni disciplina, gettandosi con gioia nello studio senza mai saziarsene, costui avremo o no il diritto di chiamarlo filosofo?” (Rep, V, 475 C), immerso dentro un più ampio cervello collettivo, il cui dialogo interiore è ciò che chiamiamo “Dialoghi platonici”. Per questo tipo di persone, è questa la vera felicità, il Bene assoluto.     

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64 anni, sposato con: http://artforhousewives.wordpress.com/, due figli, un gatto. Professionista ed imprenditore per 23 anni. Negli ultimi venti anni ritirato a "confuciana" "vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente. Il tema del blog è la complessità, nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica e geopolitica, culturale e soprattutto filosofica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre) oltre ad esser ripubblicato su diverse testate on line. Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità. Tiene regolarmente conferenze su i suoi temi di studio. Nel 2021 è uscito un suo contributo nel libro collettivo "Dopo il neoliberalismo. Indagine collettiva sul futuro" a cura di Carlo Formenti, Meltemi Editore.
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Una risposta a PLATONE. Il Logos è fare Uno del Molteplice.

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