LA CAOSIFICAZIONE DEGLI AMERICANI.

In un doppio post recente sulla crisi della civiltà occidentale, ponevo come un sottosistema a sé le società anglosassoni, gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna ed altre tre minori. Riguardo gli USA, c’è da segnare come, finita la presidenza Trump, le notizie date qui su quel mondo sono semplicemente sparite. Sulla Gran Bretagna, talvolta, qualche europeista prova piacere a raccontare i significativi malesseri britannici addebitandoli alla Brexit, ma niente di più. Infine, col nuovo governo, siamo diventati “amici preferiti” tanto dell’uno che dell’altro. Nel caso americano ne va anche della coerenza di allineamento geopolitico con attualità nel conflitto ucraino, posizione super-partes nello schieramento politico italiano che per altro, secondo scarni sondaggi, non rifletterebbe per niente il sentimento maggioritario del Paese. Quindi sugli USA, dal punto di vista interno, non c’è niente da dire?

Nel 2022, una storica americana specializzata in conflitto civile (fondazione storica degli States), ha fatto clamore, sostenendo che in base alla letteratura di analisi storica generale, si potevano sintetizzare alcuni punti di crisi che potevano far prevedere l’imminente rischio di scoppio di una “stasis”. Secondo B.F. Walter, gli Stati Uniti sono oggi dei perfetti candidati a piombare nella guerra civile. È stata seguita da altri autori e molta eco mediatica, sia americana che britannica, hanno amplificato il tema ponendolo al centro del dibattito pubblico.

In un recente articolo di L. Caracciolo sulla Stampa, lo studioso usa questa espressione “Oggi l’America non si piace più. Come può affascinare gli altri?”. Buon annusatore dello spirito del tempo, Caracciolo si è convertito già dall’editoriale sull’ultimo numero di Limes ora in edicola, alla verità dell’epocale transizione dei poteri nel mondo, segnalando come gli Stati Uniti abbiano perso l’aurea e con essa il soft power.

Ribadisce George Friedman sulla stessa rivista, nel titolo della sua analisi “Gli Stati Uniti sono prossimi a un collasso interno”, sorbole! L’elenco di Friedman cita “rivendicazioni sociali al picco di intensità, questioni morali, religiose, culturali”, poi ci sono i fallimenti bancari, le revisioni strategiche verso la globalizzazione, il grande punto interrogativo cinese, ombre scure sui Big Five dell’on-line (che per altro licenziano a manetta) e le oscure sorti progressive dell’A.I., la Nasa che pare non sappia più come fare una tuta da astronauta, figuriamoci mandarlo sulla Luna; permangono attriti sui flussi migratori e sempre forti sulla convivenza razziale. C’è anche una profonda crisi interstatale/federale che arriva fino al ruolo del Congresso e della Corte Suprema. “Mai nella storia, vi è stato un tale livello di rabbia e disprezzo reciproco tra gli americani”, è la nota inquietante di Friedman. Se ne danno davvero di santa ragione su questo e su quello a livelli veramente pre-isterici, quando non si sparano e fanno e parlano di cose in modi davvero bizzarri (Dio, aborto, transessuali che risulterebbero solo lo 0,5% della popolazione, tradizionalismo e progressismo, pedofilia, complotti surreali et varia).

Questa agitazione, che più d’uno ha interesse a radicalizzare, trova il suo inferno su Internet ed i social. Quanto ai social, è il formato stesso dell’interazione anonima, con scritto privo di corredo facciale e comportamentale, costretto in spazi più da battuta che da discorso argomentato (woke! cristofascista!), la clausura nelle piccole comunità dei comuni pensanti che si eccitano a vicenda, a dar benzina a braci già ardenti. Radicalizzazione ci mette del tempo a costruirsi e non si smonta in tempi brevi, deposita rancori, astio, odio viscerale. Alla fine, non è più una questione di argomenti ma di irrigidimenti.

Sebbene sia una nazione di 330 milioni di persone (con, si stima, 400 mio di armi private, molte di livello militare) e pure con una composizione assai varia, tende a spaccarsi semplicemente in due ed il formato “noi contro loro”, alimenta il suo stesso radicalizzarsi semplificando. La semplificazione, del resto, è un tratto caratteristico della mentalità americana empirico-pragmatica ovvero sovrastimante il fare al posto -o priva- del pensare.

L’aspettativa di vita in America è in caduta libera da circa un decennio: è arrivata a 76,1 anni (da noi è da cinque a dieci anni di più). Grandi balzi in avanti tanto della mortalità infantile che di quella generale: diffusione armi ormai fuori controllo (in America oltre 200 persone al giorno vengono ferite da armi da fuoco, 120 vengono uccise. Di queste 120, 11 sono bambini e adolescenti), tasso di omicidi tra adolescenti +40% in due anni, overdosi ed abuso farmaci, incidenti auto. Nelle scuole, a molti bambini è imposto un corso di comportamento nel caso qualcuno entrasse in classe sparando con un mitra. E meno male che sono pro-life!

Al 10° posto per teorica ricchezza pro-capite in realtà gli USA sono 120° per uguaglianza di reddito (WB 2020), dopo l’Iran ma prima del Congo (RD). L’ascensore sociale è rotto da almeno trenta anni, ammesso prima funzionasse davvero. Americani poveri, in contee povere, in stati del Sud, muoiono fino a venti anni prima degli altri. Gli afroamericani cinque anni -in media- prima dei bianchi. Col solo 4,5% della popolazione mondiale hanno il 25% della popolazione carceraria, spaventoso il grafico di incremento negli ultimi trenta anni. La media europea è di 106 incarcerati su 100.000 abitanti, in US è 626, sei volte tanto che è primato mondiale. Fatte le debite proporzioni tra morti per overdose e popolazione totale, per ogni morto in Italia ce ne sono 50 in USA. Sebbene abbiano meno del 5% di popolazione mondiale spendono il 40% del totale mondo in spesa militare (a cui aggiungere le armi interne). Se ci si annoia coi libri di storia, basta guardare nell’immaginario la produzione cinematografico-televisiva per capire quanto attragga culturalmente la violenza, da quelle parti. La violenza è la cura dei contrasti sociali, atteggiamento pre-civile.

Avendo a norma sociale il libero perseguimento della felicità versione successo economico-sociale su base competitiva delle qualità individuali nel far soldi, non avendo idea di come il gioco sia truccato, mancando tradizione di pensiero e di analisi di tipo europeo (ad esempio per classi), questa massa di reietti, che spesso vivono in condizioni subumane, ovviamente arrabbiati quando non rintontiti da tv-alcol-farmaci-droghe, vengono reclutati dalle varie élite per sostenere o combattere ora questo, ora quel diritto civile. Il che alimenta questa tempesta di odio reciproco a livello di “valori”, che siano della ragione o della tradizione, ma mai economico-sociali.

I “bianchi” sono oggi il 58% ma nel 1940 erano l’83% ed ancora nel 1990 il 75%, il trend è chiaro. Già si sa che perderanno la maggioranza assoluta nel 2044, tra due decenni. Peggio per la quota WASP dentro il cluster “bianchi”, con età media più alta, in piena sindrome Fort Apache.

Un sondaggio 2022 dava a 40% tra i dem e 52% tra i rep, favorevoli a separare stati rossi e blu in una sorta di secessione ideologica e atti politico-giudici locali, nonché la pratica tradizionale del -gerrymandering-, una sorta di sartoria dei collegi elettorali per predeterminare la vittoria di certi candidati nelle forme della rappresentanza che non è mai proporzionale, sembra esser andata in questa direzione negli ultimi anni. Alcuni rep, da un po’, propagandano l’idea di alzare l’età del voto per evitare che i più giovani portino voti ai dem. Questa idea di divorzio territorial-ideologico è inedita e dà il senso della profondità della frattura sociale. Lo screditamento reciproco dei rappresentanti locali e federali dei due partiti è all’apice.

Del resto, il crollo di fiducia è molto ampio: chiesa, polizia, giornalisti, intellettuali, accademia e scuola stessa ed ovviamente i politici che spesso in realtà sono cercatori di posizione sociale disposti a tutto. La guerriglia condotta sulla legittimità dei voti, potrebbe adombrare una ipotesi ventilata sul “voto contingente” dove in mancanza di un chiaro pronunciamento (ovvero contestato), ad ogni stato viene attribuito un voto, essendo la maggioranza degli stati (che hanno però minor popolazione) repubblicani, ecco qui realizzata l’intenzione che sempre più spesso esce da certe bocche “Noi siamo una Repubblica, non una democrazia”, il che -per altro- è una limpida verità.

È del resto certificato da studi di Princeton e Northwest sui contenuti delle leggi deliberate dal Congresso, già di dieci anni fa, che gli Stati Uniti sono una oligarchia e non una democrazia. È questa oligarchia che ha interesse ad incendiare il sottostante, lì dove il popolo si scanna per questioni di diritti civili, razza, prevalenza sessuale e non per diritti sociali, qualità della vita, ridistribuzione dei redditi e potere connesso.

Ci sono presupposti per verificare questa profezia di una ipotetica guerra civile, profezia che dato il grande rilievo media dato in America rischia di diventare del tipo “… che si auto-avvera”? Ci sono parecchie ragioni per dubitarne, sempre che s’immagini barricate e vasti disordini per strada accompagnati da terrorismo interno. Tuttavia, per quanto l’analisi dovrebbe esser più profonda di quanto permetta un post, questa analisi specifica sulla crisi interna la società americana certifica che è il cuore della civiltà occidentale ad esser in crisi profonda.

Per questo agli europei si consiglierebbe di allentare i legami trans-atlantici, gli americani sono destinati ad una continuata contrazione di potenza mondiale mentre all’interno danno sempre più di matto su tutto tranne che sul continuo aumento delle diseguaglianze, malattia mortale per ogni società.

Parecchia della fenomenologia perversa qui brevemente descritta, ha già contagiato le nostre società. Dal globalismo-neoliberale alla lagna unidimensionale sui diritti civili e non sociali che eccita l risposta tradizionalista, l’intero immaginario che percola dalle serie tv e dal cinema, l’intero Internet e la logica dei social, ora dell’A.I. che discende da un preciso milieu psico-culturale comportamentista (cioè finalizzato al controllo del comportamento e della cognizione, altro che “intelligenza”), la ripresa europea ed italiana nelle produzione e commercio di armi, la distruzione democratica già programmata dai primi anni ’70, la demagogia, l’ignoranza aggressiva, il drastico scadimento qualitativo delle élite, la scomparsa della funzione intellettuale, il semplicismo, l’infantile entusiasmo tecnologico, una irrazionale fede sul ruolo della tecnica, le epidemie di solitudine sociale e depressione, la farmaco-dipendenza, la plastificazione corporea e la manipolazione neurale. La crisi del centro anglosassone del sistema occidentale irradia da tempo tutta l’area di civiltà, anche dove l’antropologia culturale, sociale e storica, sarebbe ben diversa.

Si consiglierebbe di cominciare a programmare un divorzio, una biforcazione dei destini, una rifondazione dell’essere occidentali che chiuda la parentesi anglosassone. Viaggiare i tempi complessi con questa gente alla guida potrebbe esser molto pericoloso.

Pubblicità
Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

UNA CIVILTA’ IN CRISI.

Riporto il testo di un intervento in due differenti post pubblicati sulla mia pagina fb dove ormai continuo il mio diario di ricerca che animò i primi anni di vita di questo blog, ultimamente, trascurato.

Rispetto al titolo dell’articolo, partiamo chiarendo prima il punto di vista del nostro discorso. Il nostro punto di vista è storico, osserviamo l’oggetto civiltà, quella occidentale nello specifico, dal punto di vista del corso storico. L’argomento è vasto e complesso e soffrirà delle riduzione ad un paio di post.

Questa civiltà che si fa nascere coi Greci duemilasettecento anni fa, è stata per più dell’ottanta-per-cento del suo tempo, un sistema locale ed interno. Per il resto, dal XVI secolo in poi, a gli inizi del periodo che chiamiamo moderno, il sistema ha avuto un big bang inflattivo che si è esteso a livello planetario, non già assorbendo al suo interno spazio, popoli e natura, ma sottomettendoli e sfruttandoli. Va precisato che a noi qui non interessa proferire alcun giudizio morale, ci interessa solo l’analisi funzionale. In questi cinque secoli, la civiltà occidentale si è sovralimentata potendo alimentare il suo piccolo interno con un relativo dominio su un molto più grande esterno, ha potuto contare cioè su vaste e ricche condizioni di possibilità.

All’interno di questo frame temporale di cinque secoli, detto moderno, la civiltà occidentale è cambiata nel profondo. A livello di composizione, ha visto una migrazione interna del suo punto centrale che dal Mediterraneo greco e poi romano, è passato prima alla costa europea nordoccidentale, poi ha saltato la Manica ambientandosi in Inghilterra (poi Gran Bretagna, poi Regno Unito), poi ha saltato l’Atlantico ambientandosi nel Nord America. Si potrebbe anche dire che provenendo da una zona che per sua natura geografica è iperconnessa (Europa, Asia, Medio Oriente, Nord Africa), si sia progressivamente isolata prima continentalmente, poi insularmente, poi finendo addirittura in una terra al riparo di due vasti oceani. L’isolamento geografico è però valso la facoltà di dominare grande parte dello spazio-mondo senza rischiare troppo una controreazione come si è sempre verificato nelle dinamiche espansive degli imperi-civiltà terrestri.

A livello di bilancio material-energetico, una regione del mondo ha progressivamente dominato gran parte del mondo, ha enormemente dilatato il suo spazio vitale.

Tali condizioni hanno permesso alla originaria parte europea della civiltà, di frazionarsi in piccoli stati. Europa ha una media di territorio/popolazione per Stato molto al di sotto della media mondiale. In Europa c’è un numero di stati all’incirca pari a quelli dell’intera Asia o Africa stante che il suo spazio è quattro o tre volte più piccolo. Per altro, tale comparazione non è neanche del tutto corretta poiché sono stati proprio gli imperi europei a frazionare per propri interessi imperial-coloniali sia lo spazio asiatico che africano che chissà quali altre dinamiche avrebbero avuto se lasciati liberi di esplorare il proprio spazio di possibilità. Questa strana partizione localista europea ha dato segni di evidente squilibrio sistemico per ben due volte nel secolo scorso, accelerando il processo di migrazione del centro di civiltà nell’isola britannica e poi nell’isola continentale nordamericana.

Questi “Stati” ognuno con un suo popolo detto “nazione”, si sono sempre più ordinati con un sistema doppio di tipo economico-politico. Sul piano economico, gli occidentali hanno elaborato un sistema sovralimentato per materie ed energie per lo più prese dall’esterno. A tale sovralimentazione materiale, hanno affiancato altre due sovralimentazioni immateriali. La prima fatta da denaro creato dal nulla che anticipa il valore che poi si pretende venga restituito (estinguendo il debito dell’anticipazione) rilasciando una eccedenza detta profitto. Tale profitto si è accumulato o reinvestito per alimentare nuovi cicli. La seconda fatta dall’enorme sviluppo di conoscenze, saperi e pratiche tecniche e scientifiche. Materie, energie, denaro e conoscenze sono finite dentro una macchina produttiva-trasformativa. Questa macchina, attraverso il lavoro umano, è diventata il cuore ordinativo di queste società, ogni produttore è anche consumatore. Dalla macchina sono usciti due flussi, uno dei prodotti o servizi venduti al mercato per ottenere la restituzione del capitale iniziale più il profitto, l’altro di rifiuti o di lavorazione o di consumo.

Sul piano politico, l’ordinamento è stato creare un sistema originale nelle forme ma non poi così tanto nella sostanza che abbiamo chiamato, impropriamente, democrazia o in vena di sprezzo per la logica linguistica (ossimori): democrazia di mercato. La sostanza è quella solita di ogni civiltà da cinquemila anni ovvero il fatto che una parte minore (Pochi), domina e governa con alterne fortune una parte maggiore (i Molti). L’originalità, che più che democratica va detta repubblicana, è stata che i Molti hanno avuto (per altro solo da qualche decennio di questi cinque secoli), la facoltà di esprimere un qualche gradimento o meno per il tipo di interpreti del formato che non è stato mai messo in discussione. Gradimento molto superficiale ovvero non basato su un profonda condivisione cosciente dei diversi programmi politici.

La “crisi” nella quale è entrata la civiltà occidentale, è data dalla più o meno improvvisa restrizione di tutte queste condizioni di possibilità contemporaneamente. Per questo la si chiama “crisi sistemica”. In un sistema, lo stato di crisi comunque generato è sempre la crisi di tutte le sue parti e relative interrelazioni.

L’assetto per il quale questo sistema minore di occidentali ha potuto dominare un ben più ampio spazio per sovralimentarsi, oggi non si dà più e sempre meno si darà nell’immediato futuro. C’è una logica storico-demo-fisico-culturale sotto questa nuova impossibilità, non è argomento oggetto di volontarismo o discussione, è un fatto ineliminabile. Restringendosi sempre più lo spazio delle possibilità esterno, si va screpolando la tenuta interna del sistema.

Nei fatti, il centro americano-anglosassone ha una sua logica e dinamica tendenzialmente divergente dallo spazio europeo. A sua volta, questa Europa che ha una precaria ontologia geografica e geostorica, risulta un sistema debolissimo, anziano, iperfrazionato, viziato con una strana convinzione post-storica che ha pensato che il nuovo ordine fosse appaltabile ad una pura dinamica (mercato) in luogo di una statica (stato poi più o meno dinamico). Una sorta di ontologia dei flussi tutta forma e niente sostanza. Quella antica sindrome del pensiero occidentale per la quale queste genti pensano che poiché una cosa può esser pensata questo la rende esistente (nota come sindrome dei Cento talleri) e funzionante nel concreto.

La parte economica del suo ordinamento ha perso l’esclusività essendosi oggi replicata in tutto il mondo. Inoltre, a differenza di questo “resto del mondo”, l’Occidente ha già prodotto tutto ciò che gli serviva e da tempo continua a produrre cose che non servono più a niente se non a tenere in stentata vita il sistema. Infine, l’Occidente continua ad avere molti bisogni che però non evade perché non sono trasformabili in merci e prestazioni.

Ma in più, qui si verifica che il grande big bang iniziato a metà XIX secolo come cascate di invenzioni generative (vapore, meccanica, fisica, chimica, sanitaria, elettronica), nella seconda metà del Novecento ha prodotto solo il campo ICT che oggi si prova a declinare anche nel bio. Tant’è che s’è data per persa la produzione materiale rifugiandosi in uno stanco sogno immateriale di tipo finanziario che ha fatto perdere al cuore della macchina produttiva la sua funzione ordinativa sociale (lavoro, redditi). Alcuni pensano ciò stato un errore anche perché la nozione di errore comporta la reversibilità. Purtroppo, non c’è alcuna reversibilità, si poteva e doveva gestire il problema diversamente (globalizzazione scellerata e corrispettivo ideologico neoliberale), non c’è dubbio, ma il fondo della dinamica di perdita dell’impeto produttivo tradizionale era ed è, di fondo, irreversibile.

Sebbene gli stessi occidentali si ritengano “materialisti” forse non è a tutti chiaro quanto “vale” l’ICT o il NBIC (nano-bio-info-cognitivo) rispetto al tradizionale produttivo propriamente materiale. Non si tiene certo in vita un sistema economico complesso con la restrizione delle attività produttive nate dalle varie rivoluzioni innovative della prima metà del Novecento, ipoteticamente compensate da questi nuovi campi. Per altro innovazioni di mezzi (modi nuovi di fare cose vecchie) non generative di cose nuove, sostituzione di modi che per altro rilasciano saldi occupazionali negativi. Produttori in crisi che diventano crisi di consumo inceppando l’intero meccanismo.

Il “resto del mondo” è invece ai primi passi della curva logistica del ciclo di produzione-consumo, ha ancora molto da fare per far crescere la propria ricchezza collettiva e personale. Solo tra indiani e cinesi siamo a quasi tre miliardi di persone con la Cina al 72° per Pil/pro capite e l’India addirittura al 144° posto (IMF). E non c’è solo la ricchezza pro-capite, c’è anche la spessa infrastrutturale e collettiva dei singoli Paesi che accederanno ad una qualche loro forma di modernità.

La parte politica è diventata il sottosistema che ha concentrato in sé tutte queste dinamiche restrittive tentando di assorbirle senza gestirle. Ne è conseguito il disfacimento della forma presuntamente democratica in favore di un repubblicanesimo privatizzato ovvero la perdita di ogni nozione propria di res pubblica.

La breve analisi ci porta in dote questo penoso elenco di severe problematiche: a) rapporti tra Occidente e Mondo; b) rapporti interni ad Occidente (sfera anglosassone e continentale); c) inconsistenza degli Stati-nazione europei e della forma sistemica che gli europei hanno pensato di darsi in questi ultimi sessanta anni; d) fine ciclo storico di vita dell’economia moderna per il solo Occidente; e) tragedia delle forme politiche interne gli stati occidentali.

Tutte le problematiche convergono infine nella società in cui e di cui tutti viviamo.

= 0 =

Le società animali e quelle umane più di altre, andrebbero intese come veicoli adattivi. Gli individui creano e si adattano alla società che aiuta ad adattarsi al mondo. Una civiltà è un meta-sistema, meno definito di quanto sia una società propriamente detta ma col vantaggio della massa. L’unità metodologica qui è la società, la società si adatta e partecipa della civiltà la quale aiuta ad adattarsi al mondo.

Lo stato di crisi precedentemente illustrato percorre tutti i livelli che vanno dalla civiltà alle società componenti, singole nazioni o gruppi di esse più omogenei, da queste alla loro composizione interna per strati, ceti, classi, funzioni, fino ai singoli individui. In una crisi adattiva, ognuno di questi soggetti, singoli o collettivi, si trova nella difficile situazione di esser, al contempo, “contro e con” qualcun altro.

Si può guadare con simpatia l’odierna emersione di nuove potenze interne altre sfere di civiltà, se non altro perché questo può muovere la struttura della nostra civiltà, aprire a possibili cambiamenti. Ma tali cambiamenti dovrebbero vederci pronti a farci carico della ridefinizione della nostra civiltà, non certo aspirare ingenuamente ad esser cambiati da altre civiltà. Ogni civiltà è aliena all’altra. Le civiltà possono e dovrebbero dialogare e scambiarsi idee, tratti e caratteri, ma rimangono soggetti con fini, scopi e modi integralmente diversi e di fondo, reciprocamente competitivi.

Così, la crisi della nostra civiltà ci riguarda integralmente tutti sebbene ognuno di noi abbia porzioni di distinguo e dissenso con la sua forma attuale. Ci riguarda come società che dovrebbe perseguire il proprio interesse nazionale ma “contro e con” altre società similari, il che vale anche per la dialettica tra ceti, classi e funzioni interne alla singola società, fino al livello individuale e nelle aspettative tra interessi teorici e pratici, financo dentro noi stessi.

Lo stato di crisi ontologica della civiltà occidentale e di ogni sua componente interna è certo la crisi dei suoi modi, strutture e dei suoi usuali processi di organizzazione, ma è anche la crisi del proprio mentale. Per gli umani, il mentale, è stata la principale e per altro molto potente arma adattativa. L’umano mostra una peculiarità cerebro-mentale che frappone tra intenzione ed azione uno spazio, in quello spazio c’è la simulazione degli effetti di ogni possibile azione, il pensiero. Il pensiero è una azione off line, una ipotesi di azione non ancora agita in attesa di diventare atto, soggetta a strategia, simulazione e valutazione. Tramite questa novità biologico-funzionale, abbiamo perso ogni tratto adattivo animale non più necessario (pelo, artigli, canini e potenti mascelle, agilità e muscoli etc), diventando al contempo uno degli animali più morfologicamente fragili a livello individuale quanto operativamente il più potente a livello collettivo o comunque sicuramente il più adattivo.

A questa dotazione mentale generale diamo il nome di “immagine di mondo”, ne sono dotate le civiltà, le società a gruppi o singolarmente prese, gli strati (ceti, classi e funzioni interne), gli individui. Oltre che nella scomoda situazione dell’esser al contempo “contro e con”, noi oggi ci troviamo con un mentale disallineato ai tempi. Il nostro mentale distilla i cinque secoli del moderno, anche se alcune strutture di pensiero che hanno funzione profonda, architettonica e fondazionale, risalgono a secoli e millenni addietro (ai greco-romani, al cristianesimo). A seconda di quanta epocalità vogliamo riconoscere al passaggio storico nel quale siamo capitati, verificheremo anche la più o meno profonda inadeguatezza di ampie parti del nostro mentale. Siamo in una epoca nuova con una mentalità vecchia. Su questa presunta epocalità, forse val bene ricordare il semplice dato che ci siamo triplicati sul pianeta in soli settanta anni, nella storia del genere umano evento mai registrato in un tempo così breve e partendo già da 2,5 mld. Al 2050 ci saremo quadruplicati per via di transizioni demografiche statisticamente inalterabili qualunque cosa decideremo di fare nei prossimi due decenni. Tutto ciò, portando sempre più in primo piano i problemi di compatibilità ambientale planetaria, visto che ormai tutto il mondo usa il modo economico moderno (materie-energia-capitale-tecnoscienza-produzione-consumo, scarti). Se non è “epocale” questo, non saprei come altrimenti definirlo.

Quello che preoccupa più di ogni altra cosa di questa fase storica è proprio la mancanza di coraggio mentale. In Occidente, i complessi ideologici vanno irrigidendosi in tristi scolastiche, non si nota alcuna primavera del pensiero, in nessun campo che non sia attuativo-strumentale (tecnica). L’assenza di creatività del nostro pensiero è pari all’impressione di inoltrata anzianità delle nostre società alla fine di più di un ciclo storico.

La mentalità occidentale ha due problemi principali. Il primo è di forma. Una civiltà e viepiù la sua crisi adattiva, è un problema eminentemente complesso ovvero dotato di molte parti, molte interrelazioni tra queste parti, processi non lineari ovvero non-meccanici, un sistema posto in un contesto turbolento. Che si usino discipline scientifiche o storico-sociali o pensiero riflessivo, nel moderno abbiamo sviluppato singoli tagli, singoli sguardi, singole metodologie disciplinari. Ancorché proficuo spezzettare oggetti o fenomeni per ridurne la dimensione alle nostre limitate facoltà mentali, tutto ciò non torna mai alla visione completa, non arriva mai al “com-prendere”, al prendere assieme. L’intero in rapporto al suo contesto ci sfugge sistematicamente e con esso la facoltà di poterlo maneggiare.

Il secondo problema è dato dal fatto che ognuna di queste discipline è ingombra di teorie, per lo più locali, ma non solo. Il paesaggio teorico è una intricata foresta di legami e rimandi tessuti nel tempo storico proprio, periodi storici in cui la nostra civiltà si trovava in un punto ben diverso della sua curva adattiva ed altrettanto il contesto-mondo. In molte discipline cruciali per la comprensione allargata vige un paradigma meccanico-atemporale che governa l’indagine ed il pensiero su cose che però sono storico-biologiche. Sono quattro secoli che la nostra foga di fare ha portato a tipo ideale macchine idrauliche, fontane, orologi, il modello sistemico del primo moderno. Poi è stata la volta della macchina a vapore, oggi il computer. Ma niente del nostro essere umani, bio-sociali e mentali auto-coscienti, ha a che fare con queste infondate analogie, è proprio la logica di comprensione che è disallineata. Infine, questo paesaggio teorico ha una sua propria consistenza interna che, nel tempo, si è allontanata dalla natura del proprio oggetto producendo una ingombrante selva di problemi fittizi e mal posti, stratificati in quadri polemici alimentati dalla competizione ideologica ed accademica, sempre più alla deriva di realtà.

Quello che manca per muoversi dentro lo stato di crisi in cerca dell’uscita non è un altro modello di società col suo immancabile lungo elenco di “vorrei che così fosse” qualora ci venisse concesso il ruolo di “legislatore del mondo”, ma un metodo per pensarla, discuterla e condividerla, tentarla, farla evolvere assieme ad altri. Ci scatta subito il piacere di disegnare società migliori, ma non abbiamo alcuna possibilità di portare questi progetti a fatti o tentativi di fatti.

In effetti il problema millenario del potere sociale è semplice. Di volta in volta, ristretti gruppi segnati da qualche specialità sociale (anagrafica, di genere, militare, religiosa, etnica, politica, oggi economica o forse più finanziaria), pur competendo tra loro per la quota di potere effettivo, sono stati strettamente solidali nella difesa del principio strutturale per cui Pochi dominano i Molti prendendosi la gran parte dei vantaggi adattivi del vivere in forma associata. Quando si è vissuto fasi di relativa abbondanza i Pochi hanno condiviso qualche briciola, quando si sono vissute fasi restrittive i Pochi hanno semplicemente scaricato tutta la contrazione sui Molti. Che è poi quello che è accaduto negli ultimi trenta anni. Ai Molti questo principio pratico primo del potere sfugge, discutono di questa o quella miglior forma di società ed immagine di mondo come fosse loro permesso di decidere di questo o di quella versione quando il problema è proprio come rispondere alla domanda fondamentale “chi decide?”. Non “cosa” decidere, questo dovrebbe venire dopo, prima si deve porre il soggetto, il “chi?” ed il modo, il “come?”.

Quella che ci sembra essere per noi occidentali una imprescindibile transizione adattativa, ha il duplice carattere del mentale e del reale, ma per costruire il secondo va trovato e condiviso il modo politico nel primo.

Quanto al mentale, la nuova era storica ci chiede di conoscere gli interi, il “penoso elenco di severe problematiche” cui abbiamo accennato, richiede conoscenze geo-storiche, culturali, ambientali, economiche, sociali, politiche, intrecciate tra loro, a valle di una nuova definizione di umano che non sarà più l’animale che fa, ma l’animale che pensa prima di fare. C’è da sviluppare un nuovo corso della conoscenza parallelo a quello sin qui svolto, un corso integrato, sistemico-olistico, che possa dare anche nuove condizioni di possibilità al pensiero per superare i pantani forestali di intrecci teorici non più utili poiché limitati e non più corrispondenti alla realtà. Un certo ritorno “ritorno alla realtà” s’impone date le caratteristiche del passaggio storico.

Quanto al reale sociale, è evidente che le società della civiltà occidentale, quantomeno quelle che non ne sono state il centro propulsore ovvero quelle anglosassoni, non possono più esser ordinate dal fatto economico. Non perché non ci piaccia, semplicemente perché ha esaurito il suo ciclo storico, non funziona più e tenderà a funzionare sempre meno. S’impone un ordinamento politico strutturato da una teoria forte della democrazia. Le civiltà, sino ad oggi, sono stati oggetti che abbiamo considerato dopo che si erano formate e sviluppate, nessuno le ha progettate ex-post. Se, come pare necessario, ci troviamo nella necessità di modificare le nostre forme di vita associata nel profondo e nel loro intreccio multidimensionale, non possiamo non presupporre una partecipazione ampia e costante di una ben vasta massa critica di associati, è la società intera che deve auto-trasformarsi.

C’è da ripensare in profondo lo statuto del Politico nelle nostre singole società, c’è da ripensare ruolo e modi dell’economico, c’è da ripensare la forma stessa dello Stato-nazione di taglia europea mentre ripensiamo del tutto e daccapo le regole di convivenza interne lo spazio europeo, ci sono completamente da rivedere i rapporti tra Occidente europeo ed anglosassone (sistemi che hanno tanto reciproche similarità quanto profonde divergenze geo-storiche), c’è da ripensare l’intera postura di relazione tra il nostro occidente ed il resto del mondo (Asia, soprattutto Africa), oltreché col mondo in quanto pianeta. E tutto ciò, presuppone modifiche non meno ambiziose e radicali del nostro pensare, conoscere, progettare il mondo ed il modo di abitarlo.

Il processo di adattamento ad un mondo così inedito, mutato e mutante nel profondo, oltretutto con tempi accelerati, a livello di società-civiltà, sembra ci porti a dover diluire il potere sociale a quante più sue componenti di modo che il sistema di cui facciamo parte mostri agilità e prontezza coordinata al cambiamento deciso dalla massa critica. Il cambiamento dei fondamenti impone il ritorno ai fondamentali del nostro pensiero politico, all’eterna battaglia tra il potere dei Pochi e quello dei Molti. Nel mondo dei viventi, i sistemi complessi più adattivi sono autorganizzati. La forma politica del principio di autorganizzazione è la democrazia reale. Ci manca una teoria forte della democrazia.

Questo, a mio avviso, il più urgente compito per un pensiero che abbia a traguardo l’azione trasformativa ed adattativa ai difficili tempi che ci son toccati in sorte di vivere.

Pubblicato in Uncategorized | Contrassegnato | Lascia un commento

I PRINCIPI DEL PRINCIPIO. Novembre 2022.

Posto il link ad un mio intervento alla seconda edizione di Biennale Tecnologia che si è svolta il 10-13 novembre scorso al Politecnico di Torino. Il fuoco di questa edizione era proprio la riflessione su i princìpi che fondano o dovrebbero fondare le nostre immagini di mondo a cui sono stati invitati scienziati, tecnologi, scrittori, economisti, filosofi, giornalisti, storici, artisti. Programma molto fitto e qualificato che ha spaziato da Taleb a Pievani, Morozov e Benasayag, Sadin e Zagrebelsky e molti, molti altri di cui a questo programma: QUI . Di ognuno potrete vedere il video dell’intervento.

Il mio, nello specifico, s’intitolava I PRINCIPI DEL PRINCPIO ovvero quali principi sembrano più idonei a favorire il nostro adattamento ad un mondo completamente nuovo, al “principio” di una nuova fase storica. Temi che qui abbiamo trattato più volte. Le mie riflessioni che hanno a lungo animato questo blog ora si sono trasferite su facebook. Mi scuso con eventuali lettori e lettrici per il blackout, fb è una piattaforma pubblica ma, comprensibilmente, molti non gradiscono accedervi. E da un po’ quindi che non ci incontra qui sul blog, conto di tornarci presto però. Intanto, chi fosse interessato, mi trova QUI su YouTube.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

IL CONGELAMENTO DI AGOSTO.

Raccolgo qui una serie di informazioni, articoli, opinioni lette in questi giorni sulla stampa internazionale, per tentare la risposta alla domanda su quanto manchi alla fine del conflitto russo-ucraino. Sviluppiamo il ragionamento in forma ovviamente ipotetica, sebbene riteniamo di aver solide ragioni che limitano il campo delle ipotesi. E la risposta alla domanda è simile a quella data, se ben ricordo, poco tempo fa da un generale ucraino ed altri analisti che indicava agosto come termine dello scontro armato. Perché?

Chiariamo innanzitutto che con “termine del conflitto” intendiamo non la pace, ma la sospensione delle operazioni sul campo, quello che chiamano “congelamento del conflitto”, il conflitto rimane, diventa diplomatico o prende altre forme politiche ed economiche e perde quelle militari. Agosto è la stima del tempo che i russi potrebbero impiegare per prendere territorio dell’est fino ai confini amministrativi pieni dei due oblast del Donbass. Quasi raggiunto l’obiettivo per il Lugansk, manca ancora un bel po’ per il Donestsk. A quel punto, i russi potrebbero vantare appunto tutto il Donbass, la striscia sud fino all’antistante di terra della Crimea, il Mar d’Azov trasformato in un lago russo, la Crimea che già avevano annessa, il blocco navale completo nell’antistante Odessa, Kherson, la centrale di Zaporizhzhia (la più grande d’Europa) e altri annessi.

I russi avevano dato gli obiettivi dell’operazione militare speciale già il 7 marzo in una intervista Reuters a Peskov e da allora sono stati ribaditi ogni volta che ne hanno avuto occasione. Che fossero i veri obiettivi o gli obiettivi di minima qui non ci interessa, ci interessa fossero la versione ufficiale perché è rispetto a questa che il Cremlino chiederà alla propria opinione pubblica e quella internazionale, di esser giudicato.

Il pacchetto prevedeva 3+2 punti. 1) De-militarizzazione. Si potrà dire che le strutture militari ucraine sono state in buona parte degradate anche se il bilancio reale nessuno lo potrà fare anche perché l’obiettivo così espresso era sufficientemente vago. Vedremo se effettivamente ci saranno prove dei fatidici laboratori biologici o delle temute manipolazioni di materiale atomico per bombe sporche. In più, se le strutture logistiche e le dotazioni originarie sono state senz’altro colpite, i grandi trasferimenti d’arma dalla NATO ed in particolare UK ed USA, non erano previsti e non possono entrare nel bilancio; 2) de-nazificazione. Obiettivo semmai anche più vago del precedente. Senz’altro la fine dell’epica di Azovstal (non ancora del tutto conclusa), gli interrogatori, le foto, i processi, le condanne dei superstiti dell’Azov e tutto l’intorno, daranno dimostrazione che tale obiettivo è stato raggiunto o almeno così si potrà sostenere all’ingrosso; 3) dopodiché, che l’Ucraina non possa entrare dalla porta d’ingresso nella NATO rimarrà proprio nella misura in cui il conflitto non terminerà formalmente forse per anni, lo vieta un articolo del regolamento di accettazione nell’organizzazione, 4) che la Crimea non sarà riconosciuta legittimamente russa non è un problema tanto la richiesta aveva come fine farsi togliere le sanzioni relative e s’è capito che quelle sanzioni rimangono ben poca cosa dopo quelle comminate in questi tre mesi; 5) il punto chiave ovvero il riconoscimento delle due repubbliche popolari, verrà superato dal fatto che avranno ottenuto il doppio di territorio originario, più tutto ciò che va dal Donbass alla Crimea, con un bel po’ di materie prime ed industrie con le quali pagarsi le spese per il conflitto. Con prigionieri e prove di malefatte, da una parte e dell’altra, più il blocco navale, discussioni sui confini da provvisori a definitivi, c’è materia per almeno dieci anni di inconcludenti trattative. Ecco il perché della stima di agosto manca ancora il pieno controllo soprattutto dell’oblast di Donetsk. Infine, i russi potranno sempre dire che Zelensky si dovrà politicamente accollare tutti i morti e la distruzione materiale dell’Ucraina perché tanto alla fine ha perso anche più di quanto non avrebbe perso trattando il 7 marzo. Zelensky ed alleati potranno sempre dire “visto? se non ci battevamo avremmo preso ben di più”.

Si renderà anche chiara la logica del conflitto almeno sul piano militare e del perché è stata definita “operazione militare” e non guerra. Ripetiamo, non ci interessa quanto di tutto ciò fosse o sia vero o meno, va valutata la sostenibilità pubblica del discorso ed il discorso (che è stato così preparato strategicamente sin dall’inizio) così messo sta più che in piedi, piaccia o meno. Soprattutto a coloro che in questi mesi hanno scambiato i fatti con la fog-of-war propagandistica che ha lungamente vaneggiato di blitzkrieg, annessione di tutta l’Ucraina, cavalli russi che si abbeverano alle fontane del Vaticano ed eliminazione di Capitan Ucraina, tutta narrazione quale si conviene in casi del genere. Per altro speculare a quelle russe che hanno minacciato Armageddon un giorno sì e l’altro pure.

Tutto ciò, sarà la base su cui trattare, per anni. Un giorno gli ucraini apriranno al riconoscimento delle due repubbliche ma poi si ritrarranno, allora i russi diranno che stanno valutando l’annessione dell’intero Donbass nella Federazione rendendo il possesso del territorio irreversibile. Un giorno qualcuno farà qualche azione militare al confine per forzare la mano nelle trattative, poi la farà l’altro. Si tenga però conto che la piena perdita del Mar d’Azov ed il blocco navale di fatto nell’antistante Odessa, sono mani stringenti intorno al collo economico di ciò che resta dell’Ucraina. Aprire un po’ e poi richiudere il blocco sarà la tattica negoziale principale. Nei fatti, entrambi potrebbero aver interesse a non finire mai davvero la tenzone ufficialmente poiché il conflitto sottostante, rimane. Interesse della Russia tenere l’Ucraina per il collo, interesse degli ucraini andare a piangere dagli occidentali, interesse degli americani per sgridare gli europei sul fatto che non fanno abbastanza (svenandosi ancora di più ed a lungo, il che li renderà viepiù docili ed impegnati dal divide et impera di Washington), interesse di nuovo dei russi che vogliono vedere se e quando gli europei occidentali troveranno forza e coraggio di ribellarsi. Inoltre, né i russi, né gli ucraini sono politicamente in grado di giustificare internamente l’eventuale compromesso che ogni trattato di pace comporta.

Vediamo un po’ di saggiare la logica dell’ipotesi da entrambe le parti, partiamo dai russi. Che i russi volessero effettivamente più o meno questo e non altro, si deduce in chiarezza dalle poche truppe schierate in campo. Nell’est del fronte, sino ad oggi, si son visti più ceceni e repubblicani locali che russi veri e propri. Le dichiarazioni pubbliche di Putin da dopo il 9 maggio, si sono fatte meno urlate ed aggressive. Il supporto interno è ai massimi, quindi da qui in poi può solo scendere. Khodaryhonok, l’esperto militare russo che parla alla trasmissione di punta del primo canale russo, voce che ha l’aria di parlare con la voce più propria del Cremlino presentata però come opinione personale, giorni fa ha escluso la mobilitazione generale per chiari motivi di opportunità e sostenibilità che qualcuno invocava anche in Russia e l’altro giorno ha fatto una impietosa disamina della situazione motivazionale sul campo che vede senz’altro favoriti gli ucraini. Viepiù con l’arrivo dei nuovi sistemi d’arma americani. Più passa il tempo più le sanzioni faranno effetto. Si deve presumere, come poi verificheremo dall’altra parte, che tutta la comunità internazionale se non a favore, non contraria a Mosca, spinga alla cessazione delle operazioni, il disordine mondiale (soprattutto economico) è già oltre i livelli di sopportabilità. Così per la carestia alimentare e la turbolenza sul mercato delle materie prime. Ricordo che l’obiettivo reale dell’iniziativa russa travalica le questioni ucraine e se tale motivo era più che sufficiente per Putin, non lo è come possibile ed aperta condivisione sia interna, che esterna, più passa il tempo e si alzano i costi politici, economici, diplomatici. Quindi, fin qui va bene, ora basta.

Vediamo nell’altro campo. L’altro campo va diviso quantomeno in tre. C’è Zelensky e la sua banda che vuole un futuro per sé ed il proprio paese, l’asse anglosassone ed europei orientali, gli europei occidentali che hanno visioni diverse da quelli orientali.

Partiamo dagli ucraini. Gli ucraini hanno sin qui ottenuto grande visibilità e prestigio internazionale, molte promesse, armi, hanno contenuto i russi sul campo o almeno così si è percepito, si sono uniti come un solo uomo (non lo erano affatto). Ora debbono gestire la seconda fase. Ieri un ministro ucraino ha detto che lì c’è da sminare un territorio pari all’Italia, ogni giorno in più di guerra sono 30 giorni di sminamento ulteriore. Hanno fatto stime sulla necessità iniziale di un piano di ricostruzione di almeno 600 miliardi, più 5 di mero funzionamento amministrativo mensile, più le armi. Il Paese è nullo come attività economica, Pil, tassazione, insomma è a terra, completamente, manca pure la benzina. Hanno la questione del grano dove se non si sbrigano a svuotare i silos, non potranno riempirli col nuovo raccolto. Problemi con le altre esportazioni che sostenevano la magra economia ucraina. Hanno perso quasi 6 milioni di abitanti e la natalità già bassissima, si sarà ulteriormente bloccata. Si può immaginare che le precedenti élite economiche (oligarchi o meno), siano in fermento per non dire di peggio. Col tempo, gran parte della popolazione rimasta che è lontana dal fronte attivo, sentirà viepiù i morsi della crisi profonda e sempre meno lo spirito di patria compenserà la manca di pane e companatico, lavoro, requisiti minimi di normalità di esistenza.

Si apre così la partita con l’Europa occidentale. È l’Europa occidentale che dovrà contribuire più di ogni altro al futuro piano Marshall ed è la stessa che dovrà trovare il modo di inglobare l’Ucraina (paese che non era definito “democratico” prima delle guerra, corrotto a livelli stratosferici, privo di effettivo stato di diritto, con un Pil pro-capite a livello di repubblica centro-americana -133° posto-, senza politiche di genere e tratta delle donne giovani avviate alla prostituzione industriale della loro ampia malavita organizzata in affari con la ndrangheta, primo hub europeo per traffico d’armi e droga, con livelli di garanzia democratica e per i partiti e per la stampa inesistenti e da ultimo pure peggiorati) non certo pienamente nell’UE (impossibile per via dei parametri e del tempo richiesto per adeguarvisi, decenni su decenni, ma con l’opzione “Confederazione” che però è tutta da sviluppare). Ecco allora che il governo ucraino dipende dall’Europa occidentale per due ottimi motivi: a) il riconoscimento come candidato, obiettivo da vantare sul piano interno per le prossime elezioni in cui Zelensky rischia la testa (se non la rischia prima per altre ragioni); b) i soldi. È l’Europa occidentale che imporrà all’Ucraina di adeguarsi al congelamento del conflitto. Le armi debbono tacere, le luci si debbono spegnere, l’attenzione deve scemare per poter gestire il complesso dopoguerra. Crisi alimentare, commodities, milioni di esuli che già si lamentano, in attesa si comincino a lamentare le popolazioni che li ospitano una volta terminata la fase Eurovision, impossibile rinuncia sia al petrolio per non parlare del gas, inflazione ai massimi, migranti afro-arabi affamati, relazioni commerciali sovvertite, investimenti persi, catene logistiche da ristrutturare, mercato finanziario in contrazione mondiale, costo delle sanzioni, cisti del riarmo, un vero disastro.

Così dopo un certo allineamento delle intenzioni tra russi, europei occidentali che costringeranno gli ucraini ad adeguarsi, rimarrà l’asse anglosassone. Qui la situazione Biden in vista delle elezioni di mid-term (dall’inflazione agli effetti del terremoto economico-finanziario) è molto critica. Molte le altre cose da fare. Dal gestire il bottino NATO con i nuovi candidati scandinavi (al di là delle impuntature truche, ci vorrà ancora un anno prima di ottenere tutte le approvazioni e la strada potrebbe non esser così piana come ad alcuni sembra), alla ripresa dell’offensiva diplomatica soprattutto in Asia. In fondo, lo sfregio di reputazione russa si è ottenuto almeno per le platee occidentali, il declassamento d’immagine come superpotenza in parte, l’Europa che si riarma e stacca i legami con Mosca è forse il bottino più succoso, le sanzioni faranno il loro corso ed anzi ci sarà da tenere a bada gli europei che tenteranno qualche reversibilità e compromesso come stanno già facendo col fatidico pagamento in rubli a Gazprom.

Insomma, del Grande Conflitto per o contro l’Ordine Multipolare, che è la ragione propria di tutto questo macello, si potrà chiudere la prima fase, aprendo la seconda che si dovrà gestire a livello economico, finanziario, monetario, diplomatico e di alleanze, gestendo la complessa fase post-bellica, trasferendone il fulcro in Asia mentre si prepara la nuova puntata dell’Artico che è poi ciò che ha mosso al repentino assorbimento dei due scandinavi. Svezia e Finlandia hanno decenni di pacifica convivenza coi russi, nessun contenzioso, nessuna enclave russofona, nessuna ricchezza da disputarsi, la Svezia non ha neanche un confine di terra con la Russia. La Finlandia ce l’ha ma è esageratamente lungo, pianeggiante, disabitato e freddo, sostanzialmente indifendibile. Ma non si capisce cosa della Finlandia possa mai attrarre i russi. La loro frettolosa e sin troppo festeggiata adesione, non può che riferirsi a ben altro conflitto quale quello che si sta approntando per le risorse e la viabilità dell’Artico.

Il seguito di questo conflitto a scala planetaria non è facilmente ipotizzabile. Se lo è sul piano delle strategie generali, manca chiarezza sulla forza del suo soggetto ovvero l’attuale presidenza Biden. Quasi certa la perdita del Senato alle prossime mid-term, potrebbe perdere anche la Camera ed i due anni che, a quel punto, separeranno dalle presidenziali sarebbero una ghiotta occasione per i repubblicani per fargli perdere più punti di quanto ne potrebbe acquisire. Il tutto, in un contesto mondiale ormai disordinato irreversibilmente, con prospettive economiche plumbee. Di contro, potrebbe esser allora intenzione proprio dell'”anatra zoppa” drammatizzare il conflitto internazionale, specie se a quel punto diretto anche contro la Cina. Un richiamo a cui non potrebbero resistere neanche i repubblicani. L’enorme elargizione di dollari al complesso militare-industriale ha sempre affetti bipartisan.

Sin dall’inizio delle nostre cronache sul conflitto ucraino, ci siamo posti il problema tra l’estrema ambizione del piano americano e la sua forza relativa nel poterlo dispiegare nel tempo contro le avversità da esso stesso generate. Schematicamente, delle due l’una: o il piano è frutto di un entusiasmo poco avveduto strategicamente e realisticamente o si è prevista la necessità di alzare continuamente la posta per imporlo come unico schema di riferimento, forzando tutte le incertezze e contrarietà crescenti. Questo secondo caso sarebbe davvero preoccupante ed allora le continue uscite russe sull’opzione nucleare, passerebbero dal novero della semplice propaganda alla risposta a minacce strategiche che le opinioni pubbliche ancora non vedono con chiarezza.

Pubblicato in Uncategorized | 3 commenti

UNA TRANSIZIONE EPOCALE?

A chi mai interessasse, il mio intervento di apertura al lancio della XIIa edizione del Festival della Complessità che si è tenuto sabato scorso in quel di Parma. Cose per i lettori e lettrici del blog relativamente note, con l’unico beneficio che qui sono messe assieme a comporre una lettura di quadro, anche se la tirannia del tempo e dell’attenzione implica il dover appena toccare punti che in realtà andrebbero a loro volta approfonditi e di non poco.

Su piattaforma Facebook: QUI. Su YouTube: QUI

Pubblicato in Uncategorized | 1 commento

MORE IS DIFFERENT.

Era il 1972 quando un fisico americano, P. W. Anderson, poi premio Nobel (1977) diede alle stampe su Science un breve articolo con questo titolo, un articolo che risulterà tra i più citati in assoluto nella letteratura scientifica degli ultimi cinquanta anni. “L’aumento del numero di componenti di un sistema determina un cambiamento non solo quantitativo ma anche qualitativo” compendia G. Parisi (Nobel 2021) nel suo recente “In un volo di storni” (Rizzoli, 2022).

Se come è accaduto nel mondo nei soli ultimi settanta anni, è più che triplicata la popolazione umana ed il numero di Stati, questo “more” in che modo ha creato un mondo “different”? In che senso il nostro mondo è differente da quello appena passato, a quanti e quali livelli, con quanti e quali effetti, lineari e non? Viepiù visto che ci aspettiamo crescerà ancora per i prossimi trenta anni arrivando nel 2050 ad essersi quadruplicato in un solo secolo?

Di questo parlerò nella relazione di apertura del Festival della Complessità che si terrà a Parma il 7 maggio, a partire dalle 9.30 ripercorrendo proprio questa dinamica ed i suoi molteplici effetti sino ad arrivare all’odierno terremoto del mondo con epicentro in Ucraina con effetti di vasta e profonda portata, in quella che possiamo senz’altro definire una transizione epocale.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

UN SECOLO E MEZZO DOPO.

Ricorre oggi, il primo di maggio, la c.d. “festa dei lavoratori”. Questa data venne fissata a seguito di vicende su cui qui sorvoliamo, originatesi negli Stati Uniti, ai tempi della Rivoluzione industriale. Tali vicende presero forma di violenti scontri di piazza, attentati veri o presunti, arresti, condanne a morte. Tutto ciò seguiva l’idea di estendere a tutta l’America una legge fatta nell’Illinois nel 1866, appunto un secolo e mezzo fa. La legge prevedeva, per prima, la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore.

Sulle otto ore di lavoro al giorno si scontravano due interessi. Quelli degli imprenditori e loro logica detta capitalistica e quelli dei lavoratori. L’interesse dei lavoratori era semplicemente di tipo umano ovvero riservare otto ore per dormire, otto per lavorare, otto per tutto il resto. In quel “tutto il resto” si concentrava l’essenza umana. L’essenza umana, infatti, solo per ragioni biologiche ha bisogno di dormire otto ore, ma è questione del corpo immobile, quando dormiamo non siamo coscienti e non abbiamo relazioni tra noi e col mondo. Altresì, quando lavoriamo siamo coscienti ed in relazione ma in contesti e fini che non scegliamo liberamente. È la nostra convenzione sociale che determina il meccanismo per cui per far funzionare la vita associata e la stessa nostra al suo interno, vendiamo il nostro corpo e la nostra mente per un pacchetto di ore giornaliere, per giorni, mesi ed anni, fino a quando non lavoriamo più e poco dopo moriamo. C’è chi ne trae anche soddisfazione, materiale ed anche ideale, ma è spesso un far di necessità virtù, non è esattamente e convintamente per tutti una nostra scelta. Sicuramente non è una scelta libera.

Una libertà, per quanto relativa, è riservata alle altre, ultime, otto ore. Spesso, questo pacchetto di tempo in cui sfogare la nostra essenza umana è a sua volta limitato. C’è da curare la nostra persona, occuparsi di faccende domestiche, accudire i nostri amori ed affetti, andare e tornare dal lavoro, mangiare. Rimane un po’ di tempo, talvolta, per stordirci ovvero fare cose senza troppo impegno per distrarre la mente sovraccarica. Così ogni giorno, così più o meno per sempre. La nostra condizione umana così settata ai tempi moderni, riserva così da poco e per niente tempo per curare il nostro diritto primario.

Il nostro diritto primario è quello di esser soci di una società che richiederebbe tempo di attenzione ed azione come ogni socio riserva alla società di cui possiede diritti societari. Non solo è un diritto, ma sarebbe anche un dovere in quanto se non ci curiamo noi della nostra società non si vede chi altro dovrebbe curarsene. In realtà sono in molti a curarsene, ma ognuno di coloro che possono farlo lo fanno ovviamente nel loro interesse, nel loro disegno, non certo nel nostro, anche loro sono soci naturali come noi solo che, a differenza di noi, hanno modo di far valere quel diritto e noi no.

Dipendiamo non solo dal nostro corpo, dalla nostra rete sociale affettiva ed amicale, da coloro a cui abbiamo venduto un terzo del nostro tempo-vita, dipendiamo anche ma forse soprattutto dalla nostra società perché come tutti gli animali sociali, siamo vincolati al fatto che la nostra sfida adattativa al mondo la giochiamo in squadra che è appunto la società. Ma pur essendone soci naturali, non abbiamo sufficientemente tempo per occuparcene. Ciò determina la nostra condizione sociale. Quanto tempo hai dedicato a studiare il mondo intorno a te, quanto ne sai, da chi l’hai saputo, quante occasione hai di dire la tua, di confrontarti con altri, di discutere e con ciò apprendere da altri o aiutare altri ad apprendere. Così fino alla domanda finale che è l’essenza della politica: chi decide ed in base a cosa decide?

L’insieme di questa descrizione porta a molte distorsioni. Molti non hanno la più pallida idea della loro società e del mondo in cui questa è posta. A molti sfugge l’inestricabile complessità di tutto ciò. Questo provoca ansia che si somma al risentimento perché, nel frattempo, la nostra condizione sociale provoca molte contraddizioni, frustrazioni, problemi. Ci sono molti apparati, qualcuno li ha chiamati dispositivi o strutture, utili a deviare la nostra ansia e risentimento, utili come omeostatica del sistema sociale ovvero come farlo funzionare e mantenerlo in parziale equilibrio nonostante sia obiettivamente dotato di poco senso e perennemente disequilibrato. Tutto ciò ha un fine primario ovvero evitare in ogni modo noi si eserciti i nostri diritti naturali di socio di società. Occupatevi di tutto ma non della vostra società e questo perché così se ne può occupare chi ha interesse essa sia fatta così e non cosà.

La cosa è nota anche perché ha una sua banalità, come vedete è semplice sebbene porti poi a molta complessità emergente dai suoi funzionamenti. In ciò, dispiace notare come molti di coloro che si sono potuti dedicare a questo problema comune a noi tutti, almeno quelli che se ne sono occupati dal punto di vista comune di coloro che subiscono questo ordine disequilibrato che gli stessi definiscono “ingiusto”, abbiano fatto tanti tentativi di sovvertirlo, ma evitando la strada più semplice. Risuona qui un detto di Bertold Brecht “è il semplice che è difficile a farsi”.

La via più semplice e tuttavia più evidentemente difficile a seguire, è in quel risultato ottenuto nell’Illinois un secolo e mezzo fa: diminuire il tempo di lavoro per investirlo in tempo per esercitare i nostri diritti societari naturali. C’è stata una implicita sfiducia nella capacità umana di poter decidere per sé il proprio meglio, anche da parte di quei pochi che hanno avuto il loro tempo per studiare la faccenda e pur animati da buoni intenti di aiuto agli altri meno fortunati che quel tempo non l’hanno avuto, l’hanno sprecato.

Diceva un filosofo che il compito della filosofia dovrebbe essere aiutare la mosca ad uscire dalla bottiglia. La mosca vuole volare libera, vede la libertà davanti a sé attraverso la trasparenza del vetro, ma quando cerca di accedervi sbatte contro qualcosa di duro ed impenetrabile. L’attività umana più nobile ovvero il pensiero del pensiero dovrebbe aiutare a trovare la soluzione ovvero quel piccolo foro che unico, fa uscire dalla prigione trasparente, che è poi quello in cui incautamente si è attraversato finendo nella prigione.

Ma così, fino ad oggi, non è stato. Abbiamo diverse teorie emancipative, ma hanno tutte un difetto fondamentale. Il difetto fondamentale è che per praticare qualsiasi di esse, si deve presupporre una massa sociale, altri con cui praticarle, altri con cui fare fronte comune, ci si emancipa in gruppo non da soli. Per cambiare l’ordine sociale, si deve comunque formare una massa critica in grado di incidere nelle decisioni dell’assemblea dei soci. Per farlo però, ci vorrebbe il tempo. Tempo per leggere, studiare, discutere, dibattere, cambiare idea e farla cambiare ad altri, organizzarsi, trovare il modo stesso di come organizzarsi stante che non è facile (a partire dal ricatto dei soldi, servono soldi per fare qualsiasi cosa nella nostra forma di società, quel “il tempo è denaro” che è la formula stessa del nostro ordine sociale), rendersi immuni dalla potenza di fuoco contrario che può contare su enormi capacità ed armi da usare per convincere i nostri stessi simili delle più assurde assurdità in modo siano loro ad avversare i nostri progetti emancipativi che pure converrebbero pure a loro.

Noi siamo animali intenzionali, per uscire dalla bottiglia ci vuole l’intenzione e la conoscenza, la conoscenza si nutre di tempo, non averlo ci porterà per l’eternità a sbattere contro il vetro.

Un secolo e mezzo è tanto tempo, ma la questione umana-sociale è sempre là in quella intuizione dei lavoratori americani intenzionati dalle prime teorie politiche emancipative: riprendersi il proprio tempo. Tempo come condizione di possibilità necessaria senza la quale ogni altra condizione, intenzione, progetto su noi e sul mondo non può avere soddisfazione. Tempo da investire nell’esercitare il nostro naturale diritto-dovere di soci naturali di società. Interesse questo personale, ma legato giocoforza ad una rivendicazione sociale, fatta in società.

Speriamo di non dover buttare via un altro secolo e mezzo prima di capirlo. Anche perché il tempo, per noi, ha questa antipatica abitudine, ad un certo punto finisce.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

CRITICA DELLA RAGIONE CINICA.

Visto il diluvio di parole e la mancanza di analisi a grana fine sulla guerra, che qui circoscriviamo a puro fatto militare, mi sono preso la briga di capire meglio e condivido il tentativo.

Metodo: ho preso la due cartine dall’Institute of Study of War, think tank americano finanziato dai principali poli produttivi del complesso militare-industriale americano. Non sono dissimili da quelle di altri enti (tutti anglosassoni) e vanno trattate all’ingrosso. La prima è quella al 14 marzo, la seconda è quella del 25 aprile. Su quella più recente ho incollato il profilo dei territori del sud-est scontornato da quella del 14 marzo. Con il tratteggiato nero ho evidenziato i territori che gli ucraini avrebbero, più o meno, perso in circa l’ultimo mese e mezzo. Ne hanno anche ri-guadagnati, a nord dove i russi si sono ritirati dal dopo dell’incontro-trattativa in Turchia che pure aveva acceso qualche speranza di pace. Molto all’incirca, si potrebbe dire che gli ucraini hanno riavuto territori dai russi per una estensione più o meno pari a quelli che hanno perso, in seguito, a sud-est. In particolare:

A. Una penetrazione verso Mykolayiv e che include Kherson che proprio ieri i russi hanno affermato di aver consolidato definitivamente (secondo loro).

B. Una penetrazione avanzata da sud a nord sull’asse di Mariupol. A scala usata dal ISW, sarebbero ad occhio circa 100-120 km che allontanano definitivamente gli ucraini da ogni velleità di arrivare a Mariupol.

C. L’avanzata più importante che porta ad una conquista di circa l’80-85% del Lugansk. Sempre verso nord un inspessimento dei territori in direzione di Kharkiv, la seconda città per popolazione dell’Ucraina.

Si noti che il confine di conflitto a nord di Donetsk è rimasto praticamente invariato. Lì, nella sacca ancora in mano ucraina, dicono si concentrino i migliori 40.000 uomini delle armate di Kiev.

A proposito del “diluvio di parole” e di analisi sostituite da propaganda, si può notare un altro fatto non espresso da queste cartine. La versione dominante dei fatti dice che l’iniziale, presunto, blitzkrieg a nord sarebbe fallito per l’incrocio tra incapacità di pianificazione e logistica russa e la inaspettata resistenza ucraina. Non mi voglio spacciare per un esperto di studi strategici e militari quale non sono. Ma se si va sul link dell’Istituto (qui) e si cercano le cartine della prima settimana di conflitto, si vedrà che il vero blitzkrieg c’è stato, solo che era a sud, davanti la Crimea. A logica rivelata nel proseguo dei fatti, si potrebbe anche dire che quello a nord sembrerebbe esser stato un diversivo per distrarre le difese ucraine, al fine di penetrare largamente, velocemente e senza molti danni, dove invece interessava strategicamente di più. Tutto ciò, ripeto, non per scendere sul piano dalle analisi militari a grana fine, ma solo per evidenziare proprio la mancanza di analisi militari a grana fine, sostituite da agit-prop che hanno sedimentato nelle opinioni pubbliche “verità” che tali potrebbero non essere. Tali “verità” date spesso per assodate, vogliono evitare si conosca davvero “il nemico”, le sue logiche, le sue capacità, il che è un pessimo segnale.

Commento: ora, tutto si può dire tranne che l’Ucraina stia vincendo la guerra, almeno misurando in territorio. Usando cartine dell’archivio di ISW, a parte i territori da cui si sono ritirati i russi per raggruppare truppe al sud-est e qualche puntino sulla cartina, non risulterebbero significativi territori riconquistati dagli ucraini per via militare nei due mesi di guerra, mentre ne risultano di persi.

Si consideri infine che la guerra, sul campo, si fa con le armi e con gli uomini. Il limite della forza ucraina è nel numero degli uomini che non può esser esteso a piacimento, per quanti “alleati” si contorni. Purtroppo, non sappiamo nulla della reale consistenza, della collocazione, dello stato di servizio dopo due mesi, del tono dell’umore dei soldati ucraini stante che parrebbe esser una squadra che ha perso molto più di quanto abbia realmente vinto. Ricordo che una parte dell’esercito è stata aumentata con la coscrizione obbligatoria e molti di quegli uomini sono mariti e padri di altre ucraine ed ucraini tra i 6 milioni di profughi espatriati. Ce li raccontano molto convinti di quello che fanno, ma si potrebbero anche nutrire dubbi.

Per carità, la guerra si fa anche se non soprattutto, a volte, con la propaganda e quindi ci sta assolutamente tenere l’umore alto, dire che gli ucraini sono d’acciaio e che la Russia non potrà che perdere perché è dalla parte sbagliata della storia e che l’Ucraina vincerà. Non è per questo che abbiamo fatto la verifica.

Volevamo invece capire la logica della guerra propriamente detta. È ovvio che l’enorme mobilitazione nei rifornimenti dei sistemi d’armi all’Ucraina da parte dell’Occidente a guida americana, porterà vantaggi. Ma sembrerebbero più vantaggi di resistenza che non vantaggi per una possibile controffensiva o forse più che una resistenza che tiene la linea, un attrito che rallenti l’avanzata. Ma anche fosse, una resistenza in vista di cosa? Dicono “avere più potere di trattativa”. Ma se hanno già perso più del doppio dei territori reclamati dai russi, che trattativa s’immaginano di fare? Qual è dunque il fine ultimo?

Kiev sostiene che il suo obiettivo è riconquistare i confini al 2014, quindi tutto ciò che ha perso in questi due mesi, più l’intero Donbass con evidente sterminio dei filorussi della regione in conflitto da otto anni, nonché la Crimea con sterminio locale dei russi e russofili. Un obiettivo che ci sembra, francamente, impraticabile.

Per carità, ripeto, la propaganda ci sta tutta in guerra. Ma visto che siamo spettatori interessati in quanto partecipiamo come alleati di Kiev, avremmo anche l’obbligo di capire meglio di cosa siamo alleati davvero. E su questo punto le cose non sono affatto chiare, mi sembra. Mi sembra solo chiaro che gli obiettivi vantati da Kiev siano semplicemente impossibili da conseguire. Di cosa, quindi, siamo alleati?

Un filosofo tedesco, Peter Sloterdijk, pubblicò a suo tempo una “Critica della Ragione Cinica” in cui sosteneva che “Cinico è colui che ammanta la propria azione (improntata al più duro, privo di scrupoli, calcolatore, realismo) con una giustificazione moralistica relativa al suo fine.” (all. 2). Ecco ci sembra ciò valga al nostro caso.

La giustificazione moralistica della guerra dal punto di vista occidentale ed ucraino è declinata sui principi della difesa della democrazia, dei valori di libertà ed autodeterminazione, dei diritti di resistenza di ogni aggredito che chiama alla solidarietà contro l’aggressore. Ma il sottostante realistico è portare vari colpi alla credibilità e consistenza di potenza russa da parte americana ed europea orientale e con ciò colpire l’intero fronte multipolare che è il nemico ultimo reale degli Stati Uniti. Quello ucraino è farsi pagare il servizio che prevede molti morti e molta distruzione materiale in patria, a fini reali quali abbiamo ipotizzato in un articolo precedente (Dal punto di vista di Zelensky), forse. Quello europeo occidentale non c’è, il comportamento europeo occidentale è solo figlio dell’impotenza geopolitica, con una implicita gara a chi perde più dignità in cui dispiace distinguere il governo italiano.

L’Ucraina non vincerà nulla, perderà anche più della Crimea e del Donbass ed avesse realisticamente accettato questo fatto sin dai primi giorni (il che non impediva all’Occidente di fare tutte le ritorsioni messe in campo contro i russi ed altre che ancora non ha messo in campo, per l’eternità ed oltre) avrebbe salvato molte vite e molta sua ricchezza e residua possibilità di avere un futuro. Così noi europei occidentali ci saremmo risparmiati l’ennesimo suicidio socio-economico-(geo)politico ed il mondo stesso avrebbe evitato la sua più pesante perturbazione dal dopoguerra dagli imprevedibili ed incalcolabili effetti finali (vedi allegato).

E dire che i cinici filosofici, in origine, ai tempi di Diogene, erano quelli che “avevano il coraggio di dire la verità” (parresia). Diogene fu quello che quando ricevette la visita di Alessandro Magno curioso di conoscerlo e pronto ad esaudire ogni suo desiderio per compiacerlo, si sentì rispondere dall’incurante filosofo adagiato a terra “scansati che mi fai ombra”.

Ecco a cosa serve la moderna ragione cinica, ad evitare i prezzi di dire la verità e conseguirne comportamenti conseguenti. In questo, la nostra ennesima bancarotta della ragione, il cui prezzo pagheremo molto caro, in molti modi, per molto tempo a venire, temo.

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

DAL PUNTO DI VISTA DI ZELENSKY.

Avrete notato forse che Zelensky ha un preciso entourage e sono tutti mediamente giovani. Molti hanno studiato o lavorato in Gran Bretagna, qualcuno in America. Alcuni di loro zampillano dalle nostre reti televisive o in video on line e sono tutti dotati di capacità argomentativa non banale, sono molto decisi e cosa più importante, sono coordinati nel senso che sembrano usciti da una riunione di briefing in cui hanno condiviso tutti una unica linea. Si può ipotizzare esista una sorta di Zelensky & Partners, un gruppo coeso ed omogeneo di persone che condividono una precisa strategia politica per tenere il potere in Ucraina al fine di …?

Isoliamo questo soggetto collettivo, dimentichiamoci chi ha intorno come partner interessato (USA, UK, una parte dell’Europa orientale e dei vertici della burocrazia euro-unionista, l’oligarca Kolomoyskyi) concentriamoci sulle sue proprie ipotetiche intenzioni. Come forse saprete, questo gruppo è diventato un partito poco prima finisse la terza stagione della serie televisiva che vedeva Zelensky come protagonista. Si è presentato alle elezioni del 2019 e secondo quanto scriveva the Guardian tre anni fa quando ancora non eravamo arruolati: … con “poche informazioni sulle sue politiche o sui piani per la presidenza, basandosi su video virali, concerti di cabaret e battute al posto della tradizionale campagna elettorale” ottenendo un insperato 30%.

La geografia del voto di questo primo turno, lo collocava al “centro”, sia geografico che politico. Ad ovest i nazionalismi di Poroshenko-Timoshenko, ad est i filo-russi confezionati in partiti apparentemente più di “sinistra”. Un gruppo di giovani ben intenzionati, con tecniche di marketing e comunicazione mediatica molto “occidentali” ha incarnato una possibile speranza. Sappiamo che questa speranza stava scemando prima del 24 febbraio, gli indici di gradimento della Zelensky e Partners (Z&P) erano in discesa e la rielezione fra due anni era data come improbabile.

Non credo si possa pensare che la Z&P fosse solo una associazione di potere ovvero un gruppo che ha tentato e vinto il vertice della tribolata nazione. Come detto sono “giovani” e rampanti e sembrano animati da ideali forti, giusti o sbagliati che siano, sembrano un gruppo di giovani europei occidentali e filo-anglosassoni che si sono paracadutati in un complicato e declinante paese ex sovietico. Sono svegli, attenzione a rubricarli sotto la semplificata categoria dei “manipolati”, se lo sono (e certo lo sono) è perché hanno interesse ad esserlo. Ma per fare cosa?

L’UCRAINA PRIMA DELLA GUERRA: Prima dell’inizio della guerra, l’Ucraina era il 133° paese al mondo (quindi su 190 e poco più Stati) per pil pro-capite. In pratica, tra Guatemala ed El Salvador. Il peggior Paese dell’UE in questa classifica è la Bulgaria, 84°. Il risultato non cambia molto se usate il Pil PPP. A queste condizioni, l’Ucraina non sarebbe praticamente mai potuta entrare nell’UE. L’ammissione poi non avrebbe solo avuto a parametro questi indicatori quantitativi e su quelli qualitativi come trasparenza, corruzione, sostenibilità e prospettive, le cose sarebbero andate -se possibile- anche peggio.

Dal 2000 al 2021, l’Ucraina ha perso il 15% della sua popolazione per migrazioni, scarsa fertilità (la più bassa d’Europa) ed elevata mortalità tra gli anziani. È dal 1994 che l’Ucraina perde popolazione. Hanno anche perso la Crimea e forse potremmo metterci anche le due repubbliche popolari, sempre che non si debbano aggiungere abitanti dei vari territori che gli ucraini hanno già perso e continueranno a perdere nel proseguo del conflitto. L’ultimo censimento è ancora al 2000 e dichiarava 42 milioni di abitanti, ma altre stime più aggiornate (fatte dagli ucraini stessi) scendono fino a 32 milioni. Gli attuali 6 milioni di profughi, da vedere poi quanti di questi rimarranno fuori o rifluiranno verso casa, sarebbero ad occhio un altro -15% di popolazione in soli due mesi e sempre che si fermino qui.

Hanno anche la più alta percentuale di popolazione femminile in Europa dopo la Lituania e il secondo posto per tasso di mortalità dopo i bulgari. Molte donne quindi ma anche penosi indici di diseguaglianza di genere, 88° posto su 189 paesi secondo l’ONU . L’alto tasso di mortalità è dovuto alla congiura di diversi fattori quali l’inquinamento atmosferico dove c’è industria pesante, alcol, tabagismo, cattiva alimentazione, cattiva qualità del sistema sanitario nazionale.

Come saprete, la composizione etnica è mista con due poli, pienamente ucraina e tendenzialmente di cultura balto-slava europea all’estremo occidente, più russofona-fila all’estremo oriente. Il fiume Dnepr taglia in due il continuum ucraino e funge da separatore tra due diverse composizioni socio-demo su molti item.

A livello di criminalità, l’Ucraina è storicamente attiva la tratta di giovani donne avviate alla prostituzione in Europa mentre dai tempi della grande svendita degli asset militari sovietici dopo il 1991, è altrettanto attivo il traffico d’armi. Global Organized Crime Index nel rapporto 2021, quotava l’Ucraina come “il” o “uno dei principali” mercati d’armi in Europa, soprattutto piccoli e medi calibri e relative munizioni derivate dall’incessante flusso di armamenti proveniente dagli Stati Uniti da almeno venti anni. Armi ridistribuite al terrorismo e criminalità di mezzo mondo. È chiaro che l’attuale flusso proveniente soprattutto dall’Europa restia ad impegnarsi su armi di maggior peso, darà altro impulso al traffico. Quanto alla prostituzione e la tratta di esseri umani il problema è così vasto e profondo da meritare addirittura due specifiche pagine di Wikipedia.

Il rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report) classifica l’Ucraina come uno degli hub chiave per il traffico di droga internazionale ed il primo hub per l’entrata in Europa di cocaina ed eroina tramite i porti di Odessa e Mariupol. La mafia ucraina è in solidi affari (armi, droga, donne) specie con la ‘ndrangheta calabrese.

Due anni di Covid con uno dei bassi indici assoluti di vaccinazione, hanno prodotto statistiche severe e gravi impatti sulla già claudicante economia e relativa organizzazione sociale.

Come segnalammo qualche post fa, l’Ucraina non era ritenuta un paese democratico dal the Economist nella sua speciale classifica condotta dal 2006. L’Ucraina era ritenuto il paese all’ 86° posto del Democracy Index, tra le Fiji ed il Senegal, qualificato come “regime ibrido” . Dal 2020, il Governo ha intrapreso una serrata lotta con la Corte costituzionale che ne limitava l’azione volta a porre leggi più rigide e severe, saltando però le cautele costituzionali. Complice la guerra, ha potuto arrestare e far sparire molta gente scomoda, silenziando i media non conformisti, mettendo fuori legge partiti nemici. La legge marziale è oggi prorogata almeno fino a fine maggio.

La diagnosi problematica è che l’Ucraina era sostanzialmente un paese fallito. Troppo grande, troppo poco popolato, troppo etnicamente disomogeno, troppo asimmetrico nei generi, troppo povero, strutturalmente troppo agro-industriale quando l’Occidente invece si è sviluppato nei servizi, troppo influito dai minacciosi vicini russi. Con troppi interessi di mezzo come nel sistema degli oligarchi tra cui un congruo numero di veri e propri delinquenti dediti al traffico di donne, armi e droga, tra l’altro spesso proprietari di vari mezzi di informazione. Un sistema del genere non aveva alcun futuro possibile e senz’altro nulla che potesse interessare il gruppo dei giovani Zelensky & Partners. Decennale e molto improbabile il processo necessario a riformarsi per entrare nell’UE. Che fare?

L’UCRAINA DOPO LA GUERRA? L’obiettivo strategico di Zelensky è stato dichiarato ai primi di aprile. Z. ha dichiarato l’obiettivo di far dell’Ucraina una “Grande Israele”. Lasciate perdere il lato religioso del riferimento e concentratevi su quello geopolitico e strategico-economico. Israele è un paese non in pace, permanentemente all’erta contro nemici di circondario. Questo è un ottimo ordinatore interno perché semplifica la vita politica, quantomeno tutti gli israeliani sono uniti nell’idea di doversi difendere da vari nemici di circondario. La pratica dell’obiettivo prevede una militarizzazione importante della vita civile e soprattutto una chiara direzione di sviluppo dell’attività economica.

Questo ha fatto di Israele quello che un fortunato saggio americano del 2009 definì una “Start up Nation”. I primati tecnologici, di brevetto e sviluppo, di Israele nelle nuove tecnologie è universalmente riconosciuto e si ricordi che se queste attività partono da strategie militari, le ricadute civili sono anche importanti.

La stessa questione poco chiara dei bio-laboratori in conto terzi che già affollerebbero l’Ucraina disegna una possibilità di ospitare le forme di ricerca più avanzate ma anche più rischiose, ad esempio sull’A.I., un po’ come hanno tentato di fare i sauditi in cerca anche loro di un futuro, nel loro caso post-petrolifero. Elon Musk gli ha già portato i terminali per Starlink. La ricerca avanzata in questi campi rischiosi da parte di USA, UK, Francia, Germania, ha bisogno di de-localizzare i rischi che non si possono correre nel proprio paese.

Gli investimenti militari e una mentalità orientata all’efficienza digitale, necessaria per qualunque guerra, potrebbero rappresentare lo stesso motore di innovazione per l’Ucraina, che già può contare su quattro “unicorni” – GitLab, Bitfury, People.ai e Grammarly – e su un ecosistema che è cresciuto di dieci volte negli ultimi cinque anni, passando a un valore complessivo di oltre 600 milioni di dollari e 146mila brevetti. Unit.city a Kiev è già oggi il più importante parco tecnologico dell’Europa orientale. Si tenga conto che questo posizionamento, è lo stesso occupato da dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia dalle tre repubbliche baltiche che, tra l’altro, son quelle che hanno registrato gli indici di crescita economica più importanti in Europa, negli ultimi decenni. Ma, come nel caso israeliano o delle repubbliche baltiche, questo tipo di sviluppo economico centrato sull’ICT, può reggere solo una demografia più giovane e contenuta di quella precedente.

L’UCRAINA IN GUERRA. La guerra, si sa, è un acceleratore. Nelle complesse transizioni storiche, la guerra ha svolto sempre il ruolo di “distruzione creatrice”, concentrare dinamiche disordinanti in poco tempo pagando con morti e distruzione materiale, una sorta di necessaria operazione senza anestesia, dolorosa ma necessaria.

Z&P si sono immediatamente mostrati pronti al conflitto e lo hanno gestito, certo anche aiutati, in modo davvero abile. Z&P avevano ed hanno bisogno della guerra per fare o far fare ai russi, operazioni di semplificazione dell’Ucraina. Rimpicciolire un territorio ingestibile e irriformabile. Chiarirne la composizione etnica rendendola omogenea. Diminuire la popolazione accettando la perdita di numeri per cessione territori ai russi e profughi scappati da tutte le parti. Servire la causa anglosassone sia di messa in profondo stress della Russia, sia della sua attuale dirigenza (Putin), sia di fargli usare la “tragedia ucraina” come perno per i regolamenti di conti nella battaglia di grande strategia tra bipolarismo e multipolarismo ottenendo in cambio protezione, gratitudine ed investimenti futuri per fare della martoriata Ucraina un caso di “futuro vincente” il che presuppone vari, futuri, piani Marshall. Ottenere in contropartita anche la necessaria spinta da parte americana verso la recalcitrante Europa, ad abbracciarne la causa al punto da comprimere i complessi passaggi per la piena entrata nella sfera europea che è l’obiettivo primario. Magari non subito nel cerchio centrale della confederazione unionista, ma in quello allargato di cui si è già cominciato a discutere. Assorbire nel progetto i nazionalisti occidentali, distruggere l’ordito economico-sociale precedente, fare perno su una nuova classe militare forgiata in una guerra di resistenza e quindi potenziata in armi, logistica e potere.

Tutto ciò presuppone due cose sul campo. La prima è che gli ucraini sanno benissimo che perderanno formalmente la guerra coi russi al di là dei proclami, come si è lasciato sfuggire il noto gaffeur Boris Johnson rilevando quello che i suoi servizi e militari gli hanno spiegato a telecamere spente. Non è in discussione che l’Ucraina perderà o il sud-est o la parte ad est del Dnepr, si tratta solo di vedere come ed in che tempi. La seconda è che una guerra persa secondo i canoni normali di conteggio di territori persi, ordine perso, morti e distruzioni, può esser una guerra vinta se l’obiettivo è avere una Ucraina semplificata, compattata, assunta nell’alveo occidentale, velocemente, senza se e senza ma. Si compra un futuro pagandolo con la svendita del passato.

Non solo quindi la guerra sarà lunga, il tempo necessario a far pagare ai russi prezzi su prezzi sempre più alti come desiderato dagli sponsor anglosassoni, ma non finirà mai formalmente. La Nuova Ucraina in rampa di lancio per una modernizzazione 2.0 accelerata, avrà bisogno sia di ritenersi in “conflitto permanente”, sia di tenere attorno a sé i suoi preziosi alleati, sia internamente sospendere le normali convenzioni socio-politiche per procedere a tappe forzate verso la transizione di fase alla nuova terra promessa, la “Grande Israele”.

Mi rendo conto che questa è solo una articolata ipotesi, la questione -come vedete- è molto complessa, è sempre una questione di numero di variabili di cui tener conto e di come queste giocano assieme in un dato contesto di cui non si governano tutte le dinamiche, un gioco rischioso. Ma dietro ogni conflitto ci sono nodi e bisogno di scioglierli. Conosciamo forse la visione dei nodi dal punto di vista russo ed anglo-americano, da quello degli europei orientali e delle non perfettamente allineate tra loro élite di Bruxelles (Michel, von der Leyen, Borrell) e dei paesi europei occidentali, Francia e Germania in testa.

Ma sul campo giocano coi morti solo russi ed ucraini, capire la strategia di questi ultimi è indispensabile per capire meglio cosa succede e poter ipotizzare cosa succederà. Anche se poi ciò che succederà in concreto sarà comunque il frutto dell’interrelazione di molte più variabili di quante ne prevedano le strategie dei vari attori e delle nostre stese capacità di leggerle e prevederne l’esito.

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

È IL MOMENTO DI FARCI UNA DOMANDA: CHE DOMANDA DOVREMMO FARCI?

L’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico, ha ricevuto precise indicazioni dagli strateghi della psicologia comportamental-cognitivista. Per tutti costoro c’è una sola domanda da farsi: che fare davanti ad una ingiustificabile aggressione che provoca morte, distruzione e dolore ad un aggredito?

Qualcuno segnala la stranezza di farsi tali domande oggi quando non ce le siamo mai fatte e continuiamo a non farcele per molti altri tristi casi di conflitto planetario. Altri pensano forse che l’aggressione se non giustificabile andrebbe almeno contestualizzata. Qualcun altro pensa forse che anche l’aggredito non è esente da responsabilità pregresse. Altri infine sospettano che tra aggredito ed aggressore c’è un terzo incluso che andrebbe specificato per capire meglio la situazione per poi prender decisioni. C’è anche chi la mette sul pragmatico e cinicamente invita a farci i conti di quanto costa rispondere in un modo o in un altro a quella domanda. Ma è davvero questo la domanda più importante da farsi? O forse la domanda da farsi prima di ogni altra è proprio “ma chi ha deciso che è questa la domanda più importante da farci?”. Potrebbe esser il caso invece di farci questa seconda domanda e scoprire che rispondendo a questa, avremo anche più conseguente e logica risposta a quella che ci viene imposta.

Vediamo un po’. Vari istituti di ricerca d’opinione, segnalano concordi che c’è una evidente asimmetria tra quello che il parlamento italiano sta decidendo su i fatti relativi la guerra in Ucraina (non solo armi sì o no), unitamente alle unanimi convinzioni dell’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico e l’opinione prevalente del popolo italiano. In una recente trasmissione televisiva un ambasciatore ed un oligarca occidentale hanno candidamente ammesso che la gente normale di queste cose non capisce niente e quindi c’è chi deve decidere per loro. Ma da qualche giorno, emerge anche un’altra questione interessante.

L’istituto SWG ha fatto una ricerca sui sentimenti geopolitici degli italiani. Tra il vissuto precedente il conflitto e l’oggi emergono significativi scostamenti. Sono crollate le simpatie verso la Russia dal 18% al 2% e quelle verso la Cina dal 22% al 3%. Sono salite quelle verso la Francia dal 15% al 38% e quelle verso la Germania dal 12% al 34%. Quindi si rileva un significativo ri-orientamento dall’Italia soggetto individuale con sguardo interessato verso altri mondi, all’Italia che riconosce comunanza di interessi coi consimili europei. Da notare che se il frame è l’Europa, questi sono stati a lungo vissuti come concorrenti, se il frame si allarga al mondo allora le differenze che notiamo con questi vicini ci fanno sembrare questi prima concorrenti, dei fratelli quasi naturali.

Ma il dato più interessante è forse un altro. La precedente postura di una Italia curiosa e libera di coltivare desiderio di relazione con questo o quello, inclusi i russi ed i cinesi, era pensato e vissuto dentro un fortissimo senso di coappartenenza con gli Stati Uniti d’America. Gli italiani consideravano gli USA il Paese più amico in assoluto ben il 44% pensava questo, più di Russia, Cina, Francia e Germania e di non poco. Oggi invece, questa percentuale è al momento scesa al 27%, ben meno del nuovo sentimento di neo-fratellanza europeo-occidentale. È la prima volta in settanta anni che l’Italia si sente più europea che americana e scommetterei sul fatto che questo trend continuerà ad approfondirsi.

Annusa l’aria al volo il direttore di una testata on line ora anche stampata settimanalmente, TPI. Una testata con una sua indipendenza che non la fa comunque essere nel campo “alternativo”, ma neanche del tutto in quello “mainstream”. L’articolo di fondo di Gambino titola: “Perché in questa guerra non possiamo non dirci anti-americani”. Gli USA vogliono indebolire se non far collassare la Russia e non è detto questo sia del tutto anche il nostro interesse. Gli USA vogliono egemonizzare l’intera Europa subordinandola ai propri interessi e spaccarla tra parte orientale ed occidentale e questo non è un nostro interesse. Gli USA vogliono colpire indirettamente per il momento la Cina e questo, ancora, non è il nostro interesse specifico visto che l’altro Europa è niente più che un mercato e logica del mercato vuole che vi siano forti interessi a sviluppare scambi con la Cina e l’Asia in generale che per via di ragione geografica non rappresenta, né mai potrà rappresentare per noi un problema. È da Marco Polo che rappresenta invece una opportunità, ma se si studia “Le vie della Seta” dello storico P. Frankopan anche ben da prima di Polo. Segue una densa analisi di come l’ordine mondiale versione americana, sia sempre più contradditorio e semmai utile solo agli americani e soprattutto come questa loro utilità confligga sempre più con la nostra.

Riguardo la domanda che sembra esser l’unica che ci dobbiamo porre, ne consegue ciò che ha sostenuto anche il gen. Tricarico ed altri tra i pochi che hanno voce indipendente in questi tempi bizzarri: Biden alzi il telefono e chiami un tavolo diretto di trattativa con Putin che non aspetta altro poiché tutto quanto sta succedendo riguarda più loro giochi di potenza di primo livello che non l’Ucraina ed il nostro inviargli o meno armi e tagliarci i consumi di energia sprofondando in profonda recessione e prossimo conseguente disordine sociale, con finale arruolamento in una Terza guerra mondiale che noi europei occidentali non vogliamo in alcun modo. Dobbiamo quindi mandare armi a Zelensky o un telefono a Biden?

La domanda da farci allora è “a chi stiamo andando appresso?”. Gli USA hanno in programma un potete riarmo del mondo e quando ci sono le armi, di cui sono i leader mondiali di produzione, poi queste vanno usate. Hanno sovvertito in un attimo alleanze consolidate con mezzo pianeta, tra cui il mondo arabo e buona parte di quello asiatico, inclusa l’India. Hanno fatto impazzire i prezzi dell’energia facendo infiammare l’inflazione. Hanno tentato di spaccare l’ONU, tra l’altro non riuscendoci. Dopo averci rimbambito per trenta anni con le meravigliose sorti progressive della globalizzazione, dopo essersi rimpinzati di soldi a livello delle loro esigue élite, ora hanno deciso che noi europei dovremmo commerciare solo con loro perché tutti gli altri sono “impuri”. Hanno un Presidente con un figlio che trafficava con investimenti in gas e laboratori bio in Ucraina e chissà che Zelensky e la sua cricca non lo ricatti con carte imbarazzanti. Un Presidente che ha sfondato il minimo storico di gradimento già sfondato da Trump, una macchietta presa in giro da mezzo mondo perché si vede che l’età non gli consente più di dirigere i molteplici e complessi interessi del suo Stato-potenza. Ma se è evidentemente incapace di svolgere i suoi compiti chi altro li svolge per lui? È stato eletto questo “dietro di lui”? Che agenda ed interessi ha? Un Paese che ha la più asimmetrica distribuzione di ricchezza interna del mondo occidentale e la conseguente più ampia popolazione carceraria del mondo, cosa ha di fondo “in comune” con noi? Un Paese che ha fatto 34 conflitti armati dal dopoguerra, per non parlare dei “colpi di Stato” e “regime change”, nonché varie proxy-war.

Si chiama geopolitica perché la geografia e la geostoria contano. Gli Stati Uniti sono su un’altra piattaforma continentale, così i canadesi. Gli inglesi sono su un’isola che dalla favola di Mandeville in poi (ma già da Enrico VIII) guarda all’Europa in maniera problematica e per nulla famigliare. Australiani e neozelandesi sono in mezzo ad un altro oceano e pure in un altro emisfero. Personalmente non amo le definizioni in negativo (una identità non si determina per esser “anti” un’altra) quindi non mi sento antiamericano. È sudditanza psico-culturale anche questo porre l’altro come qualcosa verso il quale si deve esprimere la differenza per trovare la propria identità.

Penso invece ci si trovi in una nuova ed interessante congiuntura storica, quella in cui occorre domandarci: “noi” chi siamo? Prima di elaborare, discutere e condividere una intenzione, la risposta al fatidico “che fare?” dovremmo capire chi è il soggetto, chi è questo “noi”. Un mio vecchio amico, diceva che più che di “progresso”, dovremmo porci il problema dell’”emancipazione”. Prima di domandarci da che parte andare e cosa fare, domandarci chi siamo anche perché è rispondendo a questa domanda che ogni altra va di conseguenza.

Pubblicato in Uncategorized | 4 commenti

OH, MON DIEU!

Nella foto, Mrs Europa rimane colpita da qualcosa che i nuovi dioscuri ucraini a difesa dei valori della civiltà occidentale hanno voluto mostrarle, il succo della antica civiltà a cui apparteniamo è tutta in questa foto.

Allarghiamo il frame. S. Karaganov intervistato dal Corsera (capo del Centre for Foreign and Defense Policy di Mosca) ha detto che quella contro l’Ucraina è una guerra in buona parte anche contro l’Europa. Ma il tono dell’articolo risente molto delle contingenze tematiche che ha voluto dargli in Corsera secondo le scansioni concettuali della propaganda odierna. Ripulendo queste parti di nessun vero interesse, proviamo a ridire quello che ha detto Karaganov in altra maniera.

L’Europa è al contempo una definizione geografica ed una definizione politica. Quella geografica arriva sino agli Urali ed include quindi la Bielorussia, il grosso del popolo russo ed un pezzetto di Kazakistan, più Armenia, Georgia e Azerbaijan al confine sud-est caucasico. Una cinquantina di stati, un quarto di quelli del mondo, sebbene la popolazione sia solo un decimo. La definizione politica invece riguarda solo 27 Paesi per un misero 5,4% della popolazione mondiale. L’attuale conflitto, oltre ai contenziosi specifici russo-ucraini, a quelli storici di potenza militare tra USA e Russia e quelli del “gioco di tutti i giochi” tra Stati Uniti e Resto del mondo, se prendiamo il solo punto di vista russo, è anche se non soprattutto un conflitto tra la definizione geografica e quella politica di Europa.

Europa è il problema da cui scaturì una Prima ed una Seconda guerra mondiale, nonché i quattro decenni di Guerra fredda, così come oggi è lì dove minaccia di potersi palesare il prima impensabile “non c’è due senza tre”. Due i problemi di Europa: 1) l’estremo frazionamento che ha portato in una storia di almeno cinque secoli a produrre una pletora di staterelli corrispondenti o meno ad una più vasta pletora di etnie -vere o presunte- quali non si ritrova in nessuna altra parte del mondo per densità di un piccolo spazio; 2) tale ricchezza varietale, come sempre avviene in questi casi di complessità, è stata la causa di una invidiabile ricchezza storico-culturale, che ha anche un corrispettivo economico, ma non davvero politico. Quella che chiamiamo “Unione” è una semplice confederazione economica, un’area di libero scambio che ora anela anche di dotarsi di una forza armata, una area di libero scambio armata, un assurdo storico che poteva venire in mente solo ai liberali.

Dal 1991, Europa va letta nei suoi Stati rispetto al problema russo, visto che UE non è mai stata, né mai sarà un soggetto geopolitico. L’intera Europa balto-orientale è stata, comprensibilmente, una area profondamente anti-russa. Qui si deve certo considerare l’esperienza Patto di Varsavia, ma anche la paranoia di vivere accanto ad un Paese immenso, militarmente praticamente invincibile, con 6000 testate nucleari. Non si sottovaluti questa condizione, è obiettiva. Forse questa parte di Europa esagera a volte, ma pone anche un problema reale: quale convivenza con uno Stato immenso, demograficamente da solo un terzo del resto del sub-continente, nucleare e con -storicamente-, talvolta, una propensione ad esondare dai suoi confini? A questa domanda, l’Unione ha fatto fatica a rispondere.

Ci hanno provato gli Stati di seconda fascia lungo l’asse longitudinale est-ovest. La Germania ha intrattenuto con la Russia, negli ultimi trenta anni, rapporti di interdipendenza. Storica poiché risalente al XVIII secolo, la relazione culturale GeRussia, alla base poi come logica geopolitica anche del patto Molotov-Ribbentrop sostenuto da tutti i geopolitici tedeschi del tempo ed infranto dal solo Hitler che di geopolitica capiva niente e ne ha pagato le conseguenze. Nel tempo recente, i sedici anni di Merkel, hanno fruttato discrete relazioni ufficiali e calde relazioni ufficiose, tra cui il primo ed il secondo North Stream al cui capo sedeva addirittura un ex-Cancelliere, G. Schroeder. Lo schema, ad un certo punto, prevedeva un South Stream, a cui capo doveva sedere Prodi, ma la forte contrarietà americana e dell’Europa nordica mossa da Berlino, ha cassato il South Stream in favore del raddoppio del North Stream.

Europa ha anche questa condanna, nessuna delle sue parti ragione come sistema, ma solo come parte che se ha convenienza si comporta come parte di un sistema, se non ce l’ha ritira fuori l’egoismo strategico nazionale.

I buoni rapporti tra Italia e Russia erano la seconda declinazione di questa seconda fascia longitudinale, inclusa la oggi censurata vendita di armi italiane ai russi fatta da Renzi. La Francia lo stesso, fino alla temeraria dichiarazione euroasiatica di Macron del 2019 su una Europa da Lisbona a Vladivostok. Ci sono poi altre declinazioni tra OSCE, G8 e tentativo di normalizzare le relazioni strategiche coi russi e molto altro ma saltiamo per sintesi.

Fino a qui, l’allargamento della NATO ad est non era di per sé un grande problema. Si ricordi che i baltici NATO confinano per due terzi con la stessa Russia da ben diciotto anni e nei fatti non gli è mai fregato niente a nessuno, russi compresi.

Problemi sono nati proprio con la questione ucraina, quella che risale almeno al 2014 se non prima. Anche qui abbiamo un comportamento ondivago della Germania e di altri paesi europei pupazzi degli americani, ma alla fine, i russi volevano salvaguardare la strategia della relazione coi “partner europei” come ostinatamente ha continuato a chiamarli Putin fino ad un mese e mezzo fa. Tant’è che quando s’è provato a diplomatizzare la questione coi famosi “Accordi di Minsk I e II”, i due garanti super-partes scelti da ucraini e russi, furono proprio Francia e Germania. Fermiamoci un attimo sul punto.

Saprete forse che tali accordi non furono rispettati si dice da entrambe le parti. Non entriamo nel merito, non ci interessa, ci interessa un altro aspetto, anzi due. Il primo è che se leggete gli accordi capirete perché non sono stati rispettati, sono redatti in alcuni punti essenziali in modo così vago ed ambiguo che era ovvio portassero a due diverse interpretazioni laddove le intenzioni reali non erano sincere. Il secondo è che non rispettato l’accordo non è successo nulla da parte dei garanti. Ora, se vi ponete come garante di un accordo, avreste voi per primi dovuti spingere ad una sua più chiara definizione altrimenti garantite cosa? Poi, se non lo rispettano, avreste dovuto sanzionare pesantemente le parti, se fate l’arbitro dovete fare l’arbitro sanzionatore altrimenti che ci state a fare in campo?

Da allora, l’atteggiamento europeo è stato una lenta discesa impotente verso la minorità di fatto verso il protagonismo strategico americano che ha investito uomini, mezzi, azioni dirette ed indirette per creare l’anti-Russia a Kiev. In Ucraina, in questi anni, si è formata una dorsale di liberali, filo-anglosassoni, filo-fascio-nazi-nazionalisti come al solito arruolati come manovalanza per i lavori sporchi, con l’intento di provocare i russi e non solo. Oggi questa banda di golpisti soft che ci viene presentata come punta avanzata e militante della “democrazia occidentale”, è diventata improvvisamente il nostro fronte avanzato da sostenere addirittura militarmente, un vero e proprio scandalo politico e geopolitico che però non si può denunciare pena l’ostracismo più o meno violento dei liberali in momentanea sospensione della stessa liberalità. Del resto, è teorizzato alle origini del pensiero liberale, in Locke, il fatto che ciò che vale dentro il sistema liberale, non vale quando il sistema liberale combatte con il proprio esterno. Il liberale in conflitto esterno è previsto a livello teorico diventi illiberale per cause di forza maggiore.

I russi hanno provato negli ultimi mesi a giocare l’ultima carta rivelatrice per stanare gli europei vs gli americani, la famosa piattaforma che doveva portare ad una conferenza internazionale di chiarimento per una pace rifondata. Ma gli europei sono rimasti in impotente silenzio ed i russi ne hanno tratto le conseguenze. Alcuni leader europei hanno fatto telefonate, hanno fatto colloqui, hanno provato a tenere in piedi trattative, ma il fatto è che gli europei non hanno alcun peso negoziale, non possono decidere loro cosa avviene e non avviene in Ucraina o nell’ambito NATO. Gli europei singolarmente presi e se non ci sono americani nei paraggi, fanno e dicono certe cose, ma se ci sono gli americani fanno e dicono quello che gli americani dicono loro di fare e dire.

A questo punto, i russi ne hanno tratto dolorosa conseguenza. Che gli europei a questo punto si dibattano nelle loro contraddizioni per cui finanziano ed armano gli ucraini con un decimo di quanto pagano ai russi per il gas. Si prendano il peso delle sanzioni che faranno male loro almeno quanto ai russi se non di più. Si prendano gli aspettati milioni e milioni di profughi da gestire con la solita imbarazzata ritrosia. Per non parlare dei riflessi deflattivi e depressivi dei prezzi delle materie prime alimentari e minerali. Si rendano conto che sono solo pupazzi in mano al puparo anglosassone, versione americana o britannica, già proprio i britannici che li hanno lasciati senza rimpianti con la Brexit.

Gli europei non esistono, per questo non riescono a gestire la contraddizione tra la loro definizione geografica e quella politica che poi politica non è essendo un mercato da domani pure armato, stante che il dominio del mercato e delle armi è comunque anglosassone.

Cinque secoli di protagonismo storico e culturale europeo, naufragano in questo triste spettacolo di una signora dell’élite cosmo-tedesca con la bella “mise en plis” di ordinanza ben pensante che prova orrore per ciò che una banda di farabutti ucraini le mostra per indurre sdegno, riprovazione e armi, armi, armi.

Nel 1795, Kant provò a tratteggiare qualche ragionamento a base di ciò che potesse promettere una “Pace perpetua”, poteva esser una base da attualizzare e da precisare a condizioni di un mondo oggi ben diverso da quello di fine XVIII secolo. Ma oggi Kant lo leggono solo quelli del Battaglione d’Azov, “oh, mon dieu!”.

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE.

In un precedente post abbiamo usato una immagine simbolo del mondo come un pallone oggetto di giochi di contesa. Oggi continuiamo con la metafora del sogno di possederlo tutto questo pallone-mondo e laddove la realtà intralcia i sogni, si può arrivare a sottrarre l’oggetto stesso del contendere. Se non vincerò al gioco di quel pallone, mi porto via il pallone o lo buco, così nessun altro potrà giocarvi, fine dei giochi.

Ieri abbiamo assistito in mondovisione, forse per la prima volta che io ricordi, ad una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il nostro miglior uomo, nostro in quanto occidentali, ha arringato piuttosto arrabbiato il Mondo dicendo che se questa istituzione planetaria non è in grado di istruire un processo tipo Norimberga, se non è in grado di estromettere la Russia ed il suo fastidioso diritto di veto dal Consiglio di Sicurezza, allora tanto vale che l’ONU si sciolga ed ammetta la sua inutilità ed impotenza, lasciando il campo a qualche nuova forma ordinativa. Dopo settantasette anni, l’Assemblea dell’Umanità è stata arringata e sferzata da un ex comico ucraino che dopo aver invocato ripetutamente atti che porterebbero alla Terza guerra mondiale, dopo aver arringato e sgridato o parlamenti occidentali distribuendo via Zoom voti dei buoni e dei cattivi, dopo aver detto al parlamento degli ebrei israeliti di decidere da che parte stare nella grande battaglia finale del Bene contro il Male nella piana di Armageddon, arriva a dire al Mondo che deve sciogliere questa sua unica istituzione che ne riflette la globalità, visto che non riesce a decidere da che parte stare.

A fine marzo 2022 si contano 59 guerre attive di varia intensità nel mondo, ma solo la sua conta. Quella in Libia ha fatto pare 15.000 morti mal contati così come quella in Yemen, la ventennale in Afghanistan ha fatto 50.000 vittime civili, forse 200.000 in Iraq, quella in Siria ha fatto circa 500.000 morti, ma nessuno ha mai avuto la possibilità di andare all’ONU a lamentarsene.

Il corrispettivo di Zelensky nel sistema finanziario globale, il nostro miglioro uomo in quel ambito, quel Larry Fink CEO di BlackRock, ha serenamente sancito quello che già i più sapevano ovvero la fine della globalizzazione. Il denaro si traferirà sul digitale e la transizione energetica va spalmata ad anni se non decenni, nel mentre si torna al carbone o si sdogana in fretta il nucleare. I prezzi aumenteranno violentemente, ma molte produzioni prima disperse nelle catene del valore globale torneranno entro i confini dei sistemi di civiltà. L’Europa dell’est, ad esempio, potrebbe diventare il posto migliore in cui riportare produzioni appaltate in Asia, contando su poche regole e basso costo del lavoro. Ma se qualcuno in Africa o in Sud America si mostrerà buon amico del nuovo sistema occidentale, potrà meritare anche lui qualche delocalizzazione.

Nel frattempo, il sistema occidentale scopre improvvisamente che tutto ciò porta a doversi difendere dalla barbarie circondante e quale miglior difesa dell’attacco? Eccoci, quindi, tutti obbligati a riarmarci, siamo improvvisamente tutti in guerra. Tutti ora a studiare i missili ipersonici, bio-armi, cosmo-armi, psico-armi, info-armi e chissà cos’altro.

La guerra è una istituzione umana che, contrariamente a quanto alcuni ritengono, compare tardi nella nostra storia. La più antica prova di un massacro da scontro armato che abbiamo, data a soli 13.000 anni fa. Se ne trovano pochissimi altri esempi sino a che l’atmosfera territoriale in quel della Mesopotamia si scalda, più o meno a partire da 6000 anni fa. Lì si manifesta quella densità territoriale che in rapporto allo spazio e sue risorse, è il motivo per cui facciamo guerre ovvero pratica di violenza tra gruppi umani. Da allora, non abbiamo più smesso.

Finita quella ucraina scommetto sul Polo Nord, tanto lì non ci sono spettatori e ci si potrà darsele di santa ragione. Ci sono 412 miliardi di barili di petrolio e gas fossile, praticamente il 22% delle riserve globali, per un valore totale di 28.000 miliardi di dollari, più uranio, terre rare, oro, diamanti, zinco, nickel, carbone, grafite, palladio, ferro e le insidiose rotte della via della Seta del Sauron pechinese appoggiate dagli orchi russi.

Gli Stati Uniti debbono risolvere l’impossibile equazione del come mantenere un sostanziale controllo diretto ed indiretto sul Mondo onde preservare il loro comodo rapporto tra una esigua popolazione (4,5% del pianeta) ed una cospicua ricchezza (25% del Pil mondiale). Questo, nel mentre l’85% del mondo, cioè il non-Occidente, cresce in demografia e ricchezza, da decenni e per previsti decenni futuri. Il mondo si è molto densificato negli ultimi settanta anni, quindi, che si fa?

La guerra, appunto. Prima si rinserrano le fila del sistema occidentale, poi si rompe il consesso mondiale a vari livelli (la rottura delle c.d. organizzazioni multilaterali dall’ONU al WTO, continuerà nelle prossime settimane a mesi, potete giurarci), poi ci si trova nel più semplice formato “Civiltà vs Barbarie”, poi sarà quel che sarà.

La costruzione del blocco delle democrazie di mercato procede spedito a dimostrazione del fatto che tutto questo è stato a lungo prima pensato, poi preparato, ora eseguito con visione ed intenzione assai decisa. Catturata l’Europa, ora la NATO si rilancia in chiave globale. Alla riunione NATO del 6 aprile, si è messo in agenda la possibile disdetta dell’accordo del 1997 che istituì il Consiglio permanente congiunto Nato-Russia che vietava all’Alleanza di schierare ordigni nucleari nelle repubbliche ex Patto di Varsavia. Svezia e Finlandia stanno per rompere gli indugi per entrare operativamente nell’Alleanza portando la minaccia diretta a San Pietroburgo. Nel documento finale compaiono aggregati alle intenzioni nord atlantiche, gli AP4 (Asia-Pacifico-4 ovvero Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone) dopo che gli USA ed UK avevano già stretto l’alleanza militare diretta con Australia. Il Giappone, dopo lunga preparazione delle opinioni pubbliche che va avanti da qualche anno, sta valicando l’autoimposto limite al riarmo. Poi sarà l’aggiornamento dei Paesi a cui è concessa l’arma atomica. Il lungo post WWII è terminato, le potenze perdenti ora sono inglobate funzionalmente nel dominio a centro americano e così pioveranno miliardi per il riarmo di Germania e Giappone.

Tutto questo si sta svolgendo davanti ai nostri occhi attoniti. Villaggio globale, multiculturalismo, globalizzazione, soft power, governo mondiale, comunità di destino, cura della casa naturale comune planetaria ed una susseguente arruffata collezione di concetti che ancora un mese fa facevano sistema dogmatico di riferimento di ogni buon occidentale dal cuore d’oro, via. Ora il gioco diventa improvvisamente duro e quindi è il momento in cui i duri cominciano a giocare. Cominciando dal portarsi via il pallone perché o si fa parte della SuperLega delle democrazie di mercato di pelle bianca o non si gioca più. Si spara.

Non vi piace? Vabbe’, è previsto, almeno all’inizio un po’ di smarrimento è concesso. Ma vedrete che tra qualche mese, dopo bombardamenti psico-valoriali 7/24, finirete col schierarvi con Rampini. Basta con questa lagnosa autocoscienza critica occidentale, siamo la Civiltà guida ed un sordido mondo sempre più trafficato ci assedia. Tutti quindi a difendere le mura della città stante che, com’è noto, la miglior difesa è l’attacco. A livello di sistema-mondo, il motto ora è “la Russia fuori, la Cina sotto, nuovi alleati dentro”. Il regolamento di conti finale si sta preparando in gran fretta, per un Nuovo Secolo Americano questa è l’ultima chiamata e la risposta che vediamo approntarsi promette fuochi artificiali di grande effetto. Del resto senso comune dice che “non c’è due senza tre” e la prima impensabile WWIII, fa capolino all’orizzonte degli eventi che mai avremmo voluto vedere.

Pubblicato in Uncategorized | 1 commento

IN CHE GIOCO SIAMO CAPITATI?

Useremo qui “gioco” nel senso di -interrelazioni competitive tra giocatori secondo regole per raggiungere uno scopo-. Dal “Grande gioco” (Medio Oriente – Asia) alla “Grande scacchiera” di Brzezinski, al mio più modesto “Gioco di tutti i giochi”, le questioni geopolitiche sono spesso state metaforizzate con questa definizione di “gioco”. La stessa Teoria dei giochi allude a questi sistemi di interrelazioni e può valere tra individui come tra gruppi. Nel senso comune, gioco ha tutt’altro sapore, ludico, disinteressato, di intrattenimento, di divertimento. A taluni, quindi, potrà risultare antipatico trattare guerre, conflitti e tragedie inevitabilmente umane con un termine così leggero. Ma, come detto, qui si usa il termine nel senso analitico. Il “gioco” in cui siamo capitati è dunque questo:

1. L’Occidente (Europa + Anglosassoni) è in una dinamica che dura da settanta anni in cui diminuisce costantemente il suo peso demografico (oggi solo al 16% sul totale mondo) ed in cui a minor velocità, ma non minor costanza, perde anche quote di peso economico e geopolitico. Questo perché il resto del mondo è costantemente e significativamente cresciuto negli ultimi settanta anni. Tutto ciò è previsto continuare con una certa ineluttabilità per almeno i prossimi trenta anni.

2. Tutto ciò si riflette su una inedita forma di ordine mondiale, l’ordine a più varietà detto “multipolare”. Da quello che sappiamo in cultura della complessità (tra cui la Teoria delle reti), che sia biologia o ecologia o sociologia ovvero in ogni campo che studia forme di vita, tutti i sistemi molto complessi oscillano intorno ad una media auspicata come forma di equilibrio (tipo omeostasi) e le loro dinamiche interne si ripartiscono tra più sottosistemi a più varietà. Ve ne sono di vari livelli e peso, con maggiori i minori connessioni, ma come nel caso della biodiversità, sistemi molto complessi sono resilienti nella misura in cui sono molto distribuiti. Sebbene ad alcuni dia fastidio la parola “resilienza” essa è omologa a resistenza solo che resistenza è concetto più proprio dei sistemi non vitali (ad esempio quelli fatti in ferro o cemento o altra materia), resilienza è più propria dei sistemi che assorbono perturbazione senza rompersi per poi ripristinarsi all’equilibrio che avevano prima della perturbazione, com’è nei sistemi vitali, a base cioè di varietà biologiche.

3. Questa maggior distribuzione di un ordine multipolare non è una scelta, è naturale laddove dai 2,5 mld del 1950 siamo passati ai 7,5 mld (e più) di esseri umani del 2020 con passaggio anche da sessanta circa a duecento Stati sovrani. Da 7,5 mld, diventeremo poco meno di 10 mld al 2050. Sono di pari aumentate le interrelazioni tra le varie parti, quindi in poco tempo, si è andato formando un sistema molto complesso che sta relativizzando il peso occidentale.

4. Tutto ciò insidia nel fondamento la forma della nostra civiltà che proprio dal dopoguerra ha vissuto un periodo in cui, partendo da un dominio sul mondo ancora molto forte che ereditavamo dai secoli precedenti, ciò che chiamiamo “era moderna”, ha poi assistito ad una sua lenta contrazione, con previsioni di ulteriore contrazione nella misura in cui vaste parti del mondo si emancipano e cominciamo ad avere interrelazioni incrociate tra loro di tipo cooperativo. Hanno relazioni di tipo cooperativo non perché siano “più buoni” di noi che invece tendiamo ad avere relazioni competitive, ma perché partono tutti da posizioni basse di potere ed interessi. Negli ultimi anni, si è venuta a formare una grande rete di questi sistemi non occidentali, dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa a cui oggi si sommano anche altri come Turchia, Messico, Indonesia o Pakistan, vari africani etc.) a molti altri, soprattutto in Asia che conta il 60% del mondo, con una sorta di naturale alleanza d’intenti: quella di promuovere l’avvento -che tanto ci sarà comunque- di un ordine multipolare che dia loro maggiori chance di sviluppo con un certo grado di autonomia.

5. Tale questione ha un lato drammatico non tanto per la civiltà occidentale nel suo complesso, ma per una sua componente, quella anglosassone ed in particolare americana. Gli Stati Uniti, infatti, dipendono più di chiunque altro dalle rendite di posizione che avevano nel 1950 che sia l’ordine World Bank – IMF o il dollaro o Wall Street o il primato tecnologico e quindi quello militare o il soft power (ma solo dopo l’hard power). Abituati ad ordini bipolari di cui loro erano il polo dominante, o addirittura vagheggianti un ordine unipolare, il multipolare è per loro un gioco che, comunque verrà giocato, promette perdita di dominio, potere, ricchezza. Ricordo che sono solo il 4,5% del mondo sebbene ancora facciano il 25% del Pil mondiale. Molto di questa esorbitante quota non è data da capacità competitive intrinseche come Cina, Giappone, Germania, India etc., ma da rendite di posizione dominante. Il tutto assomiglia molto alla posizione di semi-monopolio nelle questioni dei mercati. Trasferita nel campo geopolitico, il monopolista è disposto a condividere potere da oligopolio ma non da libero mercato e relativi ordini emergenti quali teorizzati nel concetto “mano invisibile”.

6. Arrovellatisi a lungo su come far fronte a tali eventi che, come detto, hanno una certa ineluttabilità, gli americani hanno di recente introdotto una versione di gioco che chiamano “democrazie vs autocrazie”. La faccenda non è così precisa, India e Brasile sarebbero in teoria democrazie mentre alleati dell’America come l’Arabia Saudita o la stessa Turchia nella NATO lo sono ben di meno. Ma il grande pubblico occidentale di queste cose sa meno di niente, è facilmente sensibile alle semplificazioni, gli slogan, la ripetizione ossessiva di concetti anche quando sono incredibili come “X lava più bianco”, viepiù si tratti di ideali. Si noti come, al di là delle imprecisioni, in verità i conflitti competitivi di potenza, avvengono del tutto al netto qualcuno sia o si ritenga essere “democratico” o meno. Nei conflitti di potenza, a volte si è adottato il vestito “civiltà vs barbarie” o “cristiani vs infedeli” o “sciti vs sunniti” o “popolo in missione per conto di Dio vs resto del mondo”, ma il vestito serve solo a coprire logiche materiali molto meno nobili.

7. Questo è il primo livello del gioco in cui siamo capitati, il più importante, il livello in cui si gioca la partita tra vari tipi di ordine uni-bi-multi polari. Il secondo livello è quello per il quale, gli Stati Uniti hanno da vari anni messo nel mirino la Russia come loro avversario più insidioso. Questo perché pur stando il fatto che il gioco è a più livelli (politici, geopolitici, economici, finanziari, culturali), i conflitti di potenza tra Stati sono regolati storicamente con le armi. In termini di armi, i russi sono molto inferiori agli USA, ma quel gioco specifico è determinato dall’ultima arma che potete mettere sul tavolo quando sarete spalle al muro. Tale ultima arma è l’arma atomica ed in quel specifico asset, russi ed americani sono pari. Questo porta gli uni e gli altri a doversi evitare dal conflitto diretto perché inizierebbero, anche non volendolo, a salire giocoforza i gradini della scala conflittuale in cui nessuno dei due può perdere se non perdendo la reputazione di potenza, motivo per il quale prima di perderla si arriverebbe ad usare l’arma proibita, quantomeno per pareggiare. Questo urta molto gli Stati Uniti anche perché i russi amano impicciarsi dei giochi militari di potenza americani aiutando a volte l’Iran o la Siria o la Libia o altrove secondo logica “il nemico del mio nemico …”, cosa per altro ricambiata come nella prima invasione russa dell’Afghanistan, del Caucaso o nel Centro Asia.

8. Ecco allora che gli Stati Uniti in proprio o versione NATO, hanno approntato da molto tempo la trappola di tutte le trappole: l’Ucraina. Una anti-Russia al confine della Russia quanto di più urticante possa esistere. Dopo le tante scaramucce indirette, l’Ucraina rappresenta il trappolone più promettente per le strategie competitive americane. E ciò ci porta al terzo livello, la guerra in Ucraina.

9. I russi hanno abboccato al trappolone non perché siano stupidi o pazzi o abbiamo il cancro alla tiroide, ma perché in termini concreti di pericolo strategico e di difesa reputazionale non potevano fare altro. Ad alcuni poco pratici del campo, “reputazione” suonerà strano. Non si tratta della reputazione della propria bellezza o giustezza o attrattività o idealità, si tratta della semplice reputazione di potenza, le fiches più importanti al gioco della competizione tra Stati in dimensione mondo. Non sono necessarie per esser giocate sempre, è il solo poterlo fare che fa ottenere reputazione di potenza.

10. A questo punto, giocatisi invece la reputazione che conta per noi occidentali che vestiamo i conflitti di potenza con aspirazioni ideali e valori, i russi sono diventati gli “intoccabili”, dei fuoricasta. Gli europei che condividono la massa continentale con russi, cinesi, indiani, musulmani ed africani (AfroEurasia) non potranno più avere relazione alcuna col nemico o i nemici degli americani da cui dipendono per varie ragioni ed in varie forme e quindi dovranno accorparsi al sistema americano molto di più di prima, a livello diciamo del dopoguerra. Non hanno infatti possibilità di giocare il gioco secondo propria intenzione, anche perché non hanno una unica intenzionalità. Così, dal primo al terzo livello di gioco, il nuovo sistema occidentale tornato ai fasti degli anni ’50, sarà in un campo di nuovo bipolare con tutti gli amici di qua e tutti i nemici di là, format guerra fredda con fine della globalizzazione ed il suo ridicolo “villaggio globale”, il riarmo, l’economia e finanza che prova a tagliare i ponti da ogni interdipendenza in cicli di feedback di rinforzo del sistema occidentale vs resto del mondo. Tutti a difesa dell’essenza dell’occidentalità. Quel sistema politico-economico che con sprezzo del ridicolo ama chiamarsi “democrazia di mercato”, una forma di potere oligarchico che però si veste da democratico per ratificare la propria conferma di “elezione”. Oligarchia sta per “potere dei pochi”. La nostra essenza ordinativa è difendere questo “potere dei pochi” come fosse l’interesse dei molti.

11. Nessuno si pone il problema di come aumentare i nostri tassi di democrazia interna, viepiù siamo tutti impegnati a difenderne la sua pallida versione occidentale dalle “aggressioni esterne” delle autocrazie. E’ il nemico esterno che detta le priorità e ci fa sentire tutti amici interni. Tanto poi in Occidente “democrazia” non ha né partiti che la promuovano, né intellettuali che la pensino in modo sistemico.

12. Ecco perché la guerra russo-ucraina è l’unica cosa che dovete osservare ovvero prender parte per “l’aggredito contro l’aggressore”, in gioco ci sono i valori occidentali. Tali valori ideali meritano il sacrificio di quelli più prosaici che pensavamo prima i più importanti. Dovete armare e finanziare gli ucraini che combattono nella piana di Armageddon per il Bene contro il Male e ringraziarli pure. Dovete tagliare il gas, prender milioni di profughi, sopportare l’aumento delle materie prime, inflazione, disastro economico, alimentare e sociale, disordine ai massimi livelli in AfroEurasia, tra cui le già precarie coste del Mediterraneo perché è in ballo l’ordine del mondo per i prossimi anni. Viepiù lo farete, viepiù i russi per raggiungere i loro imperscrutabili motivi strategici dovranno compiere atti immondi -veri o presunti nessuno potrà esserne certo per decenni- che distruggeranno ulteriormente la loro reputazione generale. Pagheranno in reputazione generale il loro ostinato perseguimento della difesa della loro reputazione di potenza. In più dovranno dissanguarsi materialmente, rischiare di non vincere e giocarsi anche la reputazione di potenza sul piano strettamente militare, dubitare in profondo sulla loro mossa, mettere in dubbio la loro stessa leadership. Se arriveranno spalle al muro, gli americani giurano che secondo i loro calcoli da Teoria dei giochi, non useranno l’arma della disperazione e quindi non sceglieranno “Sansone e tutti filistei” ma un più pragmatico, “meglio vivi che morti”, pagandolo in perdita relativa di potenza. Secondo loro è un rischio ben calcolato e poiché sono convinti che il calcolo è tutto nella vita, hanno adesso tecnologie e saperi per ottenere la massima calcolabilità. Il “caso ucraino” diventerà lezione per ogni altro vorrà sfidare qualche anno in più di dominio occidentale.

Attirati nella trappola ucraina, i russi dovranno perdere punti di reputazione, generale e di potenza, separandosi violentemente dagli europei catturati egemonicamente in un nuovo patto atlantico (la cui versione commerciale comparirà a breve), stabilendo il nuovo format “democrazie vs autocrazie” che bipolarizzi il mondo rallentando l’avvento dell’ordine multipolare. Sottraendo ai multipolari la fondamentale sponda militare russa. Ed è per questo che gran parte del mondo sembra non avere la nostra stessa sensibilità per quello che sta succedendo in Ucraina. Loro giocano al primo livello non al terzo.

L’eccezionale ed inquietante mobilitazione culturale, informativa e politica dei nostri oligarchi, è arma necessaria per compiere questo ambizioso disegno strategico che dia almeno un decennio (o più) di centralità di potenza-mondo agli Stati Uniti rinnovato centro gravitazionale del sistema occidentale in grado di mantenere ampie forme di dominio diretto o indiretto sul Mondo.

E di questo gioco che dovete scegliere come “fare il vostro gioco”, non il terzo livello o il terzo più il secondo, ma il primo più il secondo più il terzo, tutti assieme.

Detto ciò aggiungiamo però una avvertenza. quanto detto è un gioco serio, concreto e reale di cui siamo tutti pedine e giocatori, non spettatori terzi. A dire che il giudizio che date a tutto ciò, per non dire delle eventuali strategie che sceglierete, è meno semplice di quel che appare. Se ad esempio pensaste migliore l’idea che il vostro sistema naturale che è l’Italia, in tutto ciò abbia invece vantaggi in chiave multipolare, dovreste domandarvi se ha il peso per poter giocare quella partita. Se pensante che non lo ha ma lo avrebbe in teoria l’Europa, dovreste domandarvi come è possibile, anche solo in teoria, una strategia geopolitica per una cosa che non è uno Stato. Se pensante allora che l’Europa dovrebbe diventar uno Stato, dovreste rendervi conto la cosa non è nel novero del possibile, anche volendolo (e non lo vuole nessuno). Quindi c’è un problema di definizione del soggetto-giocatore da mettere in agenda. Se non pensiamo al soggetto, non avremo facoltà di poter scegliere alcun gioco.

Non è detto neanche che mandare armi in Ucraina sia sbagliato. In fondo anche l’esercizio di potenza russo è inquietante, in questa situazione -semplicemente- non avremmo dovuto trovarci, come non avremmo dovuto trovarci nella situazione pandemica o quella climatica. Ma poi mandare quante armi e di che tipo, condizionate a quale uso? Fino alla “vittoria finale” come annuncia Zelensky? Fino alla distruzione di tutta l’Ucraina e degli ucraini? E che senso ha il nostro comportamento che ha ignorato tutto quello che è lì successo almeno da otto anni, se non prima, svegliandoci solo quando gli eventi sono precipitati? Anche questo senso di urgente dovere nel partecipare finale, quando tale dovere dovevamo forse esercitarlo molto prima, andrà ripensato. Non si dovrebbe sentire l’urgenza oggi quando non la si è sentita prima o meglio, visto che la sentiamo forte oggi dovremmo anche criticarci sul perché non l’abbiamo sentita prima.

Come detto, allora, forse in certe situazioni dovremmo cercare di non trovarci perché “dopo” è tardi. Il nuovo mondo complesso ha questa doppia, inedita, caratteristica: tocca fare strategie per tempo e perseguirle per dominare gli eventi attesi in previsione. Fare previsioni e conseguirne strategie, due cose che non siamo culturalmente abituati a fare. Viviamo un mondo sempre più complesso in maniera eccessivamente inconsapevole, arriviamo tardi quando le condizioni di possibilità si sono strette all’emergenza, così saremo costretti a vivere nell’emergenziale permanente, con tutti i relativi stati d’eccezione per cause di forza maggiore che ne conseguiranno.

E non è detto neanche che sia sbagliato riarmarsi un po’. Queste del mondo multipolare sono “relazioni” e non si possono intonare se cooperative o competitive solo per decisione di un singolo relato. L’Egitto ha più della metà dei suoi cento milioni di abitanti sotto i 24 anni e nei prossimi mesi non avranno cereali da mangiare, potrebbero diventare un po’ aggressivi ed hanno una consistente forza militare, stanno lì davanti a noi e condividono il Mediterraneo. Ma se poi pensate che il riarmo dovrebbe agire a livello europeo, dovrete come detto sciogliere le questioni intorno alla costituzione non unitaria cioè intenzionale geopoliticamente, dell’UE. Forse dovreste prender atto che i nuovo assetti NATO stanno diventando sempre più anglo-nordici mentre noi siamo mediterranei. Allora forse dovremmo pensare ad un polo militare tra europei mediterranei e chissà se facendo cose militari assieme, non ci venga poi possibile e conveniente pensare di farne altre, trovando così una strada che ci suggerisca una soluzione al problema più generale del soggetto cui accennavamo prima.

Se foste “pacifisti” dovreste considerare che il mondo vi chiede cosa fare alle condizioni in cui si trova, se lo foste davvero avreste allora dovuto impegnarvi molto di più negli scorsi anni e decenni per far si che il mondo prendesse una piega cooperativa che non ha. Se non vi occupate del mondo poi non potete pretendere di dirgli come dovrebbe essere per soddisfare i vostri ideali di principio. Infine, se voleste invocare la pace, forse dovreste comprendere meglio a chi rivolgervi, capire quanti livelli di conflitto ci sono e tra chi. Fino a che Biden non alzerà il telefono, come già avrebbe dovuto fare e come si è sempre fatto nella guerra fredda tra i due arcigni contendenti, invitando i russi ad un tavolo di confronto su gli ordini mondiali, la guerra continuerà perché questo è quello che vuole l’America. Ma questa guerra infinita alla Russia è anche la nostra guerra?

Forse qualcuno dovrebbe rimettersi a pensare il concetto di Occidente come sfera di civiltà originariamente europea e quindi pensare a due Occidenti che hanno parti simili e parti dissimili (se non altro perché si ambientano in due geografie, quindi due geostorie ben diverse). Tale “distinzione degli occidenti” andrebbe prima portata avanti culturalmente, capire quanto le nostre culture sono ormai mischiate con canoni anglosassoni e quanta continentalità abbiamo perso. Ormai pare abbiamo tutti capito che siamo incappati in una svolta epocale, che stato ha allora il mostro pensiero? Vedete una svolta epocale anche nei nostri sistemi di pensiero o arriviamo all’appuntamento con sistemi vecchi che dovrebbero capire cosa nuove?

Se altresì pensate noi si debba prender atto degli andamenti del mondo ed accettare un ridimensionamento pilotato, allora dovreste ricavarne una nuova teoria della società in quanto le nostre società basate su ordinamenti economici si sono fondate su ordini precedenti in cui eravamo parte dei dominanti. Se invece pensate che la strategia americana coincide col vostro specifico interesse, siete a cavallo e non dovete farvi alcuna domanda e darvi alcun pensiero, basta vi lasciate andare all’odio per il nemico esistenziale, magari quello che la butta sul “complesso”.

Insomma, il gioco è complesso e “complesso” significa “intrecciato assieme”, tutte queste e molte altre cose sono intrecciate assieme, se ne tirate l’una vien fuori l’altra e poi un’altra ed un’altra ancora. Il gioco è complesso perché il mondo lo è diventato sempre più ed in poco tempo secondo gli standard degli andamenti storici. Per adattarsi a questo mondo bisognerà fare analisi e previsioni ed elaborare strategie per tempo altrimenti rimarrà solo il triste conforto della critica a fatti compiuti. Un lusso che si pagherà molto caro ammesso che un clamoroso fallimento adattivo sia un lusso il cui prezzo si possa davvero “pagare”.

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

PUPAZZI E PUPARI.

Alla sua elezione nel 2019, Zelensky ricevette un caldo benvenuto da parte di una organizzazione che si chiama: UKRAINE KRISIS M.C. Questi, pubblicarono una lunga lista di “linee rosse” che il nuovo presidente non avrebbe dovuto oltrepassare, pena la perdita di consenso internazionale occidentale che vale a due livelli: il grande pubblico, il piccolo vertice dei “portatori di interesse” ovvero governi e loro diramazioni, tra cui i finanziatori, protettori, armatori della giovane democrazia ucraina. Il documento era sottoscritto da una lunga lista di organizzazioni ucraine e non che troverete in fondo al testo. Il movente era dato dal fatto che su quel primo mese di governo del neo-presidente, eletto su una piattaforma anti-corruzione e di relativa pacificazione con la Russia, l’organizzazione aveva da ridire allarmata. Tanto da scrivergli non dei ragionamenti politici o punti di vista legittimi, ma una chiara lista della spesa di “linee rosse”, da non superare in alcun modo, un diktat insomma, l’oggetto di un contratto.

1. CHI FINANZIA L’UKRAINE KRISIS? L’elenco completo è nell’allegato. Segnaliamo con distinzione: International Renaissance Foundation (IRF membro del network Open Society Foundation di George Soros); il National Endowment for Democracy (una stella di primaria grandezza della galassia di fondazioni ed ONG americane tese a “promuovere” con ogni mezzo la democrazia ed il mercato, non l’una o l’altro ma l’abbinata perché controllando il mercato si controlla la democrazia); la NATO; istituzioni della Lega del Nord Europeo-Anglosassoni (olandesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, polacchi, canadesi, estoni, cechi, tedeschi ed americani a capo di tutto).

2. QUALI ERANO LE LINEE ROSSE DA NON OLTREPASSARE SEGNALATE A ZELENSKY? Una selezione delle tante cose che il neo-Presidente NON avrebbe dovuto fare pena a perdita di finanziamenti e protezione comprendeva:

– Consultare il popolo con appositi referendum per decidere come negoziare con la Russia.

– Fare negoziati diretti con la Russia senza i partner occidentali

– Cedere qualsivoglia punto nei negoziati con la Russia sulle varie questioni (NATO, Donbass, Crimea, allineamento internazionale etc.) non cedere neanche un millimetro di territorio, non riconoscere a Mosca alcun punto per il quale l’Occidente ha elevato sanzioni alla Russia (Crimea).

– Ritardare, sabotare o rifiutare il corso strategico per l’adesione all’UE e alla NATO

– Ripensare la legge sulla lingua, l’ostracismo a media e social media russi, dialogare coi partiti di opposizione filo-russi (poi di recente messi direttamente fuori legge, sono 11), venire a patti politici con precedenti figure coinvolte nel governo Janukovich (democraticamente eletto e rovesciato col colpo di Stato del 2014), lanciare operazioni giudiziarie contro il governo precedente di Poroshenko (appoggiato dagli stessi firmatari) contro il quale Zelensky vinse le elezioni con il 30%.

Il documento è regolarmente on line. Datato 23 maggio 2019 (il secondo turno delle elezioni ucraine che elessero a sorpresa Zelensky era il 21 aprile, un mese prima). L’ho trovato seguendo un semplice link della pagina Wiki del IRF di Soros. Tempo di ricerca 2 minuti.

Si noterà in tutta evidenza che pur essendo del 2019, tocca gli stessi punti a base oggi del conflitto e relative, impossibili, trattative di pace. Se ne volgete il testo dal negativo al positivo, è in pratica buona parte della piattaforma 3+2 avanzata dai russi per risolvere il conflitto.

Io non sono un giornalista ma come studioso faccio certo ricerche per comprendere gli eventi. Ma evidentemente “fare ricerche” per inquadrare fenomeni non è giudicato necessario nel regime democratico di mercato, viepiù dalla sua “libera stampa”. Ma io non sono un “democratico di mercato”, sono un democratico radicale cioè uno che pensa che la democrazia dovrebbe essere l’ultima istanza di decisione politica di una comunità.

La giovane “democrazia” ucraina è sovrana o condizionata? Condizionata da chi ed a quali fini geopolitici? Da quanto tempo? Nell’interesse ucraino deciso da ucraini o nell’interesse di chi altro, deciso da chi altro, veicolato con quali modalità “democratiche”? Cosa sanno gli ucraini nei vasti numeri del perché sono stati invasi da una forza armata del temuto vicino con il quale avevano un longevo e complicato contenzioso, stante che va ripetuto che -per quanto per noi ovvio- non c’è “diritto” formale che giustifichi che uno Stato invada l’altro armato? Ma l’elenco delle linee rosse non era poi, per buona parte, il contenuto dei vaghi “Accordi di Minsk II”? Ed a Francia e Germania che sovraintendevano quegli accordi, ciò era ed è noto o no? E cosa succede nei fatti bruti e non sul piano del diritto formale, quando si crea una situazione di questo tipo? Le migliaia di morti e milioni di profughi che fuggono dalla propria precedente vita ora in macerie, vedono migliorata la propria posizione esistenziale dal fatto che il piano del diritto formale condanna senza appello questi eventi che tanto si producono lo stesso sul piano del realismo concreto? E converrebbe oggi agli ucraini basarsi sul diritto formale o sul realismo concreto per tentare risolvere la situazione? E siamo sicuri che la giovane democrazia ucraina possa, se lo volesse, agire sul piano del realismo concreto quando i suoi sponsor necessari (ricordo che l’Ucraina, prima della guerre era al 133° posto per Pil pro capite, mentre oggi è sostanzialmente uno stato fallito tenuto in vita dai finanziamenti americani ed europei) vogliono solo che rimanga l’eterno testimonial dell’infrazione russa del diritto formale? Per cui non c’è alcuna “pace” possibile, perché non è questa nell’interesse degli sponsor? E come giudichiamo questi sponsor che per proprie mire geopolitiche sacrificano uomini, donne e bambini ancorché questi vittime in prima battuta dei russi? E come agiscono questi sponsor della democrazia di mercato in Italia e non solo nei recenti “tempi speciali”, ma nei tempi normali dei decenni della nostra vita democratica post-bellica? Ed in Francia? Ed in Germania?

E’ quando i più sembrano avere incrollabili certezze di giudizio che conducono all’azione, che occorre farsi qualche domanda.

Pubblicato in Uncategorized | 3 commenti

UN MESE DOPO.

Dopo il primo mese di guerra, oggi siamo forse in grado di fare ipotesi (che comunque tali rimarranno) su come andrà a “finire” il conflitto.

I conflitti dentro il conflitto sono tre. C’è il conflitto “aggressore-aggredito” provocato dall’invasione russa in Ucraina, c’è il conflitto “provocatore-provocato” tra Stati Uniti e Russia che fino ad oggi sono stati i due pari competitor planetari militari avendo più o meno la stessa dotazione nucleare, c’è il conflitto a guida americana “democrazie vs autocrazie” che era il programma di politica estera di Biden alle elezioni, con cui gli americani tentano di bipolarizzare il mondo giocandosi così la loro partita per ritardare l’avvento di un ordine multipolare che ne relativizzerebbero la potenza, la ricchezza, l’influenza.

I tre conflitti non possono intendersi slegati, sono intrecciati assieme e questo ne determina la complessità d’analisi. Ma al contempo, ne facilita la lettura strategica. Sebbene la strategia di comunicazione americana faccia terra bruciata intorno a tutto ciò che non si riferisce all’Ucraina propriamente detta, con questa reiterazione ossessiva del format “aggressore-aggredito”, è proprio fuori del semplice conflitto ucraino che va trovata la chiave strategica.

Ieri terminava il primo mese di guerra e non a caso è terminato con un discorso planetario del presidente americano. Biden ci ha fatto sapere che questo conflitto non terminerà non per mesi ma per anni. Perché?

Ovviamente perché il conflitto basato sul format “democrazie vs autarchie” è su sfondo geopolitico-storico. La battaglia tra mondo uni-bi-polare e mondo multipolare è di fase di transizione storica, non è certo cosa che si svolge in breve tempo. Ed è proprio per comprare tempo che gli USA hanno lanciato questa sfida non appena i russi gli hanno dato l’occasione.

Ma anche il conflitto tra le due superpotenze atomiche, che a sua volta è un conflitto compreso in quello della transizione multipolare ove per gli americani è necessario depotenziare il nemico più temibile sulla scala militare, ha la stessa necessità strategica temporale. Come detto poco tempo fa, c’è chi ha letto l’intera guerra fredda come una lunga pressione tra l’enorme capacità di spesa americana vs le limitate capacità sovietiche. Obbligare l’URSS ad usare sostanze per la chiave militare portava a fallimento economico, sociale e quindi infine, politico e così in effetti è andata.

Oggi, di nuovo, tenere la Russia in conflitto semi-permanente, per anni, ed oltretutto sotto pesanti sanzioni, punta allo stesso effetto. Inclusa la speranza che qualche Elstin, prima o poi sopravvenga a Putin, come ha chiaramente detto ieri Biden, creando un clamoroso incidente diplomatico. Altri conflitti satellite come nel Caucaso, nel centro-Asia, rivolte in Bielorussia, ripresa in Siria, Libia o magari nuovi impegni nei mari polari o di Barents con qualche nave giapponese ed ogni altro teatro strategico in cui è impegnata la Russia, aggraveranno il dilemma tra “risorse sempre più scarse e possibili impeghi alternativi”. Essendo potenza aggressiva ed in guerra, la Russia verrà sospesa dal consesso internazionale e questo depotenzierà l’intero schieramento avversario nel confronto multipolare.

Questi due conflitti si basano su un ancora presente vantaggio di risorse, viepiù oggi che gli USA diventano USA + Resto dell’Occidente + Area larga di influenza occidentale e con un vantaggio di risorse ed un conflitto permanente, c’è solo da far lavorare il tempo a proprio favore, non troppo ma abbastanza.

Naturalmente, tutto ciò non funzionerebbe se non ci fosse l’Ucraina e la sua disponibilità ad immolarsi per la causa. Dal loro punto di vista non è una strategia sbagliata, anzi. Poter esser di fatto la punta di lancia dell’ambiente NATO, anche senza le garanzie protettive dell’art. 5 è la migliore posizione militare possibile per restare vivi nel confronto coi russi, anche se ovviamente tutto ciò al prezzo di migliaia di vittime e distruzione materiale. Sempre meglio che capitolare però. E non si svalutino i vantaggi di esser finanziato ed armato gratuitamente per anni per il duro lavoro che si compirà.

Quindi c’è un aggredito disponibile a continuare il suo ruolo per anni senza arrendersi, su questo il sistema a guida americana investirà per far fallire i russi se non provocare il fatale “regime change”, il tutto imporrà direttamente ed indirettamente la riduzione della transizione di complessità al multipolare in un comodo bipolare dalle mille frizioni periferiche su tanti tavoli (commerciali, economici, finanziari, sanzionatori, giuridici, multilateriali, di scambio scientifico e tecnologico etc.). Non ci sarà un confronto diretto tra Occidente e Multipolari ma uno scontro prolungato in via indiretta in cui i primi faranno pagare prezzi salati a tutti coloro che insistono nelle loro mire di contro-potenza. Tra l’altro, da una parte c’è un sistema con un chiaro leader forte e potente (USA), dall’altra un sistema vago con molti leader tra loro anche in competizione reciproca in altri confronti regionali. Così va letto l’incontro sino-indiano di cui parlammo ieri. Il “divide et impera” è tutto a favore dei primi, o quasi.

A questo punto, molte sono le conseguenze in analisi sui vari formati del triplice conflitto e di più le possibili previsioni sugli sviluppi futuri. Per ridurre l’incertezza derivata dalle troppe variabili e reciproche non lineari interrelazioni, sarebbe utile capire la strategia russa. Ma in questa guerra non sappiamo davvero quale essa sia. Su questo ha giocato l’esercito dei commentatori il cui ruolo è quello di razionalizzare gli eventi dando ai grandi pubblici la propria visione dei fatti, stante che pure i fatti non li conosce davvero nessuno visto che non c’è alcuna terza parte sul campo a testimoniarli. Ma su questo ha giocato anche Mosca. Solo quando Mosca dirà “per noi va bene così” congelando il conflitto allo stato delle cose che saranno sul campo a quel momento, si capirà come intendono giocarsi questa partita che è ormai chiara a tutti, loro compresi, anzi forse a loro chiara prima ancora di iniziarla.

Il c.d. “conflitto congelato” che ormai pare l’unica prossima possibile tappa di ciò che vediamo e sentiamo ruotare intorno agli eventi, che caratteristiche avrà? Qui, per la prima volta da quando è iniziata questa storia, tentiamo l’ipotesi in quanto abbiamo un mese di fatti, dichiarazioni, azioni alle spalle, sebbene ancora molta nebbia davanti. L’Ucraina rimarrà a tutti gli effetti uno stato legittimo e sovrano, ma in guerra. Come tale non potrà comunque esser accettato nella NATO a meno che gli europei non vogliano firmare la loro nuclearizzazione, cosa da escludere con sicurezza. Da parte russa, quindi, per “congelare” operativamente il conflitto sul campo, occorrerà trovare la migliore posizione logistica. Infatti, se i russi avranno interesse a portare il conflitto a bassa intensità per lungo tempo visto che non potranno far altro perché gli è imposto dal vero nemico che è a Washington e non certo a Kiev, debbono mettersi un una postura difendibile al minimo prezzo visto che gli ucraini super-armati ed i loro interessati sponsor, non desisteranno mai.

Non potendo mai avere un impegno da parte di Kiev sull’obiettivo no-NATO anche se è impedito di fatto, un riconoscimento delle due repubbliche e del dato di fatto della Crimea, avendo sostanzialmente degradato la forza militare avversaria a livello infrastrutturale ed avendo probabilmente eliminato le punte più belliche e ideologiche (di cui non conoscevamo l’anima nazi-kantiana) che hanno condotto il lungo conflitto del Donbass in questi anni, Mosca dovrà attestarsi alla posizione più difendibile.

Questa è ovviamente il Dnepr. A destra del Dnepr c’è l’Ucraina gradatamente più industriale, russofona ed in parte russofila, a sinistra del Dnepr il contrario. In più a sinistra del Dnepr, il territorio si farebbe sempre più infido per i russi, i prezzi di vite umane, militari e civili, insostenibili, la vicinanza all’area NATO da evitare. Un chiaro “over streetching”. Quanto al Dnepr, basterà far saltare tutti ponti non tra i principali e presidiare questi per abbassare di molto l’impegno bellico prolungato. Si chiama “geo-politica” perché la geografia conta ed i fiumi sono una componente fondamentale come già avvenne da queste parti nella IIWW con la “linea Stalin”. Quanto alle coste, inglobato il Mar d’Azov come lago interno lo spazio russo, consolidato il collegamento con la Crimea, guadagnato molti chilometri di confine verso ovest, rimarrà in questione Odessa. Odessa ed il suo antistante, sarà forse il fronte più attivo nella lunga guerra di posizione e logoramento futura. Vitale tenerla per gli ucraini, vitale per i russi impedirglielo quanto più possibile, anche isolandola di fatto via mare.

Infine, se il tempo sostiene la strategia americana nei due altri livelli di conflitto, su questo livello base su cui gli altri due si poggiano, c’è un punto a sfavore del fronte occidentale. Per quanto stressati, punzecchiati in altri teatri, sanzionati ed in parte isolati, i russi hanno più riserva degli ucraini, qui conta la semplice demografia. Va bene i dollari e le armi, ma alla fine il collo di bottiglia sono gli uomini che possono combattere. Come mostrano i recenti bombardamenti logistici a Ivano-Frankivsi’k e Leopoli, per quanto “congelato” al fronte, il conflitto potrebbe prevedere comunque un continuo sabotaggio russo del flusso logistico di rifornimento ucraino.

Ma non è affatto detto che andrà così. Come detto, i russi si sono tenuti coperta la variabile “intenzioni” aggiungendo già dai primi giorni, l’avvertenza che se la strategia generale era fissa, la sua applicazione sul campo sarebbe stata variabile visto che le guerre si fanno in due. Quindi, l’ipotesi -che per altro è stata fatta da altri- è plausibile, ma solo gli eventi ci diranno se diventerà fatto o meno ed a che condizioni, prezzi, ripercussioni dirette ed indirette, anche per noi italiani ed europei.

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

A CHE PUNTO È LA NOTTE?

Un secolo fa, un secondario professore di liceo tedesco dette alle stampe due volumi dall’affascinante titolo “Il Tramonto dell’Occidente”. A noi non interessano le tesi specifiche del tedesco, interessa l’intuizione su quella che a lui sembrava, per varie ragioni, una parabola discendente del sistema occidentale. Ai tempi di Spengler, il sistema occidentale era per lo più l’Europa, inclusa la Gran Bretagna. Oggi il sistema occidentale è invece un sistema binario con un centro anglosassone dominante, fatto di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda ed una serie di satelliti che sono gli antichi stati-nazione europei.

Il sistema occidentale oggi pesa, più o meno, il 15% della popolazione mondiale. Ma se eliminiamo dalla definizione di Europa data in geografia umana Russia e Bielorussia, scendiamo a 13% dove Europa pesa l’8% e gli anglosassoni il restante 5% per quanto abbiamo mantenuto UK in Europa per non complicarci troppo i calcoli che comunque non cambierebbero di molto. Siamo anche la parte di umanità più anziana del mondo e di parecchio, soprattutto in Europa.

In IR (International Relations) disciplina totalmente monopolizzata dalla cultura statunitense, in questi giorni invisibilmente intrecciata alla geopolitica nel pubblico dibattito, è da anni in uso un concetto che fa da titolo a molte dissertazioni su problematiche strategiche del più ampio respiro: the West vs the Rest. Ma se il “West” è il 13% del mondo, si può definire l’altro 87% un “the Rest”? Questa partizione implicita al concetto denota sia una visione piuttosto bizzarra dei valori di peso (in genere, il “resto” è una frazionata rimanenza del calcolo generale, un residuo minore), sia una contrapposizione “vs”. Da dove vengono queste due posture implicite?

Sull’utilizzo di “il resto” per denotare l’87% di un aggregato, si potrebbe pensare ad un occidental-centrismo che non è poi molto strano, è norma che -nel mondo- ciascuno faccia perno del compasso su sé stesso. Ma viene anche il dubbio che, oltre la convinzione etnica più diffusa al mondo secondo Levy Strauss ovvero che la propria cultura sia al centro ed implicitamente la migliore del mondo, via sia una nostalgia. Ai primi del secolo scorso, infatti, e come punto finale di una traiettoria iniziata a metà secondo millennio dopo Cristo, che si è sviluppata in possedimenti o egemonie o influenze di praticamente tutti i paesi europei ed anglosassoni sul Mondo, noi occidentali eravamo praticamente ancora un terzo dell’umanità. Non solo, il nostro distacco in termini di potenza militare, economica, culturale, tecnologica sugli altri due terzi era netto ed indiscutibile. Sebbene comunque inelegante dal punto di vista culturale, allora forse si poteva concepire la fondatezza di questo senso di centralità compatta intorno al quale brulicavano le secondarie periferie del mondo.

Usare oggi l’espressione “the West vs the Rest”, sembra quindi una nostalgia nel senso di non aver aggiornato il concetto ad una realtà mutata sensibilmente. Da un terzo a più di un settimo i pesi cambiano sensibilmente e non a nostro favore. In più, tutti i nostri primati concreti in termini politici, culturali, tecnologici, militari, economici e finanziari vanno svanendo o si stanno confondendo. Per ogni indicatore prendiate tra i principali, le traiettorie di primato occidentale dal 1950 ad oggi, stanno scendendo con più o meno decisione. Le traiettorie proiettate a trenta anno quindi al 2050, da quelle demografiche a quelle economiche a tutte le altre, promettono di continuare a discendere secondo il coro unanime di ogni analista di ordine e grado, analisti occidentali s’intende. Il concetto pensato dal capofila culturale occidentale, cioè gli Stati Uniti d’America, il concetto “the West vs the Rest” sembra quindi già improprio nella fotografia odierna se comparata ad un secolo fa quando non c’era il concetto ma il suo sentimento, ma sembra sempre più bizzarro anche in prospettiva 2050, quando diventerà “il 10% vs il 90%”.

Da notare poi che se entriamo dentro il nostro mondo occidentale e lo facciamo 100%, sappiamo che da trenta anni è in atto un processo di gerarchia sociale allungata, sintetizzato nel concetto “1% vs 99%” dove cioè una sparuta minoranza ha assorbito in sé livelli di ricchezza e potere quali non si vedevano dai tempi dei satrapi orientali, ma forse neanche quelli a dire il vero. Una sparuta minoranza domina una civiltà minoritaria che dominava ma sempre meno dominerà il Mondo.

Se questo concetto che pone il “West” da una parte ed il “Rest” dall’altra mostra la sua problematicità, il connettivo “vs” cioè “contro” è ancora più problematico. Esso denota che quella nostalgia di cui abbiamo parlato è rancorosa. C’è un effetto assedio, un Fort Alamo, pochi contro molti, c’è una paura che si trasforma in aggressività implicita. In questi giorni, vediamo la società che si definiva “aperta” che si chiude sempre più in sé stessa. Sanziona, minaccia, fa liste di proscrizione, impone il “o di qua o di là” al suo interno ed a tutto il mondo, dopo aver deciso che un pezzo non secondario della cultura europea che va da Kandinsky a Dostoevskij, da Tchaikosvky a Mendeleev a nome di tutti gli scienziati della sua terra e molti altri, non sono più “europei” nel senso profondo del termine. Se appena qualche anno fa qualcuno osava porsi domande sull’utopia del Mondo come Piccolo Villaggio unificato dalla rete degli scambi commerciali e finanziari era ostracizzato come retrogrado del progresso dell’umanità, oggi l’anziano bambino rancoroso abbandona il campetto e si porta via il pallone perché a quel gioco non vince più.

Oggi il Piccolo Villaggio è tornato un mondo allo stato di natura hobbesiana, dove un comico ucraino in politica da tre anni parla, a nome della tribù occidentale al parlamento degli ebrei nazionali cioè israeliani imponendo loro severo il diktat di scegliere nella piana di Armageddon da che parte stare nell’ultima battaglia del Bene contro il Male.

Nel mentre, nel sistema occidentale, l’anziano comandante in capo la nuova crociata occidentale della democrazia “uber alles”, con accanto il senior partner orfano dei fasti dell’impero su cui non tramontava mai il sole, due anglosassoni ovvero discendenti delle antiche tribù dei barbari germanici, ordina, decide, impone i ritmi di una azione di conflitto col mondo che non si sa neanche che fine avrà visto che non parliamo più di economia, Internet, cultura popolare o sistemi politici, ma di bombe atomiche. La cultura europea è nell’attonito silenzio tradita dalla sponda russa ora trasformata in orda mongola violenta-donne ed ammazza-bambini. Vagheggiava pace e pluralità, fine della storia e fratellanza di mercato universale ed ora si trova in un incubo improvviso. Improvviso forse per chi ha continuato per anni e decenni a parlare di mondi immaginari fatti di parole e concetti appesi al nulla, in realtà le traiettorie erano ben chiare per chi si atteneva ad uno dei fondamenti stessi della cultura moderna che piano piano subentrò il Medioevo ovvero: numero, peso e misura. Questa svolta alla quantificazione nel XVII secolo s’impose proprio perché nel Medioevo c’era stata una longeva inflazione di chiacchere mentre parole e concetti, talvolta, debbono esser verificati nella sostanza e non solo nella pura forma come diceva uno dei fondatori del pensiero occidentale in quel di Grecia Antica.

Siamo così entrati nella più profonda notte della civiltà occidentale di cui un tedesco intuì a modo suo l’accenno di tramonto a cavallo di due guerre che fecero 85 milioni di morti, il più grande massacro nella storia dell’umanità in soli trentacinque anni. Si pensava fosse quella la notte della nostra civiltà, ma era solo l’inizio del lungo viaggio verso il suo termine lontano. Chissà ora a che punto di quella notte siamo.

… La luna è morta.

Alla finestra illividisce l’alba.

Ah, tu notte!

Perché tanto scompiglio?

Io sto in cilindro.

Non c’è nessuno con me.

Sono solo …

E lo specchio infranto …

(14 novembre 1925, Sergej Esenin -in foto-, L’uomo nero, trad. A. M. Ripellino.)

Pubblicato in Uncategorized | 4 commenti

UCRAINA AXIS MUNDI.

Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.

La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia. Questa strategia di “costo di potenza”, per ragioni di potenza economica complessiva, ma anche per ragioni di aspirazione di capitali da tutto il mondo tramite il sistema titoli di Stato – dollaro, pone gli USA in una posizione di vantaggio ancora incolmabile. E’ come giocare a poker contro un miliardario, perderete sempre perché lui dà un valore al denaro diverso dal vostro avendone incomparabilmente di più. Quello che non ha glielo presta il resto del mondo perché il Treasury Bond è il bene rifugio principale.

La Cina è il principale competitor, anzi l’unico, sul piano economico. Stimata precedentemente al 2028 la raggiunta parità di Pil tra i due giganti, quando oggi la Cina fa ancora solo tre quarti del Pil americano, le incertezze strategiche economiche americane unite ai due anni di pandemia, hanno fatto temere un pareggio anche più anticipato. Tale pareggio è solo una cifra, è la rete delle conseguenze complesse il problema.

Si consideri l’effetto sistemico di queste competizioni. La Russia ha contrastato l’operazione Siria dietro a cui c’era l’interesse strategico anglo-americano (ed una complessa faccenda di condutture di gas verso l’Europa). E’ entrata nel teatro libico sostenendo la parte avversaria quella promossa da Washington, sta penetrando il Sahel ed è variamente presente in Africa, esporta armamenti a piene mani in India, dà talvolta sponda all’Iran. Quindi al di là del confronto diretto tra le due potenze atomiche, c’è anche questo più ampio scenario mondo. Fiaccare la Russia non è solo l’obiettivo della competizione diretta è anche e soprattutto il poter aver mani libere nell’utilizzo della variabile militare sul tavolo-Mondo. Fiaccare la Russia ma sperabilmente anche promuovere un regime change in favore di un regime più liberale ovvero conforme il gioco dominato dagli USA.

La Cina poi, ha evidente strategia-Mondo nel suo sviluppo infrastrutturale delle varie Vie della Seta. Tale ragnatela, si arborizza da tempo in Asia, Africa e financo Sud America, ha una attenzione particolare al Medio Oriente anche per via della fame energetica cinese, mentre da tempo cerca di penetrare il boccone prelibato ovvero l’Europa. In questo campo di gioco gli Stati Uniti hanno una certa difficoltà strategica. La unità e potenza d’azione dello stato cinese è molto più efficiente della potenza d’azione indiretta americana tramite vari domini di mercato ed istituzioni finanziarie come World Bank e Fondo Monetario Internazionale. I cinesi premettono al loro andare in giro per il mondo a fare affari, il totale agnosticismo rispetto a come il partner si organizza politicamente o economicamente al suo interno, lo trattano da “pari a pari” sebbene solo dal punto di vista politico e culturale. Gli americani invece, oltre ad avere meno potenza finanziaria diretta da investire nel comprare amicizia geopolitica tramite la geoeconomia, vincolano i partner ad affiliarsi a forme di “democrazie di mercato”, nonché vari obblighi a formare l’attività economica secondo vari principi della loro teoria di mercato. L’espressione “democrazia di mercato” dice che poiché gli USA dominano il mercato, son così in grado di gestire la politica di un Paese (almeno ciò che a loro interessa) che, come involucro, rimane formalmente una “democrazia”.

Ieri Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha detto a chiare lettere che il problema della pace con l’Ucraina non passa solo dalle relazioni e competizioni tra russi e ucraini, ma tra russi ed americani, via ucraini. Per questo, al di là dei nostri sospiri speranzosi sui passi in avanti delle trattative, toccherà rassegnarsi a tempi medio-lunghi. In realtà gli americani non hanno alcuna fretta a chiudere la partita, anzi. Hanno già ottenuto vari punti segnati dal comportamento stesso dei russi che “non avevano alternative” come recita Putin, ma si può ancora ottenere di più. Incluso portare lo scontro a livelli tali da obbligare la Cina a dover scegliere da che parte stare. Costo alto per i cinesi che se da vari punti di sistema delle alleanze e condivisione degli obiettivi strategici generali quali la promozione di un nuovo ordine multipolare sono alleati di fatto dei russi, dall’altra temono di esser trascinati nell’angolo degli ostracizzati in cui gli americani sono riusciti a ficcare i russi che da questo punto di vista, la partita l’hanno già in buona parte persa.

Altro risultato già ottenuto dagli americani è stato il riaccorpamento integrale dei coriandoli europei al proprio dominio geopolitico, la rottura -irreversibile per lungo tempo futuro- di importanti relazioni commerciali tra Europa e Russia oltre a quelle tra Europa e Cina che verranno curate in seguito. Hanno inoltre ottenuto la, già richiesta invano da Trump, maggior contribuzione alle spese militari della comune alleanza nonché i proventi della vendita delle armi americane all’Europa a seguito di questi spesa militare incrementata. Ma tutto ciò verrà più chiaramente saldato in un molto probabile nuovo trattato commerciale sulle basi dell’ex TTIP poi abbandonato, che farà dall’Occidente a guida USA un sistema omogeneo macro-regionale che sarà la forma della nuova globalizzazione multipolare. Tramite questo nuovo sistema che racchiuderà in sé più del 50% del Pil mondiale (assieme a UK, oceanici e Canada), gli Stati Uniti potranno giocare la competizione con la Cina da rinnovata posizione di forza al di là del Pil specifico. Intorno al Nuovo Sistema Occidentale, andranno poi a collocarsi i partner privilegiati come il Giappone, la Corea del Sud, il Messico e Centro America, nonché tutti quelli che ambiguamente flirtano coi cinesi o coi russi come l’India o gli undici paesi ASEAN a cui verrà progressivamente richiesto da che parte stanno.

Tutto questo che non ha nulla di strano se non per chi è digiuno di questo tavolo del gioco di tutti i giochi a cui in questi giorni accede come spettatore con la testa piena di valori impalpabili senza rendersi conto di come la grammatica di questo gioco sia tremendamente seria, concreta e basata su valori palpabili e tremendamente materiali nonché del tutto amorali. Tutto ciò spiega molte cose del “film di guerra” trasmesso h24 dalle emittenti del racconto del mondo.

Ecco perché sono 3 miliardi i dollari in armamenti e formazione militare investiti fino al 2021 dagli USA in favore dell’Ucraina, ecco perché -anche solo prendendo le recenti notizie del Washington Post- l’impegno americano in Ucraina già dallo scorso dicembre (sono svariati anni in realtà) nel mentre Mosca provava inutilmente a chiedere un tavolo di trattiva di sicurezza con gli USA-NATO, ecco perché gli USA hanno stanziato l’altro ieri 13,6 miliardi di dollari per l’Ucraina con un in più di un altro miliardo d’armi pesanti (con sovralimentazione del proprio ipertrofico complesso militar-industriale) nella sola ultima settimana. Ed ecco perché l’urto catastrofico dei profughi per loro non è un problema mentre lo sarà per gli europei ed ecco anche perché a gli USA, il terremoto planetario i cui effetti molti fanno ancora fatica a scorgere, per loro sarà uno splendido affare.

Gli USA sono potenzialmente l’unica potenza semi-autarchica. Per più di un terzo fanno import-export limitrofo (Canada e Messico), poi c’è l’Europa, poi tutti gli altri in ordine sparso. Con la Cina possono giocare da rinnovate posizioni di forza e se pure dovranno fare qualche sacrificio in termini di import, ne beneficerà la bilancia commerciale, oltretutto spingendo la ripresa industriale interna. Ma lì dove gli USA sono più imperturbabili sono le materie prime. Praticamente autonomi per energia, grano, olii, fertilizzanti ed in parte dei minerali, possono lasciare il resto del mondo precipitare nel buco nero della già paventata “carestia” un concetto medioevale di cui non sentivamo parlare da secoli e che è oggi ben paventato da ONU e FMI. Carestia porta disordine sociale e politico, il temuto Grande Caos in cui il mondo complesso rischia di precipitare in una ragnatela di effetti farfalla con feedback non lineari che è ininfluente per chi sta su una isola (continentale) protetta da due oceani e con l’essenziale stipato in cantina.

Per tutto questo Biden non ha nessuna intenzione di alzare il telefono per invitare Putin al “diamoci una calmata”. La strategia è del tipo “tanto peggio, tanto meglio”. Si valuterà nei prossimi tempi anche le onde telluriche che investiranno le organizzazioni multilaterali, tra cui l’ONU ed il Consiglio di sicurezza.

Alcuni si sono irritati e sorpresi dai miei recenti toni con cui ho trattato Zelensky. Chiunque abbia avuto esperienze di marketing e pubblicità non potrà non notare come tutta la narrazione Zelensky ricalchi in tutta evidenza una chiara strategia. Forse questa affermazione risulterà infondata ai più, ma io ho lavorato in quel campo per due decenni e passa, diciamo ad alti livelli prima di lasciare tutto e convertirmi allo studio, con una specializzazione professionale specifica proprio in strategie di marketing e comunicazione. Non c’è alcuna possibilità di sostenere il contrario, credetemi, la mia non è una convinzione politica è meramente una constatazione tecnica. Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino. Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”. E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro. O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo o con un gruppo di amici?

Ogni giorno concede qualcosa facendo respirare gli animi pacifisti e ragionevoli, un minuto dopo fa marcia indietro. Ogni giorno alza la posta paranoica contro l’inumanità russa (che è per molti versi obiettiva), poi chiede più armi, più soldi, più riconoscimento e più odio per il nemico. Ogni giorno noi non abbiamo alcuna informazione terza sui teatri di guerra, ma abbiamo cori di esperti che fanno sperare: “i russi sono impantanati”, “i russi cedono psicologicamente”, “i russi stanno preparando attacchi biochimici ed atomici (quando queste sono pari accuse fatte dai russi nei loro confronti). Non vediamo i militari russi, non vediamo i militari ucraini, vediamo solo immagini ucraine e sentiamo solo comunicati ucraini. Se c’è speranza c’è in invio d’armi e tutto il circuito si rilancia. Ogni giorno gli europei vanno incontro a questo tsunami emotivo terrorizzante spinti da dirette h24 gestite da professionisti della comunicazione che non hanno mai un dubbio, un’alzata di sopracciglio, un possibile ricordo del necessario bilanciamento quando si stratta di comunicazione di guerra. Così i popoli, così i loro intellettuali principali, così i partiti annichiliti. Questa strategia è basica, si chiama “push&pull”. Granelli di sabbia in questa abbondante vasellina che osano finire le frasi col punto interrogativo, sono subito coperti di ignominia ed ostracizzati.

Qui abbiamo ricordato a sommi capi solo dati ufficiali, noti, non discutibili. Così per discorsi fatti negli ultimi anni da tutti gli osservatori geopolitici e di relazioni internazionali che sono le discipline che trattano il campo. A molti risulteranno strani, ma ciò è dovuto all’ignoranza di questo livello del gioco del mondo. Qui non c’è alcun complotto come molti pensano o pensano di quelli che dicono queste cose. A questo livello si chiamano semplicemente strategie e sono la norma per i giocatori di questo gioco. Non c’è nulla di strano, l’unica cosa strana è domandarvi perché non vi avete mai prestato attenzione. Forse credevate che l’agenda del mondo fosse Salvini, o le teorie economiche, o le baruffe culturali. Ma quelli sono solo i giochi, questo è il gioco di tutti i giochi.

E tenete conto che se ad alcuni farà ribrezzo e se ad alcuni altri non piacerà tutto questo, ad altri invece non fa alcun ribrezzo e piace perché convinti della giustezza di questa strategia. Infatti, essa va solo giudicata secondo il “cosa ci converrebbe fare dal punto di vista del nostro interesse”, su cui si possono avere legittime opinioni avversarie, per quanto non sia poi così ben visto un liberale dibattito in merito. Vi spingono a forza a pensare del Bene e del Male, ma da quando mondo è mondo in questi giochi vige solo il “mi conviene – non mi conviene”. Ed in certi casi come l’Italia, non c’è neanche il dubbio, semplicemente non c’è alternativa.

La guerra in Ucraina è l’asse intorno al quale gli Stati Uniti d’America intendono giocarsi una rischiosa ma ben pensata ed obiettivamente molto promettente partita per contrastare l’avvento dell’ordine multipolare che farebbe delle potenze isolane, tutte anglosassoni, dei potenzialmente se non isolati, decisamente ridimensionati. Forse non sarà l’ultima partita, ma è senz’altro un ottimo “buying time”. Ad occhio e croce, penso valga almeno dieci anni di tempo comprato. Sempre che continui ad andare secondo i piani. Complimenti a chi l’ha pensata, chapeau. A tutti gli altri: in bocca al lupo!

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti

GUERRA ALLA COMPLESSITA’.

Si è formalizzato ieri, su alcuni giornali italiani, il fronte di guerra alla complessità. Non che ieri sia nato, non è mai “nato”, c’è sempre stato, noi viviamo in un universo mentale semplificato, da sempre. Né ieri si è manifestata la sua discesa in campo per la conquista dei cuori e delle menti relativamente all’orientamento delle pubbliche opinioni rispetto alla guerra in Ucraina. Sono ventuno giorni che domina indisturbato. Ieri ha solo attaccato coloro che avanzano riserve su questo dominio del semplificato.

Di sua prima base, il complesso deriva dal suo etimo: intrecciato assieme. Tante e diverse variabili tra loro interrelate (relate a due vie) fanno sistemi complessi. Poche variabili, poche interrelazioni, poco complesso. Tante variabili, tante interrelazioni, molto complesso. In mezzo varie gradazioni. Nel complesso si osserva un oggetto o un fenomeno assieme al contesto. Infine, si cerca di risalire alla matassa intrecciate di cause che l’hanno preceduto. Questo di prima base poi c’è molto altro.

Semplificando, invece, si possono ridurre le variabili e le interrelazioni a proprio piacimento. Si può ridurre il problema del potere in Russia il cui studio impegna una manciata di studiosi da anni ad un singolo pazzo, ex-KGB, omofobo e violento. La Russia non è una potenza con 6000 ordigni nucleari assisa al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è solo uno stato canaglia a capo dell’Impero del Male. O elevare un comico finanziato chissà da chi in uno Stato-Mafia a Churchill. Infine, potrete isolare un fatto nel mentre si compie ignorando ciò che magari anche voi stessi avete fatto, consapevolmente o meno, per generarlo.

I semplificatori operano una distrazione logica. Presuppongono che l’oggetto del discorso sia la condanna dell’invasione russa, ma non si capisce contro chi facciano questa guerra. Chi giustifica o non condanna ciò che è successo secondo l’ovvio ed universale principio dell’inviolabilità dei confini di uno Stato da parte di un altro, armato? A parte Luttwak e qualche Stranamore americano che in questi decenni hanno spinto a varie guerre umanitarie, democratiche e liberanti, Saddam che invadeva il Kuwait e poco altro, non mi pare di vedere queste masse di teorici della guerra giusta. E comunque non li ho visti nel caso ucraino. Li ho visti invece nel campo dei semplificatori, soprattutto americani, negli ultimi decenni semmai. Allora con chi ce l’hanno?

Ce l’hanno con coloro che cercano di mettere nel ragionamento tutte le variabili e tutte le interrelazioni, di valutare il contesto, di includere i processi di causazione di lunga e media durata. Questi perplessi lo fanno per sovvertire il giudizio sul principio di inviolabilità dei confini sovrani da parte di un nemico armato? No di certo. Cercano solo di capire come siamo finiti in un dato fatto, perché e come si è prodotto, per capire come comportarsi e soprattutto come se ne esce. Ed in genere, è capendo come ci sei entrato che trovi il modo di uscirne.

I semplificatori vogliono solo inchiodarti alla condanna del fatto, i complessificatori non hanno alcun problema a condannare il fatto, si pongono tutt’altro problema: capire e risolvere.

Un padre che ha un figlio drogato certo non sta facendo una crociata per giustificare eroina libera per tutti quando cerca di capire come è arrivato lì e soprattutto come può aiutarlo ad uscirne, no? Una intera disciplina, la sociologia, analizza i fatti sociali più disturbanti non certo per giustificarli ma al contrario per conoscerne le cause di modo da contenerli se non evitarli. Se diciamo che povertà e disagio sono condizioni di possibilità per la delinquenza per questo stiamo dicendo di non fare i processi ai delinquenti? Così la psicologia. Ma a ben vedere anche la biologia. Se curiamo i cirrosi epatici è per incentivarli a tracannare all’infinito?

Quando Hanna Arendt seguiva il processo Eichmann per il New Yorker cercando di capire la natura dal Male e giungendo infine alla convinzione che l’origine di quel Male era in sostanza l’inconsapevolezza delle proprie singole azioni poste in processi più ampi di cui non si aveva o voleva avere consapevolezza, stava con ciò giustificando l’Olocausto? Nel rilevare la stupidità del Male o forse il come la stupidità porta al Male, stava giustificando il Male? Stava dando il destro all’assolvimento degli stupratori perché provocati dalla portatrice di minigonna come secondo un certo Gramellini fanno coloro che cercano di capire cause ed antefatti della guerra attuale? Forse Arendt chiese di assolvere Eichmann? O di giustificare lo sterminio nazista nei confronti della sua stessa origine ebraica?

Viene allora il dubbio che questi crociati contro la complessità dei fatti, vogliano loro giustificare qualcosa. Ma cosa? Sembra che vogliano partecipare alla costruzione di un unico e forte sentimento di condanna senza altre distrazioni per forzare ad una unica reazione attiva. Praticamente lo stimolo-risposta di Skinner. E lo fanno infrangendo la Legge di Hume per il quale da un com’è non consegue per forza il come dovrebbe essere, da una descrizione non consegue una prescrizione. Invece dall’ovvia, lampante ed indubitabile osservazione che qui c’è un aggressore ed un aggredito, conseguono in logica prescrizione vari assunti. Perché non mandiamo più armi in Ucraina? Perché non andiamo lì ad impicciarci della contesa che c’è da anni anche se ci siamo svegliati tre settimane fa e ne sappiamo dal nulla al niente? Perché non ignoriamo le conseguenze immediate e quelle future di quello che sta accadendo? Perché non proteggiamo a qualunque costo l’aggredito dall’aggressore a costo di iniziare una escalation che potrebbe portare a cose che neanche vogliamo nominare? Perché è il non averlo fatto per tempo ottanta anni fa che portò ad Eichmann, dicono.

I semplificatori forse hanno similarità con Eichmann sebbene vaneggino di un nuovo Hitler, neo-zarista ed intrinsecamente sovietico abusando delle scorciatoie logiche dell’analogia per cui le pere sono la stessa cosa delle mele dal momento che entrambe sono “frutta”. Anche lì, il colpevole diceva che lui era teso solo ad occuparsi col il massimo di perizia ingegneristica ad un problema logistico. A lui arrivavano solo input e la sua etica del lavoro gli imponeva di occuparsi solo dell’output. Ignorava cause e conseguenze, contesti, processi causativi più ampi del suo singolo specifico. L’essere il Male derivava da questa sua ostinata semplificazione. La Banalità del Male è appunto la banale semplificazione.

Così la banalità del Male, pensando di fare il Bene, attacca coloro che cercano di evitare si compia ancora più male. Lupi travestiti da agnelli scrivono su i fogli degli Agnelli, dicendo che gli agnelli sono i lupi. Ma che cosa pretendi nello scrivere queste cose, che chi usa la stupidità a fin di Male capisca che l’essenza del Male è assenza di comprensione complessa? Ma se lo capissero non sarebbero così stupidi no? Tagliamo le ali al pensiero così istituiremo la no-fly-zone per l’intelligenza e l’onestà intellettuale. Non ci distraiamo, siamo in guerra e come si dice in questi frangenti: à la guerre comme à la guerre…

Pubblicato in Uncategorized | 3 commenti

LA PRIMAVERA EUROPEA.

Sembrerebbe che lo schema delle “primavere di popolo” con cui gli americani hanno cercato di pilotare eventi politici nel mondo arabo, poi Ucraina ai tempi di piazza Maidan, Hong Kong, abbia oggi messo nel mirino un obiettivo davvero impegnativo: l’Europa. Codice colore: giallo e blu.

Nel breve di una giornata all’inizio del conflitto russo-ucraino, tedeschi, francesi, italiani sono passati da un certo sconcerto di contro-piede per quanto stava facendo la Russia, stato di sconcerto che però non prevedeva affatto di rinunciare ai propri interessi, all’allineamento unanime sanzionatorio. Non discuto la logica sanzionatoria, quello che mi ha colpito è la velocità e totalità dell’improvvisa polarizzazione. Può darsi io sia viziato dalla logica realista che si basa su analisi degli interessi razionalmente perseguiti e non capisca come l’enormità di ciò che hanno fatto i russi possa sollevare animi e coscienze. Può darsi. Però da quanto a mia conoscenza è difficile spiegare come il ministro Franco esca dall’Ecofin dicendo che non se ne parlava proprio di escludere la Russia dal SWIFT o Scholz diceva che certo non si poteva toccare il Nord Stream 2 e poche ore dopo la Russia veniva esclusa dallo SWIFT e il Nord Stream diventava “un pezzo di metallo in fondo al mare” come trionfante celebrava la Nuland.

Già, la Nuland, quella di “fuck the UE” ai tempi della rivolta di piazza Maidan nel 2014, la rivoluzione arancione ucraina. La moglie di Robert Kagan, lo storico e politologo neo-con che si definisce “liberale interventista”, lascia il partito repubblicano e diventa un sostenitore della Clinton, scrive nel 2017 che la Terza guerra mondiale avverrà per contrastare l’espansionismo russo e cinese. Ci si potrebbe scrivere un intero post su Kagan, andatevi a fare una ricerchina su Google.

Ad ogni modo, ripeto, non discuto le posizioni politiche improvvisamente prese dall’UE, mi lascia perplesso quel “improvvisamente”. Gente notoriamente indecisa su tutto ed il contrario di tutto, trova magicamente l’allineamento in un pomeriggio. Curioso.

Su Zelensky abbiamo già scritto anche troppo. Rilevo solo come il suo ufficio propaganda abbia l’invidiabile capacità di muoversi come una struttura di levatura globale. Lancia messaggi ai parlamenti europei, va in diretta nelle piazze europee che manifestano contro la Russia, sono impegnati ora in una contrastata trattativa con gli israeliani che gli vogliono negare il discorso al proprio parlamento, chissà perché. Ieri Repubblica ha pubblicato in video inquietante della propaganda che ci dicono ucraina pensando noi si sia scemi. Con effetti speciali hollywoodiani che nessuna post produzione di Kiev sarebbe in grado di produrre, le scene mostrano Parigi sotto bombardamento. Molto realistico e “catastrophic-movie” con alla fine la domanda del perché i francesi non consentono alla NATO di imporre la no-fly-zone sull’Ucraina. Ieri Repubblica dava notizia della prima manifestazione europea in favore della no-fly-zone a Londra, convocata da una sedicente neonata organizzazione “London Euromaidan”, sembra un format, no?

Sono diciassette giorni che Zelensky, tutti i giorni, più volte al giorno, come un disco rotto, reclama la no-fly-zone, finora negata ma quanto a lungo resisteremo all’indignazione? Il tutto in un crescendo di insopportabilità: bambini straziati, centrali atomiche con perdite, crimini di guerra, inumanità, armi chimiche e batteriologiche, sindaci torturati, fosse comuni poi arriveranno i campi di concentramento in Siberia, mentre l’Armata Rossa minaccia di invadere casa vostra. E quando ci sarà l’incidente nucleare per colpa russa, che sono giorni che viene annunciato? O quello biochimico? Sarete ancora contro la no-fly-zone allora?

Impressionante anche il perfetto allineamento dei giornalisti. Anche qui, in men che non si dica, gente anche posata e non incline all’estremismo per quanto di note simpatie politiche chiaramente atlantiste, simpatie ed interessi, è diventato un campo magnetico orientato alla perfezione, quasi coordinato, improvvisamente. In tutta Europa, ora vige la logica del 1914 che Canfora ieri ricordava con un certo sconcerto. Superato poi dallo sconcerto di vedere Rampini evidentemente alterato che gli intimava di non dire sciocchezze perché Canfora era solo un “provinciale” (!).

Nella primavera del 1914, tutta Europa era sulle tiepide e fiorite ali della Belle Epoque, in pochi mesi precipitò nell’incubo. Persone che si stimavano e forse anche si volevano bene, si ritrovarono improvvisamente ostili l’un vero l’altra, l’uno improvvisamente preso dal virus bellico, l’altra perplessa e sconcertata. Paralizzati ad argomentare contro la potenza chiarificatrice dello slogan urlato. Lo sconcerto durò poco anche perché s’imposero forme di ostracismo sociale per via culturale a tutti coloro che non vibravano all’irresistibile richiamo della giusta guerra. In questi giorni, avrete notato le liste di proscrizione per i “filo-Putin”, l’aggressività bavosa dei pitbull mediatici, il bombardamento h24 che rilancia i comunicati delle Zelensky&Partners, il totale oscuramento della “voce del nemico”. Tutto ciò è già percolato nella mentalità di massa.

C’è un potere assoluto del discorso unico e Lord Acton ricordava che se il potere corrompe, il potere assoluto corrompeva assolutamente. Per questo Montesquieu promosse la suddivisione e pluralità dei poteri perché ogni tesi deve esser mitigata dalla sua antitesi, altrimenti diventa dogma. Ma i liberali reali sono spariti di colpo, ora ci sono solo liberali interventisti, aggressivi, mono-maniaci, i liberali idealisti. Ogni disastro storico è stato fatto sulle ali di un idealismo non temperato dal realismo. Tipo convincersi di essere una civiltà superiore. Son quelli del “c’è un aggredito ed un aggressore”, come se fossimo stupidi e non ce ne fossimo accorti o fossimo deviati dalla propaganda russa che semplicemente è stata silenziata su ogni possibile canale, a meno di non leggersi la TASS su twitter in cirillico. Il motore che portò quella primavera nel buco nero dell’estate e successivi anni del 1914 fu proprio l’imposizione di questa logica, la logica dicotomica che prende un frame del processo della realtà che è storica, lo schiaccia sull’attualità e ti chiede di scegliere tra A o B e non ti azzardare a fare sofistica da terza posizione. Il campo semantico è tracciato se non sei dentro sei ostracizzato e non hai voce, non sai neanche quanti sono indisponibili a finire in quel campo, sei un isolato e quindi è meglio rinchiudersi nel tuo disagiato silenzio privato. Noi qui diamo voce a quel disagio affinché non rimanga privato.

Come ho avuto modi di dirvi i primi giorni, io mi occupo per lo più di mondo e complessità, il mio interesse per la geopolitica deriva da ciò ma non copre tutto l’argomento che è più vasto e complesso. Tuttavia, negli anni, mi sono più volte interessato a questioni geopolitiche. Prima che razionalmente, già dal secondo giorno dopo il 24 febbraio ho “sentito” che qualcosa non era normale. Era una sensazione data proprio da questa reazione pubblica che sembrava troppo pronta, troppo unanime, troppo svelta, troppo organizzata lì dove le complessità della politica e del pubblico dibattito normale ha sempre reso i processi di reazione lenti, contradditori, complicati. Le cose in quei campi non hanno mai funzionato così e sebbene l’eccezionalità degli eventi porti a dover considerare l’accelerazione, ciò non giustifica del tutto ciò che è successo, come è successo, perché è successo. Per questo ho smesso i miei panni naturali di studioso distaccato e ho sentito necessità di scendere in strada a combattere con l’uso della ragione in pubblico.

Poco fa ho letto un articolo dello stimato sito di analisi politica americana “Politico”. Era un articolo inusuale, un vero e proprio killeraggio contro Macron e questo sua “ostinazione” a continuare a telefonare a Putin. Ho anche letto sul JPost israeliano la Nuland “che ha messo in guardia Gerusalemme dall’essere un rifugio per “denaro sporco” mentre si dice di un nervoso Biden che impone a Tel Aviv di unirsi alle “democrazie combattenti” elevando più serie sanzioni a Mosca, sbrigandosi ad inviare armi letali in Ucraina assieme a tutti gli altri. Il tutto mentre ministri e funzionari ucraini attaccano questa incertezza o diverso punto di vista israeliano neanche fossero diventati i padroni del mondo politico occidentale. Attaccare gli israeliani non è cosa facile, chi segue queste cose sa di cosa parlo.

Orami siamo circondati da gente aggressiva che ci tiene a farti sapere quanto fai umanamente schifo perché non ti unisci al coro del Grande Sdegno Morale o meglio, preso atto che ovviamente anche tu ritieni inaccettabile la violazione del principio di inviolabilità dei confini con forze armate, fai schifo perché non ti fermi lì. Perché ti fai domande su come siamo finiti in questo pasticcio, come finirà, quali saranno le conseguenze, cosa significa dopo ottanta anni vedere in televisione gente che parla di bombe atomiche come fossero bombe alla crema, con la stessa acquolina nella mente. La Bomba è d’improvviso il “new normal”. London Maidan, non si fanno manifestazioni per chiedere al Governo britannico perché ha preso solo decine di rifugiati quando noi ne abbiamo preso 35.000, no! si va in piazza a chiedere la no-fly-zone per l’Ucraina.

Sudeti, valori delle Resistenza, Guerra civile spagnola, fioccano le analogie a sproposito per eccitare gli animi e sguinzagliare i mastini del nuovo movimento giallo-blu per la guerra al novello Hitler. Ve l’ho detto, tutto ciò m’inquieta, tutto ciò è molto meno normale di quanto comincia a sembrarci.

L’obiettivo non è solo l’Europa, l’obiettivo è rifare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cacciare Russia e Cina, imporre l’ordine economico e finanziario americano, affinché il 4,5% della popolazione mondiale o meglio una sua élite, possa tramite la sua egemonia benevolente, prorogare il dominio che i neo-con americani della “rivoluzione permanente” hanno già intitolato nel 1997 come il loro condensato strategico: The New American Century.

Con le buone o con le cattive. A qualsiasi prezzo. Anche quello che fino a due settimane fa e per ottanta anni è stato l’impensabile.

Pubblicato in Uncategorized | 9 commenti

“SE FOSSI IN TE, PENSEREI ALLA VITA DELLA MIA GENTE E ACCETTEREI L’OFFERTA”.

Naftali Bennett, primo ministro di Israele, ha consigliato a Zelensky di arrendersi, inutilmente.

Bennett è nei fatti, l’unico vero “mediatore” della tenzone tra Kiev e Mosca. Sette giorni fa è stato tre ore a colloquio con Putin poi è volato da Scholz e Macron in collegamento. Israele non ha elevato sanzioni significative, non ha inviato armi, ha negato a Zelensky la possibilità di parlare in video al parlamento israeliano.

Zelensky non l’ha presa bene. Il giorno dopo il ministro degli esteri Kuleba ha accusato la compagnia di bandiera El Al di “guadagnare soldi che grondavano sangue ucraino” continuando ad accettare pagamenti russi che evadevano i blocchi dei circuiti banco-finanziari. Il giorno dopo ha dovuto scusarsi pubblicamente, ritirando le accuse.

I rapporti ed interessi tra Zelensky ed Israele, da tre anni -cioè da quando Zelensky è diventato presidente- sono molto profondi. Ma funzionari ucraini hanno detto che “Bennett non sta mediando tanto quanto sta funzionando come una casella di posta e solo passando messaggi tra le due parti.”. In effetti hanno pienamente ragione, non c’è alcuna “trattativa” ci sono solo “condizioni”, non di resa totale, di tre concessioni specifiche.

Mentre qui vedo molti discutere di Nuova URSS ed impero zarista, Novorussia e Terza guerra mondiale, Hitler 2.0 e Resistenza per la Libertà, democrazia ed autoritarismo filosofia della guerra e della pace, in un delirante esercizio di esibizionismo culturale, tutti in cerca del loro warholiano “quarto d’ora di celebrità” nel “momento geopolitico”, il tutto mentre il sangue scorre, nessuno pare interessato a rimanere ai fatti. I fatti sono semplici, c’è un “offerta” fatta dai russi e c’è il rifiuto di anche solo esaminarla da parte di Zelensky e di tutto l’Occidente. “Irricevibile” ha detto Macron. Se ne potrebbe qui discutere, valutare, vederne insidie ed opportunità, ma questo dibattito non s’ha da fare. Non deve neanche iniziare.

Segnalo che i primi giorni dall’inizi del conflitto, i russi hanno detto che se non saranno accettate queste prime condizioni, ne seguiranno altre più care. Per i media occidentali l’offerta “non esiste” sebbene sia nelle mani ucraine da almeno dieci giorni, sia stata annunciata pubblicamente da giorni, sia anche stata commentata con caute aperture da Zelensky salvo dieci minuti dopo richiedere per l’ennesima volta quella no-fly-zone che porterebbe automaticamente all’olocausto nucleare di mezzo mondo, il nostro. Neanche viene contro-discussa, non se ne deve propri parlare, sia mai si crepassero le unanimi convinzioni.

Ma di cosa si tratta? L’offerta consta di tre punti.

1. Che l’Ucraina riconosca l’indipendenza delle due Repubbliche autonome, quella di Donetsk e quella di Lugansk tali riconosciute dai russi il giorno prima dell’inizio dell’invasione. Queste non sono tutto il Donbass, solo una parte. Queste sono nei fatti in guerra con Kiev da otto anni, guerra con migliaia di morti. Sono abitate per lo più da russofoni, mai accetteranno di esser ucrainizzate, anche piombasse lì l’angelo della storia e congelasse i carrarmati russi, lì la guerra continuerebbe. Non si capisce Zelensky e l’Occidente come altrimenti intenderebbero risolvere questo problema che va avanti da otto, lunghi, anni.

2. Prender definitivamente atto che la Crimea è parte della Federazione russa, quale è da otto anni. Solo se l’Occidente dichiarasse guerra a Mosca e la vincesse, ciò che rimarrebbe della Russia firmerebbe il rilascio della Crimea, non c’è alcuna altra realistica possibilità. Non si capisce come Zelensky e l’Occidente intenderebbero altrimenti risolvere questo problema che tale è da otto anni e che in otto anni, oltre a sanzioni specifiche già elevate e subite, non ha mai portato il mondo sull’orlo della Terza guerra mondiale.

3. Inserire in Costituzione la dichiarazione di neutralità e la promessa di non iscriversi in futuro ad alcun blocco militare. Non si capisce per quale motivo Zelensky e l’Occidente vogliano lasciarsi le mani libere su questo punto se non in vista di una entrata dell’Ucraina della NATO che è IL MOTIVO di questo conflitto. La possibilità cioè che l’alleanza comandata (non diretta, comandata) dagli Stati Uniti d’America, il nemico strategico unico della Russia unica altra potenza nucleare di prima grandezza, possa arrivare al confine russo come già fatto nel Baltico ed in Polonia, quando non risulta i russi abbiamo mai tentato o pensato di proporre una alleanza militare a Cuba o al Messico puntando i loro missili su Washington.

La somma di tutte le disgrazie dirette ed indirette che patiscono e patiranno ucraini in primis, e noi stessi in seconda linea, è il prezzo che paghiamo e pagheremo per non accettare questi tre punti.

Sono giusti? Questa forma di realtà non è sottoposta al giudizio di giustizia. Questa forma di realtà che non è una fiction, è sottoposta solo al principio di forza. O la Russia piega l’Ucraina ad accettarli o l’Ucraina invade la Russia e la obbliga a rinunciarvi, non c’è altra via. O forse c’è. Sperare che ci sia una rivoluzione o un colpo di stato in Russia. Ma non una rivoluzione o colpo di stato che uccida Putin, ma che elimini l’intero strato di potere in capo ai russi mettendoci al posto un Quisling occidentale che liquidasse la potenza dell’avversario. Le conseguenze di tale evenienza la cui probabilità richiederebbe un lungo discorso e comunque nessuna certezza, andrebbero valutate in sede specifica, non è infatti detto che ciò che si enuncia facilmente a parole possa corrispondere a fatti semplici. E non è detto che anche si realizzasse questa speranza, non ci si troverebbe davanti altri ben più complessi problemi.

Bennett non ha detto “è giusto che tu ti arrenda”, ha detto -non c’è altro modo e quindi ti conviene tanto alla fine il risultato sarà quello comunque-. Non ci sarà alcun Vietnam, alcun Afghanistan in cui si può sperare, i russi quando avranno sgretolato l’Ucraina si ritireranno e ci lasceranno un paese sventrato da ricostruire. Non appena qualcuno pensasse di piazzarci sopra un contingente o una batteria missilistica, lo invaderebbero di nuovo e poi di nuovo e di nuovo, arriveranno a nuclearizzarlo quando non ci saranno che macerie, fino a che si capirà che lì non si debbono mettere armi puntate su Mosca.

L’offerta riguarda l’Ucraina non l’Occidente. L’Occidente potrà continuare ad elevare una sanzione a settimana fino alla fine dei tempi, potrà continuare ad ostracizzare la Russia in tutte le sedi del consesso internazionale, potrà portare a giudizio in contumacia i russi per crimini di guerra. Il “conflitto” tra USA con l’Europa a traino e la Russia rimarrebbe visto che continua da anni sebbene ai più sia ignoto, finirebbe solo la guerra.

Così, Stati Uniti, Europa, Zelensky, irremovibili, preferiscono continuare la guerra. Andremo in economia di guerra, poi passeremo a leggi sempre più restrittive, mancheranno merci essenziali, energia, lavoro, sicurezze già precarie, normalità, palpiteremo per la paura di venire nuclearizzati, avremo milioni e milioni di povera gente da proteggere, donne, bambini, anziani, gatti e cagnolini mentre altri finiranno nelle fosse comuni. L’Ucraina verrà materialmente distrutta più di quanto già non lo sia. E mi fermo qui nonostante constati che dopo ottanta anni, si comincia con molta, troppa nonchalance a nominare cose che non andrebbero neanche nominate. Quella è una scala che, varcato il primo gradino, sai già in quale buco nero della Storia ti porta.

Ma questa offerta è irricevibile. Voi, fatevi bene i conti di quanto costerà non accettarla e siate sicuri di poterne pagare i costi perché li pagherete, caro, tutti.

https://www.jpost.com/israel-news/article-701041

Pubblicato in Uncategorized | 2 commenti